L’esame d’ufficio dell’abusività delle clausole dei contratti con i consumatori nella elaborazione della Corte UE
di Silvia Vitrò
Sommario: 1. La sentenza della Corte di Giustizia dell’11.3.2020, causa C-511/17. – 2. Il principio di effettività e l’elaborazione della Corte UE circa l’esame d’ufficio dell’abusività delle clausole dei contratti stipulati con i consumatori. – 2.1. Il principio di effettività. – 2.2. Le nullità di protezione. – 2.3. La rilevabilità d’ufficio nella giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia. – 2.4. La rilevabilità d’ufficio nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. – 3. Le novità introdotte dalla sentenza della Corte UE dell’11.3.2020.
1. La sentenza della Corte di giustizia dell’11.3.2020, causa c-511/17
Nella causa C‑511/17[1], avente ad oggetto domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Corte di Budapest Capitale, Ungheria, con decisione del 18 luglio 2017, nel procedimento Györgyné Lintner v. UniCredit Bank Hungary Zrt., la domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la signora Györgyné Lintner e la UniCredit Bank Hungary Zrt., riguardo all’abusività di talune clausole che figurano in un contratto di mutuo ipotecario espresso in valuta estera[2].
Il 13 dicembre 2007 la sig.ra Lintner stipulava con l’UniCredit Bank un contratto di mutuo ipotecario espresso in valuta estera. Tale contratto contiene talune clausole che conferiscono all’UniCredit Bank il diritto di modificare unilateralmente detto contratto.
Il 18 luglio 2012 la Corte di Budapest è stata chiamata a pronunciarsi su un ricorso, basato segnatamente sulla direttiva 93/13, proposto dalla sig.ra Lintner e diretto a ottenere la pronuncia retroattiva dell’invalidità di tali clausole. La Corte ha respinto il ricorso.
La Corte d’appello regionale di Budapest, su appello interposto dalla sig.ra Lintner, ha annullato tale sentenza e rinviato la causa alla Corte di Budapest, ricordando che, nella sua giurisprudenza relativa alla direttiva 93/13, essa aveva sistematicamente evocato il principio secondo cui il giudice, nelle cause relative a contratti stipulati con i consumatori, deve esaminare d’ufficio il carattere abusivo delle clausole contenute in tali contratti.
La Corte di Budapest, chiamata allora a pronunciarsi d’ufficio su clausole che la sig.ra Lintner non aveva censurato, neanche in modo indiretto, si è chiesta in quale misura dovesse procedere all’esame del carattere abusivo di ogni clausola di un contratto e ha fatto riferimento alla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, in particolare alla sentenza del 4 giugno 2009, Pannon GSM (C‑243/08, EU:C:2009:350), da cui risulterebbe che la valutazione d’ufficio del carattere abusivo delle clausole è motivata dal fatto che il consumatore ignora i suoi diritti o che è dissuaso dal farli valere, a causa delle spese che un’azione giudiziaria comporterebbe.
In tale contesto, la Corte di Budapest ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13] debba essere interpretato – anche in considerazione della normativa nazionale relativa alla rappresentanza processuale obbligatoria – nel senso che occorre esaminare individualmente ogni clausola contrattuale nella prospettiva della possibilità di considerarla abusiva, indipendentemente dalla circostanza che sia effettivamente necessario un esame dell’insieme delle pattuizioni del contratto per statuire in ordine alla domanda formulata nell’ambito dell’azione.
2) Se invece, in senso opposto a quanto si espone nella prima questione, l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva [93/13] debba essere interpretato nel senso che occorre esaminare tutte le altre clausole del contratto per concludere che la clausola sulla quale si fonda la domanda è abusiva.
3) Nell’ipotesi di una risposta affermativa alla seconda questione, se da ciò consegua che, per poter determinare il carattere abusivo della clausola in parola, occorra procedere all’esame del contratto nella sua interezza, sicché il carattere abusivo di ciascuno degli elementi del contratto non deve essere esaminato autonomamente e indipendentemente dalla clausola impugnata nella domanda giudiziale».
2. Il principio di effettività e l’elaborazione della Corte UE circa l’esame d’ufficio dell’abusività delle clausole dei contratti stipulati con i consumatori. 2.1. Il principio di effettività.
Ai sensi dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea:
”Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo”.
Il principio di effettività implica, dunque, la concreta realizzazione del diritto ad una tutela giudiziaria effettiva.
Le Corti nazionali ed extra nazionali si sono da tempo occupate di questo argomento.
Per esempio la Corte Costituzionale con una sentenza n. 238/2014[3] ha ricollegato il principio di effettività al combinato disposto degli articoli 2, 3, 24 della costituzione; nella sentenza n. 164 del 12 luglio 2017[4] i principi di effettività ed equivalenza di matrice europea sono fatti assurgere «a cardini necessari di ogni diritto nazionale in tema di responsabilità dello Stato per le conseguenze del danno provocato da provvedimenti giurisdizionali adottati in violazione del diritto europeo».
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 21255/2013[5] ha fatto riferimento a “rimedi adeguati per tutelare una irripetibile e unica situazione sostanziale di interesse giuridicamente tutelabile”.
La Corte di Giustizia UE applica il principio di effettività tramite l'interpretazione delle direttive.
la Corte EDU è intervenuta via via negli anni per garantire il diritto ad un rimedio effettivo anche di diritti fondamentali inerenti la proprietà, il contratto, la protezione dei diritti sociali.
Ultimamente, nella giurisprudenza delle Corti Europee e Nazionali si è formato l’orientamento secondo il quale la tutela sostanziale ed effettiva dei diritti fondamentali venga realizzata in primo luogo attraverso l'uso di poteri processuali del giudice, sempre più incisivi, più adeguati a rendere appunto effettiva la tutela giurisdizionale dei diritti.
Ciò avviene principalmente attraverso il superamento della barriera costituita dal principio “chiesto/pronunciato”, attraverso il rilievo d'ufficio della natura abusiva delle clausole e attraverso l'adozione di criteri ermeneutici del diritto interno conformi alla lettera e allo scopo delle direttive comunitarie e compatibili con la convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Nella materia del diritto dei consumatori si parla di nullità di protezione del consumatore. È stato così introdotto un nuovo concetto di ordine pubblico di protezione, che non tutela un interesse generale della collettività, ma solo alcuni soggetti giuridici, appartenenti a gruppi sociali caratterizzati da vulnerabilità e debolezza.
E così che è nata la rilevabilità d'ufficio di nullità relative. Perché in realtà in tal modo è anche protetto il mercato, cioè l'interesse generale al suo sviluppo, tramite la protezione di chi può assicurare tale sviluppo, cioè i consumatori.
E, nelle sentenze della Corte di Giustizia, si è fatta strada negli ultimi anni l'idea che si tratti non di una mera facoltà, ma di un obbligo del giudice di valutare d'ufficio la natura abusiva nelle clausole contrattuali, interpellando il consumatore per accertare se il mancato rilievo di parte sia frutto di una scelta consapevole o meno e provvedendo poi al rilievo della nullità in assenza di un'espressa dichiarazione del consumatore di non voler invocare la natura abusiva della clausola.
