Dopo averci raccontato, sempre per i tipi di Laterza, di brigate rosse (Colpirne uno. Ritratto di Famiglia con Brigate Rosse, 2022) e di anarchici (La pista anarchica. Dai pacchi bomba al caso Cospito, 2023), Mario Di Vito ci racconta dei Nar e della galassia del terrorismo fascista.
Con il piglio del cronista giudiziario (l’autore segue i temi della giustizia per Il Manifesto) e con molta sicurezza nel maneggiare materiale giudiziario e di archivio, Di Vito ci racconta la storia di Mario Amato, magistrato.
Dopo la prima sede a Rovereto, arriva nel giugno del 1977 alla Procura di Roma, il “porto delle nebbie”, come l’avevano battezzata.
Arriva in un ufficio senza personale, senza schedari o banche dati dove conservare ed organizzare i dati emersi nel corso delle indagini, con i centralinisti assenti sin dal pomeriggio. Lui però tornava per pranzo a casa e sbobinava da solo le intercettazioni telefoniche.
Arriva a Roma ed eredita i fascicoli sull’eversione neofascista romana che furono di Vittorio Occorsio, pubblico ministero, ammazzato da mano fascista quasi un anno prima, il 10 luglio 1976. Agghiacciante la rivendicazione dell’omicidio di Occorsio accusato di «avere, per opportunismo carrieristico, servito la dittatura democratica perseguitando i militanti di Ordine Nuovo e le idee di cui essi erano portatori». Nonostante questo, i fascicoli sul terrorismo nero rimangono “orfani”, per quasi un anno, finché vengono assegnati ad Amato, l’ultimo arrivato.
Come Occorsio, Amato non ha colleghi che lo affiancano, nonostante i mille rivoli delle indagini sulle organizzazioni neofasciste ed il sangue che scorreva per le strade della Capitale. Un solo magistrato per seguire le trame nere mentre erano in quattro per seguire lo scandalo del calcio scommesse esploso quella stessa estate, fa notare Di Vito.
Come Occorsio, Amato gira senza scorta, senza auto di servizio.
Come Occorsio, Amato viene ammazzato, il 23 giugno 1980, mentre è solo, sulla strada verso il lavoro. Il primo a bordo della sua auto, il secondo mentre attende un autobus perché la sua auto era in panne.
Come Occorsio, Amato viene ammazzato da terroristi fascisti: gli spara Gilberto Cavallini, che poi scappa a bordo di una moto guidata da Luigi Ciavardini, entrambi nei Nuclei Armati rivoluzionari, come i fratelli Fioravanti e la Mambro. Tutti, poi, condannati per la strage di Bologna.
Nei due anni in cui ha lavorato a Roma, Amato ha incrociato, fra indagini e processi, tutti i personaggi della galassia fascista romana, da Concutelli, anello fra i vecchi ed i nuovi fascisti, agli esponenti dei NAR come i fratelli Fioravanti e la Mambro, e poi Carminati, Signorelli, Semeraro. Fanatici fascisti e delinquenti comuni e poi fanatici fascisti che, a furia di consumare rapine per finanziarsi, sono diventati delinquenti comuni. Ha attraversato la parte finale della strategia della tensione, la stagione romana degli omicidi politici, l’età della sottovalutazione della capacità militare ed eversiva dei gruppi neofascisti.
Ha dovuto lavorare nello stesso ufficio di Antonio Alibrandi, magistrato e padre di Alessandro, detto Ali Babà, militante del Fronte della Gioventù e del Movimento Sociale, poi componente dei NAR, i “nuovi” fascisti dopo la stagione di Ordine Nuovo, coinvolto in tutti i fatti più eclatanti di quella stagione criminale, latitante per anni, poi, morto in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine. Con un figlio così, il padre interveniva per fermare le perquisizioni delle sedi del Movimento Sociale, insolentiva i colleghi che indagavano fino a compiacersi dell’omicidio di Emilio Alessandrini “giudice della Repubblica”, minacciava i poliziotti che notificavano avvisi a comparire per il figlio, interrompeva i dibattimenti a carico dei terroristi neri. Chi sa cosa direbbero di un uno così, oggi, i tifosi dell’apparenza di imparzialità dei magistrati. Allora, venne condannato dalla sezione disciplinare del CSM alla censura, ma solo dopo che Amato era stato ucciso.
Ha dovuto lavorare con il Procuratore Giovanni De Matteo, che scriveva sulla rivista Politica e Strategia, vicina alla destra radicale, e non riassegnò tempestivamente i fascicoli di Occorsio dopo dopo il suo omicidio, non affiancò nessuno ad Amato per consentirgli di lavorare meglio, contribuì al suo isolamento in ufficio e nei rapporti con la polizia giudiziaria, fino a concludere, dopo avere appreso della sua morte, «Mario Amato è morto per un eccesso di zelo. Se non si fosse tanto preoccupato di arrivare puntuale in aula, lunedi mattina avrebbe avuto la scorta».
Amato ha sopportato una campagna di delegittimazione del foro e della stampa locale. Meno di dieci giorni prima di essere ammazzato l’Ordine degli avvocati di Roma ha diffuso, sui giornali, un documento in cui lo criticava per un ordine di cattura.
Insomma, a Roma allora la destra non era solo quella delle spranghe, delle pistole e delle bombe.
Amato era consapevole di indagare su un «ambiente con legami e diramazioni dappertutto», e di essere «solo…esposto ad attacchi della stampa e dei legali che sono legati a certa gente», come raccontava nella sua audizione innanzi alla prima commissione del CSM.
Fra fascisti, rivoluzionari o borghesi che fossero, Mario Amato è rimasto un giudice normale che cercava di fare il suo lavoro. Tutta la sua umanità traspare dalla continua ricerca di aiuto fra i colleghi, dalle richieste al Procuratore di essere affiancato dai colleghi od esonerato da parte del lavoro, dalla restituzione di fascicoli che non riusciva a lavorare.
Ha continuato il suo lavoro con scrupolo come quando, tornato dalle ferie, ha scovato per caso un fascicolo che la Procura romana stava inviando per competenza altrove e, consultando i suoi appunti personali, ha scoperto che riguardava bombe a mano già usate in attentati consumati a Roma.
Un uomo normale ma determinato, sempre alla ricerca di una “verità di assieme”. Innanzi al CSM ha invitato a non sottovalutare la pressione degli ambienti eversivi sul movimento giovanile del Movimento sociale: «ci sono ragazzi e ragazzini… come i nostri figli… figli di persone per bene, che vengono armati o comunque istigati ad armarsi e che poi ci trovano e ci ammazzano».
Ed in effetti dieci giorni dopo quell’audizione venne ammazzato mentre aspettava un autobus per andare al lavoro.