ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Marìas
di Alessandro Clemente
All’inizio ero un po’ contrariato, forse anche scettico di approcciare ad uno scrittore di lingua spagnola, verso la quale nutrivo infondati pregiudizi.
Andai in libreria per acquistare un libro di un altro autore – non ricordo, forse Saramago, poco importa – ma, non trovandolo, decisi di ripiegare su questo spagnolo il cui nome niente mi diceva. Ero stato incuriosito dal titolo, effettivamente originale, e dal retro di copertina che riportava un entusiastico commento di Pietro Citati, in generale sempre piuttosto severo.
E così, tradendo i dogmatici dettami del Nanni Moretti di “La messa è finita” (“Ma lei, come li sceglie i libri? In base al numero di pagine? Al riassunto in copertina, eh?!”), comprai il mio primo dei tanti libri scritti da Marìas e tradotti in italiano. Anzi, di tutti, avendo negli anni accumulato una copia di tutto ciò che è stato pubblicato a suo nome.
Era, inutile dirlo, “Domani nella battaglia pensa a me”. Accadeva oltre vent’anni fa, c’era ancora la lira e non c’era l’11 settembre. Beh insomma, me lo portai a casa e lo tenni nello studio che condividevo – per studiare, appunto – con mio padre. In quel periodo ristagnavo senza molta convinzione dinanzi ai tre volumi dell’esame di diritto processuale civile, il primo dei quali rimase per alcune mattine – quattro o cinque, ricordo bene – vanamente aperto su una qualche pagina e su un qualche oscuro istituto processuale, essendo io stato rapito dal romanzo.
Trascorsi quelle mattine lasciandomi trasportare da una prosa digressiva, fatta di continui rimandi ai pensieri vorticosi del protagonista che si confondevano con quelli dell’autore, tanto che a un certo punto neanche ricordavo più quale fosse la trama. Che, a dirla tutta, può ridursi davvero a poche decine di pagine (e infatti gli uomini apprezzano Marìas ben poco rispetto alle donne, sue amate lettrici, che lo hanno sempre ripagato venerandolo).
E sarà stato forse un malcelato animo femminile a tradirmi, fatto sta che rimasi fin da subito affascinato da quella prosa rotonda, avvolgente, che accompagnava il lettore inducendolo in uno stato ipnotico ma sempre irrimediabilmente analitico e razionale, lucido e conseguenziale. E quando mi accorgevo che l’autore mi aveva portato un po’ troppo oltre quello che era il topos del romanzo, era ormai troppo tardi: ero caduto nel tranello, mi ero lasciato ammaliare da un incantatore.
Oggi quel libro è in ottime mani. Anche se non ne ho evidenza, ne sono sicuro. Negli anni a venire mi sono accontentato di una copia che ho ricomprato, ma sapete tutti che non è la stessa cosa. Ho compensato anni fa scovando, in un mercatino dell’usato a Barcellona, una copia in lingua originale, che conservo come una reliquia.
Ma insomma, al di là di quel primo libro – e non chiedetemi quale sia il suo libro migliore: quantomeno non fatelo oggi, per pietà – negli anni mi sono accorto che finivo per aspettare trepidante la pubblicazione dei suoi libri quasi come un bambino attende Babbo Natale con i suoi regali. E, senza rendermene conto – proprio come se fossi stato il protagonista di uno dei suoi romanzi – mi sono ritrovato uomo, forse anche un po’ diverso da come ero partito, di certo molto fuori tema rispetto alle premesse esistenziali di uno studente, per giunta anche fuori corso.
E poi, anni dopo, l’ho anche conosciuto. Cioè, non proprio, perché si trattò di assistere dal vivo alla presentazione di un suo romanzo. Ero a Roma per un corso, liquidai tutti i colleghi che mi aspettavano per la cena e mi tuffai nella metro per raggiungere, solo solo, l’Auditorium. Ero tra i primi della fila, c’erano – come detto – molte più donne che uomini. Io rimasi affascinato dall’uomo, cercando per quanto possibile di astrarlo dall’autore. Non era molto alto, ma aveva un portamento che riecheggiava i grandi cavalieri cinquecenteschi, quegli uomini all’antica ma mai fuori moda che sanno sempre come comportarsi, veloci di lingua non meno che di coltello. Indossava una camicia bianca sotto un abito nero, e per me era bellissimo.
Forse, a pensarci bene, io volevo essere Marìas. Meglio ancora, uno dei suoi personaggi, uno di quelli sempre risoluti, attento osservatore della realtà e delle inettitudini umane, fine interprete dell’animo femminile e delle più nefande pulsioni dell’uomo, dalle quali però sapeva sempre tenersi alla larga. Uno di quegli uomini con le idee chiare, sebbene rare volte passassero all’azione.
Non ci sono riuscito, lo ammetto. Parlo troppo, sono irascibile e volubile e soffro una facile cedevolezza sentimentale, oltre quanto si possa tollerare per ambire a rivestire degnamente la parte.
Ma, al di là di questo mio vezzo personale, ammetto che Marìas mi ha reso un uomo migliore di quanto pensassi. Col tempo, inizialmente per gioco fino a farne quasi una inclinazione naturale, ho acquisito una postura che ha cercato e trovato nei suoi personaggi – per quanto così distanti dalle mie ordinarie occupazioni pubbliche e private – un modello di immediata applicazione.
Nella mia mente hanno iniziato ad affollarsi, trovando sempre un ordine mentale in perpetuo movimento, i grandi temi dei suoi romanzi: ecco il segreto, la dissimulazione, l’inganno e il tradimento (quello verso sé stessi, non certo il convenzionale costume borghese del tradimento coniugale). Ecco il dubbio etico, il rimando shakespeariano, il dilemma dell’uomo perennemente in bilico tra l’inerzia e la bramosia di potere, incapace di riconoscere dove finisca la virtuosa prudenza e dove cominci la vergognosa viltà. Ecco la perenne incertezza – che spesso mi coglie di sorpresa nel mio lavoro – su quando bisogna intervenire e quando invece voltarsi dall’altra parte per un presunto interesse superiore, che non sempre è attuale e concreto ma spesso lontano nel tempo, e chissà se mai esisterà davvero. Ecco l’attitudine all’uso della parola digressiva, accompagnando l’interlocutore di turno laddove fin dall’inizio, talvolta con ostentata presunzione, lo si intendeva condurre.
Ora, tutto questo non sparirà, è ormai patrimonio della mia esistenza, invisibile ma non meno presente, e fermamente saldo nella mia vita. Come tutti i suoi libri, alcuni dalle pagine ingiallite, che da oggi conserverò con maggior cura nella mia libreria.
Mi sembrano tutti orfani, e un po’ forse lo sono anch’io.
Nei programmi elettorali sulla giustizia è sparito il PNRR e manca il futuro
di Claudio Castelli
Da una lettura dei programmi elettorali sul tema giustizia la prima inevitabile impressione che si trae è che la giustizia sia un tema del tutto secondario che in genere si può liquidare con pochi slogan o addirittura (come avviene in alcuni casi) ignorare. La seconda considerazione davvero sorprendente è che il PNRR per la giustizia con i suoi ambiziosi obiettivi ed i suoi cospicui investimenti (in primis l’ufficio per il processo) è sparito, cui ci si limita a qualche cenno.
È l’emblema di un atteggiamento sulla giustizia, settore estremamente complesso e che non si presta a semplificazioni, che viene affrontato più con slogan e parole magiche, che pretendono di avere la capacità taumaturgica di risolvere tutte le questioni esistenti, che con un’analisi seria della realtà specificando le azioni e gli interventi concreti che si vogliono porre in atto.
Continuiamo a sentir declamare la necessità di una “riforma della giustizia”, facendo finta di ignorare che di riforme della giustizia ne abbiamo già avute almeno 5 o 6 negli ultimi quindici anni, senza che nessuno si premuri di andare a vedere gli esiti che hanno avuto, se abbiano avuto risultati, se abbiano fallito e le ragioni di successi e insuccessi. Così si riparte sempre da zero con un’ottica fondamentalmente ideologica e propagandistica.
Si continua ad abusare della parola “riforma” che si continua a invocare, quasi mai spiegando in che direzione si vuole andare, non essendo di per sé il cambiamento foriero di miglioramenti e soprattutto senza mai confrontarsi con l’esito delle riforme precedenti che magari la stessa forza politica ha sponsorizzato e realizzato, senza evidentemente avere mai raggiunto gli obiettivi proposti.
