Sommario: 1. La forza contagiosa del rinvio pregiudiziale nel sistema delle relazioni fra giudici (nazionali e sovranazionali). - 2. Il Protocollo n.16 annesso alla CEDU ed i protocolli di dialogo fra le Corti nazionali e la Corte edu: tutti figli del rinvio pregiudiziale di matrice eurounitaria. - 3. Il fattore tempo e le tecniche decisorie delle Corti sovranazionali e nazionali (di ultima istanza). Dal rinvio pregiudiziale “esterno” a quello “interno” - art.363 bis c.p.c.-. - 4. La proposta di modifica delle competenze in tema di rinvio pregiudiziale “esterno”. - 5. Il concetto scivoloso di “materia” alla base della competenza sul rinvio pregiudiziale fra Corte di giustizia e Tribunale. - 6. Lo smistamento del rinvio pregiudiziale fra Corte di giustizia UE e Tribunale. - 7. Gli effetti indotti dalla modifica dello Statuto della Corte di giustizia. Dal piano sovranazionale a quello nazionale. - 8. Il giudice nazionale e le triangolazioni fra le Corti alla prova del nuovo rinvio pregiudiziale. - 9. Deferenza e fiducia fra le Corti nazionali e sovranazionali alla prova del “nuovo” rinvio pregiudiziale.
1. La forza contagiosa del rinvio pregiudiziale nel sistema delle relazioni fra giudici (nazionali e sovranazionali)
La riflessione che segue riguarda la proposta fondata sull’articolo 281, secondo comma, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha presentato, chiedendo al Parlamento UE ed al Consiglio la modifica del Protocollo n. 3 sullo Statuto della stessa Corte di giustizia volta a determinare le materie specifiche nelle quali il Tribunale sarebbe competente, ai sensi dell’articolo 256, paragrafo 3, TFUE a conoscere delle questioni pregiudiziali sottoposte dalle giurisdizioni degli Stati membri ai sensi dell’articolo 267 di tale trattato[1].
Il ragionamento che si intende condividere è fortemente condizionato di una prospettiva culturale che si è nutrita ed alimentata a pane e rinvio pregiudiziale da alcuni lustri, quando a dialogare con la Corte di giustizia era soltanto il giudice comune, mentre la Corte costituzionale si interrogava, dubbiosa, se potesse o meno interagire con il giudice di Lussemburgo. È stato così naturale evidenziarne il senso ed il ruolo[2], avendolo sperimentato più volte come componente di collegi della Corte di cassazione che, in materia fiscale - IVA e doganale-[3], spesso si è rivolta alla Corte di giustizia in una prospettiva sulla quale altre volte ho avuto l’occasione di riflettere[4].
Questa prospettiva assolutamente personale reca in sé la precisazione, abbastanza scontata, che le considerazioni successive impegnano unicamente chi parla e non certo la Corte di cassazione, della quale peraltro chi scrive non ha alcuna veste rappresentativa.
Si tratta di una chiave prospettica che è andata peraltro progressivamente arricchendosi di nuova linfa giungendo nell’ultimo periodo addirittura a vedere in quello strumento le radici di un nuovo modo di essere giudice del giudice nazionale per effetto di nuovi istituti di matrice interna – dei quali si dirà nel prosieguo - a loro volta figli del rinvio pregiudiziale di matrice UE.
2. Il Protocollo n.16 annesso alla CEDU ed i protocolli di dialogo fra le Corti nazionali e la Corte edu: tutti figli del rinvio pregiudiziale di matrice eurounitaria
In effetti, la capacità espansiva e contagiosa del rinvio pregiudiziale è particolarmente evidente nel sistema internazionale e nazionale di protezione dei diritti.
È figlia del rinvio pregiudiziale[5] la richiesta di parere preventivo alla Grande Camera della Corte edu che il Protocollo n.16 annesso alla CEDU ha inaugurato[6], essendosi i grandi saggi che il Consiglio d’Europa – fra i quali erano presenti autorevoli giuristi che avevano per l’appunto fatto parte della Corte di giustizia di Lussemburgo – ispirati a quell’istituto per offrire ai giudici nazionali – recte alle Alte giurisdizioni nazionali – l’opportunità di dialogare con la Corte edu. Opportunità assolutamente ignota al sistema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che, tutto al contrario, vedeva le autorità giudiziarie di ultima istanza elemento certo indefettibile del giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo, ma unicamente come “osservato speciale” – se non come imputato-muto, assolutamente muto rispetto al proprio operato unicamente rappresentato dal provvedimento decisorio “impugnato” innanzi alla Corte edu.
Un sistema, dunque, quello convenzionale che non si nutriva affatto del dialogo fra le Corti, anzi fondandosi sull’opposto meccanismo della sussidiarietà che presuppone la definitività della risposta giudiziaria nazionale e che fondava lo stesso sistema di protezione sovranazionale sulle relazioni verticali fra le Corti stesse imponendo alla Corte edu il compito – recte il dovere – di condannare lo Stato al cui interno la giurisdizione aveva contribuito a determinare la violazione convenzionale.
Si badi bene, ancora, strumento, quello della richiesta di parere preventivo che, nelle corde dei suoi mentori, intendeva rappresentare un possibile rimedio al fattore tempo che pure affanna la Corte edu, vittima del proprio successo – sul punto tornerò nel prosieguo quanto al successo della Corte di giustizia – al punto da non riuscire ad offrire decisioni rispettose del canone della ragionevole durata del processo per il numero imponente di ricorsi a fronte della composizione numerica e strutturale di quell’organismo.
In questa prospettiva, il contatto preventivo con la Corte edu delle Alte Corti nazionali e lo strumento del parere non vincolante, si pensò, avrebbe potuto, a regime, ridurre il contenzioso innanzi alla Corte, così incidendo sul fattore tempo e dunque sull’effettività delle decisioni della Corte edu attraverso pareri capaci di offrire ai giudici nazionali dei paesi contraenti – e dunque non solo dei giudici che utilizzano la richiesta di parere – elementi importanti per orientarsi nella interpretazione convenzionalmente orientata dei sistemi interni. Strumento che aggrava, in apparenza, il peso dell’attività della Corte edu e non lo allevia ed ancora “allunga” i tempi del processo interno, ma sul quale la Corte edu ha comunque deciso di investire anche a costo di destinare, in termini organizzativi, una corsia privilegiata alla decisione dei pareri preventivi – e dunque di sottrarre risorse ai ricorsi ordinari – pur essendo come detto la Corte edu subissata di ricorsi[7]. Cogliendo, appunto, l’enorme potenzialità di un meccanismo preventivo di risoluzione di potenziali conflitti con le Corti apicali, per l’appunto destinato a ridurre, nel tempo, i fattori di innesco di nuovi contenziosi innanzi alla Corte edu. Un orizzonte, dunque, che si è inteso scrutare con una lente protesa più sul lungo periodo che sul breve, sfruttando un nuovo meccanismo – disegnato pur con le ovvie differente – sul rinvio pregiudiziale UE per suscitare il dialogo e la cooperazione franca fra le Corti.
Su un versante solo apparentemente diverso si colloca la creazione del protocollo di dialogo tra la Corte edu e la Corte di cassazione e del seguito, costituito dal gruppo di attuazione creato fra le due Corti. Un luogo di discussione pariodinato ed equiordinato, nato nella prospettiva di anticipare l’entrata in vigore del Protocollo n.16 e che si è andato arricchendo di nuovi contenuti e di nuove prospettive cooperative[8]. Una prospettiva di ricomposizione e riconfermazione del quadro giurisprudenziale interno che la Corte di cassazione – poi seguita dalle Alte corti nazionali – ha inteso favorire ed alimentare, consapevole della mutazione genetica della nomofilachia interna e sovranazionale[9].
3. Il fattore tempo e le tecniche decisorie delle Corti sovranazionali e nazionali (di ultima istanza). Dal rinvio pregiudiziale “esterno” a quello “interno” -art.363 bis c.p.c.-
Il contagio prodotto dall’idea sottesa al rinvio pregiudiziale di stampo UE si è fatto sentire anche sul piano interno.
Si avverte, così, come il fattore tempo rispetto alle pronunzie ed alle tecniche decisorie delle Corti sovranazionali e nazionali condizioni notevolmente le scelte di politica legislativa rispetto al “come” quelle Corti devono far fronte ai compiti che istituzionalmente loro competono quando dialogano con le Corti nazionali[10].
Su queste ultime, d’altra parte, ricadono in via conseguenziale gli effetti del fattore tempo che questo dialogo determina.
Del resto, è noto a chi ascolta quanto il fattore tempo abbia costituito, a torto o ragione, lo spauracchio per il nostro legislatore interno che, evocando l’irragionevole durata dei processi che avrebbe determinato la sospensione del procedimento in attesa del parere preventivo della Corte edu, ha congelato il Protocollo n.16 di cui si è già detto escludendone la ratifica. E già altre volte si è tentato di evidenziare forse l’eccessiva enfatizzazione del fattore tempo, dovendosi distinguere le cause patologiche che protraggono irragionevolmente il processo da quei tempi “virtuosi” che sono tempi di giustizia, utili al migliore esercizio delle funzioni del giudicare riservati ai soggetti-giudici che entrano a vario titolo in contatto nel corso del processo[11]. Enfatizzazione che, nel caso del Protocollo, ha indotto il legislatore addirittura a non ratificare il Protocollo n.16, facendo del fattore tempo un super valore capace di costituire un avamposto delle garanzie costituzionali interne.
Ma a parte la posizione isolazionista scelta, almeno allo stato, dal nostro Paese rispetto al Protocollo n.16 attraverso un uso nazionalista del fattore tempo, il forte appeal per l’idea sottesa al rinvio pregiudiziale si è approfondito ulteriormente allorché con la riforma Cartabia – art.363 bis c.p.c. – è stato introdotto il meccanismo del rinvio pregiudiziale del giudice di merito alla Corte di cassazione per ottenere lumi sull’interpretazione di norme relative a questioni esclusivamente di diritto non esaminate in precedenza dal giudice di legittimità in modo da suscitare l’adozione di un principio di diritto destinato a vincolare il giudice a quo. Meccanismo, quest’ultimo, che ha letteralmente scompaginato il sistema dei rapporti fra giudice di merito e di legittimità, introducendo una forma di dialogo, sulla quale non è possibile qui dilungarsi, il cui tratto caratterizzante prende sicuramente spunto oltre che similari istituti di derivazione transalpina anche dal rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE[12].
