Giustizia e Mito di Marta Cartabia e Luciano Violante
Recensione di Emilia Senatore
Giustizia e Mito è un’opera che permette al lettore, attraverso un linguaggio semplice, ma mai scontato, di esaminare i dilemmi della società attuale nell’amministrazione della giustizia attraverso l’analisi della tragedia greca, nei due capolavori di Sofocle, Edipo Re ed Antigone.
I due autori, Marta Cartabia, attuale Presidente della Corte Costituzionale, nonché professore ordinario di Diritto costituzionale presso l’Università Milano-Bicocca e Luciano Violante, già professore di Diritto e Procedura penale, magistrato e parlamentare, Presidente della Camera dei deputati dal 1996 al 2001, indagano dapprima autonomamente, ciascuno in un proprio capitolo, il rapporto nonché l’apporto che la tragedia greca può dare alla società moderna e successivamente, ovvero nell’ultimo capitolo, a due voci rispondono congiuntamente ad alcuni quesiti che vengono loro posti.
L’opera, dunque, offre al giurista un’ulteriore opportunità di analisi delle due note tragedie greche: sebbene la tragedia greca sia tutt’altra cosa rispetto al dibattito giuridico è pur vero che essa ha ad oggetto l’uomo che in prima persona vive quel dibattito, quelle contraddizioni.
Le vicende narrate sia in Edipo Re che in Antigone invitano, pertanto, ad una profonda riflessione sull’idea del diritto ed in particolare sull’idea di giustizia intesa sia come istanza di purificazione della società sia come esigenza primaria insita nel cuore umano.
Il primo capitolo, scritto dalla giurista Marta Cartabia, analizza la tragedia di Edipo. Questa opera, certamente nota per i numerosi dibattiti e le contrastanti teorie sul c.d. complesso di Edipo, accende l’attenzione dell’attuale presidentessa della Corte costituzionale perché nella stessa si ricorre al metodo giudiziario. Il fine è l’accertamento della verità nonché la corretta ricostruzione degli eventi al fine di emettere una dichiarazione di responsabilità. Il problema di Edipo è il problema che ricorre nel processo penale: il raggiungimento della verità storica. In particolare, quest’opera impone due ordini di riflessioni. Il primo approfondimento attiene al tema della imputabilità del protagonista per i duplici delitti da lui compiuti, attesa la sua qualifica di uomo di governo. Edipo, nonostante uccida il padre, consumi un rapporto incestuoso con la madre, si accechi e si condanni all’esilio, viene considerato un eroe, seppur tragico. Le sue azioni sono tutte finalizzate alla tutela della polis. Sofocle mette in scena il mistero dell’insuccesso, della rovina e della condanna non motivata da colpa, come condizione inevitabile dell’agire umano. Edipo è il classico esempio di uomo innocente, che nel suo fare il bene è colpito dalla fatalità del destino. In lui si ravvisa l’oblio della condizione umana che, non accettando i suoi limiti, spinge l’uomo ad oltrepassarli per eccesso di forza, di giovinezza, di fiducia in se stesso o di grandezza. Proprio questa condizione di Edipo impone il parallelismo con la società moderna che si realizza nella tentazione di corrompere la democrazia. Il fondamento democratico ovvero le smisurate ambizioni democratiche rischiano, talvolta, di favorire la tirannia o decisioni popolari dannose.
La seconda riflessione riguarda il rapporto tra verità e giustizia. Nella tragedia di Sofocle, Edipo è contestualmente legislatore, inquisitore e giudice. Come giudice, anche di se stesso, egli dà vita ad una giustizia affidabile, rigorosa, intransigente che determina altresì violenza. I mali della giustizia, su cui induce a riflette il protagonista dell’opera, non sono soltanto quelli causati dalla fallibilità di chi la amministra ma anche da un cattivo uso dell’esercizio del potere giudiziario. La giustizia è sempre una espressione di forza; dunque, la legge, applicata in uno Stato, è la manifestazione del giusto equilibrio tra giustizia e forza e, paradossalmente, la stessa legge prende in prestito dalla violenza le azioni che intende combattere. Ovviamente un ordinamento che pone una legge astrattamente perfetta corre il rischio di generare solo violenza: non a caso il grande giurista Cicerone insegnava: summum ius, summa iniuria; fiat iustitia et pereat mundus.
Da qui la necessità di una giustizia ragionevole, proporzionata, imperfetta, consapevole che quest’ultima nelle vicende umane è una meta sempre da raggiungere. Invero principio cardine delle Costituzioni moderne è proprio il principio di ragionevolezza. Le Corti costituzionali insegnano, infatti, che per la risoluzione delle controversie è necessario contemperare esigenze contrapposte, bilanciando e tutelando in egual modo i diversi interessi tutti meritevoli di tutela.