Il problema è che è molto più facile lanciare slogan o parole magiche con la pretesa che di per sé risolvano i problemi, rispetto ad affrontarli in concreto con pazienza, umiltà e conoscenza della realtà degli uffici giudiziari e dell’avvocatura. Servono (anche) riforme normative, ma soprattutto un’analisi della realtà, delle forti differenze territoriali esistenti, per estendere le pratiche migliori e per finalizzare investimenti mirati, interventi organizzativi, formazione e accompagnamento allo change management. Nulla è di per sé risolutivo, bisogna operare su più canali con una visione complessiva ed una strategia condivisa. Anche se quest’opera, l’unica che può essere produttiva, è difficilmente riducibile a slogan e parole d’ordine appetibili.
Così continuiamo a passare da una riforma epocale a quella successiva senza l’elaborazione di una visione complessiva e senza la consapevolezza che gli interventi normativi devono essere accompagnati sul campo da misure organizzative e dalle necessarie risorse.
Inoltre è davvero singolare ed allarmante come gli ambiziosi progetti sulla giustizia contenuti nel PNRR e su cui si sta lavorando da oltre un anno siano praticamente ignorati, quasi che il complessivo disegno di assunzioni per l’Ufficio per il processo, di assunzioni di personale tecnico, di modifiche processuali e di coinvolgimento dell’Università sia irrilevante o vada abbandonato.
Ma vi è un ulteriore dato di fondo negativo: la giustizia è in genere vista più come un ostacolo o un impaccio che come una grande potenziale risorsa per il Paese. Quando l’idea di fondo con cui si doveva e poteva uscire dalla pandemia, anche grazie alla disponibilità di fondi per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, mediante il pacchetto di misure europeo del Next Generation EU, era di far sì che il sistema della giustizia italiana si potesse trasformare da “zavorra” del sistema sociale ed economico del nostro Paese in volano e risorsa per il suo sviluppo e la sua trasformazione.
Ma questo vorrebbe dire farsi carico di due enormi problemi che si interconnettono e che in realtà sono le sfide dei prossimi anni ovvero l’impatto che potrà avere l’intelligenza artificiale nei nostri sistemi giuridici e la crisi delle professioni giuridiche. L’intelligenza artificiale e la digitalizzazione potranno essere il volano per un salto di qualità garantendo maggiore celerità e qualità, oppure significare la progressiva sostituzione degli esseri umani, professionisti o magistrati, con sistemi automatizzati facendo perdere ogni umanità della decisione e facendo esplodere la crisi che già oggi alcune professioni giuridiche vivono (a partire dagli avvocati e dagli ufficiali giudiziari) esportandola a tutte le professioni giuridiche.
Quello che manca da anni nel dibattito sulla giustizia è l’elaborazione di una visione prospettica complessiva, che ragioni in termini di mesi e di anni, e non di giorni, di una prospettiva di cambiamento che davvero tocchi gli elementi arcaici, di blocco ed anacronistici della cultura e dell’organizzazione della giurisdizione. Manca un piano che declinato su più dimensioni innovi la cultura, i comportamenti e le azioni dell’agire strategico e quotidiano della giustizia. Le soluzioni che vengono riproposte per l’ennesima volta (riforma dei riti, riforme ordinamentali, assunzioni meramente quantitative), oltre ad aver più volte evidenziato la loro insufficienza, rivelano anche una profonda sfiducia nella giustizia e nei suoi attori e sono probabilmente perfette per la propaganda, ma del tutto inadeguate.
Se poi vediamo nel concreto la proposta della coalizione che viene ritenuta probabilmente maggioritaria, si riduce a tre assunti tutti su ordinamento e processo, ci rendiamo conto come guardiamo ad un passato non commendevole e non ad un futuro di reale cambiamento.
- Riforma della giustizia e dell'ordinamento giudiziario: separazione delle carriere e riforma del CSM.
- Riforma del processo civile e penale: giusto processo e ragionevole durata, efficientamento delle procedure, stop ai processi mediatici e diritto alla buona fama.
- Riforma del diritto penale: razionalizzazione delle pene e garanzia della loro effettività, riforma del diritto penale dell'economia, interventi di efficientamento su precetti e sanzioni penali.
Ancora una volta tutto viene ridotto a intervenire sulla magistratura e sui codici, con proposte nel contempo estremamente generiche e che stravolgono gli attuali assetti costituzionali. Si parte sempre da luoghi comuni come se la giustizia fosse all’anno zero, senza tener conto dei forti, anche se ancora insufficienti, miglioramenti avuti in questi anni: tempi medi costantemente in calo sia nel settore civile che in quello penale, pendenze civili dimezzate negli ultimi dieci anni, una quota rilevante di uffici (circa un quarto) che ha performance europee.
Da qui occorrerebbe partire perché far funzionare la giustizia e garantire tempi ragionevoli. Un salto di qualità è possibile, ma questo non si può ottenere con un approccio ideologico e sostanzialmente ostile alla magistratura, ricominciando ogni volta daccapo, invece occorre partire dai risultati avuti, responsabilizzando e motivando tutti gli operatori, ottimizzando le risorse e poi investendo per darsi obiettivi ambiziosi per cambiare funzionamento e percezione della giustizia.
Si può ridare un futuro e una speranza di giustizia e per la giustizia, ma con un approccio radicalmente diverso.
La “prova da sforzo” dell’incidente di costituzionalità sul reddito di cittadinanza. La Consulta che cristallizza il c.d. requisito negativo per usufruirne: l’assenza di una misura cautelare personale
di Carlo Morselli
La Corte costituzionale si occupa della legge sul reddito di cittadinanza, sub iudice per contrasto plurimo con la Carta, dichiarando infondate le questioni della disposizione censurata ed impositiva della sospensione dell’erogazione del RdC per il soggetto che ha subito l’applicazione di una misura cautelare personale. Il contributo ricostruisce il dictum della Consulta, muovendo dai vizi individuati dall’organo territoriale, e mette in evidenza l’automatismo applicativo del “ritiro” della provvidenza (per l’incidenza del provvedimento de libertate ai sensi dell’art. 282-bis c.p.p., provvisorio e tipicamente risalente alla fase prodromica delle indagini preliminari), che può soddisfare esigenze anche vitali per il beneficiario. In ordine all’itinerario, al giudice della “sospensione” non è riconosciuto uno spazio di apprezzamento della fattispecie concreta (vaglio giurisdizionale), e all’interessato non è dato uno ius ad loquendum, in una procedura antidevolutiva e de plano, priva di una “procedimentalizzazione” e quindi del contraddittorio (previsto dalla norma sul c.d. giusto processo, a mente dell’art. 111 Cost.). Sullo sfondo si attesta la figura del legislatore-giudice.
The Constitutional Court deals with the law on citizenship income, sub iudice for plural conflict with the Charter, declaring unfounded the issues of the censored and taxable provision of the suspension of the provision of the RdC for the subject who has suffered the application of a precautionary measure personal. The contribution reconstructs the dictum of the Council, starting from the defects identified by the territorial body, and highlights the applicative automatism of the “withdrawal” of providence (due to the impact of the de libertate provision pursuant to art. 282-bis cpp , provisional and typically dating back to the prodromal phase of preliminary investigations), which can satisfy even vital needs for the beneficiary. With regard to the itinerary, the judge of the “suspension” is not granted an area ofappreciation of the specific case (judicial review), and the interested party is not given a ius ad loquendum, in an anti-revolutionary and de plano procedure, without a “Proceduralization” and therefore of the cross-examination (provided for by the law on the so-called due process, in accordance with Article 111 of the Constitution). In the background stands the figure of the legislator-judge.
Sommario: 1. L’“antefatto” del sindacato di costituzionalità promosso dal giudice a quo che censura la previsione dell’art. 7-ter, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 sulla sospensione del reddito di cittadinanza per chi è stata colpito da un provvedimento cautelare. - 2. Le ragioni del giudice a quo. I caratteri di uno “spoglio”. - 3. Il potere cautelare coinvolto è eccezionale. - 4. Carenza di uno spatium deliberandi per il giudice e omologazione di due previsione assai lontane per identità e per fasi processuali. - 5. Precedenti costituzionali e della Cassazione. Art. 282-bis c.p.p. e la corrispondente linea (securitaria) di interdizione. - 6. Ne procedat iudex ex officio: non rispettato il modello del c.d. processo di parti e mancante la previsione di uno ius ad loquendum. - 7. (All’orizzonte) “il legislatore-giudice”.