Altri profili rilevanti sono quelli del superamento dell'autorità di cosa giudicata, della possibile disapplicazione di clausole vessatorie anche in fase monitoria, dell'esame del titolo esecutivo da parte del giudice dell'esecuzione, del mantenimento in vigore del contratto una volta eliminate le clausole abusive, a meno che l'eliminazione del contratto sia più favorevole al consumatore, delle azioni di classe, laddove la rilevanza di poteri processuali del giudice si può manifestare già nella fase preliminare attraverso una disciplina puntuale della pubblicità dell'azione di classe e delle forme di adesione all'azione.
2.2. Le nullità di protezione.
Il Codice del Consumo italiano contiene una elencazione esemplificativa di clausole che si presumono vessatorie fino alla prova contraria (art. 33, 2° comma del Codice del consumo, lettere da a) a v ter), c.d. "lista grigia"), contrapposta alla individuazione di una serie di clausole ritenute comunque vessatorie (art. 36, 2° comma del Codice del Consumo, lett. da a) a c), c.d. "lista nera").
In questo secondo caso si tratta di un regime particolarmente rigoroso e protezionistico per il consumatore:
a) perché sono clausole nulle sempre e comunque, anche se sono state concordate tra le parti, e quindi inizialmente volute dal consumatore;
b) non solo non è sufficiente la semplice approvazione scritta, ma anche la consapevole volontà di aderire a tali condizioni, perché frutto di trattativa, non basta a dare loro validità, in quanto, essendo obiettivamente dannose per il consumatore, questi, pur avendole inizialmente accettate e concordate, è sempre libero di farne valere l’illiceità.
In base all’art. 34, la vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione e alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende.
In base all’art. 36, le clausole vessatorie vengono considerate nulle, mentre il contratto rimane valido; la nullità opera solo a vantaggio del consumatore, e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
2.3. La rilevabilità d’ufficio nella giurisprudenza della Corte europea di giustizia.
Venendo più specificamente alla questione della rilevabilità d’ufficio delle nullità da parte del giudice e dell’intensificarsi dei suoi poteri processuali, si nota che si stanno appunto modificando i poteri processuali del giudice.
Il diritto processuale è immutato, quindi si tratta solo di un cambiamento giurisprudenziale, attraverso il dialogo tra le Corti nazionali e le Corti europee.
In particolare, si è assistito ad una evoluzione della giurisprudenza della Corte Europea di Giustizia, che si è espressa attraverso una serie di pronunce inerenti la materia di clausole abusive nei contratti dei consumatori. Tali sentenze delineano, pur con diversità di accenti, la posizione assunta dai giudici della Corte, che guardano al grado di effettività della tutela giurisdizionale per il consumatore ed ai livelli ottimali di concorrenzialità del mercato comune[6].
Il primo punto fermo in materia è stato fissato dalla Corte di Giustizia europea nella sentenza Oceano Grupo Editorial (27/6/2000, C-240/98 e C-244/98)[7], che ha asseverato l’interpretazione dell’art. 6, par. 1, dir. 93/13 CEE sulle clausole abusive, secondo la quale ≪il giudice (anche in assenza di espressa previsione normativa) nell’esaminare l’ammissibilità di un’istanza propostagli, possa valutare d’ufficio l’illiceità di una clausola del contratto per cui è causa≫, rilevando che ≪il sistema di tutela istituito dalla direttiva si basa sull’idea che la disuguaglianza tra il consumatore e il professionista, per quanto riguarda sia il potere nelle trattative, sia il grado di informazione, possa essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale≫.
Una volta stabilito da Oceano Grupo Editorial che il giudice nazionale ha il potere di rilevare d’ufficio le nullità di protezione, si trattava di individuare i limiti entro i quali il giudice, anche alla luce degli ordinamenti interni, potesse esercitare tale potere.
Con la coeva sentenza Cofidis (21/11/2002, C-473/00)[8], il giudice comunitario ha nuovamente espresso il proprio convincimento, affermando che la dir. 93/13/CEE ≪osta a una normativa interna che, in un’azione promossa da un professionista nei confronti di un consumatore e basata su un contratto stipulato tra loro, vieti al giudice nazionale, alla scadenza di un termine di decadenza, di rilevare, d’ufficio o a seguito di un’eccezione sollevata dal consumatore, il carattere abusivo di una clausola inserita nel suddetto contratto≫, poiché questo comporterebbe una ingiustificata diminuzione della tutela che la normativa comunitaria riserva al consumatore.
Successivamente, con la sentenza Mostaza Claro (26/10/2006, C-168/05)[9], la Corte ha ribadito tali principi e, in particolare, ha stabilito che la direttiva comunitaria de qua ≪dev’essere interpretata nel senso che essa implica che un giudice nazionale, chiamato a pronunciarsi sulla impugnazione di un lodo arbitrale, rilevi la nullità dell’accordo arbitrale e annulli il lodo, nel caso ritenga che tale accordo contenga una clausola abusiva, anche qualora il consumatore non abbia fatto valere tale nullità nell’ambito del procedimento arbitrale, ma solo in quello per l’impugnazione del lodo≫.
Nella sentenza Asturcom (6/10/2009, C-40/08)[10], la Corte afferma che, solo ove le norme procedurali interne contemplino la facoltà per il giudice di vagliare officiosamente la contrarietà della clausola compromissoria ai principi dell’ordine pubblico, il giudice potrà procedere ad accertare l’abusività di una siffatta clausola ex art. 6 direttiva, e che egli è tenuto a valutare d’ufficio l’abusività di una siffatta clausola solo a partire dal momento in cui dispone degli elementi giuridici e fattuali necessari.
Inizia a profilarsi in questo momento il problema del coordinamento della disciplina consumeristica con i principi del diritto processuale interno.
Su questa scia, con la sentenza Pannon (4/6/2009, C-243/08)[11], il giudice comunitario ha precisato che ≪il giudice nazionale deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine. Se esso considera abusiva una siffatta clausola, non deve applicarla, tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga≫.
Sussiste, dunque, non solo una facoltà, ma un vero obbligo del giudice nazionale di valutare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale, in tal modo ponendo un argine allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista.
Ebbene, poiché nella pratica non è affatto detto che il consumatore dichiari espressamente, sua sponte, nei propri scritti difensivi, di non volersi avvalere del diritto ad impugnare la clausola vessatoria, sarà onere del giudicante, preliminarmente all’esercizio dei propri poteri d’ufficio, d’interpellare il consumatore per accertare se la mancata impugnativa della clausola costituisca il frutto di una scelta consapevole e non, piuttosto, di una carenza difensiva.
Solo all’esito dell’interpello, ed in assenza di un’espressa dichiarazione del consumatore di non volere invocare la natura abusiva e non vincolante della clausola, il giudice nazionale dovrà dichiararne la nullità.
