Pubblichiamo il testo dell’intervento di Marcello Basilico, presidente della Terza commissione del CSM "per l'accesso in magistratura e per la mobilità", in apertura dello stage svolto presso il CSM dai magistrati ordinari in tirocinio nominati con DM 4 aprile 2025, chiamati alla scelta delle prime funzioni e delle sedi giudiziarie il prossimo 16 dicembre.
Care Colleghe, cari Colleghi,
vi do il benvenuto più caloroso e sincero al Consiglio superiore della magistratura, nel palazzo intitolato dal 17 febbraio 2024 a Vittorio Bachelet. Prima di allora questo luogo era il “Palazzo dei Marescialli”, costruito nel 1938 e dedicato ai “marescialli d’Italia”, un novero scelto di militari, proposti come paladini dell’ideale fascista.
Ho scelto di partire proprio dall’intitolazione di questo edificio, tra le diverse possibilità che avevo per presentarvi il CSM, poiché è attraverso il ricordo di eventi fondamentali, quali quelli che si legano a un nome, che possiamo meglio capire quali siano le vere, nostre radici, le radici della magistratura italiana.
Il nome antico di questo luogo evocava un periodo buio della storia d’Italia e bene ha fatto l’attuale Consiglio a cambiarlo, con la dedica a un servitore della Repubblica.
Forse non tutti sanno, tra voi, chi sia stato Vittorio Bachelet: vittima del terrorismo politico, egli era professore universitario di diritto amministrativo, amava il dialogo con gli studenti e il dialogo tra politica e magistratura. Da vicepresidente del CSM fu interprete di questo ruolo sapiente nella stagione più sanguinosa per il nostro Paese, riuscendo a ricucire lo strappo istituzionale causato da un’interrogazione parlamentare presentata da un gruppo di senatori l’11 gennaio 1980, riguardante presunti legami tra alcuni magistrati e organizzazioni terroristiche. Grazie alle sue capacità di confronto e mediazione, il CSM, presieduto dall'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, il 7 febbraio approvò all’unanimità un comunicato con cui si respingevano le accuse e si auspicava che la verità venisse accertata al più presto.
Cinque giorni dopo, il 12 febbraio 1980, un commando delle Brigate rosse lo assassinò all’interno della facoltà di scienze politiche dell’università La Sapienza di Roma.
Bachelet era convinto che per combattere il terrorismo fossero necessarie non misure eccezionali e straordinarie, ma piuttosto il rispetto dei principi dello Stato di diritto sanciti nella Costituzione. Nel dichiararlo pubblicamente, esprimeva quel sentimento mite verso l’Istituzione che rappresenta una minaccia per la strategia dell’eversione violenta.
Sentite cosa scrisse il Corriere della sera il giorno seguente a quell’omicidio[1].
«Sono le 11.35 di una mattinata splendida. Il sole è primaverile, la temperatura è tiepida, nei viali dell’università gli studenti passeggiano con i libri sotto il braccio. Vittorio Bachelet, 54 anni, sposato con due figli, professore di Diritto amministrativo e di scienza dell’amministrazione, ha appena concluso la lezione. Esce dall’aula numero 11, dedicata ad Aldo Moro, e si avvia chiacchierando verso le scale che portano all’ingresso della facoltà. Sono con lui la sua assistente Bindi (Rosy Bindi, che al tempo aveva 29 anni, n.d.r.) e due studenti. Bachelet sale le scale e si ferma nell’androne […].
Sul pianerottolo e sulle scale che conducono al secondo piano una quindicina di studenti discutono fra di loro. È il momento dell’agguato: i due terroristi sono sulla porta, la tengono aperta, sorvegliano, con disinvoltura, il professore e la piazzetta interna, cioè la via della fuga […].
Bachelet continua a parlare con l’assistente, la terrorista si innervosisce, decide di entrare in azione. Con freddezza, fa un paio di passi, raggiunge il professore che le volge la schiena, lo afferra per una spalla, lo gira e spara quattro volte. Quattro colpi all’addome da non più di trenta centimetri. Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura si piega su se stesso, barcolla, cerca istintivamente rifugio in un angolo a ridosso della vetrata. Interviene il secondo terrorista: si precipita verso Bachelet che sta crollando a terra. Preme per quattro volte il grilletto, il professore si affloscia su un fianco, perde gli occhiali. L’assassino si china su di lui e gli spara il colpo di grazia alla nuca. L’autopsia confermerà che gli assassini hanno usato una pistola calibro 32: otto pallottole che lo hanno centrato. Una al cuore, una alla nuca».