Un altro aspetto affrontato nell’opera è il difetto di conoscenza di cui è vittima Edipo. Non c’è colpevolezza nel suo agere ma solo un grave errore sul piano conoscitivo che determina un vizio di origine nel processo. La modernità del dramma del protagonista è, quindi, data dalla contrapposizione tra la verità storica e oggettiva e la verità soggettiva.
Orbene, tutto ciò premesso l’insegnamento ai giuristi dato dalla parabola di Edipo, secondo la Cartabia è l’accettazione dei limiti dell’essere umano, i quali possono essere superati solo attraverso una conoscenza fatta di esperienze: dal conoscere viene la prudenza nell’agire. Solo tramite una maggiore consapevolezza di se stesso l’uomo può giungere ad una saggezza che si dischiude in una fiduciosa quiete.
Il secondo capitolo, scritto da Luciano Violante, analizza il mito di Antigone.
Antigone rappresenta la donna ribelle, appassionata dell’impossibile. Lei è doppiamente trasgressiva: non solo disobbedisce all’editto di Creonte, ma abbandona anche il suo status di donna. Rappresenta il dissenso fondato su un imperativo etico, la personificazione della giustizia contro la legge morale. Ecco perché diviene nel corso del tempo il mito del femminismo e della rivolta dell’individuo contro lo Stato. Il conflitto che Antigone istaura è solo inizialmente giuridico, opposizione tra legge umana e legge divina, poi diventa progressivamente un conflitto politico allorquando Creonte dimostra con chiarezza l’incompatibilità della pretesa di Antigone con l’ordinato svolgersi della vita della città umana. Diventa un’eroina, trasformandosi in mito, nel momento in cui risolvendo il dilemma si suicida.
Tuttavia non sempre l’oppositore è portatore di un nuovo domani e non sempre l’uomo di governo è un subdolo tiranno in quanto la realtà politica non è un linea retta, ma bensì è un poligono con molte facce.
La tragedia di Antigone, al pari della storia di Prometeo o di Icaro o di Fetonte, insegna che nel corso del conflitto bisogna sempre ricordare quale sia la causa iniziale dello stesso altrimenti il conflitto si alimenta in altre motivazioni e diventa impossibile risolverlo razionalmente. La sconfitta di Creonte si consuma allorquando nessuno più rammenta il crimine commesso da Polinice e, prerogativa principale, è se mandare a morte una giovane donna, che ha provveduto alla sepoltura del fratello.
La pietas si sostituisce alla legge.
Ciò posto, l’insegnamento dato dalla tragedia di Antigone è che affinché un ordinamento giuridico possa progredire è necessaria la continua tensione tra la legge e la sua negazione, facendo prevalere in alcune circostanze la legge morale sulla legge positiva. Si pensi agli orrori commessi dal terzo Reich. Il ruolo di Antigone è rappresentato dai vincitori della seconda guerra mondiale. In realtà gli imputati avevano solo obbedito ed applicato la legge del loro paese. Invero, quei processi hanno rappresentato la svolta per la tutela dei diritti umani e dello sviluppo del diritto penale internazionale. Dunque, affinché gli ordinamenti moderni realizzino il giusto equilibrio tra legge morale e legge positiva è necessario che sia riconosciuta l’obiezione di coscienza, l’eccezione di costituzionalità, la negoziazione e la trattativa con i dissenzienti al fine di trovare una via d’uscita consensuale che mitighi il conflitto.
L’opera si chiude con un ultimo capitolo scritto a due voci dove ciascun autore esprime il suo pensiero circa alcuni quesiti che vengono loro posti come l’importanza dello scontro, l’interpretazione della norma che fa evolvere l’ordinamento, il rapporto che intercorre tra il processo penale ed il teatro e, partendo dalle tragedie di Sofocle, l'indagine sugli spunti che queste ultime offrono nel trattamento della pena e della riconciliazione.
In conclusione si può, dunque, sostenere che il passato è una grande fonte di ispirazione e di insegnamento. Già nella tragedia greca venivano trattati quelli che si configurano dilemmi attuali del diritto. Nonostante l’evoluzione giuridica e le diverse garanzie costituzionali riconosciute a livello internazionale, essi riaffiorano continuamente nelle società moderne. Dunque rifacendoci all’insegnamento di Confucio solo attraverso lo studio del passato si potrà prevedere il futuro. L’amministrazione della giustizia, seppur espressione del principio di legalità, rispecchia in ogni tempo i conflitti con la tradizione morale e religiosa: mai un uomo, o un atto, è tutto samsara o tutto nirvana, mai un uomo è interamente peccatore o interamente santo.