Recensione al volume di Pasquale Fimiani “La tutela penale dell’ambiente. I reati e le sanzioni. Il sistema delle responsabilità. Le indagini, il processo e la difesa”
di Nicola Pisani
La “tutela penale dell’ambiente” di Pasquale Fimiani è un’opera, giunta alla quarta edizione, frutto di una ricerca attenta e di continuo aggiornamento, che fornisce un quadro completo del mini-sistema, del diritto penale dell’ambiente.
L’Autore, infatti, sempre in una prospettiva di ricostruzione sistematica, riesce a delineare lo stato dell’arte del diritto penale dell’ambiente, facendo le voci della più autorevole dottrina con i prevalenti e i più recenti orientamenti giurisprudenziali, non solo in materia penale, ma anche civile e della amministrativa.
Come afferma lo stesso Fimiani, del resto, trascorsi sette anni dall’entrata in vigore della Legge n. 68 del 2015, era giunto il momento di fare il punto sul sistema degli eco-delitti.
Il primo capitolo tratta di alcune questioni di parte generale declinate nella prospettiva specifica della responsabilità per reati in materia di ambiente.
Nel primo paragrafo[1], nello specifico, si evidenzia che nell’individuazione di questi ultimi il riferimento fondamentale è rappresentato dalla Direttiva 19 novembre 2008, n. 2008/99/CE[2], che prevede un elenco analitico di fattispecie rispetto alle quali si configura l’obbligo euro-unitario di tutela. Si tratta di ipotesi di compromissione o messa in pericolo la salubrità ambientale, nel duplice profilo di aggressione a specifiche componenti naturalistiche (specie ed habitat naturali protetti, ovvero aree naturali protette) ovvero agli elementi fondamentali delle acque e del suolo.
Sul primo versante, viene in evidenza la c.d. “protezione integrale” del territorio e dell’eco-sistema, da cui discende che ogni attività umana di trasformazione dell’ambiente all’interno di un’area protetta deve essere valutata in relazione alla primaria esigenza di tutelare l’interesse naturalistico, da intendersi preminente su qualsiasi indirizzo di politica economica o ambientale di diverso tipo[3].
Sul versante della compromissione della salubrità ambientale, invece, risulta centrale la nozione di inquinamento, enunciato a livello normativo come “introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze, vibrazioni, calore o rumore nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento di beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi”.
Rispetto ai due ambiti così delineati, la materia del paesaggio, peraltro, risulta estranea alla tutela dell’ambiente in senso stretto[4], anche se l’Autore ne giustifica la trattazione nel capitolo XII[5] in ragione delle plurime interferenze con tale nucleo essenziale di tutela.
Merita attenzione il secondo paragrafo[6], dedicato all’analisi dello statuto costituzionale e convenzionale delle misure di prevenzione disciplinate dal d.lgs. n. 159/2011.
Nel paragrafo incentrato sulla responsabilità nelle strutture complesse private[7], il tema dell’individuazione dei soggetti responsabili è declinato, correttamente, alla luce del principio di responsabilità per il fatto proprio.
In presenza di delega di funzioni in materia ambientale, specifica l’Autore, l’obbligo del delegante di vigilanza alta sulla complessiva gestione del rischio da parte del delegato, per come risulta dal combinato disposto degli artt. 16, comma 3, e 30, comma 4, d. lgs. n. 81/2008 estensibile alla materia ambientale, deve intendersi assolto allorché il modello organizzativo adottato sia idoneo e nel contempo efficacemente attuato dall’ente. La tesi dell’applicabilità della disciplina della delega in materia di sicurezza sul lavoro alla materia ambientale ci sembra accoglibile. Si tratta di applicazione analogica di norma di favore non in contrasto con il principio di tassatività.