Tali precisazioni sono rafforzate dalla successiva sentenza Eva Martin Martin (17/12/2009, C-227/08)[12], nella quale la Corte ribadisce che un giudice nazionale ha il potere dovere di rilevare d’ufficio la nullità di un contratto ancorché questa non sia mai stata opposta dal consumatore e che come limite opera la sola circostanza che il suddetto consumatore, debitamente interpellato dal giudice, dichiari di non volersi avvalere di questa nullità.
Restavano aperti alcuni interrogativi in merito ai poteri del giudice nazionale di rilevare la nullità. In particolare ci si era chiesti: 1) se il giudice possa rilevare d’ufficio la nullità anche in caso di contumacia del consumatore; 2) se il giudice possa rilevare d’ufficio la nullità nel caso in cui abbia interpellato il consumatore in merito alla possibilità di avvalersi della nullità di protezione disposta in suo favore, e il consumatore non si sia pronunciato; 3) se il giudice possa rilevare d’ufficio la nullità nel caso in cui il consumatore abbia radicato la controversia in conformità della clausola abusiva che in ipotesi gli è sfavorevole.
Riguardo al punto 1) la dottrina più recente ha ritenuto che la contumacia non sia di per sè indice della volontà di non avvalersi della nullità e, pertanto, che il giudice sia libero di rilevare la nullità d’ufficio.
Circa le questioni di cui ai punti 2) e 3), la dottrina più recente ammette che il comportamento processuale del consumatore rilevi nel senso di una rinuncia, anche tacita, ad avvalersi della clausola.
La Corte di Giustizia, però, richiede al giudice di non applicare la clausola nulla tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga, presupponendo cosi un intervento attivo al fine di evitare la declaratoria di nullità.
Per quanto riguarda l’espressione, contenuta, fra l’altro, nella sentenza Pannon, secondo cui il giudice ha l’obbligo di rilevare la vessatorietà di una clausola dal momento in cui dispone degli elementi di fatto e diritto necessari a tal fine, si intende far riferimento ad autonomi poteri di iniziativa istruttoria del giudice, a integrazione delle prove dedotte dalle parti.
Così la sentenza Penzugyi Lizing ZRT (9/11/2010, C-137/08)[13], ove viene statuito un obbligo imposto al giudice di adottare misure istruttorie, allo scopo dell’osservanza di una norma imperativa di ordine pubblico.
Altre pronunce della Corte di Giustizia UE appaiono rilevanti ed in particolare:
- Corte UE, 15 marzo 2012, C-453/10, Caso Perenicˇovà[14], sulla caducazione dell’intero contratto a causa della nullità delle clausole vessatorie. La finalità della dir. 93/13 consiste nel ripristinare l’equilibrio delle parti salvaguardando al contempo in linea di principio la validità del contratto nel suo complesso. Però, in linea con la previsione del suo art. 8, la direttiva non osta a che uno Stato membro preveda, nel rispetto del diritto dell’Unione, che un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore e contenente una o più clausole abusive sia nullo nel suo complesso qualora ciò risulti garantire una migliore tutela del consumatore.
- Corte di Giustizia UE, 14 giugno 2012, C-618/10 (Banco Espanol de Credito)[15]: la Corte ha avuto modo di affermare due importanti principi in materia di clausole vessatorie e tutela del consumatore:a) i giudici sono tenuti ad esaminare d’ufficio l’eventuale vessatorietà delle clausole contenute nei contratti con i consumatori a partire dal momento in cui dispongono degli elementi di fatto e di diritto per farlo. Ciò significa che anche nella fase monitoria il giudice deve disapplicare le clausole vessatorie, eventualmente respingendo il ricorso che si fondi su una pattuizione in grado di determinare una squilibrio contrattuale in danno del consumatore. Tale verifica, prosegue la Corte, non può essere rinviata alla successiva fase dell’opposizione in quanto questa ha un carattere meramente eventuale; b) la Corte poi esclude la possibilità che il giudice interno possa essere munito di poteri equitativi strumentali alla riformulazione del contenuto di una clausola vessatoria in modo tale da renderla legittima e quindi efficace fra le parti. Per la Corte, di fronte a una clausola vessatoria il giudice interno non può percorrere una strada diversa da quella della sua disapplicazione, lasciando in piedi la restante parte del contratto qualora questo funzioni anche senza la clausola da eliminare.
- Corte di Giustizia UE, 21 febbraio 2013 C- 472/11 (Banif Plus BankZrt)[16]: “ il principio del contraddittorio implica anche il diritto delle parti di prendere conoscenza e di discutere i motivi di diritto rilevati d’ufficio dal giudice, sui quali quest’ultimo intenda fondare la propria decisione…..Ne consegue che il giudice nazionale, nell’ipotesi in cui, dopo aver stabilito, sulla base degli elementi di fatto e di diritto di cui dispone, o che gli sono stati comunicati in seguito alle misure istruttorie che ha adottato d’ufficio a tal fine, che una clausola rientra nell’ambito di applicazione della direttiva, constati, al termine di una valutazione cui ha proceduto d’ufficio, che tale clausola presenta carattere abusivo, esso deve, di norma, informarne le parti della controversia e invitarle a discuterne in contraddittorio secondo le forme previste al riguardo dalle norme processuali nazionali.”
- Corte di Giustizia UE, 14 marzo 2013, nella causa C-415/11 (Aziz)[17]: la Corte ha considerato che la direttiva sulle clausole abusive ostava alla normativa spagnola che non consentiva, al giudice competente a dichiarare il carattere abusivo di una clausola, di sospendere il procedimento di esecuzione ipotecaria, quando ciò era necessario per garantire la piena efficacia della sua decisione finale.
- Corte di Giustizia UE sez. 1, 30 maggio 2013 n. 397 (Erika Joros)[18]: vuole garantire protezione al consumatore permettendo al giudice nazionale, in forza del principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, di valutare anche d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale anche qualora il consumatore non abbia presentato domanda tesa al riconoscimento di detta clausola assicurandosi, altresì, che il contratto possa essere mantenuto senza detta clausola.
- Corte di Giustizia 17 luglio 2014, C-169/2014 (Sanchez Morcillo)[19]: affronta la questione della compatibilità di alcune norme processuali in materia di esecuzione rispetto al principio di effettività e all’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. In particolare, di fronte a una procedura di esecuzione ipotecaria in cui il consumatore, che ha proposto opposizione all’esecuzione facendo valere l’esistenza di clausole vessatorie, non può proporre appello di fronte al rigetto di detta opposizione, la mancata previsione della sospensione della procedura esecutiva da parte del giudice di merito non è compatibile con il principio di effettività, declinato rispetto ai diritti previsti dalla direttiva 93/13/CE.
- Corte di Giustizia UE 21 gennaio 2015, Rel. Levits[20]: cause riunite C-482/13, C-484/13, C-485/13 e C-487/13.
