V Congresso nazionale di Area DG, 10 ottobre 2025, Genova
Buonasera a tutte e a tutti.
Arriviamo oggi al Congresso dopo giorni intensi, carichi di sollecitazioni, di interrogativi e di pensieri; giorni che ci hanno ricordato e richiamato la serietà e la responsabilità del nostro impegno.
Non è un Congresso che si apre su un terreno neutro: giunge dopo un percorso che ci ha messi di fronte - mai come ora - alle fragilità e alle contraddizioni della nostra società, e che ha chiamato ciascuno di noi a confrontarci con la estrema complessità del contesto in cui ci muoviamo.
Abbiamo seguito con molto interesse la tavola rotonda sui Diritti negati. Un titolo scelto con grande consapevolezza, a distanza di poco più di due anni dal congresso di Palermo in cui avevamo discusso di Diritti sotto attacco, solo qualche giorno prima di quel 7 ottobre 2023 che ha segnato profondamente il corso degli eventi successivi.
Sono i temi appena discussi – i diritti negati- che introducono i nostri lavori.
Abbiamo riflettuto sul lavoro, e lo abbiamo fatto sapendo che esso è il primo fondamento della nostra Repubblica, la base su cui si costruisce la dignità di ogni persona. Ma abbiamo visto anche quanto, oggi, sia vulnerabile, spesso svuotato di garanzie, ridotto a fatica priva di riconoscimento, piegato alla logica del profitto immediato. E quando il lavoro non è più diritto ma precarietà, è il luogo da cui a volte non si ritorna, quando diventa trappola invece che strumento di emancipazione, allora si incrina il patto sociale, ed è necessario restituire equilibrio, difendere la dignità di chi lavora.
Abbiamo discusso di carcere, ricordando che la misura della civiltà di un Paese non si legge nei discorsi e nelle dichiarazioni di intenti, ma nelle condizioni dei luoghi di detenzione.
Il sovraffollamento, la mancanza di servizi, la violazione quotidiana della dignità umana, i suicidi sono ferite che gridano alla coscienza di tutti. Nessuna istanza di sicurezza può trasformare la pena in mera segregazione: la giustizia deve saper custodire la legalità anche dentro le mura del carcere, deve garantire che nessun essere umano venga ridotto a numero e che la speranza non venga cancellata. Senza dignità, la pena diventa vendetta. E la vendetta non appartiene alla giustizia, appartiene al disordine, alla regressione, alla barbarie.
Abbiamo guardato ai minori, ai più fragili, e abbiamo sentito quanto sia urgente custodirli. Ogni volta che un bambino resta senza tutela, ogni volta che un ragazzo cresce senza protezione, è la comunità intera che fallisce. La giustizia deve farsi tutela concreta e ascolto di chi ha meno voce, perché è la Carta costituzionale che ce lo chiede.
Abbiamo perlato delle donne in un racconto che non vorremmo più ascoltare. Vorremmo parlare di dome libere e sicure e non di violenze silenziose e di paure soffocate; di sorrisi e non di lividi nascosti. C’è ancora molto da fare.
Abbiamo parlato di guerra, e in particolare dei conflitti che oggi devastano terre e popoli. La guerra non è mai lontana da noi, porta con sé fratture che attraversano anche le nostre società, riaccende paure, legittima la violenza come strumento politico e di consenso. E allora la giustizia è chiamata a ricordare che nessuna ragione di Stato, nessuna strategia geopolitica, può giustificare la violazione dei diritti fondamentali. La giustizia è presidio non solo entro i confini nazionali, ma nel mondo globale in cui viviamo.