1. L’“antefatto” del sindacato di costituzionalità promosso dal giudice a quo che censura la previsione dell’art. 7-ter, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 sulla sospensione del reddito di cittadinanza per chi è stata colpito da un provvedimento cautelare
La Corte Costituzionale, quale giudice delle leggi e custode della Costituzione repubblicana improntata a «garantismo» [1], emette il suo “verdetto” sulla normativa relativa al reddito di cittadinanza sottoposta alla “prova da sforzo” dell’incidente di costituzionalità, promosso dall’organo a quo [2].
La Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7-ter, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), sollevate in riferimento agli artt. 1, 2, 3, 4, 27, primo e secondo comma, 29, 30 e 31 della Costituzione e al principio di ragionevolezza (desumibile dall’art. 3 Cost., come reinterpretato), nonché all’art. 117, primo comma, Cost. – quest’ultimo correlato all’art. 6, paragrafo 2, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) – ,devolute dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Palermo, con ordinanza n. 86 del 2020.
L’“antefatto” del sindacato di costituzionalità si appunta sulla disposizione censurata, la quale sarebbe costituzionalmente illegittima nel tratto in cui impone di sospendere l’erogazione del reddito di cittadinanza nei confronti del destinatario (beneficiario o richiedente) a cui è applicata
una misura cautelare personale [3].
La Corte come un memorandum fissa la cornice tematica, ricordando, appunto, che il reddito di cittadinanza rappresenti un particolare beneficio economico, introdotto allo scopo di riordinare il sistema di assistenza sociale e razionalizzare dei servizi per l’impiego, in vista di una più efficace gestione delle politiche attive per il lavoro.
L’art. 2 del d.l. n. 4 del 2019 enumera i requisiti personali, reddituali e patrimoniali per accedere al reddito, che devono sussistere dum pendet: al tempo della presentazione della domanda, e continuativamente, per tutta la durata dell’erogazione.
La lettera c-bis) del comma 1 di tale articolo, in particolare, fissa un requisito c.d. negativo, passandone in rassegna l’arco degli elementi concorrenti: il richiedente il beneficio non deve essere gravato da un provvedimento cautelare personale, ancorché adottato a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, o condannato in via definitiva, nei dieci anni precedenti la richiesta, per taluno dei delitti indicati dal successivo art. 7, comma 3.
Nell’ottica retrospettiva della sentenza n. 122 del 2020, la Corte ha anche precisato che il legislatore ha previsto un particolare requisito di onorabilità per la richiesta del reddito di cittadinanza – l’esclusione della soggezione a misure cautelari personali – che (unitamente agli altri requisiti) deve sussistere in una catena temporale, ininterrotta quindi: non solo al momento dell’inoltro della domanda, ma esteso per tutto l’orizzonte temporale dell’erogazione del beneficio economico. Il provvedimento di sospensione in caso di misure cautelari sopravvenute, quindi, «altro non è che la conseguenza del venir meno di un requisito necessario alla concessione del beneficio e rientra per ciò tra i casi in cui la giurisprudenza costituzionale riconosce la legittimità di sospensione, revoca o decadenza, anche attraverso meccanismi automatici».
Pertanto, la sospensione del beneficio non ha una ratio punitiva e sanzionatoria, ma entra in sinossi con gli obiettivi dell’intervento legislativo. Tra l’altro, la stessa sospensione del reddito di cittadinanza non comporta, di per sé, la necessaria privazione in capo al soggetto interessato dei mezzi di sussistenza.
2. Le ragioni del giudice a quo. I caratteri di uno “spoglio”
Il giudice a quo traccia le sequenze di un potere sdoppiato: se con l’adozione della misura coercitiva l’organo corrispondente “consuma” il suo potere cautelare, la sospensione del reddito di cittadinanza acquisito interverrebbe quale proiezione di un subprocedimento consecutivo. Siffatta sospensione, ancorché inquadrata quale sanzione amministrativa, risalirebbe allo ius dicere di un soggetto le cui condizioni di esercizio sono improntate a terzietà, imparzialità ed indipendenza.
Il nomen iuris non può essere vincolante e l’analisi divenire monotematica: la misura è obbligatoria perché non ammette un vaglio devoluto al giudice e potrebbe avere una veste formale amministrativa, contraddetta (o corretta), però, da un piano sostanziale che ne riporta i connotati penali, in linea, in questo processo ricostruttivo, con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha considerato le sanzioni amministrative di natura afflittiva equiparabili a quelle penali [4], con la conseguente vis attractiva dell’applicazione delle relative garanzie (v. la sentenza 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi).
Si attesterebbe la vistosa portata afflittiva della sospensione del reddito di cittadinanza: rispetto ad un beneficio di matrice assistenziale (distinto dal precedente “reddito di inclusione” [5]) - satisfattivo non solo delle esigenze elementari di sopravvivenza del destinatario lato sensu (perché ricomprende oltre il suo percettore diretto pure il nucleo familiare) ma anche di plurimi diritti fondamentali (“tavolari” per così dire: diritti alla vita, al lavoro, alla famiglia) - risulterebbe e risalterebbe (le due “r”) la finalità punitiva del provvedimento sospensivo, che manterrebbe il cordone ombelicale con l’applicazione della misura privativa in personam, essendone il primo un corollario.
In secondo luogo, il significato afflittivo mutua tale carattere dalla definitività e radicalità - che forse non sarebbe improprio appellare irreversibilità - dello “spoglio” iussu iudicis in quanto pur in seguito alla revoca dell’atto sospensivo gli arretrati non corrisposti non potrebbero essere oggetto
di recupero per sanare il vulnus subito dal beneficiario[6].
In tal modo si aprirebbe una forbice: come il masso di Tantalo, il soggetto attinto sarebbe gravato dal peso di una sanzione “penale in senso sostanziale” “quasi senza limiti”[7] e senza che sia stato aperta ed attivata la garanzia del contraddittorio al riguardo, neppure ex post. Opererebbero automatismi applicativi, per un provvedimento “non disputabile” cioè inoppugnabile, emesso de plano. Non sarebbe ammessa la fase dell’impugnazione, né avanti il giudice amministrativo - ostandovi la carenza di un atto formalmente amministrativo - né avanti il Tribunale del riesame, la cui cognizione può devolversi solo relativamente a doglianze concernenti la misura cautelare.
Al riguardo, si noti che un recente arresto giurisprudenziale di merito ha stabilito il principio di diritto secondo cui i regolamenti e gli atti amministrativi generali sono impugnabili ove contengano disposizioni in grado di ledere in via diretta ed immediata le posizioni giuridiche soggettive dei
destinatari[8].
Sul piano della rilevanza della questione di incostituzionalità, l’organo territoriale precisa che l’ordinanza che la riguarda deriva dall’applicazione, ai sensi dell’art. 282-bis c. p. p., della misura cautelare personale di divieto di avvicinamento alle aree frequentate dalla persona offesa dal reato per fatto di maltrattamento in famiglia, punito dall’art. 572 c. p.[9]
Nel corso dell’interrogatorio ex art. 294 c.p.p. la persona assoggettata ha dichiarato di essere titolare
del reddito di cittadinanza[10].
3. Il potere cautelare coinvolto è eccezionale
La norma colpisce il titolo, del beneficiario o del richiedente il reddito di cittadinanza[11] nei cui confronti è stata applicata una misura cautelare personale, pure subentrata a seguito di convalida
dell'arresto[12] o del fermo, o che risulti condannato con sentenza non definitiva per taluno dei delitti
indicati all'art. 7, comma 3. In tali casi, l'erogazione del beneficio di cui all'art. 1 deve essere sospesa. La norma che assume rilievo (nella fattispecie tratta nel giudizio di costituzionalità considerato) è l’art. 282-bis (Allontanamento dalla casa familiare) inserita nella classe delle misure coercitive (capo II del libro IV, Misure cautelari) e nella collana degli artt. 281 (Divieto di espatrio), 282 (Obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria), 282-bis, 282 ter (Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa), 283 (Divieto e obbligo di dimora), 284 (Arresti domiciliari), 285 (Custodia cautelare in carcere), 285-bis (Custodia cautelare in istituto a custodia attenuata per detenute madri), 286 (Custodia cautelare in luogo di cura), 286-bis (Divieto di custodia cautelare)[13].