E tanto chi parla è stato condizionato da questa prospettiva dialogica che, come Presidente relatore della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Agrigento, ha di recente proposto un rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione in materia tributaria[13], chiedendo l’interpretazione di una norma sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario e giudice tributario in tema di ristori post COVID sulla quale era sorto contrasto fra diverse pronunzie delle corti di merito[14]. Questione di estrema delicatezza – involgendo a monte la possibilità stessa di utilizzare il rinvio pregiudiziale da parte dei giudici di merito tributari e, a valle, quella di sollecitare, alla Corte di cassazione, con il rinvio pregiudiziale l’interpretazione di una disposizione che regola la giurisdizione, i plessi giurisdizionali – che la Prima Presidente della Corte di cassazione[15], alla quale spetta il filtro di ammissibilità sul rinvio pregiudiziale, ha rimesso all’esame delle Sezioni Unite civili.
Si tratta di un tema che si collega a doppia mandata a quelli oggetto di esame in questo convegno per due evidenti ragioni.
Ed infatti, lo strumento del rinvio pregiudiziale interno alla Corte di cassazione potrebbe collegarsi al rinvio pregiudiziale “esterno”- id est, alla Corte di giustizia UE – da parte della Corte di cassazione o, a monte, dallo stesso giudice di merito. Il che impone di chiedersi se in tali evenienze la Corte di cassazione operi come giurisdizione nazionale, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno (at.267 par.3 TFUE) e debba dunque considerarsi come “tenuta” a sollevare obbligatoriamente il rinvio pregiudiziale ovvero se il ruolo svolto nell’ambito della speciale competenza attribuitale dal rinvio pregiudiziale interno offra elementi per ritenere che la stessa non sia da considerare giudice di ultima istanza, ma unicamente organo investito di una peculiare forma di giurisdizione destinata unicamente a fisare un principio di diritto.
Ed è evidente che la questione non sia di scarso rilievo, chiamando l’interprete ad interrogarsi su un fascio di questioni complesse che si potrebbero racchiudere evocando tematiche già affrontate in passato in altro contesto quali quelle della “doppia pregiudizialità”, dell’efficacia del principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione rispetto alla contrarietà con il diritto UE, della sollevazione da parte del giudice di merito di rinvio alla Corte di giustizia successiva in esito al principio di diritto fissato dalla Cassazione incidente sul diritto UE senza che la Corte di legittimità abbia ritenuto di rivolgersi alla Corte di giustizia. Questione collegate alla natura ed alla forza della decisione resa dalla Cassazione in sede di rinvio pregiudiziale interno quale regola di giudizio sull’interpretazione della legge o quale “giudicato”.
Tutto ciò ancora una volta dimostrando quanto non sia per nulla indifferente ai fini della configurazione del rinvio pregiudiziale “esterno” individuare sotto il profilo soggettivo le autorità dialoganti, per come si dirà in seguito.
Orbene, tornando alle misure appena descritte, non sfuggirà che quanto fin qui ricordato a proposito del rinvio pregiudiziale interno e del Protocollo n.16 rappresenta, indiscutibilmente, un modo di affrontare il problema dell’arretrato che affligge la Corte di ultima istanza e dell’effettività dei tempi di decisione, investendo sulla naturale capacità deflattiva che tali strumenti possiedono rispetto all’aumento del contenzioso.
Entrambi gli strumenti di cui si è detto, tuttavia, tendono a guardare al ( e governare il ) tema fattore tempo, muovendo dal presupposto comune che il raccordo fra plessi giurisdizionali anticipato rispetto alla decisione di una lite è capace di produrre effetti “di sistema” attraverso l’intervento sollecitato dall’autorità giudiziaria che deve giudicare in via definitiva sulla lite. Prospettiva che non sembra ammettere l’idea che il dialogo fra le Corti debba essere implementato o ridimensionato cambiandone i naturali protagonisti ancorché in apparenza aggravino: a) il peso del lavoro dei dialoganti; b) i ruoli della Corte edu con le richieste di parere preventivo; c) i ruoli della Corte di cassazione che, come si dirà, già di suo affronta centomila ricorsi decisi all’anno. Si tratta, infatti, di un aggravio che richiede la gestione del peso aggiuntivo sui carichi di lavoro e che, proiettato su un orizzonte di medio lungo periodo, induce le Corti coinvolte a creare misure organizzative interne adeguate e corsie preferenziali in modo da favorire questo dialogo[16], attente ai tempi dei processi che, in entrambi i casi- parere preventivo alla Corte edu e rinvio pregiudiziale del giudice di merito alla Cassazione- determinano la sospensione del procedimento a quo.
4. La proposta di modifica delle competenze in tema di rinvio pregiudiziale “esterno”
Direi che la riflessione potrebbe arrestarsi, offrendo in modo più o meno nitido uno spaccato in punto di comparazione che già sembra entrare in una qualche frizione con la proposta di modifica dello Statuto promossa dalla Corte di giustizia.
Ma sarebbe troppo facile per chi parla fermarsi qui e troppo poco onesto per chi invece si attende una opinione, per quello che vale, sulla proposta della Corte di giustizia.
Essa si inserisce su un tema ormai risalente e già da temo fatto oggetto di indagini approfondite da parte della dottrina, in questo modo rinvenendosi posizioni fra le più disparate, a volte indirizzate a ridurre in entrata la possibilità del rinvio pregiudiziale, altre a prevedere ipotesi di filtro da parte della Corte di giustizia o di individuazione di organi giurisdizionali nazionali dotati di specifiche competenze interpretative del diritto UE, altre ancora indirizzate a rendere effettiva la possibilità di rinvio pregiudiziale al Tribunale, secondo quanto previsto dall’art.225, p. 3, TCE.
In questa prospettiva si inserisce apertamente la proposta che qui si commenta.
Se la si guarda con l’occhio del giudice nazionale (e soprattutto quello di ultima istanza) la proposta potrebbe destare delle preoccupazioni, come ha già preconizzato la Professoressa Amalfitano nel saggio dedicato al tema[17].
Vi è anzitutto, da ragionare, sulla fonte di innesco della proposta che è, per l’appunto, rappresentata dalla Corte di giustizia UE.
Non proprio in linea con uno dei più noti brocardi latini- nemo iudex in causa propria- la Corte di giustizia UE, utilizzando un potere di impulso su Parlamento e Consiglio a modifiche normative del proprio Statuto riservatole dal TFUE (art.281, c.2) si fa in prima persona promotrice di una modifica del sistema del rinvio pregiudiziale. Ed il fatto che analogo potere venga riservato dallo stesso Trattato alla Commissione che sul tema non lo ha esercitato, invece esprimendo un parere (sostanzialmente positivo) alla proposta della Corte di Giustizia[18].
In questa prospettiva sembra emergere l’anima politica della Corte di giustizia che, in nome della salvaguardia dell’efficienza del procedimento di rinvio pregiudiziale e della “buona amministrazione della giustizia”, vorrebbe che si attribuissero al Tribunale alcune materie specifiche per rendere più agevole ed efficace il suo ruolo nelle questioni pregiudiziali “che contano”.
Il dato della lunghezza dei rinvii pregiudiziali – recte, dell’incremento che esso ha subito nell’ultimo torno di anni – se si guardano alle statistiche allegate alla stessa proposta è forse opinabile come già messo in evidenza dalla dottrina (Amalfitano).
Ma in disparte da questa considerazione fattuale v’è da dire che il fattore tempo sembra essere stato soltanto l’occasione per un intervento che pare avere altre ambizioni, nemmeno celate dalla Corte di giustizia.
Certo, alla Corte UE, sotto questo profilo, bisogna riconoscere una notevole dose di trasparenza per avere operato alla luce del sole, apertis verbis, con una proposta destinata, prima di diventare operativa, a passare al vaglio di tutti i soggetti che hanno la legittimazione a determinare la modifica dello Statuto.
Vi è tuttavia da osservare che la prospettiva, quella reale, che anima la proposta sembra essere quella di volere liberare la Corte di Giustizia di fette di contenzioso non “nobile”, in modo che essa resti giudice dell’interpretazione solenne del diritto UE per quello “nobile” perché relativo non solo a questioni e materia che tocchino il sistema dell’UE, ma più in generale che valorizzino il tratto costituzionale di quel giudice, avvicinandolo a quello delle Corti costituzionali nazionali.
E così, il fattore tempo è solo l’occasione della modifica e non il fine. Se intendo diventare giudice dei diritti fondamentali e delle questioni centrali per il sistema UE e non di altro la circostanza che la mia decisione giunga entro 15 o 17 mesi sembra infatti assumere marginale rilievo, a fronte della scelta valoriale che sta alla base della proposta e che, indubbiamente, colpisce se appunto si riflette sul fatto che questa prospettiva provenga dalla Corte di giustizia stessa. Certo, se si pensa alla natura pretoria di gran parte della giurisprudenza della Corte di giustizia in diverse questioni che poi hanno contribuito alla costruzione dell’edificio europeo, le preoccupazioni qui ventilate potrebbero apparire eccessive. Ma forse la comparazione con quanto appena rappresentato non torna utile, qui discutendosi dell’architettura costituzionale del sistema di tutela dei diritti all’interno del diritto dell’Unione europea. E che sia uno dei soggetti ad individuare le linee di questo cambiamento radicale del sistema non finisce di convincere per quel forse bizantino convincimento che le riforme del sistema debba pensarle il legislatore senza che questo senta il peso e l’autorevolezza di una proposta di normazione proveniente da chi è espressione massima della giurisdizione europea e che dovrebbe essa stessa beneficiare di questa riconfermazione del proprio ambito giurisdizionale per effetto di una proposta da essa stessa pesata, congegnata e partorita. Tanto più che questa nuova risagomatura delle competenze in tema di rinvio pregiudiziale va a toccare il ruolo e la funzione di altra autorità giurisdizionale che nel sistema è posta in posizione subordinata rispetto alla Corte di giustizia, lasciando in sottofondo la funzione delle autorità giudiziarie nazionali, rispetto alle quali l’idea di base della proposta sembra essere che per queste ultime è totalmente indifferente il cambio di competenza e cioè su chi debba decidere il rinvio pregiudiziale e se questi sia o meno l’autorità giurisdizionale comunitaria alla quale viene attribuito il ruolo di garante ed interprete dell’unità del sistema UE, fin qui unanimemente individuata nella stessa Corte di giustizia.
5. Il concetto scivoloso di “materia” alla base della competenza sul rinvio pregiudiziale fra Corte di giustizia e Tribunale
Veniamo al merito della proposta di modifica dello Statuto.