Ultimo, ma non certo ultimo, abbiamo toccato il tema delle povertà e delle disuguaglianze, che si allargano giorno dopo giorno. La forbice tra chi ha molto e chi ha quasi nulla cresce, e con essa cresce il rischio che il vivere civile e in condizioni di dignità diventi privilegio per pochi e chimera per molti. Noi sappiamo che tali disuguaglianze non possono può convivere con uno Stato di diritto. Ogni volta che la mancanza di mezzi esclude qualcuno dalla possibilità di difendere i propri diritti, è come se la luce della Costituzione si affievolisse. La giustizia deve essere la casa di tutti, e non il rifugio di chi può permettersela.
In tutti questi momenti, ciò che è emerso con chiarezza è che la giustizia è il terreno in cui si misura la tenuta della nostra democrazia, perché da come viene amministrata dipende la fiducia collettiva nello Stato di diritto. È il banco di prova della qualità della vita civile, perché non c’è libertà autentica se i diritti non trovano tutela effettiva davanti a un giudice indipendente. Ed è, infine, la cartina di tornasole della credibilità delle istituzioni: se la giurisdizione perde autorevolezza o indipendenza, si incrina l’intero edificio costituzionale, e con esso la possibilità stessa di una convivenza fondata su regole condivise e rispettate.
Il titolo del nostro Congresso – “La forza e il diritto. Il presidio della giurisdizione” – ci restituisce questa consapevolezza.
La forza, nelle sue molteplici forme, rischia di prevalere sul diritto.
La forza della politica, che a volte si piega alla ricerca ossessiva del consenso immediato, sacrificando principi e coerenza. La forza dell’economia, che riduce i diritti a costi, a variabili da comprimere. La forza dell’opinione pubblica, troppo spesso disinformata o manipolata, che invoca risposte rapide, semplificazioni pericolose, capri espiatori. La forza della comunicazione deformata attraverso l’utilizzo di linguaggi violenti, di notizie false, di verità omesse.
Di fronte a tutto questo, il diritto appare fragile. Eppure, è proprio nella sua apparente fragilità che risiede la sua forza più autentica: perché il diritto non è non è prevaricazione e violenza, ma risoluzione del conflitto e garanzia delle libertà.
La giurisdizione ha il compito di difendere questo spazio fragile ma allo stesso tempo potente, senza mai piegarsi alle convenienze o alle contingenze.
Il Congresso è, per sua natura, un momento di confronto prevalentemente interno, in cui il gruppo si interroga sulla propria azione e sui propri obiettivi. Ma sarebbe riduttivo pensare al Congresso come un semplice discutere di noi.
La posta in gioco è alta: c’è la capacità di Area dg di difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura perché solo così si può immaginare una giustizia che parli ai cittadini e alle cittadine, che sappia riconoscere le trasformazioni della società e rispondervi senza chiudersi in un linguaggio autoreferenziale.
Il dibattito che ora si apre non potrà prescindere da questa tensione: da un lato, la difesa dei principi che garantiscono l’autonomia della magistratura; dall’altro, la necessità di rinnovare il nostro modo di intendere e praticare la giustizia, perché non resti distante, ma viva e percepibile nella vita quotidiana.
Mi auguro che in questi giorni ognuno di noi porti il proprio contributo con franchezza, con spirito critico e con l’ambizione di restituire alla giurisdizione il suo ruolo autentico: non un’entità separata dal contesto sociale, ma un elemento fondante della democrazia.
ll percorso che ci ha condotti qui ci dice che difendere l’autonomia della magistratura è essenziale e non negoziabile. Occorre anche saperla declinare come servizio alla collettività, come strumento di tutela dei più deboli, come garanzia per tutti. L’autonomia è responsabilità. L’autonomia è presidio.
Mi auguro che ognuno di noi, in questo Congresso, porti il proprio contributo con coraggio e spirito critico, con l’ambizione alta che deve sempre accompagnare la nostra funzione.
Con questa convinzione, con questa speranza e con le parole di Michele Serra che ci ha ricordato che il mondo ha bisogno di ragione e, ove possibile, di gentilezza dichiaro aperti i lavori del Congresso nazionale di Area DG.
Egle Pilla