Pubblichiamo, a puntate domenicali, la storia di Al Masri, Il cittadino libico destinatario del mandato di arresto della Corte dell'Aja, arresto dalla polizia italiana a Torino e poi riaccompagnato a casa con il volo di Stato.
La prima puntata racconta di Mitiga e degli orrori che vi si svolgono e si può leggere qui.
Io, Osama Elmasry “Njeem” – Seconda puntata: RADAA
Le azioni e il brutale contesto in cui opera l’uomo che la Corte Penale Internazionale ha sottoposto a mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità. Prosegue il racconto su una realtà che non possiamo ignorare.
Sommario: 1. Da un quartiere di periferia - 2. La milizia e il suo generale - 3. Le prigioni di RADAA - 4. L’oppressione attraverso l’illegalità e la violenza.
1. Da un quartiere di periferia
Uno dei tanti gruppi di miliziani che spadroneggia all’accendersi della miccia dell’insurrezione contro Mu’ammar Mohammed Abu Minyar Qadhahafi (per tutti, ma soprattutto per gli italiani, Gheddafi). Questa è l’origine delle Forze Speciali di Deterrenza, Al-Radaa o, più semplicemente, RADAA. Vale la pena parlarne, perché è in questo gruppo armato che si afferma il ruolo dell’uomo che la Corte penale internazionale voleva fosse arrestato: Osama Elmasry Njeem.
La trasposizione in lingua occidentale di nomi appartenenti a idiomi per noi ostici e l’avvicendarsi continuo di sigle che designano apparati non necessariamente differenti aumenta la difficoltà di comprendere le dinamiche più turbolente degli scenari nel mondo arabo. Si procede quindi per approssimazioni terminologica che concorrono a rendere ancora più approssimati i riquadri bellici e politici.
Tra febbraio e marzo 2011 la Libia transita in poche settimane dalla sua primavera araba al conflitto civile. Tra i rivoltosi riuniti nel Consiglio nazionale di transizione, si segnalano a Tripoli il gruppo indipendente di combattenti formatosi nel quartiere nel quartiere Souk al Juma e condotto da Abdel Raouf Kara.
Souk al Juma era stato in passato un centro amministrativo autonomo, a est della capitale, dalla cui area urbana viene inglobato alla fine del secolo scorso. È nelle sue strade che tra il 1925 e il 1933 si svolge il gran premio automobilistico di Tripoli. Nel 1930 vi perde la vita l’asso del volante, Gastone Brilli-Peri – le cui gesta saranno evocate dal cinema e dalla canzone del nostro tempo[1] – schiantandosi contro il muricciolo di un giardino con l’Alfa Romeo lanciata a 180 chilometri orari. Era stato campione mondiale e aveva vinto il gran premio di Tripoli appena l’anno prima.
La tragedia suscita tale scalpore da indurre il regime coloniale fascista a costruire nei pressi un autodromo non cittadino. L’area prescelta è nella vicina oasi di Tagiura, nei pressi del lago di Mellaha, dove viene realizzato anche una base militare, che assumerà col tempo il nome di Mitiga.
Nell’insurrezione contro Gheddafi l’aeroporto, adibito da una quindicina d’anni al trasporto civile, diventerà un obiettivo militare fondamentale. Le milizie di Kara sono stanziate a pochi chilometri di distanza. Anche dal punto di vista logistico l’attacco all’esercito governativo è strategicamente favorevole e ha successo nell’arco di poche settimane. Kara è ormai un signore della guerra; ha raccolto circa 700 combattenti, che costituiscono un’unità appetita dal costituendo Governo di accordo nazionale (GNA), che nel tempo entra a fare parte dell’amministrazione dell’interno.
2. La milizia e il suo generale
Mitiga è diventata il quartiere generale della RADAA, che conta oggi 1.500 componenti. Il dato è formale. Kara si vantava già diversi anni fa di essere in grado di radunare fino a diecimila combattenti, “se venissero chiamate le mie riserve”[2]. È la terza milizia più numerosa a Tripoli e una delle più potenti della Libia occidentale[3], se si pensa che nel solo anno 2022 il Ministero dell’interno le ha destinato quasi trenta milioni di dollari americani.