Nella scelta delle materie “trasferite” al Tribunale ecco dunque emergere complessi di contenzioso in materia fiscale (IVA, accise, codice doganale, classificazione tariffaria delle merci, compensazione pecuniaria, scambio di quote di emissione di gas ad effetto serra) assolutamente eterogenei, in qualche caso addirittura bagatellare – compensazione per i passeggeri – in altri fortemente tecnici – classificazione tariffaria delle merci, gas ad effetto terra – in altri ancora di notevole impatto finanziario – IVA, accise –.
Qualche breve annotazione sul punto.
All’eterogeneità corrisponde, ovviamente, la diversa rilevanza delle materie. E fra queste quella dell’IVA rappresenta sicuramente quella che sembra essere meno bagatellare o meno nobile delle altre.
La proposta di modifica sembra muovere dall’idea che il trasferimento al Tribunale non debba riguardare tutto il contenzioso indicato nelle aree testé indicate, ma unicamente quello che non coinvolga questioni che, pur ricadendo nel concetto di materia, “siano “sensibili”. Il che val quanto dire che se venissero in rilievo questioni relative ai diritti fondamentali, alla coerenza del sistema UE, alle libertà fondamentali, la materia sia “altra” e, dunque, tale da giustificare il trattenimento innanzi alla Corte di giustizia o comunque l’attrazione del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in caso di questioni connesse a quelle appena ricordate.
Questa idea di fondo, oltre che di non facile attuazione secondo parametri prestabiliti ex ante e dunque capaci di offrire quelle garanzie procedurali alle quali pure la proposta fa riferimento- prima delle quali rappresentata dall’individuazione a monte del giudice naturale- sembra certificare la debolezza del Tribunale che non potrà mai avere “piena” cognizione del rinvio pregiudiziale ad esso demandato.
Il tribunale, privato della possibilità di interpretare le disposizioni che più si prestano ad operazioni di innovazione e creazione della portata di senso delle stesse, viene depotenziato a mero giudice chiamato ad emettere giurisprudenza riproduttiva, se si vuole “non nobile” in quanto collegata all’applicazione di disposizioni contemplate da testi normativi che poco si prestano a costruzioni giurisprudenziali di valore.
Se dunque si toglie ad un giudice la possibilità di misurarsi con le regole primarie, con i principi, con ciò che rappresenta il sistema UE nel suo complesso, non si crea forse un giudice dimidiato, un giudice cadetto e di serie B?
Se così fosse la stessa specializzazione per materie che pure si ipotizza da parte del Tribunale competente sui rinvii pregiudiziali non consentirà comunque a quel giudice di ragionare sul sistema trasferito quando in gioco ci sono diritti fondamentali o questioni concernenti l’architettura complessiva del sistema UE. Viene a questo punto spontaneo chiedersi quale autonomia si possa dunque riconoscere ad un giudice specializzato che conosce di una materia ma non può decidere su quella materia quando su essa si innesta un diritto fondamentale di matrice UE una questione che intercetta problemi relativi al modo con il quale opera il sistema UE.
Orbene, è immaginabile che nel nostro momento storico un giudice internazionale che ha il governo dell’interpretazione del diritto UE- su specifiche materie - non abbia alcuna legittimazione a decidere un rinvio pregiudiziale sulla sua materia sol perché in gioco vi sia un diritto fondamentale, spesso inscindibilmente connesso alla fisiologia stessa assunta da un istituto regolato dal diritto UE? Quale garanzia può offrire un giudice che decide quando a monte sa che, ove dovesse emergere dall’esame del caso il coinvolgimento di un diritto fondamentale che merita di essere considerato nell’attività di bilanciamento propria di qualunque giudice, non potrà affrontare il contenzioso allo stesso demandato con l’occhio proteso ai diritti fondamentali o al sistema UE nel quale la materia si innesta?
Che giudice sarà il Tribunale se, quando interpreta il diritto relativo alla materia oggetto di dubbio da parte del giudice nazionale, non ha nella sua cassetta degli attrezzi le chiavi per tenere in considerazione i diritti fondamentali, il sistema UE, i principi cardine che lo governano, le questioni relative all’efficacia diretta e via discorrendo, le libertà fondamentali se incise dall’interpretazione che viene offerta? Come potrà ragionare sulle questioni di ordine sostanziale e processuale che ormai continuamente agitano i contenziosi in ambito nazionale proprio in ragione dell’esplosione del tema dei diritti delle persone, soprattutto nell’era del post Covid? E, ancora, se davvero in tutte le ipotesi che qui si è cercato di evidenziare nessuna competenza potrà mai riconoscersi al Tribunale, rimando la stessa ancorata alla Corte di giustizia quale potrà essere, in termini concreti, l’effetto positivo in termini di efficienza e riduzione dei tempi dei rinvii pregiudiziali trattati dalla Corte di giustizia?
Le perplessità appena espresse non si attenuano se si guarda alle ricadute sul piano delle autorità nazionali, delle quali la proposta sembra totalmente prescindere, provando a sfruttare il canone della comparazione fra sistemi diversi.
Colpisce, per un verso, che tutte le materie trasferite alla competenza del Tribunale quanto al rinvio pregiudiziale riguardino, sul piano interno, prevalentemente il giudice ordinario-tributario e non quello amministrativo. Il che rileva sotto due punti di vista.
Per un verso, la suddivisione di competenze (solo) in tema di rinvio pregiudiziale fra Corte di giustizia UE e Tribunale fa ricordare, pur con gli ovvi debiti distinguo, la storia del rapporti fra g.o. e g.a. sul piano interno e le contese, nemmeno in atto totalmente sopite, per la individuazione di fette di contenziosi in sede di riparto di giurisdizione dalla quale è derivata la suddivisione dei plessi giurisdizionali sempre più basata, in nome di un’esigenza di semplificazione rispetto a criteri di riparto considerati più complessi e tortuosi, sulla base di “blocchi di materie” fra giudice ordinario e giudice amministrativo[19].
Quel riparto di competenze (giurisdizionali) ruota attorno all’esercizio del potere ed all’esistenza di una posizione giuridica sui generis rispetto al diritto soggettivo – quella dell’interesse legittimo – emergente quando la p.a. esercita autoritativamente le sue prerogative istituzionali.
Ora, analoghi problemi a quelli prodotti da quel riparto sembrano, mutatis mutandis, già intravedersi all’orizzonte sullo spezzettamento del rinvio pregiudiziale fra Corte di Giustizia e Tribunale.
Basti qui accennare al tema – agitato – della incidenza, ai fini del riparto di giurisdizione, dei diritti fondamentali sulle “materie” di giurisdizione esclusiva e sul potere dell’amministrazione e sulla incidenza di tali diritti fondamentali ai fini del riparto delle giurisdizioni[20].
Ora, la Corte di giustizia UE sembra muovere dall’idea che se nei settori trasferiti entrino in gioco i diritti fondamentali – o i principi del diritto UE o l’unità del diritto UE o le libertà fondamentali del diritto UE – il rinvio pregiudiziale sollecitato non rientrerebbe più nelle materie trasferite al Tribunale, ma dovrebbe rimanere alla Corte di giustizia.
Come dire…corsi e ricorsi storici dimostrativi di quanto sia complesso pensare ad una frammentazione delle competenze per una materia sol perché si discuta dell’interpretazione di un diritto fondamentale o di una libertà fondamentale le quali, verrebbero in gioco rispetto con specifico riferimento alla questione pregiudiziale e non in termini generali. Da qui, ritornando per saltum alle contese interne fra g.o. e g.a. – affidate alle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione – le eterne contrapposizioni fra g.o. e g.a.[21] sulla incidenza ai fini del riparto di diritti fondamentali rispetto all’agire della p.a., alla natura del potere rispetto al diritto fondamentale in gioco.
6. Lo smistamento del rinvio pregiudiziale fra Corte di giustizia UE e Tribunale
Se ora si passa alla riflessione sulle modalità operative concernenti l’individuazione concreta del giudice UE chiamato a decidere i rinvii pregiudiziali rispetto alle materie specifiche individuate nella proposta i dubbi non si attenuano.
Ed invero, la sensazione, a prima lettura, è quella di un sistema non privo di difficoltà che introduce una sorta di filtro in entrata delle questioni pregiudiziali riservato alla Corte di giustizia UE, giustificato in nome di una asserita semplificazione offerta al giudice nazionale, il quale non avrà dunque il dubbio su chi investire.
Ed invero, benché la Corte di giustizia si periti di chiarire che “la verifica effettuata dalla Corte in tale contesto non consiste in una valutazione vertente l’opportunità di rinviare la causa dinanzi al Tribunale o di trattenerla presso la Corte” mirando “esclusivamente a garantire il rispetto del principio di attribuzione delle competenze” sembra che tale meccanismo possa realmente rappresentare una sorta di filtro in entrata da parte della Corte di giustizia, alla quale spetterà così di verificare se esso riguardi o meno la materia riservata al Tribunale ma anche se esso metta in gioco, come si diceva questioni “di sistema”.
Se, infatti, dovesse risultare che la Corte di giustizia, all’atto della presentazione del rinvio pregiudiziale, potrà indirizzarlo verso il Tribunale o trattenerlo in base alla previa verifica della portata del rinvio e delle sue implicazioni di sistema, ci si troverebbe in presenza di una verifica preliminare “in entrata” che non potrà non considerare il contenuto sostanziale del rinvio pregiudiziale e dei quesiti posti. Meccanismo che appare sicuramente un novum rispetto alla disciplina contenuta nell’art. 256 TFUE, ove era prevista la competenza secca del Tribunale in materie specifiche[22].
Un test che condurrà il rinvio pregiudiziale dunque verso l’una o l’altra corsia giudiziaria in base alla scelta che passa dall’interpretazione del rinvio stesso da parte della Corte di giustizia, evidentemente considerata come organo di vertice della giurisdizione UE.
Insomma, una competenza delicata, evidentemente di natura giurisdizionale, preliminare e preventiva anche se volta a verificare che in tesi la ricevibilità e/o strumentalità di una richiesta di rinvio pregiudiziale che involga in modo non pertinente e/o non rituale la prospettata violazione dei diritti e libertà fondamentali del diritto UE connessa al rinvio rispetto alle specifiche materie rimesse all’esame del Tribunale.
Ora, è ben evidente che questo vaglio preliminare potrebbe essere visto positivamente se appunto inteso a salvaguardare l’unità del sistema e, dunque ad evitare la trattazione innanzi al Tribunale di cause “delicate” per i contenuti che esse sollecitano.
Ma questa verifica fino a quale punto potrà spingersi e fino a che punto limiterà la competenza del Tribunale?