La vicenda cautelare è ricompresa, tipicamente, nella fase prodromica (e fluida) delle indagini preliminari condotte dal Pubblico Ministero, mentre l’emanazione della sentenza di condanna attiene all’epilogo del procedimento di primo grado e alla fase propriamente di merito (e stabile) del giudizio (sull’accusa formulata). La latitudine della norma è ad amplissimo raggio poiché l’intervento ablativo, denominato “sospensione”, come un compasso, segna l’intero excursus del primo grado dell’accertamento penale sulla imputazione.
Nella fase delle indagini preliminari, però, sussiste solo una protoaccusa, e vige sempre il principio della presunzione di non colpevolezza [14].
Sedes materiae: seguendo una ordinata proprietà distributiva, è il libro IV del codice di procedura penale riformato (che, appunto, soppianta il Codice Rocco del 1930) che ospita la disciplina dell’esercizio del potere limitativo delle libertà individuali, esteso alla disponibilità dei beni. Tale partizione interna, riunita sotto il paradigma della “cautelarità”, potrebbe riguardarsi come il “libro delle soggezioni”, il più nevralgico[15] perché tocca prerogative costituzionali (art. 13 Cost.), la libertà personale, storicamente intesa come “libertà dagli arresti”[16] o (alla Mortati) «inviolabilità dagli arresti», il diritto al writ of habeas corpus e innesta vicende detentive durante il procedimento penale. Siffatto innesto - si ribadisce - è inserito nella prima fase del rito, nel quadro di un disegno ternario (indagine preliminare, omonima udienza[17], giudizio nella cui sfera è prevista l’istruzione acquisitiva della prova, dialetticamente ed oralmente elaborata, nel contraddittorio garantito). In questo assetto spicca la salvaguardia del rispetto del «principio di “giurisdizionalizzazione” delle misure cautelari…della loro sottoponibilità a “riesame” anche nel merito, in contraddittorio fra e parti, davanti ad un organo collegiale»[18].
4. Carenza di uno spatium deliberandi per il giudice e omologazione di due previsione assai lontane per identità e per fasi processuali
Proprio la giurisdizionalità, in precedenza evocata, è la categoria che risulta intaccata nell’attento scrutinio di costituzionalità del giudice a quo, del Tribunale ordinario di Palermo, ancorché il codice riformato abbia fatto del giudice una figura di vertice e primaria, con la sua norma di apertura, all’art. 1, riservata alla “giurisdizione penale”[19].
Infatti, l’automatismo applicativo della sospensione della erogazione del reddito toglie terreno ad un possibile “sindacato” del giudice, che volesse ad esempio utilizzare elementi raccolti durante l’interrogatorio dall’indagato per non sospendere tale erogazione o semplicemente ridurla (in ipotesi, non dispensabile per l’interessato, che non gode di altri redditi, e per quello spirito di solidarietà che caratterizza ed anima la normativa sul reddito). Il divario appare rilevante: la sospensione risale all’esercizio di un potere solo dichiarativo che la legge attribuisce al giudice quale semplice longa manus del precetto di legge, privo di un proprio vaglio che la fattispecie concreta potrebbe richiedere di operare.
La misura cautelare e la somministrazione del reddito hanno rationes del tutto autonome e diverse, penale ed amministrativa, che però confluiscono su un unico soggetto, mentre ratione materie risalgono, soggettivamente, al giudice penale e all’ente amministrativo (l’INPS). Lo ius dicere è, così, vuoto, specialmente nella parte normalmente dedicata alla motivazione: esprimerlo senza un proprio potere di giudizio, però, non è tipico del giudice. Non c’è provvedimento del giudice senza decisione, senza vaglio (cioè, vaglio della fattispecie) e senza motivazione che impegna il magistrato a render conto del potere esercitato.
Né può dirsi che tale vaglio non occorra perché è già considerato alla fonte (vaglio “ritenuto” alla fonte, in ipotesi) cosicché è inutile ripeterlo alla foce, ciò perché alla prima è estranea, per definizione, la cognizione e il trattamento della fattispecie concreta. Questa, la sua analisi, è affidata per legge alla funzione del giudice, e non presunta, per non residuare la robotizzazione del giudice. Il suo ius dicere sarebbe un moto apparente, estensibile al limite massimo di ritenere il provvedimento caducatorio, sostanzialmente, come emesso a non iudice, quando residua l’astrattismo della giurisdizione penale, la cui «funzione è il ponte di passaggio dall’astratto al concreto, dalla legge penale all’esecuzione della legge penale»[20].
L’art. 7-ter. del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, commina la sanzione della “Sospensione del beneficio in caso di condanna o applicazione di misura cautelare personale” (in rubrica) [21]. Al comma 1 è previsto che la sospensione abbraccia, indifferentemente, sia il destinatario di una misura cautelare personale che il soggetto «condannato con sentenza non definitiva per taluno dei delitti indicati all'articolo 7, comma 3».
La norma si presta a due rilievi, riassuntivamente: a) nello stesso trattamento sospensivo, promiscuamente, confluiscono e finiscono sia l’indagato che il condannato, così accomunati, cui corrispondono, però, situazioni identitarie (notevolmente) distinte e distanti tra loro, per i due diversi titoli (procedimentale il primo, processuale il secondo, ciò per scandire le fasi) a cui fanno capo i due soggetti assai lontani nello spazio del rito penale; precisamente, in ordine alla persona sottoposta alle indagini preliminari del pubblico ministero, custodia per cautela in una fase preprocessuale ed endoprocedimentale[22] caratterizzata dalla scrittura e, relativamente all’imputato-accusato, condanna per accertamento in giudizio, esclusivamente nel cui ambito è prevista la sottofase della istruzione e all’interno del dibattimento garantito dai principi del pieno contraddittorio, dall’oralità, dalla pubblicità e dall’immediatezza (rapporto di identità tra l’organo dell’acquisizione della prova e della decisione), e a parte quello della concentrazione;
b) come il vecchio mandato di cattura (art. 253) del codice di rito inquisitorio del 1930 [23], la sospensione è automatica ed agganciata a predeterminati nomina criminis: «i reati di cui ai commi 1 e 2 e per quelli previsti dagli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter, 422 e 640-bis del codice penale, nonché per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo».
5. Precedenti costituzionali e della Cassazione. Art. 282-bis c.p.p. e la corrispondente linea (securitaria) di interdizione
Prima della nota riforma Vassalli, l’art. 253 c. p. p 1930, in rubrica, prevedeva « Casi nei quali il mandato di cattura è obbligatorio », enumerandoli nel dettato normativo[24]. La Corte costituzionale veniva investita da una specifica questione proveniente dal giudice istruttore del Tribunale di Bologna[25] (notoriamente, il vecchio giudice istruttore[26] con la riforma del 1988 è stato sostituto dall’attuale giudice per le indagini preliminari[27] e l’istruzione “per la prova”[28], soppiantata dalle indagini preliminari del P.M., è stata spostata in avanti, inserita nel giudizio, l’ultima fase del procedimento di primo grado). Questi eccepiva il contrasto costituzionale dell’art. 253 del codice Rocco con gli artt. 3, primo comma, 13, primo e secondo comma, 25, terzo comma, 27, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione, argomentando che il mandato di cattura se fosse stato facoltativo ne sarebbe stata preclusa l’emissione, per l’impossibilità di motivarlo con riferimento ad esigenze probatorie, alla consistenza criminosa del fatto di reato, all’allarme sociale, al pericolo di fuga. Venendo meno per il giudice l'apprezzamento calato sull’esigenza di evitare l’inquinamento del bagaglio probatorio, la sua indipendenza sarebbe stata minacciata (art. 104, primo comma, Cost.). Rilevava la gravità dell’imputazione, più che la gravità indiziaria, la prima indice di una presunzione assoluta di pericolosità[29].