Nel frattempo, RADAA è divenuta Apparato di deterrenza per la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo (DACTO). Ora la sua posizione di vantaggio è doppia: come dipartimento statale, ha compiti ufficiali di polizia militare, finanziato e riconosciuto dal Governo; come milizia facente capo a un signore della guerra, continua a godere di autonomia operativa. La maggior part dei suoi componenti sono inquadrati formalmente nella polizia libanese. In questa veste, essi sono abilitati a compiere indagini, arresti, perquisizioni, posti di blocco, ad eseguire confische.
La forza di RADAA sta nell’avere radunato dall’inizio tutti i combattenti appartenenti alla tribù Thuwar, fedele ai principi della Sharia. Di qui la sua compattezza etnica e religiosa, che tuttora ne rappresenta un fattore di coesione. All’osservatore occidentale sembra difficile concepire un’articolazione statale legittimata a ingerirsi nei diritti fondamentali dei propri cittadini, ma autonoma e guidata al contempo dalla legge islamica, che ha regole proprie e differenti. In Libia – e non solo – sono distorsioni come queste a generare il caos amministrativo dando vigore alla sola legge possibile, quella della forza.
Da quando è entrato a fare parte della nomenclatura del GNA, Kara, che oggi ha 46 anni, agisce con accortezza. È un personaggio temuto, ma agli interlocutori si propone come persona pacata, che pondera le parole. Non rilascia volentieri interviste e il suo profilo è quasi sparito dal web. Osserva con rigore le regole della sua fede (digiuna ogni lunedì e giovedì), ma anche su questo aspetto con gli ospiti sa mostrarsi aperto e tollerante.
Kara rivendica con disinvoltura in prima persona la propria autonomia dalle scelte governative (“a volte devo prendere decisioni perché nessuno vuole assumersi la responsabilità di proteggere la popolazione e le istituzioni”) e giustifica con cinico pragmatismo il regime imposto ai “suoi” detenuti ella prigione di Mitiga: “se esistesse un sistema giudiziario equo, sarebbero processati. Ma il sistema giudiziario attuale non esiste”[4]. Peccato che a non fare funzionare il sistema giudiziario attuale contribuisca lui stesso, come vedremo.
Mitiga, intanto. All’interno dell’aeroporto, struttura amministrativa e zona detentiva si confondono, diventano un tutt’uno nel via vai di uniformi, miliziani senza divisa, guardie carcerarie, detenuti o prigionieri rapiti: un corpo unico che è l’allegoria terribile del disordine che domina nel Paese intero.
3. Le prigioni di RADAA
Mitiga non è l’unico centro di detenzione affidato a (o comunque controllata) da RADAA in Libia. Ne è però la principale: per numero di detenuti, per vicinanza alla capitale e per fama.
Qui a comandare è un luogotenente di Kara, Osama Elmasry Njeem. “Al Masri”, come lo chiamiamo in Italia, o “Njeem”, secondo la dizione impiegata dalla Corte penale internazionale, non è un generale, per quanto comunemente lo si definisca tale. È piuttosto un capo militare, che risponde a Kara. Gli è stata affidata la struttura detentiva di Mitiga e a Mitiga fa ciò che vuole.
Secondo autorevoli commentatori “è solo un sadico che tortura le persone”[5]. Il profilo psichico ha il suo peso. Ciò che conta, però, è che i miliziani di RADAA eseguono i suoi ordini con brutale meticolosità. Mitiga non è la sola prigione libica denunciata pubblicamente per le torture che vi vengono commesse[6]; è però quella che nel tempo ha acquisito la nomea più cruenta. Le Nazioni Unite hanno radunato un gruppo di esperti che ha raccolto un numero di testimonianze elevato, ma imprecisato (per tutelare l’incolumità degli intervistati). Alle 299 pagine della relazione finale sono allegati documenti, fotografie, filmati, registrazioni che ricostruiscono l’intera filiale del traffico di esseri umani, che vede coinvolti 17 boss libici, tutti in divisa da militare o in grisaglia da funzionari pubblici[7].
Ad alcuni detenuti, specialmente subsahariani, è offerta una chance per sottrarsi alla tortura: arruolarsi alla RADAA e partecipare in prima linea alle azioni contro la Libyan National Army (LNA) di Khalifa Belkasim Haftar, il nemico che occupa la parte orientale della Libia. Basta questa sola circostanza a fare comprendere quanto la milizia del generale Kara sia screditata, ma al tempo stesso temibile per le sue violenze incontrollate.