Riguarderà le ipotesi nelle quali, ad esempio, l’autorità giurisdizionale nazionale ipotizzi un overrulling rispetto alla giurisprudenza consolidata in essere presso la Corte di giustizia rispetto alle materie trasferite? Ed in tali casi la Corte di Giustizia, proprio in nome della salvaguardia del sistema UE, scenderà in sede di vaglio preliminare a verificare le chances di cambiamento per poi ponderarle al fine della scelta sul trattenere o meno la decisione sul rinvio? E a questo punto la scelta orienterà verso la Corte di giustizia quando e perché? E, vista invece da parte del Tribunale – e di coloro che sollevano il rinvio pregiudiziale –, quale sarà la libertà di quell’organo giurisdizionale nel decidere il rinvio rispetto alla giurisprudenza consolidata che ha costituito la base di partenza per il trasferimento di settori al Tribunale? Sarà pienamente libero di interpretare il diritto UE relativo alla materia o si sentirà in dovere di orientarsi sui binari già fissati dalla Corte di giustizia, con il rischio di incorrere nella procedura di riesame innanzi alla Corte di giustizia stessa?
Ne esce un quadro a tinte in atto non molto nitide, pieno più di interrogativi che non di risposte, rispetto al quale verosimilmente seguirà un’attuazione della riforma con l’attribuzione del rinvio senza alcuna motivazione esplicita o articolata delle scelte operate al momento dello smistamento del rinvio pregiudiziale da parte della Corte di giustizia, ma semplicemente una para-motivazione volta a riconoscere unicamente la ricorrenza della materia riservata al Tribunale o, in caso contrario, la competenza della Corte di giustizia in ragione della ritenuta esistenza di materie connesse.
Il che, a ben considerare, solleva sicuramente il giudice a quo dai problemi di individuazione del suo interlocutore, ma lascia incerto il destino del rinvio, che rimarrà ignoto al giudice nazionale quando questi si propone come dialogante con il giudice UE.
L’essere in magistratura da circa trentadue anni ha portato chi scrive a cogliere in chiaro l’esistenza di un che di politico nelle scelte decisionali di qualunque plesso giurisdizionale ed a ragionare in più occasioni sul volto politico della Corte costituzionale a proposito della scelta di campo inaugurata dalla sentenza n. 269/2017[23]. sulla quale tornerò nel prosieguo.
Qui interessa solo evidenziare che la dimensione politica della Corte di giustizia sembra emergere con la proposta di cui discutiamo. Come che sia, da questo test iniziale si comprende bene che il dialogo in sede di rinvio potrebbe uscire ridimensionato o geneticamente modificato.
In altri termini, se a decidere il rinvio sarà il Tribunale ci si potrà legittimamente chiedere – da parte del giudice nazionale – quale ambito di autonomia tale organo avrà nell’esaminare le questioni rimesse?
Un Tribunale che sarà per l’un verso gratificato dall’avere ricevuto il rinvio pregiudiziale e che già in questa prospettiva immagina che la Corte di giustizia abbia stimato che la controversia non presenti un rilievo tale, vuoi per la concorrente esistenza di questioni di altra natura, vuoi per la ritenuta insussistenza di presupposti per immaginare un overruling capace di incidere sulla certezza del diritto, sull’unità del sistema o sui diritti e libertà fondamentali – salvo a domandarsi lui stesso, al momento dell’esame del rinvio pregiudiziale, se anche la ricorrenza delle ipotesi anzidette costituiscano una sorta di controlimite al rinvio al Tribunale tanto che in presenza di questioni che attengono alla forza dei giudicati nazionali o alle altre che ordinariamente si pongono all’interno di controversie nelle quali entra in gioco il diritto UE- efficacia diretta, efficacia orizzontale, contraddittorio ecc., – lo stesso non potrà che rimettere la soluzione del rinvio alla Corte di giustizia?
Ora è indubbio che l’autonomia, indipendenza ed autorevolezza dei giudici del Tribunale non possa né debba essere messa in discussione. Ma qui non si tratta di valutare le qualità personali dei giudici che compongono la Corte di giustizia e il Tribunale, nessuno potendo e volendo dubitare della assoluta autorevolezza di entrambi i plessi giurisdizionali, quanto del fatto che il cambio di regole sulla competenza incide sul piano soggettivo degli organi chiamati a dialogare e della loro posizione all’interno della struttura degli organi che non pare essere affatto neutra rispetto a chi solleva il rinvio pregiudiziale.
Se infatti cambiano i soggetti che dialogano e cambia il ruolo che gli stessi assumono nell’architettura dell’ordinamento UE non sembra peregrino pensare che cambi anche il meccanismo e i rapporti fra i dialoganti, come si avrà modo di precisare alla fine di queste riflessioni.
Resta poi il fatto che il cambio di giurisprudenza o comunque la presa di posizione del Tribunale rispetto alla giurisprudenza consolidata già formatasi sulle materie trasferite appaiono remote se appunto il criterio base utilizzato dalla Corte di giustizia per individuare le materie trasferite è stato quello dell’esistenza di un diritto consolidato, leggermente incrinando l’immagine del Tribunale come organo che dialoga (ma solo in via mediata) con il giudice nazionale dopo il semaforo verde della Corte di Lussemburgo. Immagine ancor più messa in discussione se si pensa alla possibilità che le decisioni del Tribunale in sede di rinvio pregiudiziale possano essere messe sotto tutela dalla Corte di giustizia in caso di richiesta di riesame proveniente dall’Avvocato generale – stando a quanto previsto dall’art.256 TFUE –.
Insomma, meccanismi tutti sui quali si può oggi ragionare solo in astratto perché immaginati in vitro e non in vivo in mancanza di precedenti – e delle norme regolamentari che verosimilmente seguiranno alla introduzione della modifica dello Statuto – dai quali comprendere come si orienterà la Corte. Ma che già si dimostrano forieri di dubbi non marginali.
Il che val quanto dire che le risorse necessarie per affrontare i nodi che qui si sono ipotizzati e gli esiti stessi di questi possibili test e verifiche, ex ante ed ex post, rischiano di depotenziare l’effetto voluto dalla proposta – id est il risparmio di tempo nei procedimenti trattenuti dalla Corte di giustizia – se si pensano al modo con il quale si dovrà intendere il concetto di materia e quello delle questioni che giustificano il “trattenimento”.
Se dunque la delimitazione dei confini non si immagina essere agevole e, soprattutto, sembra molto condizionata da scelte valoriali della Corte di giustizia – e solo di questo organo – in entrata o dell’Avvocato generale della Corte di giustizia, che è sempre organo esterno al Tribunale nel valutare la richiesta di riesame, le ragioni dubbiose sulla proposta crescono più che attenuarsi, venendo quasi naturale chiedersi quale si debba intendere la relazione ed il rapporto fra Corte di Giustizia e tribunale e, soprattutto se la tipologia di questo rapporto debba essere fissata sulla base di una proposta che viene dall’interno dei plessi giurisdizionali coinvolti – recte da uno dei plessi che rivendica, probabilmente non infondatamente, una certa primazia sul Tribunale –.
7. Gli effetti indotti dalla modifica dello Statuto della Corte di giustizia. Dal piano sovranazionale a quello nazionale
Passando ora al piano delle riflessioni che riguardano più direttamente il giudice nazionale, anticipando il senso delle conclusioni del ragionamento, sembra di poter dire che il rinvio pregiudiziale potrebbe uscire in qualche modo depotenziato nella parte che soprattutto riguarda le autorità giudiziarie nazionali.
Invero, di tutto sembra preoccuparsi la proposta tranne che dell’altro dialogante naturale del rinvio pregiudiziale e, appunto, di quel dialogante che ha dato alla Corte di giustizia l’occasione di diventare centrale nei sistemi di tutela giurisdizionale dei paesi membri. Il che, a ben considerare in parte sembrerebbe distonico a quell’immagine del rinvio pregiudiziale che vedeva rispetto alle parti assoluto protagonista il giudice nazionale, investito di un potere (dovere nel caso di giudice di ultima istanza) di rilievo centrale per la formazione del diritto al UE, al punto di essere indicato come “collega” al quale chiedere l’interpretazione del dato UE in modo che di esso possa tenersi conto.
È ben evidente che il sistema del rinvio pregiudiziale si basa su un sistema di checks and balances estremamente delicato, rispetto al quale la proposta di modifica dello Statuto, apparentemente di mera natura organizzativa, muove dall’idea che per il giudice nazionale sia totalmente indifferente a che la decisione sul rinvio pregiudiziale provenga dal Tribunale o dalla Corte di giustizia, quasi che tali autorità giudiziarie possano essere considerate come tra loro fungibili e quasi che il giudice nazionale abbia unicamente la necessità di confrontarsi con qualcuno, Corte o Tribunale che sia, che gli “risolva un problema interpretativo” relativo al diritto UE. Idea che sembra non considerare adeguatamente il caso in cui a dialogare con il giudice UE sia un giudice nazionale di ultima istanza. E non è qui un discorso di autoreferenzialità o di fastidio rispetto ad un eventuale interlocutore che non occupa nel sistema UE un rilievo ed un ruolo pariordinato a quello del giudice di ultima istanza nazionale, ma di vera sostanza. La circostanza che il Trattato prevede la possibilità di demandare materie specifiche al Tribunale non supera i rilievi fin qui espressi laddove appunto il rinvio al Tribunale sia attuato con le modalità previste all’interno della proposta.
Ora, la professoressa Amalfitano si è chiesta come sarà considerato il nuovo volto del rinvio pregiudiziale dal giudice di ultima istanza e, stando alle materie trasferite, dalla Corte di cassazione italiana più che da altri plessi giurisdizionali.
Non ho il dono oracolare di Prometeo, ma mi sento in qualche modo destinatario di alcuni dei doni che egli fece all’uomo sfidando Zeus e fra questi quello della coscienza.
A pensar male si potrebbe ritenere che il giudice di ultima istanza, consapevole del nuovo sistema e della sorte che potrebbe subire il rinvio pregiudiziale e per garantirsi un interlocutore pariordinato rispetto al ruolo assunto nell’ordinamento interno potrebbe o spostare la leva del rinvio su tematiche di sistema in modo da sperare che il rinvio venga esaminato dalla Corte di giustizia ovvero ridurre i casi di dubbi in ordine all’interpretazione del diritto UE che viene in considerazione.