Dopo la morte di Bachelet, Sandro Pertini, capo della Stato e dunque presidente del CSM, disse subito che con quell’omicidio la lotta armata in Italia aveva toccato il suo punto più alto di aggressione allo Stato: «Questo di oggi è il più grave delitto che sia stato consumato in Italia perché il delitto Moro aveva un carattere politico, mentre quello di oggi è diretto contro le istituzioni; perché si è voluto colpire il vertice della magistratura, il vertice del pilastro fondamentale della democrazia»[2].
La mia generazione ricorda di quell’evento non solo lo sgomento di fronte all’ennesimo atto terroristico, feroce e insensato, ma anche le parole che il figlio Giovanni, in seguito docente a sua volta della Sapienza e, dal 2008 al 2013, deputato del Partito Democratico, pronunciò al funerale: «Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà, perché senza togliere nulla alla giustizia, che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri»[3].
La sua uccisione, a due anni dall’omicidio Moro e a uno dall’assassinio di Guido Rossa, avvenne in un tornante decisivo per la storia del nostro Paese.
È possibile che oggi siamo di fronte a una nuova svolta, non certo paragonabile alla tragicità di quei giorni, ma non meno rilevante per il rapporto tra le Istituzioni dello Stato. Quello che oggi apriamo, infatti, potrebbe essere l’ultimo incontro con nuovi magistrati nella sede dell’unico Consiglio superiore della magistratura.
Come sapete, l’art. 104 della Costituzione, dopo la solenne enunciazione dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario al primo comma, dedica i capoversi successivi alla disciplina del nostro Consiglio. Non è un caso, ovviamente, questa sequenza normativa tra la dichiarazione dei principi cardinali della magistratura e la strutturazione del CSM così come voluta dai nostri padri costituenti.
Proprio i capoversi dell’art. 104 sono il cuore della riforma prevista dal d.d.l. di riforma costituzionale e si legano all’art. 105, che fissa i “quattro chiodi”, le attribuzioni fondamentali e indivisibili secondo l’on. Meuccio Ruini[4]: assunzioni; assegnazioni e trasferimenti; promozioni; provvedimenti disciplinari.
Le funzioni del CSM si esauriscono qui? Quello dell’art. 105 è un elenco tassativo o espressivo di un minimum imprescindibile?
La risposta indiretta viene dalla Corte costituzionale, che mai si è avventurata sul terreno scivoloso delle definizioni (organo di alta amministrazione o politico-rappresentativo?), ma che ha fornito indicazioni comunque chiare, quale quella di cogliere nell’insieme degli artt. 104 e 105 Cost. la volontà del costituente di escludere una “gestione separata” della magistratura dal contesto istituzionale, col rischio altrimenti di ritrovarla “avulsa dall’ordinamento generale”[5].
Del resto, essere “ordine” significa non essere “corpo”, non essere una separata organizzazione titolare di interessi suoi propri, che restino distinti da quello generale diretto alla realizzazione della volontà oggettiva dell’ordinamento[6]. La magistratura è dunque una componente dell’assetto dell’ordinamento, in una parola, della società, e lo è tramite l’integrazione del CSM e del suo presidente, il Presidente della Repubblica, nella rete di raccordo con gli altri poteri.
Di qui, oltre alle attribuzioni tipizzate e imprescindibili dell’art. 105 Cost., l’estensione alle funzioni giurisdizionali (quali sono definite ormai pacificamente quelle disciplinari), propositivo-consultive nei confronti del Parlamento per il tramite del Ministro (art. 10, co. 2, l. 195/58) e paranormative, riconosciute da molteplici fonti legislative, tra le ultime la riforma Cartabia.
E su quest’ultimo punto assistiamo oggi a un fenomeno che rende l’assetto delle fonti consiliari ancora più complesso e originale. Infatti, ciò che a lungo ha fatto parte del patrimonio normativo del CSM, a cominciare dalle regole tabellari come disciplina dell’organizzazione degli uffici giudiziari giudicanti garante della predeterminazione del giudice – giudice naturale anche come persona fisica – e dell’equilibrio nell’assegnazione degli affari, è divenuto nel tempo materia di legiferazione ordinaria: ecco quindi un CSM non più mero attuatore della volontà legislativa, ma anticipatore di regole che sono divenute negli anni patrimonio dell’ordinamento tutto, vorrei dire patrimonio culturale del nostro tempo.