Proprio sul dovere di rendere una motivazione ad hoc, con sentenza n. 64 del 1970, la Corte costituzionale (che richiama la sentenza della Corte n. 68 del 1967), ha dichiarata fondata la quaestio sull’art. 253 cod. proc. pen. 1930 nella parte in cui esclude l'obbligo della motivazione in ordine ai sufficienti indizi di colpevolezza (in applicazione dell'art. 111 Cost.). Scrive la Corte: « la Corte non dubita che dal sistema vigente, correttamente interpretato, sia da ricavarsi il principio generale in forza del quale tutte le volte in cui la legge affida al giudice il potere di valutare determinate circostanze, al fine della emissione di un provvedimento processuale, tale valutazione debba essere oggetto di motivazione»[30].
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 253 del 18 luglio 2003, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 222 del Codice penale (Ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario), «nella parte in cui non consente al giudice, nei casi ivi previsti, di adottare, in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, una diversa misura di sicurezza, prevista dalla legge, idonea ad assicurare adeguate cure dell’infermo di mente e a far fronte alla sua pericolosità sociale». Il remittente aveva denunciato il rigido “automatismo” della regola legale che impone al giudice, in caso di proscioglimento per infermità mentale per un delitto che comporti una pena edittale superiore nel massimo a due anni, di ordinare il ricovero dell’imputato in ospedale psichiatrico giudiziario per un periodo minimo di due anni, o per un periodo più lungo in relazione all’entità della pena edittale prevista, senza attribuirgli uno “spazio” entro cui potesse disporre, alternativamente, misure diverse [31].
Del pari: nel caso, oggetto della presente analisi, dell’art. 7 ter cit. sul “RdC”, nel “pendolo” del binomio custodia cautelare-condanna in primo grado, quoad effectum, lo sbocco sarà, in blocco, un provvedimento totalmente ablativo (il nomen iuris è sospensione), senza possibilità, appunto, di declinarlo e regolarlo in dipendenza di casi che sarebbe proporzionato trattare con scelte non radicali. Per esempio, stante la illustrata ratio dell’art. 1 della legge, che si tratta di un strumento d’elezione per combattere la povertà, le stesse tavole della legge potrebbero prevedere un meccanismo flessibile, a fisarmonica, secondo cui sarebbe dato al giudice il potere (oltre che di annullare anche) di ridurre la misura del RdC o applicare il “contrappasso” di una misura (di natura totalmente extrasospensiva[32], improntata al primum vivere[33]) socialmente utile, sul piano dei servizi nel territorio. Sarebbe palese il riequilibrio dell’ordinamento, nel sottosistema cautelare il cui impianto è stato concepito secondo uno “statuto di proporzionalità” dettato all’art. 275, comma 2,c. p. p. (Criteri di scelta delle misure): «Ogni misura deve essere proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata»[34]. Nel solco di tale criterio, si renderebbe non irriducibile il divario tra revisione del beneficio del reddito di cittadinanza e conservazione di un presidio al depauperamento e all’emarginazione sociale.
Con la sentenza n. 253 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975 (“Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”), «nella parte in cui non prevede che, ai detenuti per i delitti di cui all’art. 416-bis del codice penale e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possano essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell’art. 58-ter del medesimo ordin. penit., allorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti». Si era precisato da parte del giudice a quo che il Tribunale di sorveglianza aveva ritenuto non accessibile il beneficio domandato in quanto precluso dai titoli di reato, trattandosi di delitti tutti ricompresi nel protocollo dei reati ostativi ex art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. e non risultando condotte di collaborazione con la giustizia rilevanti ai sensi dell’art. 58-ter ordin. penit., richiamato dallo stesso art. 4-bis. Con ordinanza del 20 dicembre 2018, la Corte di cassazione aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell’art. 4-bis, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354 e aveva fatto un richiamo della giurisprudenza della Consulta sugli “automatismi” nell’applicazione delle misure cautelari personali[35] (con l’emanazione della l. 28 luglio 1984, n. 398, sulla diminuzione dei termini di carcerazione cautelare e la concessione della libertà provvisoria, e della l. 5 agosto 1988, n. 330, sulla nuova disciplina dei provvedimenti restrittivi della libertà personale nel processo penale, si andò, a tappe, sfaldandosi il dualismo cattura facoltativa/cattura obbligatoria e nella direzione dell’abbandono della politica degli automatismi applicativi, nel “cammino delle riforme”[36]).
Per quanto riguarda la Corte di cassazione, può citarsi una decisione del 2019[37] - successiva alla decisione della Consulta 2019 n.24 (nella doppia lettura con Cass., sent. 2021, n. 20156[38]) che ha estromesso dall’appartenenza alla classe della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e della confisca di prevenzione (artt. 4 e 16 cod. ant.) i soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi (art.
1, lett. a, cod. ant.) a causa della sua «radicale imprecisione» [39], e dopo la decisione c.d. De Tommaso della Corte europea[40] - secondo cui «deve concludersi che, a discapito del tenore del D.Lgs. n. 159 del 2011,art. 8, comma 4, e dell'apparente automatismo dell'applicazione delle prescrizioni che sembrerebbe discendere dalla littera legis, la lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata della norma non possa non condurre a subordinare l'adozione delle restrizioni a specifiche e verificate condizioni ». Per quanto d’interesse in questa sede nel richiamo dell’art. 282-ter c. p. p. (misura cautelare personale di divieto di avvicinamento alle aree frequentate dalla persona offesa al reato, nel tratto comune con l’art. 282-bis c. p. p.) la stessa Cassazione scrive che «analoghe considerazioni valgono anche con riguardo all'obbligo del proposto di permanenza nell'abitazione in orario notturno, non essendo revocabile in dubbio che esso si risolva in una compressione della libertà di circolazione dell'individuo. Ne discende che – al pari del divieto di partecipare a pubbliche riunioni – detto obbligo debba motivatamente correlarsi alle specificità della ritenuta pericolosità sociale del proposto… e si renda pertanto necessaria, nel singolo caso concreto, in funzione delle obbiettive esigenze di controllo del proposto»[41].
L’art. 282-bis c. p. p. trova posta per via dell’innesto introdotto dall’art. 1, comma 2, della l. 4 aprile 2001, n. 154, cosicché il compendio delle misure coercitive [42] ha acquisito nel suo seno la misura dell’allontanamento dalla casa familiare (removal from the marital home). In tal modo, «l’art. 282 bis c. p. p. prevede una misura coercitiva introdotta successivamente all’entrata in vigore del codice di rito (dalla l. 4 aprile 2001, n. 154), consistente nell’allontanamento dalla causa familiare imposto dal giudice con il provvedimento cautelare che contiene anche il divieto di farvi rientro o di accedervi senza autorizzazione»[43], precisandosi che «la misura è stata introdotta nel solco di un intervento legislativo comprendente un più ampio ventaglio di “misure contro la violenza nelle relazioni familiari”»[44], aggiungendosi una «nuova cautela»[45].
Si tratta di un obbligo di facere (misto a non facere [46]), nella forma di un atto di desistenza che si sdoppia nel dettato normativo: la prescrizione destinativa rivolta all’imputato ha ad oggetto il divieto di permanenza nella casa familiare e quindi il suo esodo o allontanamento iussu iudicis oppure quello di rientrarvi sine titulo, cioè in assenza di un nulla osta (autorizzazione, nel linguaggio del codice). Prescrizione (articolata al secondo comma della norma nella figura di “sbarramento ambientale” del divieto di avvicinamento in luoghi frequentati dalla persona offesa) ed autorizzazione sono di fonte giurisdizionale. Il giudice, infatti, dispone siffatte limitazioni, trattandosi di una specie di “foglio di via obbligatorio”[47], dato che, per assimilazione, si traducono in un atto ostativo alla libera circolazione individuale[48] (pericula libertatis), altrimenti pericolosa e di pregiudizio[49] alla pacifica convivenza[50]. Così la vittima del reato - esercitando il suo potere di “veto locativo” (primum non nocere) - riceve immediata tutela dall’ordinamento[51] mediante un visibile “scudo ambientale” o schermo protettivo[52], «in funzione di dissuasione dei componenti la collettività dalla commissione di azioni atti a ledere i diritti fondamentali»[53]. Si traccia, così, una linea securitaria di interdizione spaziale illico et immediate, che possiamo appellare distantia loci [54] (e abduttivo il corrispondente provvedimento), un argine “di prossimità” alla libertà di incontrollata locomozione (altrimenti irriducibile) quando sbocca in atti violenti[55] e “percussivi”[56], espressione di un’azione perturbatrice[57]. Tuttavia, «nulla è previsto, a differenza delle altre misure (cfr. art. 98 disp. att.) con riferimento alla cessazione della misura dell’allontanamento della casa familiare»[58].