Ad indurre questi cattivi pensieri, del resto, come si diceva in precedenza, potrebbe spingere la paura che il suo interlocutore a Lussemburgo possa, anche solo in astratto, essere un giudice in qualche modo dimidiato delle sue prerogative per le considerazioni appena espresse e che, comunque, non abbia in sé le caratteristiche di equiordinazione che hanno fin qui costituito il dato di rilievo unificante delle giurisdizioni di ultima istanza nazionali con la Corte di giustizia UE. In gioco, d’altra parte, quando il rinvio è proposto dal giudice di ultima istanza, vi è l’uniforme interpretazione del diritto che costituisce un valore che assume rilevanza anche costituzionale se esso viene visto come proiezione del principio di effettività e di certezza del diritto.
Solo un cenno, a campione, si può qui fare all’IVA che è “materia” di estremo interesse per l’UE – EPPO è stata creata soprattutto per contrastare fenomeni criminali di evasione dell’IVA su scala transfrontaliera e nell’ambito dell’IVA si pongono i maggiori problemi in tema di proporzionalità delle sanzioni di ne bis in idem e di frodi fiscali, aventi anche rilievo penale – e che proprio su temi centrali quali quelli delle operazioni inesistenti vede i singoli Paesi dell’Unione confrontarsi con questioni di indubbio rilievo, spesso riguardanti “gli interessi dell’UE” e coinvolgenti i diritti fondamentali protetti dalla Carta UE – art.47 per esempio[24] –.
Il discorso non è affatto posto, questa volta, in vitro ma, in vivo.
Basti menzionare, per l’Italia, la recente riforma processuale che ha innovato, secondo una larga opinione dottrinaria, il sistema in tema di prova fra fisco e contribuente- art.5, c.7 bis d.lgs. n.546/1992, introdotto dalla l.n.130/2022-. Materia assolutamente nuova che sta già condizionando le decisioni della giustizia tributaria di merito e la dottrina[25] che, verosimilmente vedrà prima o poi coinvolta la Corte di cassazione, al fine di comprendere se l’attuale diritto vivente che può dirsi consolidato in ordine all’onere della prova in materia di operazioni soggettivamente o oggettivamente inesistenti possa o debba essere rivisitato.
Ed è ben chiaro che la scelta del giudice nazionale di investire o meno quello comunitario rispetto al tema dell’onere della prova ed alla sua riconducibilità o meno al diritto UE – in via diretta o mediata – si presta a raffinate operazioni interpretative che, sicuramente il giudice nazionale (nel caso di specie la Corte di cassazione) è pienamente in grado di svolgere proprio per il ruolo e la funzione che essa persegue nel sistema di protezione dei diritti interno.
Andando al fondo del problema, ci si dovrà chiedere se l’assenza di una legislazione UE in materia di prova sull’Iva, che la Corte di giustizia ha spesso evocato per escludere incursioni sugli ambiti interni, sia tale da escludere l’intervento del giudice UE sulla questione relativa alla portata, innovativa o meno che sia, della nuova normativa interna visto che il restraint della Corte di giustizia incontra per sua stessa precisazione il solo limite che le norme interne non pregiudichino l’efficacia del diritto dell’Unione-cfr., fra le più recenti, Corte giust., 1 dicembre 2022, causa C‑512/21, p.31-.
Limite al limite, quest’ultimo che, leggendo le decisioni della Corte di giustizia in materia, in parte fa forse comprendere la voglia di “liberazione” da una materia in bilico fra il pendolo comunitario e quello interno, che sembrerebbe da un lato poco richiedere il compito “alto” del giudice posto al vertice delle istituzioni giudiziarie ma che, dall’altro, evoca giustificazioni riduzioniste magari comprensibili emotivamente, meno sul piano della centralità della materia per il sistema UE e del ruolo che la Corte di giustizia ha nell’ambito della giurisdizione UE.
Ciò a conferma della debolezza del criterio che ha indotto la Corte di giustizia a spogliarsi di contenzioso che riguarderebbe, per un verso, un numero significativo di procedimenti e, per altro verso, si fonderebbe su un diritto vivente consolidato tale da non fare preconizzare l’insorgenza di dubbi consistenti sul “come” decidere i rinvii pregiudiziali.
Ed è in questo contesto che sembra pure annidarsi qualche punto non pienamente condivisibile nel ragionamento che proietta sul Tribunale contenziosi – qui quello dell’IVA – che non sono mai rientrati nelle corde della competenza di quello stesso giudice e per i quali l’esistenza di un ormai “diritto consolidato” formatosi nel tempo per mano della Corte di giustizia dovrebbe costituire al tempo stesso la ragione del trasferimento della competenza – one evitare l’insorgenza di contrasti con la Corte di giustizia – e fattore tale da ridurre il numero stesso dei rinvii pregiudiziali.
Il che, per le considerazioni da ultimo esposte, costituisce un dato ipotetico tutto da verificare proprio in ragione della centralità e delicatezza del settore fiscale nel quale gli ordinamenti nazionali continuano a confrontarsi con risposte spesso eterogenee. Ancora una volta, la prospettiva del giudice nazionale non sembra essere stata fra le corde principali della proposta.
8. Il giudice nazionale e le triangolazioni fra le Corti alla prova del nuovo rinvio pregiudiziale
Ma a questo punto entra in campo un’altra ed ulteriore preoccupazione anch’essa collegata questa volta ai rapporti ed alle relazioni o meglio alle triangolazioni fra giudice comune nazionale Corte costituzione e Corte di giustizia[26].
La questione è troppo nota ai presenti per meritare anche solo di essere riassunta[27]. Merita semmai sottolineare che all’indomani dell’idea di un riaccentramento verso la Corte costituzionale della verifica di coerenza dell’ordinamento interno rispetto ai diritti della Carta UE dei diritti fondamentali una volta riconosciutane la natura materialmente costituzionale, erano emerse anche fra i giudici comuni riflessioni volte a mostrare i pericoli rispetto all’idea che sembrava prendere campo con quella pronunzia. Si disse poi che quelle preoccupazioni erano state eccessive e in definitiva mal poste, poiché non si era capito che non si voleva affatto realizzare quel progetto di riaccentramento.
Orbene, prima della proposta di modifica dello Statuto il giudice costituzionale lascia libero il giudice comune di scegliere la strada che meglio ritiene rispetto al caso, pur apertamente mostrando di assecondare con maggiore entusiasmo le scelte che ad essa si rivolgono da parte del giudice comune – cfr. Corte cost.n.20/2019 e Corte cost.n.63/2019[28] –.
Ma il punto è che già oggi e ancora oggi il sistema dei rapporti fra diritto interno, diritto UE e controllo di costituzionalità e di conformità alla Carta UE è tutt’altro che stabile, bastando pensare anche alle recenti schermaglie fra la Corte di cassazione e la Corte costituzionale originate dalle sentenze nn.50/2019 e 67/2022[29] alle quali ha fatto riferimento, di recente, l’ordinanza della Cassazione n. 6979 depositata l’8 marzo 2023 della Corte di cassazione. Essa ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 80, comma 19, 1, n. 388/2000, nella parte in cui condiziona la corresponsione dell’assegno sociale ai cittadini extracomunitari al possesso della (ex) carta di soggiorno, in relazione agli artt. 3 e 38, comma 1°, Cost., nonché in relazione agli artt. 111 e 117 Cost., con riferimento all’art. 34 CDFUE e all’art. 12 della Direttiva 2011/98/UE. E questo giudizio incidentale di costituzionalità è stato attivato ritenendo che proprio la sentenza n. 269/2017 rendesse necessario l'intervento del giudice costituzionale per la concorrenza di parametri- costituzionali e della Corte UE-.
Ora in questo terreno ancora minato da incertezze e prese di posizione, più o meno ideologiche, la riforma del rinvio pregiudiziale potrà soffiare come un vento che porta verso il profilo nazionale più che verso quello UE?
9. Deferenza e fiducia fra le Corti nazionali e sovranazionali alla prova del “nuovo” rinvio pregiudiziale
Per descrivere lo stato dei rapporti fra le Corti nazionali e sovranazionali non è infrequente l’uso da parte di studiosi e giuristi insigni del termine “deferenza” ad esso attribuendosi ruoli e portata non sembra omogenea.
Ci si riferisce, in particolare, a due importanti contributi della Presidente della Corte costituzionale Silvana Sciarra ed al Prof. Luciani- nei quali a me è parso, sperando di non errare, di cogliere un atteggiamento di base non omogeneo sul ruolo della deferenza, intesa dalla prima come esempio di cooperazione virtuosa ed alla pari fra giurisdizioni nazionali e sovranazionali che hanno a cuore i diritti delle persone[30] e dal Prof. Luciani come alternativa e risposta secca- ed auspicabile - al “judicial activism” ed all’incedere del diritto moderno, ormai lontano sideralmente dal diritto dei padri, dalle categorie, dalla individuazione di parametri agganciati alla certezza ed alla legalità nazionale costituzionale[31] e dalla dignità della legislazione[32].
Piace allora qui ricordare, come tertium comparationis rispetto alle visioni che stanno a monte del canone della “deferenza” come categoria para giuridica o sociologica le Conclusioni dell’Avvocato Generale Colomer presentate il 25 giugno 2009 nella causa C-205/08, ove si intravede nel dialogo pregiudiziale uno strumento straordinario per il “rafforzamento della voce istituzionale di un potere degli Stati membri: la giustizia”. Tanto, in definitiva, significa valorizzare il ruolo centrale dei giudici nello spazio costituzionale europeo. È dunque la giurisdizione “in quanto potere basato sull’indipendenza, sul rispetto della legge e sulla risoluzione delle controversie” a godere di “una voce singolare, staccata dallo scenario politico e legata unicamente alla volontà del diritto”. Diceva, ancora, Colomer, “L’autorevolezza dell’ordinamento europeo è quindi intrisa di una forte componente giudiziaria. Non è esagerato ritenere che la Corte di giustizia sia il responsabile ultimo del diritto dell’Unione grazie ai giudici nazionali”. Sempre Colomer non mancava di sottolineare che sotteso al rinvio pregiudiziale vi era da parte della Corte di giustizia l’intenzione di rispettare e mostrare una certa deferenza nei confronti della concezione della funzione giurisdizionale in ciascuno Stato membro.
Ora, il concetto di deferenza al quale si riferivano Colomer e la Prof.ssa Sciarra potrebbe uscire ridimensionato e depotenziato dalla proposta di modifica dello Statuto, che preoccupandosi quasi esclusivamente della nuova fattura da dare al rinvio pregiudiziale sembra avere considerato in modo marginale la fiducia che fin qui ha tenuto uniti il giudice nazionale e quello UE. Quella cooperazione che ha costituito la fonte del successo della Corte di giustizia.