Anche il tema delle qualifiche di fatto in materia di reati ambientale muove dall’affermazione del principio della effettività delle funzioni: “tutti i soggetti che di fatto esercitano funzioni di amministrazione e di gestione dell’insediamento dal quale originano i reflui, senza che tale responsabilità assuma carattere oggettivo ed automatico, ma a titolo di colpa, intesa in senso ampio, ovvero conseguente non soltanto a comportamenti commissivi, ma anche per inosservanza del dovere di adottare tutte le misure tecniche ed organizzative di prevenzione del danno da inquinamento”[8]. Sul punto, tuttavia, le conclusioni non sono del tutto convincenti. L’attribuzione di posizioni di garanzia sembra collegarsi alla mera gestione dell’insediamento da cui originano i reflui. Volendo applicare l’art. 2639 c.c. che disciplina i presupposti delle qualifiche di fatto, sembra necessario specificare la caratura giuridica dei poteri che il soggetto esercita; detto altrimenti: non può essere un mero potere naturalistico idoneo a fondare una responsabilità per omesso impedimento.
Il secondo capitolo si dipana attraverso una disamina puntuale delle fattispecie delittuose previstie dal codice penale.
Il primo paragrafo[9] affronta in modo dettagliato i reato previsti prima della Legge n. 68 del 2015, che ha cercato di colmare il vuoto normativo colmato con l’introduzione del Libro II del titolo VI bis “Dei delitti contro l’ambiente” (articoli da 452-bis a 452-terdecies).
Alla carenza di fattispecie a tutela dell’ambiente nel codice penale la giurisprudenza aveva, peraltro, da tempo risposto ad esempio applicando la figura del disastro innominato, sia doloso che colposo (rispettivamente artt. 434 e 449 c.p.), in presenza di un evento di inquinamento o di contaminazione straordinariamente grave e complesso, avente un carattere di prorompente diffusione tale da esporre a pericolo la pubblica incolumità.
Erano stati inclusi nella nozione di disastro innominato anche fenomeni quali l’imponente contaminazione di siti mediante accumulo sul territorio e sversamento nelle acque di ingenti quantitativi di rifiuti speciali altamente pericolosi o le immissioni tossiche suscettibili di incidere sull’ecosistema e sulla qualità dell’aria respirabile, in modo da determinare imponenti processi di deterioramento, di lunga e lunghissima durata, dell’habitat umano[10]: era nata così la figura del disastro sanitario introdotta nei processi Eternit e Porto Marghera di fonte pretoria[11].
Alle difficoltà di adattamento delle fattispecie previste dagli artt. 434 e 449 c.p evidenziate dalla dottrina e dalla stessa Corte costituzionale, il legislatore del 2015 ha risposto con l’introduzione del reato di disastro ambientale ex art. 452-quater c.p.[12].
Come spiega l’Autore, esso si configura “fuori dei casi previsti dall’art. 434” nei confronti di chiunque “abusivamente” cagiona un disastro ambientale. La norma prevede che costituiscono disastro ambientale, alternativamente, l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema, l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali e l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo.
La fattispecie incentrata sull’offesa alla pubblica incolumità è stata sin da subito oggetto di considerazioni critiche.
Viene evidenziato come il termine offesa sia in sé comprensivo sia del danno che del pericolo per il bene giuridico protetto, mentre la pubblica incolumità, quale concetto di relazione tra un fatto e una pluralità indeterminata di soggetti, è insuscettibile di essere direttamente danneggiata. Ne consegue che, secondo l’Autore, il delitto in esame non potrebbe che ritenersi di mera condotta e non di evento[13].
Per altro verso, invece, si osserva che la condotta non è in alcun modo specificata, mancando qualsiasi riferimento, tra gli elementi costitutivi della fattispecie, a fatti di deterioramento, compromissione od alterazione dell’ambiente, di un ecosistema, o di una singola componente ambientale.
L’Autore ritiene, tuttavia, che l’intenzione del legislatore sia quella di sanzionare assai severamente un’ipotesi di disastro ambientale prodotta da qualunque condotta di deterioramento, compromissione od alterazione dell’ambiente, di un ecosistema od anche di una singola componente ambientale quando da essa derivi un’offesa alla pubblica incolumità che sia qualificata da speciale rilevanza. Se così non fosse, infatti, si sarebbe d fronte a una fattispecie sostanzialmente superflua[14].