La Corte di Giustizia, nel dare soluzione ai casi sottoposti al suo vaglio, argomentando sulla base degli articoli 3, 6 e 7 della citata direttiva e richiamando i suoi precedenti orientamenti (Kásler et Káslerné Rábai C-26/13, in Dir. civ. cont. 25 giugno 2014, con nota di D’Adda; Asbeek Brusse e de Man Garabito, C-488/11, EU:C:2013:341, punto 57; Banco Español de Crédito, C-618/10, EU:C:2012:349, punto 65), riafferma il principio secondo cui il contratto contenente una clausola vessatoria rimane vincolante nella sua restante parte, nonostante la nullità della singola clausola, essendo esclusa qualsiasi sostituzione automatica delle clausole nulle con norme legislative di tipo dispositivo o qualsiasi etero-correzione del regolamento negoziale a mezzo provvedimento giudiziale. Normative nazionali che permettessero l’integrazione del contratto sarebbero in contrasto con il dato normativo della direttiva e vanificherebbero la realizzazione dell’obiettivo di lungo termine di cui all’articolo 7 della medesima, che assolve a funzione dissuasiva dell’inserimento di clausole abusive nei contratti. Solo in un caso la descritta regola soffrirebbe invece di una deroga: ove il contratto concluso tra professionista e consumatore non potesse sussistere dopo l’eliminazione della clausola abusiva, con conseguente grave pregiudizio per il consumatore, sarebbe compatibile con il diritto dell’Unione una regola di diritto nazionale che permettesse al giudice nazionale di ovviare alla nullità della suddetta clausola sostituendo a quest’ultima una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva (Kásler C-26/13, in Dir. civ. cont. 25 giugno 2014).
- Corte di Giustizia UE 21 gennaio 2015, C-482/13[21]: clausole abusive e integrazione del contratto: con la sentenza “Unicaja Banco” si riafferma il principio della mera caducazione della clausola nulla.
La normativa spagnola relativa alla tutela dei consumatori è stata modificata a seguito della sentenza Aziz della Corte di giustizia. Ormai, qualora, nell'ambito di un procedimento esecutivo, il giudice accerti il carattere abusivo di una o più clausole, può dichiarare l’improcedibilità dell’esecuzione o disporre l'esecuzione senza applicare le clausole considerate abusive.
- Corte di Giustizia UE, 18 febbraio 2016, causa C-49/14 (Finanmadrid[22]): «La direttiva 93/13/CEE deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale che non consente al giudice investito dell’esecuzione di un’ingiunzione di pagamento di valutare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola inserita in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, ove l’autorità investita della domanda d’ingiunzione di pagamento non sia competente a procedere a una simile valutazione». Dunque, il giudice deve potere rilevare la presenza di un’eventuale clausola abusiva ai danni del consumatore anche in fase esecutiva, non ostando a ciò neppure l’autorità di cosa giudicata del titolo esecutivo. Per esempio: mutui bancari al cui interno sono inserite clausole, quali tassi sopra soglia o penali per estinzione anticipata del contratto, il cui contenuto presenta spesso carattere di abusività dal momento che impone al consumatore un regolamento contrattuale sbilanciato a favore della banca.
- Corte giustizia UE, sez. III, 21/04/2016, n.377 (Radlinger)[23]: crediti dichiarati nel contesto di un procedimento per insolvenza e derivanti da un contratto di credito al consumo. L'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE, dev'essere interpretato nel senso che osta a una normativa procedurale nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, in un procedimento per insolvenza, non consente al giudice chiamato a pronunciarsi in tale procedimento di esaminare d'ufficio la natura eventualmente abusiva di clausole contrattuali dalle quali derivano crediti dichiarati nell'ambito del predetto procedimento, anche qualora tale giudice disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine.
- Corte di Giustizia UE, 14 giugno 2017, C-685/15 (Online Games)[24], è intervenuta sul tema del bilanciamento tra rilevabilità d’ufficio e imparzialità del giudice. Il giudice del rinvio dubita che sia compatibile con l'articolo 47 della Carta e con l'articolo 6 della CEDU il principio secondo cui il giudice adito deve istruire d'ufficio i fatti che possono costituire illeciti amministrativi a carattere penale. Ad avviso del giudice del rinvio, un obbligo siffatto è idoneo a pregiudicare l'imparzialità del giudice, il cui ruolo si confonderebbe con quello dell'autorità incaricata di promuovere l'accusa.
L'articolo 19, paragrafo 1, TUE impone, peraltro, agli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per garantire una tutela giurisdizionale effettiva, in particolare ai sensi dell'articolo 47 della Carta, nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione. Secondo la Corte non vi sono motivi per ritenere che un siffatto sistema processuale sia idoneo a far sorgere dubbi quanto all'imparzialità del giudice nazionale, dal momento che quest'ultimo è tenuto a istruire la causa di cui è investito non al fine di sostenere l'accusa, bensì al fine di accertare la verità.
- Corte giustizia UE, sez. I, 26/01/2017, n.421 (Banco Primus SA)[25]: la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che non osta a una norma nazionale che vieta al giudice di riesaminare d'ufficio il carattere abusivo delle clausole di un contratto, qualora sia stato già statuito sulla legittimità di tutte le clausole di tale contratto alla luce di detta direttiva con una decisione munita di autorità di cosa giudicata. Per contro, in presenza di una o di più clausole contrattuali la cui eventuale abusività non sia ancora stata esaminata nell'ambito di un precedente controllo giurisdizionale del contratto controverso terminato con una decisione munita di autorità di cosa giudicata, la direttiva 93/13 deve essere interpretata nel senso che il giudice nazionale, regolarmente adito dal consumatore mediante un'opposizione incidentale, è tenuto a valutare, su istanza delle parti o d'ufficio, qualora disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, l'eventuale abusività di tali clausole.
- Corte di Giustizia UE, 7 dicembre 2017, C-598/15 (Banco Santander)[26]: la Corte di Giustizia ha escluso che vi sia spazio per la rilevazione officiosa della nullità delle clausole vessatorie, e più in generale per l’applicazione degli art. 6, comma 1 e 7 comma 1, della direttiva 93/13/CE, in una procedura di sfratto promossa dall’aggiudicatario di un immobile “a seguito di un’esecuzione stragiudiziale della garanzia ipotecaria consentita su tale bene da un consumatore a vantaggio di un creditore professionale e avente ad oggetto la protezione dei diritti reali legittimamente acquistati da tale aggiudicatario, nei limiti in cui, da un lato, tale procedura è indipendente dal rapporto giuridico esistente tra il creditore professionale e il consumatore e, dall’altro, la garanzia ipotecaria è stata eseguita, l’immobile è stato venduto e i diritti reali ad esso relativi sono stati trasferiti senza che il consumatore abbia fatto uso degli strumenti giuridici previsti in tale contesto”.
- Corte UE 17 maggio 2018 C-147/16 (Karel de Grote)[27]: la direttiva 93/13/CEE (clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori) dev’essere interpretata nel senso che un giudice nazionale che si pronuncia in contumacia ed è competente, secondo le norme di procedura nazionali, ad esaminare d’ufficio se la clausola su cui si basa la domanda sia contraria alle norme nazionali di ordine pubblico e abbia natura abusiva.