Per tali ragioni la struttura portante del rinvio pregiudiziale non può limitarsi, ad avviso di chi parla, a coglierne il dato obiettivo, ma involge ineludibilmente la centralità delle componenti soggettive che lo hanno alimentato e lo alimentano senza sosta, apparendo entrambi gli elementi indissolubilmente legati fra loro da una reciproca fiducia.
È proprio la consapevolezza della complessità e della imprescindibilità del dialogo e della cooperazione a “riscrivere” l’imperatività e l’inoppugnabilità del giudicato ed a consumare il passaggio da una fase in cui la sovranità del potere giurisdizionale si esprimeva con la forza del giudicato -pari alla legge- ad una realtà nella quale il giudice non decide solo quando decide, ma decide anche quando non decide, instillando meccanismi di confronto fra giudici altri che coinvolgono inevitabilmente altri operatori del diritto: il ceto forense, l’accademia e, in definitiva, le parti, la carnalità delle questioni che innanzi a loro si agitano. Il caso Ramstad[33], che tanto ha agitato le acque della dottrina e di alcuni settori della magistratura, altro non è stato se non il frutto di un confronto aperto, solare e costruttivo fra le Corti su questioni che il giudice nazionale per costituzione chiamato ad esaminare motivi inerenti la giurisdizione ha condiviso con la Corte di giustizia, inserendola in un circuito di dialogo fino a quel momento intercorso soltanto con la Corte costituzionale ed il Consiglio di Stato. Un frutto fecondo e virtuoso si è andato così aggiungendo all’interno di una questione complessa, nella quale ha davvero poco senso ragionare in termini di vincitori e vinti.
Tutto questo attesta il passaggio progressivo da un periodo di rappresentazione della giustizia centrata essenzialmente sui concetti di imperatività e decisorietà ad un altro più mite e al contempo più oneroso, della giustizia dialogante fatta di condivisione e cooperazione – ed anche di frizioni più o meno manifestate – di diverse autorità giudiziarie – nazionali e sovranazionali – sempre più inserite in un sistema nel quale ciascuna di esse non è monade che decida una causa, ma turbina capace di produrre decisioni idonee a migliorare il sistema nel suo complesso, favorire prevedibilità senza ridurre il respiro ai diritti fondamentali, ridurre gli ambiti di discrezionalità interni a ciascun plesso giurisdizionale in ragione della piena consapevolezza del ruolo centrale svolto dagli altri plessi giurisdizionali. Il che sembra dimostrare quanto tali meccanismi siano agli antipodi da prospettive antidemocratiche o irrispettose della centralità della legislazione, ma tutto al contrario si sforzino di offrire una risposta giudiziaria che non tralasci alcun aspetto capace di renderla monca, fidandosi dei propri interlocutori.
Ora, cambiare le regole del gioco unilateralmente, pur sulla base di esigenze legate all’indubbio accrescimento del quadro normativo comunitario, come se fosse totalmente indifferente per l’altro dialogante l’identità del giudice con il quale dialogare rischia di minare la fiducia reciproca che insieme alla deferenza reciproca stanno alla base di quel dialogo.
Quello della fiducia è un concetto che non può essere riservato soltanto a campi estranei al diritto, esso al contrario tendendo ad assumere, progressivamente, anche in quel contesto notevole rilevanza come Tommaso Greco ha dimostrato brillantemente nel suo recente saggio[34].
E non pare affatto casuale che Alessandro Pajno abbia dedicato anche lui una riflessione sulla rilevanza della fiducia nell’amministrazione della giustizia, mettendola condivisibilmente in diretto contatto con il bisogno di verità[35], pur offrendone una lettura forse limitata, correlata al solo piano interno, quasi che essa possa e debba costituire collante dei soli rapporti fra le giurisdizioni nazionali. E così, indirettamente, mostrando forse di non nutrire grande fiducia nel ruolo delle giurisdizioni sovranazionali. A dimostrazione di quanto sia delicato il tema dei rapporti fra giudici nazionali e corti sovranazionali.
Ora, sembra a chi scrive che il cambio di rotta del rinvio pregiudiziale per mano del dialogante sovranazionale non abbia adeguatamente considerato la fiducia e la deferenza e che le istanze nazionali, soprattutto (ma non solo) quelle di ultima istanza, avevano riposto in un modo di essere giudici assolutamente nuovo e diverso dal “giudicare”, nel quale cioè il giudicante si fa prima ancora che decisore del caso, artefice di un modo di esercitare la giurisdizione al servizio della giustizia, si potrebbe dire del composito “sistema giustizia” quale esso è diventato nel terzo millennio.
Un sistema nel quale la soluzione di un caso da parte del decisore di turno condiziona ineludibilmente l’intero sistema di tutela giurisdizionale al di là del ruolo, apicale o non, ricoperto all’interno del sistema, al punto che una pronunzia su rinvio pregiudiziale non potrà non condizionare il futuro del diritto vivente anche delle Corti supreme, mettendone in discussione l’orientamento proprio per effetto della “forza” del precedente proveniente dalle Corti sovranazionali.
Tutto questo ha un senso e può avere un senso in quanto il dialogo avvenga fra giudici dotati pleno iure di tutte quelle caratteristiche che vengono riconosciute a qualsiasi autorità giudiziaria, interna o sovranazionale, fra le quali spiccano quelle della autonomia e dell’indipendenza e, soprattutto, della libertà di considerare nell’ambito dell’esercizio delle loro funzioni i principi fondamentali che tengono sempre e comunque unito il sistema. Se, in definitiva, il dialogo fra autorità giudiziarie diverse nasce in modo tale da porre in discussione l’essenza paritaria, autonoma e indipendente del dialogo stesso, sottoponendolo a limitazione del tipo di quelle qui rassegnate non è ardito pensare ad un ripensamento radicale delle virtù che in esso si sono fin qui viste, malgrado la ben nota obbligatorietà del rinvio pregiudiziale da parte del giudice di ultima istanza e l’obbligo di motivazione sullo stesso incombente in caso di omesso rinvio.
Si diceva che queste riflessioni non si attagliano unicamente ai rapporti fra giudici di ultima istanza e giudice dell’UE ma investo, forse in modo ancora più profondo, il rapporto fra giudice “non” di ultima istanza e Istituzioni giudiziarie dell’UE.
Giovano ancora una volta, le profonde riflessioni dell’Avvocato Generale Colomer rese il 16 maggio 2006 nelle cause C- ove era necessario affrontare il tema, spinoso, della disapplicazione da parte del giudice di merito di norme comunitarie andando in contrario avviso con la giurisprudenza di ultima istanza del proprio paese. In tale contesto Colomer osservava che
“La funzione primaria della Corte di giustizia consiste nel garantire con carattere esclusivo l’uniformità dell’interpretazione e dell’applicazione delle norme europee. Il rinvio pregiudiziale mira, secondo la sentenza 24 maggio 1977, Hoffmann-La Roche, ad «impedire che in uno Stato membro si consolidi una giurisprudenza nazionale in contrasto con le norme comunitarie». Un mezzo diretto per conseguire ciò può essere quello di mediare nella disputa giuridica tra gli organi giudiziari di un paese con riferimento all’interpretazione dell’ordinamento dell’Unione effettuata da un giudice di grado superiore. 88. In questa linea di pensiero, nella sentenza 16 gennaio 1974, Rheimühlen-Dusseldorf , la Corte ha ammesso che la questione pregiudiziale svolge la funzione essenziale di garantire che il diritto istituito dal Trattato abbia la stessa efficacia in tutto il territorio della Comunità; ha aggiunto che intende anche assicurare l’applicazione uniforme, «offrendo al giudice nazionale il mezzo per sormontare le difficoltà che possono insorgere dall’imperativo di conferire al diritto comunitario piena efficacia nell’ambito degli ordinamenti giuridici degli Stati membri» (punto 2), con una discrezionalità molto ampia per sottoporre la questione alla Corte di giustizia (punto 3), di modo che «il giudice che non si pronuncia in ultimo grado, qualora ritenga che il vincolo a rispettare le valutazioni contenute nella sentenza di rinvio del Tribunale superiore possa risolversi in pratica in una sentenza incompatibile con il diritto comunitario deve rimanere libero di interpellare la Corte di giustizia sui punti che gli paiono nebulosi» giacché, se fosse vincolato, senza sottoporre la questione, la competenza della Corte di giustizia e l’applicazione del diritto comunitario in ogni grado di giudizio dinanzi alle magistrature nazionali «ne verrebbero pregiudicate», salvo se le questioni «[fossero] materialmente identiche» a quelle formulate dal giudice di ultimo grado (punto 4). 89. Senza dubbio, la proposta genera inconvenienti, come la proliferazione del numero di questioni pregiudiziali o l’apparente rottura della gerarchia dell’organizzazione giudiziaria nello Stato. Il primo svantaggio è privo di rilevanza, poiché il carico di lavoro non deve condizionare l’opzione giuridica adeguata ). Il secondo svantaggio ignora la funzione della Corte di giustizia quale supremo interprete dell’ordinamento europeo, vertice essenziale per l’esistenza di una vera comunità di diritto. In ogni caso, gli inconvenienti sarebbero minori che se si adottasse qualsiasi altra alternativa- corsivo aggiunto).
Ora, le riflessioni di Colomer, quasi vaticinatrice dei problemi che sarebbero insorti alcuni lustri dopo, non manca di sottolineare che il ruolo dell’interprete giudiziario del diritto dell’Unione è fondamentale e attiene esso stesso all’unità del diritto, al rispetto dei principi fondamentali che governano le relazioni ed i rapporti fra gli organi decisori nazionali e l’UE. Di guisa che immaginare che il cambio di giudice competente sul rinvio pregiudiziale sia neutro rispetto alla funzione allo stesso affidata tralascia forse di considerare che solo l’autorità di vertice della giustizia comunitaria può e deve assumersi il ruolo centrale ad essa affidato. Ruolo che, come si è visto è di interpretare il diritto UE, ma appunto anche di dare il là ad operazioni di disapplicazione del diritto interno contrastante con l’UE, di orientare la risoluzione dei contrasti interni fra giurisprudenze difformi dei paesi. Insomma, un ruolo che è centrale e non può che essere affidato all’autorità giurisdizionale più elevata dell’Unione europea, a pena di incrinare il senso di fiducia nel quale la Corte di giustizia ha investito fin dalla sua nascita. Una fiducia che mette nel conto le diversità di prospettive, i contrasti, le eventuali non risposte o le risposte ritenute non adeguate, ma non sembra possa e debba deflettere da alcuni capisaldi.