Riassuntivamente, si è al cospetto di un atto bicefalo: “cautelare” nel tratto oblativo dell’ombrello protettivo aperto per la vittima-persona offesa, “privativo” o impositivo in quello ablativo del forzoso allontanamento domestico (l’abduzione ex lege).
6. Ne procedat iudex ex officio: non rispettato il modello del c.d. processo di parti e mancante la previsione di uno ius ad loquendum
Il tessuto dell’iter di Corte cost. sent. 23 giugno 2021, n. 126 è integrato dal richiamo dell’art. 7-ter cit. (Sospensione del beneficio in caso di condanna o applicazione di misura cautelare personale). Un richiamo sine glossa, per l’incidenza assorbente dell’intervenuta misura cautelare personale, senza interrogarsi la norma (regolativa di una fattispecie a più versanti) se il subprocedimento - dotato quindi di una relativa autonomia - rispetti il c.d. principio della domanda, o si concluda de plano[59].
Al riguardo, nel “palcoscenico” del nuovo processo penale le leve del rito appartengono alle parti e quindi sono rari i casi in cui il giudice si “autoinveste”, come avviene nella norma per eccellenza di tale potere officioso, dell’art. 507 c. p. p. Domina l’opposto principio dispositivo e devolutivo, già partendo dall’esercizio dell’azione penale assegnata al pubblico ministero (art. 112 Cost.). Tale disegno orizzontale “procedimentalizzato”[60] improntato alla «logica del processo di parti» [61], e non verticistico, non risulta, nello specchio dell’art. 7 cit., rispettato con la previsione della sospensione automatica, secca, a prescindere da una richiesta del P.M. Manca nel subprocedimento dell’art. 7 cit. il tratto dialettico (e quindi la trama dell’audiatur altera pars) e partecipativo, ellitticamente declinato in absentia [62].
Un iter così involuto o sincopato è il prodotto di una pianificazione in sommo grado, cioè al vertice legislativo, che non ha lasciato nessuno spazio di discrezionalità non solo all’organo tipico che la esprime ed esercita - qual è il giudice, che recita in tal modo una “giurisdizione senza cognizione”[63] - ma neppure alle parti, che tracciano ed incardinano con le loro iniziative un ordine geometrico, quello del c.d. processo di parti, in rapporto di filiazione con il modello accusatorio. Il deficit rilevante è lo ius ad loquendum, riconoscibile - una specie di “contraddittorio di base”[64] all’interessato anteriormente alla sospensione del reddito di cittadinanza. La Corte europea, in altra occasione, lo chiama “specifico onere di audizione”[65]. L’interrogativo, a questo punto, è se siano state rispettati i canoni che presiedono al c.d. giusto processo, ai sensi dell’art. 111 Cost., che esalta il valore del contraddittorio.
Manca, altresì, un rapporto di filiazione “materiale” (cioè ratione materiae) tra il provvedimento coercitivo applicato (prius) e il reddito di cittadinanza caducato in conseguenza del primo (posterius).
Vero è che «nessun modello aderisce perfettamente ai fatti»[66], ma in questo caso il divario e assai ampio.
Per esempio, nel Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), è inserito l’art. 4 (Ingresso nel territorio dello Stato) che al comma 2 espressamente prevede: «La presentazione di documentazione falsa o contraffatta o di false attestazioni a sostegno della domanda di visto comporta automaticamente, oltre alle relative responsabilità penali, l’inammissibilità della domanda». Quindi è sanzionata con l’inammissibilità dell’istanza, quella fraudolenta.
Del pari, solo una mala gestio del reddito di cittadinanza, dei canali d’accesso e delle modalità di cui si avvale il percettore, potrà “dire” della congruenza rispetto all’atto di ritiro di cui è espressione la perdita del beneficio, ma non quale corollario dell’applicazione di una misura coercitiva extrareclusiva, come nel caso trattato da Corte Costituzionale, sent. 23 giugno 2021, n. 126 (relativo all’art. 282 bis c.p.p.). Tornando al diritto dell’immigrazione, si cita una norma che garantisce lo straniero maggiormente rispetto al cittadino italiano che perde il reddito di cittadinanza non solo in seguito ad un accertamento di merito dettato in sentenza, ma pure nell’ipotesi in cui questa manchi e ancor prima, in costanza di un provvedimento coercitivo, emesso quindi (per definizione) rebus sic stantibus. Invece, per lo straniero vale il D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, che all’art. 6 bis (Diniego del visto d`ingresso) stabilisce: «1. Qualora non sussistano i requisiti previsti nel testo unico e nel presente regolamento, l'autorità diplomatica o consolare comunica allo straniero, con provvedimento scritto, il diniego del visto di ingresso, contenente l'indicazione delle modalità di eventuale impugnazione. Il visto di ingresso è negato anche quando risultino accertate condanne in primo grado di cui all'articolo 4, comma 3, del testo unico»[67]. Dunque, stabili sentenze e non provvedimenti ante causam, provvisori, quelli coercitivi de libertate, eccezionali[68]. Appunto perché eccezionali dovrebbero essere di stretta interpretazione, insuscettibili di valicare il significato penale e libertario, all’origine di provvedimenti impositivi che “veicolano” un trattamento in peius, un sacrificio che - si ribadisce - non si pone in stretto contatto “materiale” con le regole che presiedono il campo cautelare.
Neanche è previsto un preavviso di ritiro del beneficio reddituale, in ambito endoprocedimentale e sul presupposto del carattere amministrativo dell’atto[69] (dovendo il ritiro essere comunicato all’INPS e questi farlo proprio).
7. (All’orizzonte) “il legislatore-giudice”
La disamina che precede, pone in luce, affacciandosi all’orizzonte, al figura di un legislatore-tuttofare, ad ampio raggio, promotore della regola e codificatore ed autore (o almeno coautore) di quella applicata, nessun spazio di apprezzamento della fattispecie concreta residuando e riconoscendosi al giudice così “spogliato” e confinato ad una operazione solo dichiarativa, nel cui ambito, al pari di un velo giuridico, si esaurisce il suo “dire” e che dovrebbe essere, invece, ius dicere[70], cioè regola concreta applicata dal giudice insieme al suo rigoroso ed autentico scrutinio. Infatti, l’art. 7-ter. del D.L. 28 gennaio 2019, n. 4, stabilisce la sanzione della “Sospensione del beneficio in caso di condanna o applicazione di misura cautelare personale” (in rubrica), quella “espulsiva”[71] . Al comma 1 è previsto che alla sospensione è assoggettato, invariabilmente, sia il destinatario di una misura cautelare personale che il soggetto «condannato con sentenza non definitiva per taluno dei delitti indicati all'articolo 7, comma 3»[72].
L’opus del legislatore è completamente esaustivo, di carattere antidevolutivo dell’esercizio del potere giurisdizionale: “a valle” il giudice è, si conseguenza, privo di un vaglio della stessa ratio della norma che getterebbe luce sulla regola applicabile. Recentemente, il giudice di merito ha riaffermato (il carattere di “provvidenza”) che «il Reddito di Cittadinanza, introdotto con decreto-legge 28 gennaio 2019 n. 4 come misura di contrasto alla povertà, è un sostegno economico finalizzato al reinserimento nel mondo del lavoro e all’inclusione sociale che viene riconosciuto ai nuclei familiari in possesso, cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, di requisiti di cittadinanza, reddito e patrimonio»[73]. Si è osservato e precisato, ad esempio, che «l’allontanamento è una misura cautelare predisposta con particolare riferimento ai reati in materia di violenza delle relazioni familiari, ma non vi è alcuna norma che la riservi a tale categoria criminologica»[74].
Si staglia, così, il ruolo operativo - che potrebbe forse anche appellarsi “bulimia regolativa” - della legge, attestandosi e fissandosi la figura del legislatore-giudice, non meno problematica di quella uguale e contraria di giudice-legislatore, per la forte spinta creativa che la caratterizza[75].