- Corte giustizia UE, sez. VIII, 26/06/2019, n.407 (Al. e Jo. Ku / Addiko Bank d.d.)[28]: la clausola del contratto di mutuo ipotecario che prevede che il credito sia espresso in valuta estera e il rimborso sia effettuato in euro è da considerarsi abusiva, perché non limita il rischio di cambio per il consumatore. Pertanto, il giudice nazionale investito di una domanda di esecuzione forzata di un contratto di mutuo ipotecario, stipulato tra un professionista e un consumatore sotto forma di atto notarile direttamente esecutivo, deve poter accertare l'abusività delle clausole e sospendere l'esecuzione forzata.
- Corte giustizia UE, sez. III, 03/10/2019, n.260 (Addiko Bank)[29]: l'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che un giudice nazionale, dopo aver accertato il carattere abusivo di talune clausole di un contratto di mutuo indicizzato in una valuta estera ed associato a un tasso di interesse direttamente connesso al tasso interbancario della valuta interessata, ritenga, conformemente al suo diritto interno, che tale contratto non possa sussistere senza tali clausole, per il motivo che la loro eliminazione avrebbe come conseguenza la modifica della natura dell'oggetto principale di detto contratto. Da un lato, le conseguenze sulla situazione del consumatore provocate dall'invalidazione di un contratto nella sua interezza, come indicate nella sentenza del 30 aprile 2014, Kásler e Káslerné Rábai (C-26/13, EU:C:2014:282), devono essere valutate alla luce delle circostanze esistenti o prevedibili al momento della controversia, e, dall'altro, ai fini di tale valutazione, la volontà che il consumatore ha espresso al riguardo è determinante. L'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che sia posto rimedio alle lacune di un contratto, provocate dalla soppressione delle clausole abusive contenute in quest'ultimo, sulla sola base di disposizioni nazionali di carattere generale che prevedono l'integrazione degli effetti espressi in un atto giuridico mediante, segnatamente, gli effetti risultanti dal principio di equità o dagli usi, disposizioni queste che non sono né di natura suppletiva né applicabili in caso di accordo tra le parti del contratto.
- Corte di Giustizia UE, 7 novembre 2019, C‑419/18 e C‑483/18 (Profi Credit Polska)[30]: occorre rispondere alla seconda questione nella causa C-419/18 e alla questione sottoposta nella causa C-483/18 dichiarando che l'articolo 6, paragrafo 1, e l'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, nonché l'articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 devono essere interpretati nel senso che qualora, in circostanze come quelle di cui ai procedimenti principali, un giudice nazionale nutra seri dubbi sulla fondatezza di una domanda basata su un pagherò cambiario volto a garantire il credito derivante da un contratto di credito al consumo, e tale pagherò sia stato inizialmente emesso in bianco dal sottoscrittore e completato successivamente dal beneficiario, tale giudice deve esaminare d'ufficio se le clausole convenute tra le parti abbiano carattere abusivo e, a tal riguardo, può chiedere al professionista di produrre l'atto scritto che accerta tali clausole, di modo che detto giudice sia in grado di sincerarsi del rispetto dei diritti conferiti ai consumatori da tali direttive[31].
2.4. La rilevabilità d’ufficio nella giurisprudenza della Corte di cassazione
La Corte di Cassazione si è via via, lentamente, inserita nel solco tracciato dalla Corte di Giustizia:
Cassazione, sez. III, 14/3/2014 n. 5952[32] ha ritenuto che il potere del giudice di rilevare d'ufficio le nullità del contratto di assicurazione o delle singole clausole di esso, va coordinato necessariamente con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Ne consegue che il contraente, laddove deduca la nullità di una clausola di delimitazione del rischio, è tenuto ad allegare ritualmente i fatti costitutivi dell'eccezione (ovvero l'esistenza della clausola, la sua inconoscibilità, il suo contenuto in tesi vessatorio) nella comparsa di risposta o con le memorie di cui all'art. 183 cod. proc. civ.
Con sentenza del 21 marzo 2014, n. 6784[33] la Corte di Cassazione ha stabilito che la clausola vessatoria di un contratto, in cui una delle parti è un consumatore, anche se è stata oggetto di trattativa, deve ritenersi inefficace, mentre il resto del contratto rimane in vigore. L’inefficacia opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado.
Nel caso di specie la Corte ha ritenuto, tra l’altro, che la rilevabilità d’ufficio possa avvenire anche nell’ambito del procedimento d’appello, qualora l’eccezione non fosse stata rilevata in primo grado.
Già le Sezioni Unite con sentenza n. 14828del 2012 avevano affermato la rilevabilità d’ufficio, recependo l’orientamento della Corte di Giustizia del 4.06.2009 nel procedimento n. 243/08, secondo il quale il giudice deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola contrattuale e in quanto nulla, non applicarla, tranne che nel caso in cui il consumatore vi s opponga.
Il giudice di merito ha il potere di rilevare, dai fatti allegati e provati o emergenti "ex actis", ogni forma di nullità non soggetta a regime speciale e, provocato il contraddittorio sulla questione, deve rigettare la domanda di risoluzione, volta ad invocare la forza del contratto.
Cassazione civile sez. un., 12/12/2014, n.26242 e 26243[34] ebbe a riconoscere che la rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una "species" del più ampio "genus" rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali — quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l'uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) — che trascendono quelli del singolo.
Il rilievo d'ufficio della nullità costituisce irrinunciabile garanzia della tutela dell'effettività dei valori fondamentali dell'organizzazione sociale..
Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale, e, qualora le parti, all'esito di tale indicazione officiosa, omettano un'espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l'originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo.
Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l'esistenza di una causa di quest'ultima diversa da quella allegata dall'istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicchè è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio.
In Cass.15 febbraio 2016 n. 2910[35] i giudici di legittimità decidono su un caso in cui una parte ha dedotto in primo grado la nullità di un contratto di conto corrente bancario, o in subordine la nullità parziale dei contratti in ordine alla determinazione del tasso di interesse e alla capitalizzazione trimestrale.
In primo grado viene accolta la domanda di nullità parziale, e in appello vengono ritenute inammissibili per novità due ulteriori domande formulate per la prima volta dall’attrice, una delle quali riguardante la nullità della clausola di applicazione della commissione di massimo scoperto. La Corte di Cassazione, richiamando le pronunce delle Sezioni Unite del 2014 cui si è fatto riferimento, sostiene che “ove sia mancata la rilevazione d'ufficio della (parziale) nullità in primo grado, il giudice ha pur sempre la possibilità di rilevarla in appello.. Se la nullità parziale non sia stata rilevata in primo grado, la stessa parte può farla valere con l’appello senza incorrere nel divieto dei nova, giacché finanche in appello il giudice può rilevare la nullità suddetta e sottoporla al contraddittorio proprio allo scopo di consentire alla parte interessata di formulare la domanda.
Quanto a Cassazione 17 gennaio 2017, n. 923[36] la Corte di Cassazione ha affermato che nelle ipotesi di clausole vessatorie la nullità ex art. 33 cod. cons. ss. opera in funzione della tutela del consumatore. Tali nullità nondimeno sono poste a tutela anche di “interessi e valori fondamentali - quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l'uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) - che trascendono quelli del singolo”.