In conclusione, il fatto che con la proposta qui esaminata non si modifichi se non in parte il contenuto del rinvio pregiudiziale ma il (o, recte, la competenza del) giudice chiamato a deciderlo e le forme con le quali esso si andrà a manifestare, sottoponendo il Tribunale ad un sistema di controlli tutto ancora da decifrare, non sembra rispondere all’esigenza di perseguire un’idea di giustizia coerente con le fondamenta dei rapporti fra Paesi membri e UE né pare andare verso una giustizia più automaticamente giusta.
Il rinvio pregiudiziale è e deve rimanere la chiave di volta del sistema giurisdizionale come afferma solennemente il p.176 del parere n.2/2013 della Corte di giustizia del 18 dicembre 2014[36]; esso ha alle sue spalle un delicato bilanciamento creato fra i dialoganti sulla base di un sistema rodato e di successo che pone sempre e comunque al centro la persona ed i diritti che ad essa fanno capo. Ed è quella storia a non potere essere dimenticata, facendone costantemente memoria, soprattutto in nome di un efficientismo che snaturerebbe il controllo affidato al Tribunale, disegnandone una cornice di subalternità di fatto e sostanziale che non sembra in alcun modo favorire il dialogo né pare in linea con la funzione stessa del rinvio pregiudiziale quasi che esso si risolvesse in una mera operazione di interpretazione del diritto UE.
In conclusione, le criticità qui evidenziate sulla proposta della Corte di giustizia UE intendono solo propiziare, per quel nulla che possano valere, nuove riflessioni capaci di rafforzare la fiducia fra i dialoganti e, in definitiva, la fiducia e deferenza che, reciprocamente, devono costituire la colla capace di tenere uniti i giudici-dialoganti che hanno fin qui dato un senso profondo allo strumento del rinvio pregiudiziale.
*Il presente scritto trae spunto dall’intervento svolto nel corso del seminario di studio su “La proposta di riforma dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea”, organizzato dal Dipartimento di diritto pubblico italiano e sovranazionale dell’Università di Milano il giorno 12 giugno 2023.
[1] Domanda presentata dalla Corte di giustizia UE ai sensi dell’articolo 281, secondo comma, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, al fine di modificare il Protocollo n. 3 sullo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, in https://curia.europa.eu.
[2] da ultimo, R. Conti, Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (giudicedonna.it). In precedenza, id., I dubbi del Consiglio di Stato sul rinvio pregiudiziale alla Corte UE del giudice di ultima istanza. Ma è davvero tutto così poco “chiaro”? (Note a prima lettura su Cons. Stato 5 marzo 2012 n.4584), in Diritticomparati, 1 aprile 2012; id., Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia: dalla pratica alla teoria, in Questionegiustizia, 7 maggio 2013, D. Domenicucci, Circa il meccanismo del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea, in Foro it., 2011, IV, 461.[3] V., volendo, R. G. Conti, Le sentenze interpretative della corte di giustizia dell'unione europea in materia tributaria e i loro effetti negli ordinamenti nazionali, in Diritto tributario europeo e internazionale. Fonti, principi, singole imposte, tutele stragiudiziali, a cura di A. Giordano, Milano, 2020, 123 ss.
[4] R. G. Conti, Le sentenze interpretative della Corte di giustizia dell’unione europea in materia tributaria e i loro effetti negli ordinamenti nazionali, in Diritto Tributario Europeo e Internazionale, a cura di A. Giordano, Milano 2021, 123 ss.
[5] V., infatti, B. Nascimbene, La mancata ratifica del Protocollo n. 16. Rinvio consultivo e rinvio pregiudiziale a confronto, Giustiziainsieme, 29 gennaio 2021
[6] V., volendo, R. Conti, La richiesta di “parere consultivo” alla Corte Europea delle Alte Corti introdotto dal Protocollo n. 16 annesso alla CEDU e il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE. Prove d’orchestra per una nomofilachia europea, in Consultaonline; R. Conti, La Corte di cassazione italiana e il ruolo svolto da Guido Raimondi nel dialogo con la Corte edu, Liber amicorum Guido Raimondi, Intersecting Views on National and International Human Rights Protection, Tilburg, 173.
[7] B. Nascimbene, La mancata ratifica del Protocollo 16, cit., coglie puntualmente il nodo problematico dei tempi del processo che per effetto dei plurimi rinvii possono incidere negativamente sull’esigenza di giustizia, ma offre una lettura ragionata del problema quando afferma che “Vi è tuttavia da chiedersi quanto graverebbe, in ordine di tempo, un doppio rinvio e se tale dilatazione della durata rispetto alla tutela dei diritti in gioco, non sia comunque giustificata, ragionevole e proporzionata. Non lo sarebbe qualora i meccanismi di diritto interno, considerata la sospensione del processo nazionale, fossero complessi e non tempestivi, pregiudicando, alla fine, la tutela effettiva della persona. Ma non sarebbe questo un buon argomento per non ratificare il Protocollo cui non sono imputabili lacune o deficienze del diritto interno.”
[8] R. G. Conti, ll Protocollo di dialogo fra Alte corti italiane, Csm e Corte Edu a confronto con il Protocollo n. 16 annesso alla Cedu. Due prospettive forse inscindibili, in Questionegiustizia, 30 gennaio 2019.
[9] R. Conti, Il rinvio pregiudiziale alla Corte UE: risorsa, problema e principio fondamentale di cooperazione al servizio di una nomofilachia europea, relazione al convegno “Le questioni ancora aperte nei rapporti tra le Corti Supreme Nazionali e le Corti di Strasburgo e di Lussemburgo” - 23 e 29 ottobre 2014-, organizzato presso la Corte di Cassazione dalle Strutture territoriali di formazione decentrata della Corte di Cassazione e della Corte d’Appello di Roma, in http://www.cortedicassazione.it; id., Nomofilachia integrata e diritto sovranazionale. I "volti" delle Corte di Cassazione a confronto, in Giustiziainsieme, 4 marzo 2021 e, nella versione aggiornata, in Quaderno n.20, Il giudizio civile di Cassazione, in I quaderni della Scuola superiore della magistratura, a cura della Scuola superiore della magistratura Roma, 2023, 177.
[10] Il fattore tempo ha condizionato ormai da tempo le modalità decisorie della Corte di cassazione per effetto della "pluralità di riti decisori". Ed infatti, la Corte di Cassazione decide utilizzando forme decisorie diverse in relazione alle tipologie diverse del ricorso. Questa pluralità di riti è "figlia" di alcune riforme processuali che si sono susseguite nel nostro Paese- provo ad indicarle succintamente qui (l.n.69/2009, l.n.134/2012, l.197/2016, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 recante attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206) e che hanno introdotto importanti modifiche al modo di "fare Cassazione" nel nostro Paese. Senza qui soffermarsi sulle specifiche riforme, è sufficiente ricordare che il discrimen fra le modalità decisorie è dato dalla "rilevanza della questione di diritto deve pronunziare la Corte (art.375 c.2 c.p.c.) in modo da rendere opportuna la decisione con sentenza che avrà funzione di "precedente". In sostanza, mentre le cause decise con ordinanza non presentano una funzione nomofilattica, quelle decise in pubblica udienza, meritano una sentenza perché costituiscono precedente e rendono manifesta la funzione per la quale è stata istituita la Corte di cassazione unica, quella appunto di garantire l'unità del diritto oggettivo nell'ordinamento interno. Questo sistema, nel 2021, si è ulteriormente modificato inserendo un rito accelerato (art.380 bis c.p.c., cd. PDA) che tenda ad una definizione della lite traghettata dalla proposta adottata da un singolo componente della Corte per i casi di improcedibilità o manifesta inammissibilità del ricorso. Strumento che rende palese l’introduzione di un meccanismo capace di modificare notevolmente la struttura decisoria dei provvedimenti resi dal giudice di legittimità in una prospettiva che tende a superare la centralità della decisione a favore di meccanismi affidati alle scelte processuali delle parti e che sono, comunque, condizionati da un nuovo modo di ius dicere della Corte. Quelle qui sommariamente sintetizzate rappresentano dunque un fascio di riforme destinate ad incidere sia sulle modalità organizzative della Corte di cassazione- posto che le ordinanze seguono il rito della cameralizzazione senza udienza pubblica- che sulla “sostanza” dell’attività giurisdizionale del giudice della nomofilachia.
[11] V., volendo, R. Conti, Chi ha paura del Protocollo 16, in Sistema penale, nel quale osservammo che “…La richiesta di parere preventivo delle Alte giurisdizioni interne alla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo voluto dal Protocollo n. 16 annesso alla CEDU si pone dunque sul cammino della sempre più efficace ed effettiva tutela dei diritti fondamentali. Non si capisce, se si segue questa prospettiva, come la maggior durata del processo in relazione all’attivazione del meccanismo possa costituire remora all’attuazione del Protocollo in Italia, la stessa rappresentando tutto al contrario un’occasione imperdibile per offrire alla giurisdizione interna delle opinioni non vincolanti sull’interpretazione delle questioni di principio da parte della Corte edu, in tal modo consentendo al giudice nazionale un’attività destinata a ridurre le occasioni di conflitto fra giurisdizione nazionale e CEDU e soprattutto i costi che i privati devono sostenere per prospettare un ricorso a Strasburgo all’esito dell’esaurimento delle vie di ricorso interno. Il tempo di durata del processo sarà dunque “tempo di giustizia” – parafrasando l’art.1 c.8 della l.n.219/2017 – e non, come pure prospettato nel corso di alcune delle audizioni, tempo perso incidente sulla ragionevole durata del processo.” Sulla mancata ratifica del protocollo n.16 v., tra i tanti contributi, L’estremo saluto al Protocollo n.16 annesso alla CEDU(editoriale), in Giustiziainsieme,12 ottobre 2020 ed i contributi successivamente pubblicati di di Antonio Ruggeri - Protocollo 16: funere mersit acerbo? - Cesare Pinelli - Il rinvio dell’autorizzazione alla ratifica del Protocollo n. 16 CEDU e le conseguenze inattese del sovranismo simbolico sull’interesse nazionale - Elisabetta Lamarque - La ratifica del Protocollo n. 16 alla CEDU: lasciata ma non persa - Carlo Vittorio Giabardo - Il Protocollo 16 e l’ambizioso (ma accidentato) progetto di una global community of courts - Enzo Cannizzaro - La singolare vicenda della ratifica del Protocollo n.16 - Paolo Biavati - Giudici deresponsabilizzati ? Note minime sulla mancata ratifica del Protocollo 16, Sergio Bartole - Le opinabili paure di pur autorevoli dottrine a proposito della ratifica del protocollo n. 16 alla CEDU e i reali danni dell’inerzia parlamentare – B. Nascimbene, La mancata ratifica del Protocollo n. 16. Rinvio consultivo e rinvio pregiudiziale a confronto cit.,e A. Esposito, La riflessività del Protocollo n. 16 alla Cedu; e, da ultimo, v. Il Parlamento riapra il cantiere sulla ratifica del Protocollo n.16 annesso alla CEDU - Gruppo Area Cassazione, in Giustiziainsieme, 9 febbraio 2022.