Il terzo capitolo[15] è dedicato fattispecie criminose incentrate sui provvedimenti autorizzatori generali (A.I.A. ed A.U.A.) e di controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con all’uso di sostanze pericolose oltre che all’inquinamento idrico. Nello specifico, secondo i dettami della Corte costituzionale (sentenza n. 85/2013, par. 10.1), l’A.I.A. costituisce l’esito della confluenza di plurimi contributi tecnici e amministrativi in un unico procedimento, nel quale trovano simultanea applicazione i principi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e partecipazione, che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale.
Sul punto pregevole è lo sforzo compiuto nella esplicazione delle regole di carattere amministrativo richiamate all’interno delle fattispecie penali esaminate.
Il quarto capitolo[16] si concentra sulla tutela penale dell’inquinamento idrico, partendo dalla fondamentale distinzione tra scarico e rifiuto, per poi individuare il concetto di acque reflue industriali ed esaminare nello specifico le violazioni al regime amministrativo, il superamento dei valori limite di emissione e le regole di campionamento, e gli illeciti che consistono nella violazione delle regole di gestione degli impianti di depurazione e trattamento di acque reflue, di quelle per l’utilizzazione agronomica e per la gestione delle acque meteoriche di dilavamento e di prima pioggia.
Da evidenziare, inoltre, i capitoli dal quinto al nono incentrati sulla tematica dei rifiuti.
Nello specifico, viene enucleato l’oggetto della tutela[17], il sistema delle responsabilità[18], la violazione degli obblighi procedimentali[19] per poi procedere ad un’analisi dettagliata dei reati di abbandono, deposito e discarica di rifiuti e della violazione dei divieti di miscelazione e combustione dei rifiuti[20].
L’Autore fa notare, peraltro, come siano intervenute modifiche significative nella disciplina sui rifiuti con il recepimento delle direttive in materia di economia circolare che, senza mutare in via diretta le disposizioni penali, hanno inciso sulla loro applicabilità, attraverso le cd. modifiche mediate delle fattispecie criminose.
Ius novum è ravvisabile anche all’interno disciplina della classificazione dei rifiuti[21], sia per un intervento chiarificatore della Corte di Giustizia, sia alla luce della valorizzazione delle linee guida del Sistema nazionale per la protezione ambiente.
Una ampia disamina è riservata al reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti[22], quanto alla struttura, ai criteri per l’individuazione della competenza e ai rapporti con i reati di criminalità organizzata: l’analisi strtturale delle due fattispecie fa emergere la vaporosità di quest’ultima fattispecie, ad avviso chi scrive, affetta da un deficit di determinatezza.
Il capitolo decimo[23] si occupa della bonifica dei siti e dei reati che sanzionano la violazione del procedimento per essa previsto, con ampia citazione della giurisprudenza civile, amministrativa e sovranazionale. Interessante è la parte del volume ove l’Autore si occupa degli effetti della successione nella carica e delle vicende societarie sul regime di responsabilità (fusione, incorporazione, cessione di azienda)..
Il capitolo undicesimo[24] si occupa della responsabilità penale nella materia dell’inquinamento acustico ed atmosferico, mentre il successivo[25] esamina, congiuntamente, gli aspetti penalistici di tutte le materia riconducibili al concetto di protezione integrale enunciato nel primo capitolo, quali la biodiversità e le aree protette, affrontando in tale contesto anche la tutela penale del paesaggio (interessata dalla recente legge n. 22/2022) ed il reato di incendio boschivo.
Alla tematica della responsabilità degli enti da reato ambientale è dedicato il capitolo tredicisimo. [26]
L’art. 25-undecies del d. lgs. 8 giugno 2001, recante l’individuazione dei reati ambientali presupposto della responsabilità degli enti, è stato modificato dalla legge n. 68 del 2015[27], che, come anzidetto, ha introdotto nel codice penale i delitti contro l’ambiente.
Ad esso si affiancano, a seguito della legge n. 22 del 2022, nel catalogo dei reati presupposto, all’art. 25-septiesdecies, i reati di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni paesaggistici e l’art. 25-duodevicies, con riferimento al reato di devastazione e di saccheggio di beni paesaggistici.