Mitiga non è un carcere per migranti. Ma i migranti vi arrivano comunque, perché da loro RADAA trae risorse: prima ancora che quelle umane, quelle in denaro, estorto ai loro familiari una volta che ricevono le telefonate e li ascoltano implorare il pagamento di migliaia di dollari mentre vengono picchiati dai secondini.
I nomi dei collaboratori di Njeem a Mitiga sono noti: Khalid al-Hishri Abuti, Moadh Eshabat, Hamza al-Bouti Edhaoui, Ziad Najim, Nazih Ahmed Tabtaba. Sono tutti considerati ufficiali della milizia, con ruoli anche superiori a Njeeem, ma non a Mitiga. Nel carcere comanda lui. Mitiga è RADAA e RADAA a Mitiga è Njeem. Questa è la sintesi fattuale che si trae dalle molte testimonianze raccolte da missioni internazionali[8] e compiuta pure dalla camera preliminare che ha trattato della vicenda per la Corte penale internazionale[9].
Perciò le condotte dei miliziani a Mitiga sono riconducibili ai voleri di Njeem, il quale del resto conosce bene la loro attitudine alla violenza e alla sopraffazione, resa più cieca dal culto religioso che intimamente le motiva. La tolleranza governativa per quanto vi accade ha fatto di Mitiga un modello da esportare nella Libia occidentale.
Si ha infatti notizia di soprusi analoghi nella vicina prigione di Judaydah, anch’essa controllata da RADAA. Sono stati accertati crimini contro l’umanità commessi nelle carceri di al-Kwaifiya e di Germada, gestite dalle Forze armate arabe libiche, e nei centri di detenzione che sono dirette dal cosiddetto Apparato di sostegno alla stabilità (SSA), dall’Agenzia per la sicurezza interna (ISA), dalla Direzione per la lotta alla migrazione illegale (DCIM)[10].
La miriade di sigle e satelliti che popolano la nebulosa libica dà la misura della disgregazione estrema dei centri di potere e, con questa, del suo esercizio inevitabilmente incontrollato; di qui l’assenza di un livello minimale di legalità all’interno delle strutture di detenzione.
4. L’oppressione attraverso l’illegalità e la violenza
I ristretti diventano quindi materiale utile alla causa delle milizie. Non solo soldi e arruolamenti forzati. Vi sono le donne e i giovani vittime di abusi sessuali sistematici, maschi in salute impiegati come schiavi e nei lavori forzati o costretti a subire prelievi di sangue destinato ai soldati feriti in combattimento[11].
Si ripete inoltre ciò che la storia ci ha fatto apprendere dall’orrore dei lager. Per sopravvivere, alcuni detenuti accettano di essere investiti delle forme di collaborazione più sgradevoli. Gli vengono così affidati i compiti di trasportare e perquisire altri carcerati all’arrivo nel carcere, di abusare fisicamente di loro in segno di spregio, di partecipare alle violenze più impegnative: sospenderli in posizione di stress, rinchiuderli in una “bara” in posizione verticale, collocarli proni con le piante dei piedi rivolte verso l’alto per subire le percosse secondo il metodo falqa[12].
Inutile dire che la scelta delle vittime di queste atrocità deriva soprattutto dall’orientamento della milizia che gestisce il carcere. Nel caso della RADAA, i detenuti vengono discriminati in ragione della posizione politica effettiva o percepita, dell’appartenenza a talune etnie, delle accuse per fatti che maggiormente contrastano il suo credo religioso. Vi sono pertanto persone maltrattate in quanto sospettate di omosessualità e costrette a frequentare corsi di religione tenuti a Mitiga.
La Libia non conosce sistemi di protezione per le vittime di violenza sessuale e di genere. La loro vulnerabilità è la conseguenza anche di una combinazione di norme patriarcali pervasive che ammettono, quando non impongono, la disuguaglianza di genere. Non esistono inoltre istituzioni, nemmeno di carattere giudiziario, che garantiscano forme di tutela per chi denuncia violenze di questo tipo.