La Corte sostiene che la nullità di protezione possa essere rilevata dal giudice ex officio anche nel
giudizio di appello, salvo il caso in cui si sia formato giudicato interno.
La Corte di Cassazione dunque conferma l’indirizzo giurisprudenziale per cui la rilevabilità officiosa si estende anche alle nullità di protezione, salvo il principio per cui “le questioni esaminabili di ufficio, che abbiano formato oggetto nel corso del giudizio di merito di una specifica domanda od eccezione, non possono più essere riproposte nei gradi successivi del giudizio, sia pure sotto il profilo della sollecitazione dell’organo giudicante ad esercitare il proprio potere di rilevazione ex officio, qualora la decisione o l’omessa decisione di tali questioni da parte del giudice non abbia formato oggetto di specifica impugnazione, ostandovi un giudicato interno che il giudice dei gradi successivi deve in ogni caso rilevare”.
Va infine ricordata Cass., sez. I Civile, ordinanza n. 19748/18; depositata il 25 luglio[37] secondo la quale la nullità delle clausole vessatorie a danno del consumatore è sempre rilevabile d’ufficio.
3. Le novità introdotte dalla sentenza della Corte UE dell’11.3.2020
Sinteticamente, secondo la decisione C-511/17, un giudice, dinanzi al quale un consumatore fa valere che talune clausole contrattuali sono abusive, è tenuto a verificare di propria iniziativa altre clausole del contratto, nei limiti in cui le stesse siano connesse all’oggetto della controversia.
Egli deve, all’occorrenza, adottare misure istruttorie per acquisire gli elementi di diritto e di fatto necessari a tale verifica.
Pertanto, rispetto all’elaborazione giurisprudenziale precedente, questa decisione della Corte UE precisa i limiti dell’obbligo del giudice di verificare l’abusività delle clausole non direttamente impugnate dal consumatore (obbligo delimitato alle clausole che siano connesse con quelle oggetto della contestazione espressa dell’attore consumatore).
E ribadisce e corrobora la facoltà del giudice di adottare d’ufficio, ai fini della suddetta verifica, misure istruttorie.
Più specificamente, la Corte UE parte dal principio secondo cui il giudice nazionale è tenuto ad esaminare d’ufficio, non appena disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, il carattere abusivo di una clausola contrattuale, allo scopo di ovviare allo squilibrio naturale che esiste tra il consumatore e il professionista, in applicazione del principio di effettività sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (sentenze Karel de Grote, C‑147/16; OTP Bank e OTP Faktoring, C‑51/17).
La Corte di Giustizia UE richiama una sua giurisprudenza costante, secondo la quale il sistema di tutela istituito dalla direttiva 93/13 è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative che il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse (es.: sentenze Pannon GSM, C‑243/08, e Karel de Grote, C‑147/16).
Per garantire la tutela voluta da detta direttiva, sempre secondo la giurisprudenza della Corte, la situazione di disuguaglianza tra il consumatore e il professionista può essere riequilibrata solo grazie a un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (sentenze VB Pénzügyi Lízing, C‑137/08; Karel de Grote, C‑147/16).
Afferma poi, innovando e precisando su questo punto rispetto all’elaborazione giurisprudenziale precedente, che il potere officioso del giudice in tema di verifica dell’abusività delle clausole dei contratti con i consumatori non è illimitato, non potendo il giudice spingersi fino a ignorare o eccedere i limiti dell’oggetto della controversia come definito dalle parti con le loro pretese.
Anzitutto, sottolinea la Corte UE, è ovviamente necessario che il procedimento giurisdizionale sia avviato da una delle parti del contratto perché tale tutela possa essere concessa (v., in tal senso, sentenza del 1° ottobre 2015, ERSTE Bank Hungary, C‑32/14).
Inoltre, il giudice nazionale non è tenuto ad estendere tale controversia al di là delle conclusioni e dei motivi presentati dinanzi al medesimo, verificando l’abusività di tutte le altre clausole di un contratto.
Ma quale è l’ampiezza di questi limiti?
Ed è qui che la Corte specifica, rispetto alla giurisprudenza passata, l’ampiezza del potere-dovere del giudice nazionale di rilevare l’abusività delle clausole di un contratto (solo parzialmente impugnato dal consumatore):-solo le clausole contrattuali che, pur non essendo interessate dal ricorso del consumatore, sono connesse all’oggetto della controversia quale definito dalle parti alla luce delle loro conclusioni e dei loro motivi, rientrano nell’obbligo di esame d’ufficio incombente al giudice e devono essere esaminate, per verificare il loro eventuale carattere abusivo, non appena quest’ultimo disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine.
La Corte passa poi ad un piano più strettamente allegatorio e probatorio, precisando, da un lato, che l’attuazione dell’obbligo di esame d’ufficio non impone al giudice di attenersi esclusivamente agli elementi di diritto e di fatto invocati dalle parti, potendo e dovendo il medesimo adottare d’ufficio misure istruttorie al fine di accertare se una clausola sia o meno abusiva ai sensi della direttiva 93/13, seguendo, sul punto le orme delle sentenze VB Pénzügyi Lízing e Profi Credit Polska.
Dall’altro lato, sottolinea che è necessario partire comunque dalle allegazioni delle parti, in particolare rilevando che il giudice nazionale è tenuto ad adottare d’ufficio misure istruttorie, purché gli elementi di diritto e di fatto già contenuti nel fascicolo a lui sottoposto suscitino seri dubbi quanto al carattere abusivo di talune clausole che, pur non essendo state impugnate dal consumatore, sono connesse all’oggetto della controversia.
Potrà, nell’esercizio di questo potere istruttorio officioso, chiedere alle parti, nel rispetto del contraddittorio, di fornirgli i chiarimenti e i documenti necessari a detto scopo.
Per esempio, nel caso di impugnazione di un conto corrente, potrebbe chiedere la produzione del contratto o degli estratti conto mancanti (questione, questa, dibattuta nella giurisprudenza nazionale in materia bancaria).
La Corte di Giustizia UE, a questo punto, esamina il caso di specie: sembra risultare che il giudice del rinvio muova dalla premessa secondo cui le clausole che non sono state impugnate dalla sig.ra Lintner non sono connesse all’oggetto della controversia principale, in quanto il seguito che occorre dare alle pretese di quest’ultima, riguardanti specificamente le clausole che consentono all’UniCredit Bank di modificare unilateralmente il contratto, non dipende in alcun modo da una decisione relativa a tali clausole.
Pertanto l’obbligo di esame d’ufficio risultante dalla direttiva 93/13 non si estende a dette clausole.
Tale constatazione lascia tuttavia impregiudicata la possibilità che la sig.ra Lintner decida, se del caso, in forza del diritto nazionale applicabile, di proporre un nuovo ricorso riguardante le clausole del contratto che non erano oggetto del suo ricorso iniziale o di estendere l’oggetto della controversia di cui il giudice del rinvio è investito, su invito di detto giudice o di propria iniziativa.