[12] E. Scoditti, Brevi note sul rinvio pregiudiziale in cassazione, in Questionegiustizia,30 settembre 2021 e R. D’ANGIOLELLA, Riflessioni sulla riforma del processo tributario in Cassazione. La nuova Sezione Tributaria della Cassazione, la pace fiscale ed il rinvio pregiudiziale, in questa Rivista, 15 dicembre 2022.
[13] Corte giust. Tributaria di primo grado di Agrigento, 31 marzo 2023, in www.cortedicassazione.it.
[14] Cfr., Primo rinvio pregiudiziale alla Cassazione nel processo tributario, in Dirittoegiustizia, 11 aprile 2023. Di recente, F. Pistolesi, Il primo caso di rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione in materia tributaria, in Giustiziainsieme, 13 giugno 2023.
[15] C. Amalfitano, Il futuro del rinvio pregiudiziale nell’architettura giurisdizionale dell’Unione europea, in DUE, n.3/2022, 32 e ss.
[16] V. decreto Primo Presidente Corte di cassazione n.16 dell’8 febbraio 2023.
[17] Decreto Primo Presidente Corte di cassazione, 18 aprile 2023, in www.cortedicassazione.it, - Comunicati Stampa
[18] Commission Opinion on the draft amendment to Protocol No 3 on the Statute of the Court of Justice of the
European Union, presented by the Court of Justice on 30 November 2022, 10 marzo 2023, COM (2023) 135 final.
[19] R. Conti, Corte costituzionale, riparto delle giurisdizioni e art. 34 D.Lgs. n. 80/98: fu vera rivoluzione?, in Urb.app., 2004, 1035.
[20] Cfr. Cass.S.U. n.4873/2022, su cui N. Vettori, Diritti fondamentali e riparto di giurisdizione. Nota a Cass., SU, 15.02.2022, n. 4873 sul diritto alla salute dei richiedenti asilo ospitati nei CAS, in Dir. imm.cittad., n.3,2022, 269.
[21] G. Montedoro, E. Scoditti, Il giudice amministrativo come risorsa, in Questionegiustizia,11 dicembre 2020.
[22] Sulla nuova ripartizione di competenze fra i giudici comunitari v., in generale, S. Boni, Verso una nuova ripartizione di competenze fra i giudici di Lussemburgo? in DUE, 2002, 153; R. Mastroianni, Il Trattato di Nizza ed il riparto di competenze tra le istituzioni giudiziarie comunitarie, in Nascimbene B., Il processo comunitario dopo Nizza, 2002, 21; A.Tizzano, La Cour de justice apres Nice:le transfert de competence au tribunal de premiere instance, in DUE, 2002, 597; J. Azizi, Opportunities and limits for the transfer of preliminary reference proceedings to the Court of first instance in Kokott, Pernice, Saunders, The future of the European judicial system in a comparative perspective, Baden Baden, 2006, 241. In generale v., M. Condinanzi,- R. Mastroianni, Il contenzioso dell’Unione europea, Torino, 2009, 186 ss.
[23] La Carta UE dei diritti fondamentali fa gola o fa paura?, Intervista di R.G.Conti a P. Mori, B. Nascimbene, R. Mastroianni, in Giustiziainsieme, 27 aprile 2019; ib., La Carta UE in condominio fra Corte costituzionale e giudici comuni. Conflitto armato, coabitazione forzosa o armonico ménage?, Intervista di R. Conti a L.Trucco, G. Martinico e V. Sciarabba, 9 maggio 2019.
[24] Corte giust., 1° dicembre 2022, C-512/21, Aquila Part Prod Com SA, p.31:” Poiché il diritto dell’Unione non prevede norme relative alle modalità dell’assunzione delle prove in materia di evasione dell’IVA, tali elementi oggettivi devono essere stabiliti dall’autorità tributaria secondo le norme in materia di prova previste dal diritto nazionale. Tuttavia, tali norme non devono pregiudicare l’efficacia del diritto dell’Unione”. Sul ruolo della giurisprudenza della Corte di giustizia nell’ordinamento tributario comunitario v. P. Boria, Diritto tributario europeo, Milano, 2010,115 e G. Melis, Libertà di circolazione dei lavoratori, libertà di stabilimento e principio di non discriminazione nell’imposizione diretta: note sistematiche sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in Rassegna Tributaria n. 4/2000.
[25] V. M.Golisano, Riflessioni in ordine all'impatto del nuovo comma 5bis, art. 7, D.Lgs. n. 546/1992 in riferimento alle imposte indirette, in Riv. Tel. Dir. Trib., 2023, 1 e ss.
[26] L. S. Rossi, Il 'triangolo giurisdizionale' e la difficile applicazione della sentenza 269/17 della Corte costituzionale italiana, in Federalismi.it, 1 agosto 2018. Aveva già usato tale espressione R. Caponi, parlando dei rapporti fra Corti nazionali, Corte di giustizia e Corte edu, in R. Caponi, Corti europee e giudicati nazionali, in www.europeanrights.eu, 29.09.2009.
[27] V., per tutti, A. Ruggeri, Svolta della Consulta sulle questioni di diritto eurounitario assiologicamente pregnanti, attratte nell’orbita del sindacato accentrato di costituzionalità, pur se riguardanti norme dell’Unione self-executing (a margine di Corte cost. n. 269 del 2017), in Diritticomparati,n.3/2017, 234. V. volendo, R. Conti, La Cassazione dopo Corte cost. n. 269/2017. Qualche riflessione, a seconda lettura, in Forum Quaderni costituzionali, 28 dicembre 2017, id, An, quomodo e quando del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia quando è 'in gioco' la Carta dei diritti fondamentali UE. Riflessioni preoccupate dopo Corte cost. n. 269/2017 e a margine di Cass. n. 3831/2018, in Giudicedonna, n.4/2017.
[28] Sulla sentenza della Corte costituzionale indicata nel testo, v. volendo, R. Conti, Giudice comune e diritti protetti dalla Carta UE: questo matrimonio s’ha da fare o no?, in Giustiziainsieme, 4 marzo 2019.
[29] Su tale ultima pronunzia v. L.R. Rossi, “Un dialogo da giudice a giudice”. Rinvio pregiudiziale e ruolo dei giudici nazionali nella recente giurisprudenza della Corte di giustizia in Aiusde, n.4, 23 maggio 2022,76.
[30] S. Sciarra, Identità nazionale e corti costituzionali. il valore comune dell’indipendenza, in Identità nazionale degli stati membri, primato del diritto dell’unione europea, stato di diritto e indipendenza dei giudici nazionali, 5 settembre 2022, 8.: “Le corti costituzionali – come quella italiana – attive all’interno di ordinamenti democratici rispettosi dello stato di diritto, devono contribuire all’avanzamento dell’integrazione europea fornendo esempi di razionalità ed equilibrio nell’argomentazione, senza cedere a una deferenza acritica nei confronti della CGUE e tuttavia avendo ben chiaro che l’obiettivo comune prioritario consiste nella permanente adesione ai valori fondanti dell’Unione.” S. Sciarra, Lenti bifocali e parole comuni: antidoti all’accentramento nel giudizio di costituzionalità, in Federalismi, 27 gennaio 2021:” Per le corti costituzionali la collaborazione non può essere disgiunta dalla deferenza, da intendersi come rispetto per il legislatore e per le sue prerogative, ma anche come impegno attivo nella difesa dei diritti. Deferente, proprio perché rivolto a massimizzare l’affermazione dei diritti fondamentali, può essere anche l’atteggiamento delle corti costituzionali verso la CGUE. Anche in questo caso deferenza è sinonimo di conoscenza delle reciproche aree di intervento. Per guardare a questi scenari servono lenti bifocali: uno sguardo da vicino e uno da lontano, quest’ultimo proiettato nel tempo, oltre che nello spazio visivo.”
[31] M. Luciani, L’attivismo, la deferenza e la giustizia del caso singolo, in Questionegiustizia, 29 dicembre 2020.
[32] M. Luciani, Ogni cosa al suo posto, Milano, 2023, 114.
[33] Sul tema, nella sconfinata messe di contributi e solo per un indicazione generale del problema v. La Corte di Giustizia risponde alle S.U. sull’eccesso di potere giurisdizionale. Quali saranno i "seguiti" a Corte Giust., G. S., 21 dicembre 2021, C-497/20, Randstad Italia?, Interviste di R. Conti a Fabio Francario, Giancarlo Montedoro, Paolo Biavati, Renato Rordorf ed Enzo Cannizzaro, in Giustiziainsieme, Editoriale, 10 gennaio 2022.
[34] T. Greco, La legge della fiducia. Alle radici del diritto, Roma, 2022.
[35] A. Pajno, Ricostituzione della fiducia e dialogo fra le giurisdizioni, in Questionegiustizia, n.2/2021: “Fiducia” è una parola antica, ma capace di evocare radici profonde. Fiducia indica, innanzi tutto, una relazione, un affidamento nei confronti di qualcuno (in Dio, nel prossimo), in un sistema di valori, nelle istituzioni. Lingue come il francese e lo spagnolo evocano il connotato sociale della fiducia attraverso il prefisso “con” (confiance, confianza) e la lingua inglese pone in luce un’altra importante relazione, quella con la verità, grazie alla parola trust, che deriva da true, vero. Non può esserci fiducia senza verità. La fiducia investe anche il rapporto con il tempo: essa suppone una relazione con un passato su cui si fa affidamento, e nello stesso tempo un rapporto con il futuro. In esso, la fiducia si proietta e diviene speranza. La fiducia riguarda pertanto le relazioni personali e sociali, l’economia (non c’è mercato senza fiducia), le istituzioni, che hanno il compito di promuoverla (non a caso la fiducia è divenuta un istituto della democrazia parlamentare e ha un ruolo fondamentale nelle scienze giuridiche).”
T. Greco, La legge della fiducia. Alle radici del diritto, Roma, 2022.
[36] Espressione che L. S. Rossi ricorda nel suo incipit in L.R. Rossi, “Un dialogo da giudice a giudice”. Rinvio pregiudiziale e ruolo dei giudici nazionali nella recente giurisprudenza della Corte di giustizia cit., 50.