Secondo il Ministero della giustizia libico a fine 2022 Mitiga ospitava 2.315 persone. Osservatori indipendenti affermano invece che RADAA ve ne tenesse rinchiuse allora più di 4.000[13]. Il divario di cifre è spiegabile con la propensione della milizia all’arresto illegale, al sequestro di persona, alla restrizione illecita dei migranti in transito dalle regioni subsahariane. Le denunce pubbliche internazionali non hanno finora condotto le autorità governative della Libia occidentale a intentare alcuna indagine effettiva sui crimini contro l’umanità commessi nelle sue strutture di detenzione.
RADAA del resto agisce fuori controllo. Lo dimostra l’impunità con cui i suoi elementi hanno potuto compiere pubblicamente alcune azioni violente. Nell’agosto 2022 un avvocato è stato aggredito davanti ai giudici, percosso e infine prelevato a forza dall’aula del tribunale dove stava esercitando; dopo essere stato trattenuto a Mitiga per otto ore, è stato rilasciato a seguito di pressioni su Njeem da parte di altre autorità non ufficiali[14]. Non risulta che il legale abbia denunciato l’accaduto.
Una giornalista libica ha invece denunciato gli abusi e le torture subiti durante la propria detenzione. È stata subito minacciata di arresto da parte della RADAA con l’accusa di essere una prostituta e una donna dedita al “vizio” se avesse insistito e affermato, in particolare, di essere stata violentata. Per verificare il proprio sospetto di essere incinta, ha dovuto fingere di avere necessità di salute per sottoporsi ad esami del sangue; una volta accertata la propria gravidanza, si è autosomministrata dei farmaci. In Libia l’aborto è reato; il concepimento causato da uno stupro non sempre è scriminato, poiché di fatto vi sono frequenti casi di denunce delle vittime per avere avuto rapporti sessuali extra coniugali[15].
[1] In Cronache di poveri amanti, di Carlo Lizzani e in Nuvolari, di Lucio Dalla.
[2] O. Heshri, SSC still necessary – Abdel Raouk Kara, in Security assistance monitor, 13 settembre 2013.
[3] A quick guide to Libya’, main players, in Analysis dell’European Council of foreign relations, in www.ecfr.ue, consultato il 13 marzo 2025.
[4] O. Heshri, cit.
[5] I. Magdud, Almasri è un pesce piccolo, ecco perché l’Italia lo ha riportato indietro, in il sussidiario.net, 1 febbraio 2025.
[6] Si legga, ad esempio, Urgent call: Libyan Arab Armed Forces must be held accountable for torture crimes committed in Garnada, a cura della World organization against torture (OMCT) e del Libyan antitorture Network (LAN), 20 gennaio 2025, Tunisi.
[7] N. Scavo, Il dossier. Già a dicembre 2024 anche l’Onu accusava Almasri di crimini e abusi, in Avvenire, 4 febbraio 2025.
[8] Consiglio per i diritti umani ONU, Rapporto della missione d’inchiesta indipendente sulla Libia, 20 marzo 2023, p. 10-12.
[9] Corte penale internazionale, mandato di arresto per Osama Elmasry/almasri Njeem, n° ICC-01/11, 18 gennaio 2025, p. 27.
[10] Cfr. Rapporto 2023-2024 su Medio oriente e Africa del nord. Libia, in amnesty.it, consultato il 7 marzo 2025, nonché Consiglio per i diritti umani ONU, Rapporto della missione d’inchiesta indipendente sulla Libia, 20 marzo 2023, p. 11.
[11] Corte penale internazionale, mandato di arresto per Osama Elmasry/almasri Njeem, n° ICC-01/11, 18 gennaio 2025, p. 26 e 28.
[12] Per una spiegazione di questo metodo di tortura si rimanda alla prima parte di questo scritto.
[13] Cfr. Urgent Action: military prosecutor forcibly disappeared, in amnesty org, 24 luglio 2023, e Report of Indipendent fact-finding mission on Libya (FFM), marzo 2023.
[14] Consiglio per i diritti umani ONU, Rapporto della missione d’inchiesta indipendente sulla Libia, 20 marzo 2023, p. 17.
[15] Consiglio per i diritti umani ONU, Rapporto della missione d’inchiesta indipendente sulla Libia, 20 marzo 2023, p. 15.