Illuminanti le parole di Palazzo: “essendo i nuovi ecodelitti reati a condotta libera caratterizzati da una nota di illiceità speciale della stessa (il famoso avverbio ‘abusivamente’), ne viene che l’accertamento del reato presupposto finirà necessariamente per concentrarsi sull’evento finale offensivo e sulla violazione delle norme e prescrizioni amministrative realizzata nell’esercizio dell’attività imprenditoriale”, con la conseguenza che “la dimensione corporativa della responsabilità ex d. lgs. 231/2001 finisce per agevolare il suo accertamento rispetto agli ecodelitti più di quanto avvenga invece nella dimensione individuale”.
Con riguardo, in particolare, ai suindicati criteri di imputazione del reato presupposto all’ente previsti dall’art. 5 del d. lgs. n. 231/2001[28], l’Autore richiama si riporta all’orientamento delle sezioni unite che hanno chiarito che i due termini di interesse e vantaggio hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, alternativi e concorrenti tra loro. Si può, infatti, distinguere tra un interesse a monte per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell’illecito, da un vantaggio obiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato ex ante. L’interesse è, dunque, il criterio soggettivo indagabile ex ante, mentre il vantaggio è il criterio oggettivo da valutare ex post[29].
La specificità della materia ambientale ha, inoltre, indotto l’Autore ad alcune utili riflessioni sul ruolo dell’organismo di vigilanza.
Viene, a tal fine, richiamata sempre la sentenza delle Sezioni Unite Thyssen del 2014[30], ove, proprio in materia ambientale e della sicurezza - ribadendosi che l’efficace attuazione del modello organizzativo richiede che l’OdV sia dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo – si esclude che detto requisito sia integrato allorché sia nominato componente il “responsabile dell’area ecologica, ambiente e sicurezza”, in quanto “le verifiche avrebbero riguardato l’operato di un dirigente chiamato ad essere un giudice di sé stesso e dotato di poteri disciplinari” privo del requisito dell’indipendenza.
Viene, altresì, menzionata dall’Autore, in una prospettiva di continuo aggiornamento, la sentenza del 2022[31] che ha chiuso la vicenda Impregilo. Nella stessa si afferma che l’OdV, pur non dovendo essere necessariamente un organo esterno alla struttura organizzativa dell’ente, ove sia stato posto alle dirette dipendenze del Presidente del consiglio di amministrazione, non offre sufficienti garanzie di autonomia nell’esercizio dei poteri di iniziativa e controllo.
L’Autore si esprime, inoltre, correttamente, in senso critico rispetto alla tesi propensa ad affermare la posizione di garanzia dei componenti dell’OdV, emersa in una dottrina minoritaria[32]
Il capito quattordici[33] è interamente dedicato all’estinzione delle contravvenzioni ambientali tramite l’adempimento delle prescrizioni impartite dall’organo di vigilanza.
Al riguardo, merita attenzione il paragrafo che riguarda il rapporto tra il procedimento impostato sulle prescrizioni al contravventore e il processo penale, che ha costituito uno dei versanti problematici dell’applicazione del d.lgs. n. 758 del 1994.
L’Autore, ripercorrendo i recenti arresti giurisprudenziali[34], afferma che la violazione della procedura amministrativa estintiva non può condizionare l’esercizio dell’azione penale, alla luce del principio di obbligatorietà della stessa. Ben potrà, pertanto, il contravventore, anche in caso di mancato perfezionamento della suddetta procedura, fruire dell’estinzione del reato in sede giudiziaria nella stessa misura agevolata, purché lo richieda.
Il capitolo XV[35] è dedicato, invece, alle indagini e al processo.
Secondo l’Autore la disciplina ambientale, infatti, impone agli organi di controllo il dovere di intervenire una volta venuti a conoscenza dell’evento inquinante e da questo momento essi assumono una posizione di garanzia la cui omissione può fondarne la responsabilità per omesso impedimento 40 cpv c.p. [36].
Nell’ambito di tale potere-dovere di controllo, sono spesso necessari accertamenti di natura tecnica, consistenti in un’attività di prelievo di campionatura e successiva analisi, anche strumentale quando si tratta di verificare il superamento di standars, come nel caso di inquinamento acustico od elettromagnetico.