Pensiamo al recepimento da parte della legge 71/2022 della trasposizione dell’assetto tabellare nei progetti organizzativi delle procure, della disciplina sulle valutazioni di professionalità, addirittura di alcuni elementi contenutistici dei regolamenti dei Consigli giudiziari. Il legislatore si è mosso quindi seguendo le impronte del governo autonomo della magistratura, a sua volta debitore di un’eredità lontana, della magistratura associata, che decenni fa iniziò a confrontarsi sulle nozioni di “tabella” o di “professionalità del magistrato” rendendole nel tempo idee comuni dell’intero ordinamento.
Un simile retaggio è la migliore testimonianza dell’apporto dato dal Consiglio all’architettura dell’ordinamento giudiziario e, al contempo, la riprova della vitalità della collaborazione che esso sa fornire alle altre Istituzioni del Paese.
Quale garante dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, il CSM è prima ancora garante della sua estraneità rispetto ai poteri di intermediazione che sono propri delle istituzioni politiche: estraneità dalla mediazione politica e partecipazione alla relazione con gli altri poteri dello Stato. Di questa sofisticata sfaccettatura è interprete il Presidente della Repubblica, garante dell’unità nazionale e della corretta interpretazione del ruolo di ciascuna Istituzione.
“Proprio per questo (proprio perché non è pouvoir neutre) che non è titolare di meri poteri di interdizione, ma agisce utilizzando anche potenti strumenti di stimolo e di impulso, sui quali può gettare tutto il peso di una legittimazione che gli viene - nientemeno - dalla rappresentanza dell’unità nazionale”[7]. È grazie a questo peso che la magistratura può continuare a essere contropotere naturale di ogni Esecutivo, restando all’interno, però, dei confini disegnati dall’art. 101 della Costituzione, nel primo e nel secondo comma.
Questa complessità di ruoli rende ormai superflua ogni dissertazione sull’estensione e la caratura costituzione dell’istituzione consiliare, sulla distinzione tra funzioni tipiche e atipiche, sulla presunta estensione nel tempo dei poteri del CSM.
Un’ultima osservazione: il compito di garante assegnato al CSM ammette che esso possa esprimersi attraverso “esternazioni”, ma non già attraverso «un potere libero (…) nell’interesse e per conto della magistratura», confondendosi altrimenti con l’Associazione Nazionale Magistrati, bensì con atti formali a difesa dell’ordine giudiziario dinanzi a situazioni che ne minaccino l’autonomia e l’indipendenza. È il caso delle cd. “pratiche a tutela”, previste dal regolamento interno del Consiglio e destinate ad arginare le interferenze che l’attività giurisdizionale possa subire dall’esterno vedendo minata la propria autorevolezza.
Il Consiglio che oggi accoglie voi giovani magistrati, in procinto di scegliere le sedi e le funzioni che eserciterete entro sette mesi, è dunque un’istituzione composita, nella definizione della propria essenza, nella sua collocazione ordinamentale, nella sua strutturazione. Non è un ufficio del personale di una categoria di impiegati statali – come qualcuno lo vorrebbe ancora (o nuovamente) – bensì un organo collegiale e pluralista, titolare di indirizzo politico nelle materie di propria attribuzione[8] e rappresentativo delle istituzioni che concorrono a formarlo: l’ordine giudiziario e il Parlamento, che, proprio per ciò, ha adottato una convenzione elettorale che ne vuole una quota espressiva della maggioranza e una espressiva della minoranza.
Dobbiamo perciò al Consiglio, tra l’altro,
- la difesa dei magistrati dagli attacchi che sono stati rivolti in passato e nel presente all’esercizio da parte loro dell’attività giurisdizionale;
- la rimozione dei magistrati che macchiarono indelebilmente la credibilità della categoria anche in tempi in cui quella iniziativa risultò scomoda per una parte del potere costituito (mi riferisco, ad esempio, alla sentenza del 9.2.1983 nei confronti degli iscritti alla loggia massonica segreta denominata Propaganda 2);
- l’adozione degli istituti che contribuiscono alla democrazia interna degli uffici (si pensi alle circolari che si sono succedute nel tempo per frenare la spinta alla gerarchizzazione delle procure; o, ancora, alle tabelle, strumento che governa anche i passaggi interni dei giudici e dei p.m. e garantisce la partecipazione di ogni magistrato alla gestione del proprio ufficio);
- la regolamentazione delle forme di trasferimento d’ufficio che possono minare il principio d’inamovibilità del magistrato;
- la difesa del principio di indistinzione dei magistrati se non per funzioni, gelosamente ribadita in ogni procedura o disciplina che possa metterla in discussione;
- l’attuazione di uno statuto disciplinare rigoroso, ma al contempo consapevole, quale costola interna del CSM, della realtà in cui ogni magistrato si muove, con le complessità organizzative, logistiche, relazionali che essa comporta.