Nella “cruna” della Corte costituzionale - che un ruolo importante «ha avuto per la valorizzazione e per l’attuazione della Costituzione» [76] - è passato indenne un vistoso automatismo applicativo veteroinquisitorio (la sospensiva del RdC calata de plano per l’incidenza assoluta di un provvedimento provvisorio di natura coercitiva), che, in assenza di una specifica mediazione cognitiva (espressione della c.d. garanzia partecipativa), esclude le parti (l’iniziativa e l’apporto), trascurando di considerare che «la parte è una preziosa fonte di informazione di cui i funzionari hanno bisogno per giungere alla decisione giusta»[77] [78].
[1] Riprendendo C. Ghisalberti, Storia costituzionale 1848/1948, II, Roma-Bari, Laterza, 1977, 422: «Il garantismo della costituzione repubblicana appare…in tutta evidenza come il motivo determinante l’intera attività della Costituente». Rinviandosi a R. Bin-G.Pitruzzella, Diritto costituzionale, XII ed., Torino, Giappichelli, 2021, 447, «ricco è il complesso di garanzie attraverso il quale la Costituzione e le leggi cercano di assicurare la “neutralità” della Corte costituzionale e dei suoi giudici». T. Martines, Diritto costituzionale, XV ed., riveduta da G. Silvestri, Milano, Giuffrè, 2020, 486 il quale avverte che «una particolare posizione assume, in seno alla Corte, il suo Presidente».
[2] Corte Costituzionale, sent. 23 giugno 2021, n. 126, in dirittifondamentali.it., 2021. Sul c. d. incidente, v. Bin-Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit., 480: «È detto giudizio in via incidentale in quanto la questione di legittimità costituzionale sorge nel corso di un procedimento giudiziario (che viene detto giudizio principale il giudizio a quo), come “incidente processuale”, che comporta la sospensione del giudizio». Proprio sul «procedimento in via incidentale: a) la proposizione della questione», v. Martines, Diritto costituzionale, cit. 497.
[3] L’impulso al giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7-ter, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, appartiene al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Palermo nel procedimento penale a carico di F. M., con ordinanza 7 ottobre 2019, iscritta al n. 86 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 2020.
Lungo una ipotetica linea di displuvio, questa demarca, secondo categorie binarie, il tratto oblativo (il beneficio del reddito di cittadinanza) con quello ablativo (la misura privativa subita, nella forma della sospensione). Simul stabunt, simul cadent: ne beneficia (del reddito) solo chi (insieme ad altri requisiti) non è colpito da un provvedimento cautelare personale o da una sentenza di condanna ancorché non definitiva, per taluni reati.
Sul piano definitorio, v. P. Tonini-C.Conti, Manuale di procedura penale, Milano, Giuffrè, 2021, 439: «Le misure cautelari sono quei provvedimenti provvisori e immediatamente esecutivi, finalizzati ad evitare che il trascorrere del tempo possa provocare uno dei seguenti pericoli:1) pericolo per l’accertamento del fatto storico; 2) pericolo per l’esecuzione della sentenza; 3) pericolo che si aggravino le conseguenze del reato o che venga agevolata la commissione di ulteriori reati. Le misure cautelari…comportano la limitazione di alcune libertà fondamentali». Sul «contenuto dei diritti fondamentali», si rinvia a A. Balsamo, in Manuale di procedura penale europea, a cura di R. E. Kostoris, Milano, Giuffrè, 2019, 121 ss., mentre in materia di misure cautelari, v. G. Spangher, Inquadramento generale, in Aa. Vv., Manuale teorico-pratico di diritto processuale penale, Padova, Cedam, 2018, 670.
[4] V. Corte cost., 18 gennaio 2022, n. 8: «Le esigenze costituzionali di tutela non si esauriscono nella tutela penale, ben potendo essere soddisfatte con altri precetti e sanzioni: l’incriminazione costituisce anzi un’extrema ratio, cui il legislatore ricorre quando, nel suo discrezionale apprezzamento, lo ritenga necessario per l’assenza o l’inadeguatezza di altri mezzi di tutela (sentenza n. 447 del 1998; in senso analogo, con riferimento all’abrogazione del reato di ingiuria, sentenza n. 37 del 2019; si vedano pure la sentenza n. 273 del 2010 e l’ordinanza n. 317 del 1996)». Illogiche le discriminazioni per l’accesso al Reddito di cittadinanza e all’Assegno unico universale, Contrasto alle discriminazioni, in ASGI, 23 settembre 2021.
In dottrina, v. R. Affinito-M.M.Cellini, Il reddito di cittadinanza tra procedimento amministrativo e processo penale, in Sist. pen., 13 settembre 2021. Quando una sanzione extrapenale è troppo elevata somiglia ad una pena, su cui v., recentemente, E. Dolcini, La pena dell’ordinamento italiano, tra repressione e prevenzione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2021, 383.
[5] Corte cost., sent. 25 gennaio 2022, n. 19, Pres. Coraggio – Red.: De Pretis, in Immigrazione.it., 15 febbraio 2022 (commento di C. Morselli, Prime note sul reddito di cittadinanza subordinato al possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo: la Consulta chiude la forbice del sollevato conflitto internormativo, lasciando aperta la porta agli interrogativi): «Rispetto al precedente istituto del reddito di inclusione, dunque, il reddito di cittadinanza si caratterizza per una spiccata finalizzazione all'inserimento lavorativo e per un più stringente meccanismo della condizionalità, cioè per un'accentuazione degli impegni assunti dai beneficiari. Inoltre, rispetto al reddito di inclusione il reddito di cittadinanza è destinato a una platea più ampia di beneficiari, in quanto è prevista una soglia economica d'accesso più alta (art. 2, comma 1, lettera b). Per altro verso, come visto, il d. l. n. 4 del 2019, come convertito, ha previsto un forte allungamento del periodo necessario di residenza in Italia (da due a dieci anni)».
[6] D’altra parte, invece, v., con altra direzione, Cass., sez. un., 19 dicembre 2006, n. 57, in C. E. D. Cass., n. 234955: «Il provvedimento di confisca deliberato ai sensi dell'art. 2-ter, comma terzo, L. 31 maggio 1975 n. 575 (disposizioni contro la mafia) è suscettibile di revoca “ex tunc” a norma dell'art. 7, comma secondo, L. 27 dicembre 1956 n. 1423 (misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), allorché sia affetto da invalidità genetica e debba, conseguentemente, essere rimosso per rendere effettivo il diritto, costituzionalmente garantito, alla riparazione dell'errore giudiziario, non ostando al relativo riconoscimento l'irreversibilità dell'ablazione determinatasi, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all'avente diritto o forme comunque riparatorie della perdita patrimoniale da lui ingiustificatamente subita». V. Cass., sez. un., 29 maggio 2014, n. 42858, in Dir. pen. cont., 17 ottobre 2014 (commento di G. Romeo, Le sezioni unite sui poteri del giudice di fronte all’esecuzione di pena “incostituzionale”), secondo cui (per le conseguenze della sentenza di Corte cost., sent. n. 32 del 2014, in giurisprudenzapenale.it, 6 marzo 2014), sul bilanciamento tra il vincolo della intangibilità del giudicato e l'esecuzione di una decisione penale rivelatasi ex post illegittima, ha sancito il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di incidere sul giudicato. Contra, Cass., sez. I, 1 aprile 2019, n. 27696, in C. E. D. Cass., n. 275888, che nega la competenza del giudice dell'esecuzione. V., sullo stesso tema, Cass., sez. II, 13 ottobre 2010, n. 33641, ivi, n. 279970.
[7] In tema di sequestro ai fini di confisca per equivalente, va assicurato al soggetto nei cui confronti è stato disposto il vincolo cautelare reale un limite, desumibile dai principi fondamentali di proporzionalità e di solidarietà (Cass., sez. III, 13 gennaio 2021, n.795, in Proc. pen. giust., 2022). Spetta sempre al giudice nazionale scegliere la misura secondo i criteri previsti dall’art. 275 c. p. p., facendo riferimento ai principi di proporzionalità e adeguatezza (Cass., sez. IV, 20 ottobre 2021, n. 37739, ivi).
[8] V. T. A. R. Campania – Napoli -, sez. I, sent. 30 settembre 2021, n. 6131, in Il Merito, febbraio 2022, n.2, 68. Analogamente, ma più restrittivamente, v. T. A. R. Campania – Napoli -, sent. 30 settembre 2021, n. 6079, ivi.