Con particolare riguardo al processo, oltre all’approfondimento del tema del ripristino ambientale, della tutela della persona offesa e della sua partecipazione al processo, anche in forma associata, viene segnalato l’impatto sulla materia ambientale della causa di non punibilità per la speciale tenuità del fatto[37], prevista dall’art. 131-bis c.p. e introdotta dal d.lgs. n. 28 del 2015[38].
I limiti edittali rendo l’istituto potenzialmente applicabile alla gran parte dei reati previsti dal T.U.A., ai reati ambientali previsti da altre norme speciali e, quanto ai delitti contro l’ambiente introdotti dalla Legge n. 68 del 2015, al delitto di inquinamento ambientale colposo e a quello di impedimento del controllo.
Il decreto legislativo di riforma del codice penale e di procedura penale, nel modificare l’art. 131-bis c.p., non ha previsto i reati ambientali tra quelli la cui gravità esclude la speciale tenuità del fatto.
In tale prospettiva, dunque, anche altri delitti ambientali, quali quelli di inquinamento ambientale e di traffico ed abbandono di materiale radioattivo, puniti nel minimo, nella forma base non aggravata, con la pena di due anni di reclusione, ben potrebbero rientrare tra quelli per i quali si può applicare la causa di non punibilità della speciale tenuità del fatto.
Al contempo, l’Autore evidenzia che è da escludere il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, pur avendo una pena edittale minima di un anno, stante la natura abituale.
Quanto ai reati ambientali permanenti, anche omissivi, quali l’omessa bonifica, deve ritenersi esclusa l’applicabilità dell’art. 131-bis fintantoché la permanenza non sia cessata, in ragione della perdurante compressione del bene giuridico per effetto della condotta delittuosa[39].
Va infine segnalato l’ultimo capitolo, incentrato sull’istituto della confisca nei reati ambientali, centrale nel contrasto alle attività criminali in danno dell’ambiente [40].
In conclusione, l’opera rappresenta, un contributo validissimo alla scienza del diritto penale dell’ambiente, e al contempo, uno strumento di orientamento e ‘contenimento’ della prassi giudiziaria.
[1] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 1-4.
[2] Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela penale dell’ambiente, recepita con il d.lgs. n. 121/2011 ed ulteriormente attuata con la legge n. 68/2015 recante l’introduzione dei delitti ambientali nel codice penale.
[3] Cons. Stato, sez. VI, n. 7472/2004. Nella stessa prospettiva, cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 1269/2007. Per esplicazioni sulla teoria della protezione integrale dell’ambiente quale elemento distintivo della disciplina delle aree protette, si rinvia a DI PLINIO – FIMIANI (a cura di), Aree naturali protette, Milano, 2008, 15.
[4] Per la distinzione tra tutela del paesaggio e tutela dell’ambiente, cfr. Corte di Giustizia, 6 marzo 2014, causa C-206/13, in Riv. giur.amb,2014, III-IV, 339, con nota di GRATANI La tutela del paesaggio a raffronto con la materia ambientale e il diritto UE.
[5] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 1048-1075.
[6] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 4-12.
[7] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 67-85.
[8] Cass. pen., sez. III, n. 20512/2005, in una fattispecie relativa all’inquinamento idrico.
[9] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 93-124.
[10] Cass. pen., sez. I, n. 7941/2015, in Dir. pen. cont., 24 febbraio 2015, con nota di ZIRULIA, Eternit, il disastro è prescritto. Le motivazioni della Cassazione.
[11] Cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 4675/2007, in Cass. pen., 2009, VII-VIII, 2837, con nota di DI SALVO, Esposizione a sostanze nocive, leggi scientifiche e rapporto causale nella pronuncia della Cassazione sul caso “Porto Marghera”.
[12] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 156-171.
[13] BELL- VALSECCHI, Il nuovo delitto di disastro ambientale: una norma che difficilmente avrebbe potuto essere scritta peggio, cit. che ricordano come in dottrina si sia affermato che l’incolumità pubblica è un “ interesse di per sé inesistente in natura, ma funzionale alla tecnica di anticipazione della tutela, vale a dire un’oggettività giuridica creata dal Legislatore penale per consentire una difesa prodromica dei beni individuali, da forme di offesa diffusive, pluridirezionali e tendenzialmente incontrollabili” (GARGANI, Reati contro l’incolumità pubblica, Tomo I, Reati di comune pericolo mediante violenza, in Trattato di diritto penale, diretto da GROSSO, PADOVANI, GAGLIARO, Giuffrè, 92).