La Corte di Giustizia UE ribadisce poi principi già presenti nella giurisprudenza precedente secondo i quali:
- ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 93/13, «gli Stati membri possono adottare o mantenere, nel settore disciplinato dalla presente direttiva, disposizioni più severe, compatibili con il trattato, per garantire un livello di protezione più elevato per il consumatore»;
- qualora il giudice nazionale, sulla base degli elementi di fatto e di diritto di cui dispone o acquisiti d’ufficio, rilevi l’abusività di una clausola, lo stesso deve informare le parti e invitarle a discuterne in contraddittorio (si veda, in tal senso, sentenze del 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank, C‑472/11; e del 7 novembre 2019, Profi Credit Polska, C‑419/18 e C‑483/18).
-il giudice nazionale non è tenuto, in forza della direttiva 93/13, a disapplicare tali clausole contrattuali qualora il consumatore, dopo essere stato avvisato da detto giudice, non intenda invocarne la natura abusiva (sentenza del 4 giugno 2009, Pannon GSM, C‑243/08).
Infine la Corte, rispondendo all’ultimo quesito del giudice di rinvio, precisa che il giudice nazionale, per valutare il carattere eventualmente abusivo della clausola contrattuale su cui è basata la domanda di cui è investito, deve tener conto di tutte le altre clausole contrattuali (sentenza del 21 febbraio 2013, Banif Plus Bank, C‑472/11).
Ciò perché l’esame della clausola impugnata deve prendere in considerazione tutti gli elementi che possono essere pertinenti per comprendere tale clausola nel suo contesto, in quanto può essere necessario valutare l’effetto cumulativo di tutte le clausole di detto contratto (v., in tal senso, sentenza del 21 aprile 2016, Radlinger e Radlingerová, C‑377/14).
Tuttavia, conformemente alla risposta al primo quesito, da ciò non deriva che il giudice nazionale sia tenuto ad esaminare d’ufficio tutte le altre clausole contrattuali in modo autonomo, per accertarne il loro carattere eventualmente abusivo.
Quindi: si esaminano tutte le clausole per interpretare quelle impugnate; ma non si esamina il carattere abusivo o meno delle clausole non connesse all’oggetto della controversia.
[1]Corte di Giustizia, 11/3/2020 C-511/17, in Guida al diritto 2020, 15, 32
[2] La Corte UE esamina il diritto dell’Unione, tra cui:
Art. 4, paragrafo 1, direttiva 93/13: «Fatto salvo l’articolo 7, il carattere abusivo di una clausola contrattuale è valutato tenendo conto della natura dei beni o servizi oggetto del contratto e facendo riferimento, al momento della conclusione del contratto, a tutte le circostanze che accompagnano detta conclusione e a tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende».
Art. 6, paragrafo 1, direttiva 93/13: «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
[3] Corte Cost.., 22/10/2014 n. 238, in Giurisprudenza Costituzionale 2014, 5, 3853 (s.m.)
[4] Corte Cost., 12/7/2017 n. 164, in Responsabilità Civile e Previdenza 2018, 2, 484
[5] Cass., 17/9/2013 n. 21255, in Foro it. 2013, 11, I, 3121 (s.m.); Foro it. 2015, 9, I, 2909 (s.m.)
[6] Si vedano, in tema di excursus sulla giurisprudenza della Corte UE in materia di clausole abusive nei contratti con i consumatori: “ACTIONES Handbook on the Techniques of Judicial Interactions in the Application of the EU Charter
MODULE 4 – CONSUMER PROTECTION”, 2017, a cura del Prof. F. Cafaggi; G. Armone, “Principio di effettività e diritto del lavoro”, in https://www.questionegiustizia.it/articolo/principio-di-effettivita-e-diritto-del-lavoro_24-04-2018.php; A. Freda, “Riflessioni sulle c.d. nullita di protezione e sul potere-dovere di rilevazione officiosa”, in https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&ved=2ahUKEwignNao65fqAhXu_CoKHaRDBBgQFjAAegQIBhAB&url=http%3A%2F%2Fedizionicafoscari.unive.it%2Fmedia%2Fpdf%2Farticle%2Fricerche-giuridiche%2F2013%2F2%2Fart-10.14277-2281-6100-Ri-2-2-13-8.pdf&usg=AOvVaw2-t8fxzUK8UEpX3ahH9rUg .
[7] Corte di Giustizia 27/6/2000, C-240/98 e C-244/98, in Foro it. 2000, IV, 413.
[8] Corte di Giustizia 21/11/2002, C-473/00, in Foro it. 2003, IV, 16.
[9] Corte di Giustizia 26/10/2006, C-168/05, in Foro it. 2007, 7-8, IV, 374; Dir. economia 2006, 4, 841; Rivista dell'Arbitrato 2006, 4, 673 (s.m.); Dir. comunitario e scambi internaz. 2015, 1-2, 139 (s.m.)
[10]Corte di Giustizia, 6/10/2009, C-40/08, Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario 2010, 1, 280 (s.m.); Rivista dell'Arbitrato 2009, 4, 667 (s.m.); Rassegna di diritto civile 2010, 2, 498 (s.m.); Diritto comunitario e degli scambi internazionali 2015, 1-2, 140 (s.m.)
[11] Corte di Giustizia, 4/6/2009, C-243/08, in Foro it. 2009, 11, IV, 489; Rass. dir. civ. 2010, 2, 491 (s.m.); Giur. comm. 2010, 5, II, 794 (s.m.)
[12] Corte di Giustizia 7/12/2009, C-227/08, Giur. comm. 2010, 5, II, 794 (s.m.); Dir. comunitario e scambi internaz. 2010, 2, 289 ; Dir. comm. internaz. 2011, 2, 575(s.m.)
[13] Corte di Giustizia 9/11/2010, C-137/08, in Dir. comunitario e scambi internaz. 2010, 4, 711; Riv. dir. comm. 2012, 1, II, 45 (s.m.)
[14] Corte di giustizia 15/3/ 2012, C-453/10, in Dir. comunitario e scambi internaz. 2012, 1, 82; Foro it. 2013, 4, IV, 171
[15] Corte di Giustizia 14/6/2012, C-618/10, in Resp. civ. e prev. 2012, 6, 2061; Diritto e Giustizia online 2012, 15 giugno; Foro it. 2013, 4, IV, 170.
[16] Corte di Giustizia 21/2/2013 C- 472/11, in Guida al diritto 2013, 14, 97 (s.m); Foro it. 2014, 1, IV, 5.
[17] Corte di Giustizia 14/3/2013, nella causa C-415/11, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali 2013, 1-2, 160.
[18] Corte di Giustizia, sez. 1, 30/5/2013 n. 397, in Foro Amministrativo - C.d.S. (Il) 2013, 5, 1131 Foro it. 2014, 1, IV, 3.
[19] Corte di Giustizia 17/7/2014, C-169/2014, in https://dejure.it/#/ricerca/giurisprudenza_lista_risultati?isCorrelazioniSearch=false .
[20] Corte di Giustizia 21/1/2015 C-482/13, C-484/13, C-485/13 e C-487/13, in Diritto & Giustizia 2015, 22 gennaio; Guida al diritto 2015, 12, 106 (s.m).