Tale consapevolezza della sezione disciplinare è data dalla presenza al suo interno di magistrati espressione – per esperienza; storia professionale; attitudine – di tutte le componenti culturali presenti nella nostra categoria. Sentirete parlare non poco qui al Consiglio, così come già avete sentito parlare alla Scuola superiore della magistratura, del nostro sistema disciplinare: ebbene, se ne parla doverosamente, perché esso rappresenta una delle attribuzioni costituzionali del CSM.
Ma non pensiate che il disciplinare sia il cuore dell’istituzione consiliare e sia l’orizzonte primario cui voi dovete guardare nel lavoro quotidiano che vi attende. Il cuore dell’opera del CSM sta invece nella difesa dell’autonomia interna ed esterna, dell’indipendenza, della credibilità dei magistrati, da parte del CSM. Per parte vostra, vivete questi valori appieno ed entusiasticamente, con il senso di responsabilità e con lo spirito di servizio per il cittadino che essi esigono.
Per dirla con Alessandro Pizzorusso[9], l’assetto che il Consiglio superiore della magistratura ha conseguito nelle sue più recenti legislature costituisce principalmente un effetto della maturazione politica e culturale che si è venuta a realizzare all’interno del movimento associativo dei magistrati e, più in generale, tra i giuristi italiani.
È proprio questo assetto plurale e rappresentativo che oggi si vuole mettere in discussione, individuando nelle “correnti”, cioè nelle libere associazioni di magistrati federate nell’ANM, il male da sgominare attraverso sorteggi, duplicazioni di istituzioni, sottrazione della funzione disciplinare.
Le correnti si sono rese protagoniste di torsioni corporative e clientelari mai del tutto debellate. L’ANM ha però dimostrato di volerle superare e il Consiglio ha lavorato in questi anni per ridimensionarle il più possibile, nelle sue azioni e nelle regole che si sono adottate. Dobbiamo essere consapevoli che il rischio di un ritorno di quelle torsioni è immanente, ma altrettanto attuale è il pericolo di un ridimensionamento del ruolo del CSM che riporti la magistratura ai tempi di una casta burocratica e ossequiente al potere, nient’affatto conciliabile coi principi solidaristici, egualitari e d’indipendenza che permeano la nostra Costituzione.
Non esiste un’opzione accettabile tra quel rischio, da un lato, e quel pericolo, dall’altro: c’è invece una terza via che va percorsa senza tentennamenti, lungo la quale il nostro governo autonomo operi libero da tentazioni di appartenenza correntizia e fedele al proprio ruolo costituzionale e democratico.
A tutti noi spetta vigilare – e in questo “noi” siete “voi” la parte in cui confidiamo per le nuove idee che saprete apportare – perché sappiamo meritarci la fiducia dei cittadini, rivendicando il ruolo che i padri costituenti hanno riservato al Consiglio in una logica non scada nel corporativismo, ma sappia essere pluralistica e di servizio per il cittadino.
[1] G.A. Stella e B. Tucci, Le BR uccidono all’università di Roma Bachelet, il vice di Pertini al consiglio della magistratura, in Corriere della sera¸13 febbraio 1980.
[2] G. Bianconi, Perché l’omicidio di Vittorio Bachelet fu il più grave della stagione terrorista, in www.corriere.it, consultato per l’ultima volta il 29 novembre 2025.
[3] L. De Luca, 40 anni fa, l’assassinio di Bachelet: la grande lezione di perdono della famiglia, in www.vaticannews.va/it, consultato per l’ultima volta il 29 novembre 2025.
[4] La nota metafora è richiamata, tra gli altri, da C. Salazar, L’organizzazione interna delle procure e la separazione delle carriere, in www.associazionedeicostituzionaliti.it, 9 gennaio 2009, 40.
[5] Corte cost. 30 aprile 1968, n. 44.
[6] M. Luciani, Relazione al Corso straordinario organizzato dalla Scuola della Magistratura su “Le garanzie istituzionali di indipendenza della magistratura in Italia”, Roma, 5-7 novembre 2019, 7.
[7] M. Luciani, cit., 9.
[8] Cfr. G. Silvestri, Consiglio Superiore della Magistratura e sistema costituzionale, in www.questionegiustizia.it, consultato il 29 novembre 2025.
[9] La citazione è riportata da E. Bruti Liberati, Conclusioni, in Ricordando Alessandro Pizzorusso, La partecipazione di Alessandro Pizzorusso al Csm (1990-1994) e le successive “stagioni”, Milano, 2025, 303.