[14] Conformemente RUGA RIVA, I nuovi ecoreati, cit., 34, secondo il quale il fatto tipico previsto dall’art. 452-quater, n.3, è “pur sempre un fatto di contaminazione, come risulta anche dalla rubrica della disposizione”, ma se condivisibilmente tale fatto coincidesse con quelli descritti dai numeri 1 e 2, “la disposizione non avrebbe senso, posto che non integrerebbe un disastro alternativo, bensì aggiuntivo a quello tipizzato nei primi due numeri”.
[15] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 225-270.
[16] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 271-361.
[17] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 363- 520.
[18] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 521- 590.
[19] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 591- 660.
[20] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 661- 802.
[21] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 803- 876.
[22] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 876- 915.
[23] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 917- 970.
[24] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 971- 1021.
[25] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 1023 -1084.
[26] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 1085- 1176.
[27] Sul punto cfr. PALAZZO, I nuovi reati ambientali. Tra responsabilità degli individui e responsabilità dell’ente, in Dir. Pen. cont., 25 maggio 2018.
[28] Sul punto cfr. DE FALCO, Interesse e vantaggio dell’ente in tema di infortuni e malattie professionali: i rischi di un eccessivo automatismo e l’esigenza di un apprezzamento razionale e concreto, in Resp. amm. soc. ed enti, 2019, II, 55.
[29] La sintesi che segue è tratta dalla sentenza delle Sezioni Unite Thyssen n. 38343/2014.
[30] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, p. 1123.
[31] Decisione favorevolmente accolta dalla dottrina (Piergallini, Una sentenza “modello” della Cassazione pone fine all’estenuante vicenda “Impregilo”, in sistemapenale.it, 27 giugno 2002).
[32] DOVERE, Riflessioni in merito al rischio penale per i componenti dell’organismo di vigilanza per il caso di grave infortunio sul lavoro, in Resp. amm. soc. ed enti, 2016, I, 77, partendo dal rilievo che l’assenza di poteri impeditivi autonomi non ha sottratto il responsabile del servizio di protezione e prevenzione dall’essere titolare di una vera e propria posizione di garanzia, giusta Sezioni Unite Thyssen, pur sottolineando le differenze esistenti con i membri dell’OdV, considera non plausibile né eccessivo prevedere che “un potere di interferenza in contesto cooperativo che tende a valorizzare l’assolvimento di una funzione di prevenzione indiretta, possa orientare per un’estensione agli stessi di una posizione di garanzia”.
[33] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 1137- 1176.
[34] Cass. pen. sez. III, n. 3671/2018, che richiama le conformi n. 7678/2017, n. 20562/2015, n. 5864/2011 e n. 26758/2010.
[35] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 1177- 1258.
[36] Cass. pen., sez. III, n. 3634/2011, con riferimento alla condotta di funzionari Arpa che, venuti a conoscenza dell’esistenza di rifiuti interrati, “non procedevano ad alcun controllo sostanziale sulle operazioni di rimozione e smaltimento del rifiuto, di tal che non impedivano che lo stesso fosse gestito come semplice terra, consentendone il conferimento con il codice errato in discarica non autorizzata”.
[37] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 1207- 1217.
[38] Per i primi commenti nella materia ambientale, v. LEGHISSA, Il fatto di particolare tenuità e i reati ambientali, in lexambiente.it, 5 maggio 2915 e RAMACCI, Note in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto e reati ambientali, in lexambiente.it, 30 marzo 2015.
[39] Ex plurimus, Cass. pen., sez. III, n. 30383/2016, n. 19977/2020 e n. 15029/2021, secondo cui la natura permanente del reato non è di per sé sola ostativa all’applicabilità dell’art. 131-bis c.p., evocando a sostegno il dictum di Sezioni Unite n. 13681/2016).
[40] FIMIANI P., La tutela penale dell’ambiente, Giuffrè, Milano, 2022, 1259- 1305.