[21] Corte di Giustizia 21/1/2015, C-482/13, in Diritto & Giustizia 2015, 22 gennaio; Guida al diritto 2015, 12, 106 (s.m).
[22] Corte di Giustizia, 18/2/2016, causa C-49/14, in Diritto & Giustizia 2016, 19 febbraio; Guida al diritto 2016, 14, 104; Foro it. 2016, 4, IV, 197; GiustiziaCivile.com 2016, 2 settembre; Ilprocessocivile.it 8 giugno 2016
[23] Corte di Giustizia, sez. III, 21/04/2016, n.377, in Diritto & Giustizia 2016, 21 aprile(s.m.)
[24] Corte di Giustizia 14/6/2017 C-685/15, in
[25] Corte di Giustizia, sez. I, 26/01/2017, n.421, in Foro Amministrativo (Il) 2017, 1, 1 (s.m).
[26]Corte di Giustizia 7/12/ 2017, C-598/15 , in Diritto & Giustizia 11 gennaio 2018.
[27] Corte di Giustizia 17/5/2018 C-147/16, in Foro Amministrativo (Il) 2018, 5, 747.
[28] Corte di Giustizia sez. VIII, 26/06/2019, n.407, in Guida al diritto 2019, 31, 44.
[29] Corte di Giustizia, sez. III, 03/10/2019, n.260, in Foro it. 2020, 1, IV, 22.
[30] Corte di Giustizia 7/11/2019, C‑419/18 e C‑483/18, in http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?num=C-419/18&language=it.
[31] In conclusione, secondo la Corte Giustizia: a) l’art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, va interpretato nel senso che il giudice può, anche in assenza di espressa previsione normativa, valutare d’ufficio l’illiceità di una clausola del contratto per cui è causa; b)via via, si arriva a ritenere che quello del giudice sia un potere-obbligo; c)vengono poi individuati i limiti entro i quali il giudice, anche alla luce degli ordinamenti interni, debba e possa esercitare tale potere; d) se, da un lato, si rileva che la direttiva osta a una normativa interna che vieti al giudice nazionale di rilevare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola se si è verificata una decadenza; d) dall’altro lato si precisa che il giudice è tenuto a valutare d’ufficio l’abusività di una clausola solo a partire dal momento in cui dispone degli elementi giuridici e fattuali necessari; f) con la sentenza Pannon si fa un passo avanti: è vero che il giudice deve esaminare d’ufficio la natura abusiva di una clausola a partire dal momento in cui dispone degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine, ma se esso considera abusiva una siffatta clausola, non deve applicarla, tranne che nel caso in cui il consumatore vi si opponga espressamente; g) e, poiché nella pratica non è affatto detto che il consumatore dichiari espressamente, sua sponte, di non volersi avvalere del diritto ad impugnare la clausola vessatoria, sarà onere del giudicante, preliminarmente all’esercizio dei propri poteri d’ufficio, quello di interpellare il consumatore per accertare se la mancata impugnativa della clausola costituisca il frutto di una scelta consapevole e non, piuttosto, di una carenza difensiva; all’esito dell’interpello, ed in assenza di un’espressa opposizione del consumatore, di un suo espresso intervento attivo, il giudice nazionale dovrà dichiarare la nullità della clausola;h) da qui si passa altresì a dire che il giudice può rilevare d’ufficio la nullità anche in caso di contumacia del consumatore; i) naturalmente, va salvaguardato il principio del contraddittorio: il giudice, che abbia rilevato d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale, deve informare le parti della controversia e dare loro la possibilità di discuterne in contraddittorio;l) per quanto riguarda l’espressione, secondo cui il giudice ha l’obbligo di rilevare la vessatorietà di una clausola dal momento in cui dispone degli elementi di fatto e diritto necessari a tal fine, si arriva ad interpretarla nel senso di far riferimento ad autonomi poteri di iniziativa istruttoria del giudice, a integrazione delle prove dedotte dalle parti (così la sentenza Penzugyi Lizing ZRT, 9/11/2010, C-137/0);m)precisa, la decisione Profi Credit Pokska, che, laddove le allegazioni delle parti provochino nel giudice seri dubbi sulla fondatezza delle domande, egli deve esaminare d'ufficio se le clausole convenute tra le parti abbiano carattere abusivo e, a tal riguardo, può esercitare i suoi poteri istruttori chiedendo alle parti di produrre in causa documenti;n) a questo proposito, si è anche posta la questione del bilanciamento tra rilevabilità d’ufficio e imparzialità del giudice, potendo sorgere il dubbio che il potere istruttorio d’ufficio del giudice porti ad una lesione del suo dovere di imparzialità; ma si è arrivati ad osservare che l'articolo 19, paragrafo 1, TUE impone agli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per garantire una tutela giurisdizionale effettiva e che il giudice è tenuto a istruire la causa di cui è investito non al fine di sostenere l'accusa, bensì al fine di accertare la verità; o) inoltre, la suddetta espressione (esame d’ufficio dal momento in cui dispongono degli elementi di fatto e di diritto necessari), viene interpretata anche nel senso di ritenere che ciò possa (e debba) essere fatto in una qualsiasi fase del procedimento (monitoria, esecutiva- per es. per sospendere il procedimento di esecuzione ipotecaria-, non ostando a ciò neppure l’autorità di cosa giudicata del titolo esecutivo, qualora l’eventuale abusività di alcune clausole non sia ancora stata esaminata nell'ambito di un precedente controllo giurisdizionale passato in giudicato). La Corte UE ha inoltre affrontato il tema della caducazione o meno del intero contratto a causa della nullità delle clausole vessatorie: un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore e contenente una o più clausole abusive è nullo nel suo complesso solo qualora ciò risulti garantire una migliore tutela del consumatore; è esclusa la possibilità che il giudice possa riformulare il contenuto di una clausola vessatoria in modo tale da renderla legittima ed efficace fra le parti; il giudice deve disapplicare la clausola abusiva, lasciando in piedi la restante parte del contratto qualora questo funzioni anche senza la clausola da eliminare; la sostituzione automatica della clausola è ammessa solo qualora il contratto non possa sussistere senza di essa e ciò comporti grave pregiudizio per il consumatore.
[32] Cass., sez. III, 14/3/2014 n. 5952, in Giustizia Civile Massimario 2014; Archivio della circolazione e dei sinistri 2014, 7-8, 606.
[33] Cass.21/3/2014, n. 6784, in Diritto & Giustizia 2014, 24 marzo.
[34] Cass., sez. un., 12/12/2014, n.26242 e 26243, in Giurisprudenza Commerciale 2015, 5, II, 970 (s.m.).
[35] Cass.,15/2/ 2016 n. 2910, in Diritto & Giustizia 2016, 16 febbraio (s.m.)
[36] Cass., 17/1/2017, n. 923, in Guida al diritto 2017, 10, 56.
[37] Cass.., 25/7/2018 n. 19748, in Diritto & Giustizia 2018, 26 luglio.