La Favorita
A siderale distanza dall’invisibile guerra anglofrancese per l’egemonia del nordamerica, nella reggia inglese degli Stuart si consuma il palpabile conflitto gentilizio tra due donne infatuate del potere.
Abigail, cugina blasonata ma decaduta di Lady Sarah Churchill duchessa di Marlborough, torna a corte infangata di un fetido e popolare letame che gradatamente scrolla da sé nella perversa sequenza della sua scalata alla regina, spodestando l’ambiziosa cugina.
Due donne (anche) acusticamente forgiate in cadenze filmiche dal ritmo ossessivo (alla Nik Bärsch) di due sole note di fondo, come misero registro sonoro di un opificio metallico che annunci ostilità.
Anna, malata di gotta e capricciosamente sovrana del suo sfarzoso nulla d’imbarazzi e umorali bizzarie, eterodiretta da Sarah che la vincola a sè con cure e lusinghe, realizza il suo regio disagio popolandosi l’anima (e la stanza) di diciassette conigli, surrogato animale dei diciassette figli perduti, e compensando il corpo disfatto con overdose culinarie e improbabili trucchi del viso.
A sua volta Lady Marlborough, vera e astuta governatrice di tutto, fautrice con i whig e contro i tory della guerra in corso, attratta e poi contrariata da Abigail fino alla violenza fisica e verbale, ingaggia con questa un duello smaccato e raffinato che la vedrà solo apparentemente soccombere.
Un duello scandito da parole e mosse d’ambiguità tagliente, patinate di un’aristocratica eleganza non per questo meno lesiva; un duello calibrato sul transito, cinico, carnale e sanguigno, di quel favore che la regina accorda, prima a Sarah e poi ad Abigail, che con candida ferocia l’irretisce nel corpo e nella mente.
Lo iato tra l’aristocrazia maschile e le dame di corte, dipinto e rimarcato dal regista greco con tratti rappresentativi estenuati dal fascino dell’estremo (i ridondanti parrucconi, la gara delle oche, il lancio degli agrumi sul cortigiano nudo e sorridente, simboli tutti di leziosa e grossolana mascolinità), segna il confine ironico del film e ne rilancia il senso verso una generale ammirazione del mondo femminile, colorando, in un abile mixaggio filmico che lascia traccia nello spettatore, gli attributi di ferocia delle due contendenti in virtù splendenti di arguta e intelligente belligeranza, che lo stesso Lanthimos celebra con la distintissima bellezza estetica, uguale e contraria, della mora Sarah e della bionda Abigail e del loro autosufficiente erotismo (l’intuita distratta masturbazione di Samuel Masham, che sposando Abigail la fa baronessa, ha il pregio di incoronare in un solo simbolo il primato femminile, proiettando l’universo dell’uomo nel ghetto della più ridicola subalternità).
Così, ridiventata nobile e ascesa virtualmente al trono regio per la preferenza accordatale dalla regina Anna, la nuova Favorita tuttavia, per eccesso di potere e sicumera, ne discenderà presto.
L’ingaggio di una scena allegorica che il regista elegge a seducente finale - la sorpresa in flagranza che la sovrana fa di Abigail alle prese con atti di sevizie sui suoi conigli - ricompone ruoli e ranghi: costretta per i capelli giù per terra a massaggiarle le gambe inferme, Abigail, nel medesimo gesto dapprima erotico adesso umiliante, ridiventa serva; mentre la regina, al riflesso immaginifico e geniale di un grembo materno brulicante di conigli, con nobilissimo vigore e muto dolore innalza la testa in segno di triste ma inflessibile comando.
L’esistente goffo e malato di Anna, il ripudio di Sarah esiliata dal regno, la rovinosa sorte di Abigail ripiombata nel gorgo dell’inferiorità sociale allineano, ciascuno per il suo verso, i destini delle tre donne in un incubo irrisolto, dove non c’è spazio né tempo per l’amore insincero e dove fasto e miseria si mescolano confondendosi nella volgarità dei loro eccessi.
Attorno al conflitto al femminile storie di mollezze, trame cospiratorie, grandezze effimere e sontuosi cedimenti che in un’apprezzabile sapienza filmica consacrano della perfida Albione l’anima cinica ed eterna.