«Come fu detto con felice immagine da Calamandrei, il giudizio comune è “l’anticamera” della Corte e il giudice, davanti al quale esso pende, è il soggetto cui spetta di aprire o no il “portone” che dà accesso alla Corte costituzionale»: cfr. V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, vol. II, tomo 2 (L’ordinamento costituzionale italiano – la Corte costituzionale), Padova, Cedam,1984 (V ed.), 263. Si è pure detto che il giudice comune trova posto in una «posizione di intermediarietà tra la sfera politica e quella dei diritti individuali» (G. Zagrebelsky e V. Marcenò, Giustizia costituzionale, Bologna, Il Mulino, 2012, 269. Recentemente, v. Bin-Pitruzzella, Diritto costituzionale, cit., 481, sui requisiti oggettivo e soggettivo «ritenuti necessari dalla giurisprudenza costituzionale perché un organo possa considerarsi legittimato a sollevare la questione di costituzionalità»). In precedenza, v. P. Caretti-U. De Siervo, Diritto costituzionale e pubblico, IV ed.,Torino, Giappichelli, 2020, 446 sulla «iniziativa di un giudice comune».
Obietta A. Natale, Il giudice comune, servitore di più padroni, in Quest. giust., 2020: «Nel corso degli anni, le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici comuni (piccoli o grandi che fossero) sono state sempre più spesso bollate dalla Consulta con il marchio dell’inammissibilità… nel 2010, su 211 giudizi promossi in via incidentale, ben 113 sono stati decisi con ordinanza di manifesta inammissibilità o manifesta infondatezza; nel 2011, su 196 giudizi promossi in via incidentale, ben 129 sono stati decisi con ordinanza di manifesta inammissibilità o manifesta infondatezza; nel 2012, su 141 giudizi promossi in via incidentale, ben 85 sono stati decisi con ordinanza di manifesta inammissibilità o manifesta infondatezza». Il risultato è quello di una «complessiva perdita di effettività del controllo di costituzionalità» (V. Manes, L’evoluzione del rapporto tra Corte e giudici comuni nell’attuazione del volto costituzionale dell’illecito penale, in V. Manes e V. Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodo, itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Torino, Giappichelli, 2019, 1 ss.). Anche nel settore della giustizia di legittimità l’accesso è piuttosto selettivo, ma, da ultimo, v. Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande sezione, sent. 21 dicembre 2021 – Causa C/497/20, proc. Randstand Italia SpA contro Umana SpA e altri, in Guida dir., 29 gennaio 2022, n.3, 120, commento di M. Castellaneta, I limiti posti da norma interna al ricorso in Cassazione non contrastano con il diritto Ue (il riferimento è ai limiti posti dall’ordinamento nazionale ai ricorsi). Nel settore del rito penale, v. G. Spangher, Impugnazioni. Inammissibilità: l’inarrestabile erosione dei diritti delle parti, in Dir. pen. proc., 2022, n.1, 6 s. che mette in luce la «selezione delle inammissibilità per controllare i flussi processuali».
[9] Nella nozione di “maltrattamenti” rientrano i fatti lesivi dell’integrità fisica e dell’integrità del patrimonio morale del soggetto passivo, che rendono abitualmente dolorose le relazioni familiari (Trib. pen., Taranto, sez. I, sent.10 agosto 2021, n. 1036, in Il Merito, febbraio 2022, n.2, 41).
Altra forma di divieto è richiamata da Trib. Ferrara, sez. pen., sent. 12 ottobre 2021, n.1201, in Il Merito, febbraio 2022, n.2, 34: il provvedimento di foglio di via obbligatorio deve contenere non solo il divieto di far ritorno nel territorio del Comune di emissione del provvedimento, ma anche l’ordine di rimpatrio in un determinato luogo, prescrizioni che costituiscono condizioni imprescindibili ed inscindibili per la legittima emissione del foglio di via obbligatorio, con la conseguenza che la mancanza di una delle due prescrizioni determina l’illegittimità del suddetto provvedimento e la conseguente insussistenza del reato di cui all’art. 76 co. 3, D.Lgs. 6 settembre 2011, n.159. Infra, nota n. 41, sull’obbligo del proposto di permanenza nell'abitazione in orario notturno.
[10] Cfr. V. Gramuglia, Interrogatorio di garanzia e legislazione dell'emergenza Covid-19 (art. 83, co. 2 d.l. n. 18/2020): tra garanzie difensive e tutela della salute collettiva, in Sist. pen., 17 novembre 2020. In ordine agli «strumenti cautelari e precautelari» , v. A. De Caro, in Manuale di diritto processuale penale, III ed., AA. VV., Torino, Giappichelli, 2018, 335 ss. Sull’interrogatorio dell’indagato, da ultimo, v. Cass, sez. un., 24 marzo 2022 (ud. 16 dicembre 2021), n. 10728, Pres. Cassano, Rel. Andronio, in Giur. pen., 28 marzo 2022.
[11] Il reddito di cittadinanza nella pratica ha fatto emergere i suoi allarmanti limiti, per la facile possibilità di “lucrarlo” anche da parte di soggetti del tutto atipici (rispetto ai tratti del soggetto abilitato, al perimetro delimitato), aggirando le barriere selettive. “Truffa da 20 milioni di euro. Furbetti del reddito di cittadinanza incastrati dai carabinieri: dal nullatenente in Ferrari all’autonoleggiatore con 27 auto. Nella maxioperazione del comando interregionale Ogaden scovati proprietari di numerosi immobili. C’è persino chi ha millantato di avere sei figli. Rilevate 4.839 irregolarità. Nel 2021 più di 40 milioni indebitamente percepiti”, in Il Sole 24 Ore, 3 novembre 2021.
V. Torino, reddito di cittadinanza: truffa da 6 milioni, 960 indagati, in Corriere di Torino, 8 febbraio 2022; Reddito di cittadinanza, maxi truffa da 6 milioni a Torino: 960 indagati, 330 sono romeni. Dichiaravano dati falsi e residenze inesistenti, in Il Messaggero, 8 febbraio 2022. Altresì, v. La truffa da 21 milioni di euro sul reddito di cittadinanza. Sono state fatte migliaia di richieste a nome di cittadini rumeni mai stati in Italia, e ci sono decine di persone arrestate, in Post., 12 aprile 2022.
[12] Proprio la libertà personale è stata considerata come “libertà dagli arresti” (infra nota 16). Arresto e fermo ricevono la comune definizione di “misure precautelari”, e che diventano la «due subcautele» nella variante linguistica di F. Cordero, Sub art. 380, in Codice di procedura penale commentato, Torino, Utet, 1992, 449.
[13] Corte Cost., sent. 23 giugno 2021, n. 126, cit.: «1.2.- Ciò premesso, in punto di rilevanza il rimettente precisa che la vicenda alla base dell'ordinanza di rimessione origina dall'applicazione, nei confronti di F. M., della misura cautelare personale del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ex art. 282-bis cod. proc. pen., in relazione a fatti riconducibili al reato di maltrattamenti in famiglia, di cui all'art. 572 del codice penale».
In dottrina, v. V. Grevi-M.Ceresa Gastaldo, Misure cautelari, in G. Conso-V.Grevi-M.Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, Cedam, 2020, 353: «Circa la fisionomia delle diverse misure coercitive…esse appaiono tra loro ordinate in termini di progressiva afflittività…All’interno di questa ideale gerarchia, nella quale si concreata uno strumento evidentemente indispensabile per l’attuazione del principio di adeguatezza (art. 275), si collocano le misure del divieto di espatrio…dell’obbligo di presentazione periodica agli uffici di polizia giudiziaria (art. 282) e dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis), nei casi e secondo le articolate modalità previste dai vari commi dello stesso art. 282-bis». Specificamente, v. C. Taormina, Procedura penale, Torino Giappichelli, 2015, 371, a cui si rinvia: «Adeguatezza. La scelta della misura cautelare…è legata al principio di adeguatezza (art. 275)».
Sulle «misure della permanenza in casa e del collocamento in comunità, previste dal rito minorile», v. Cass. pen., sez. II, 22 novembre 2021 (9 settembre 2021), n. 43899 -Pres. Diotallevi - Rel. Recchione P.G.(diff.) - Ric. M. P. S.r.l, in Dir. pen. proc., 2022, n. 2, 186.V., in dottrina, C. Pansini, Commento agli artt. 21-22 D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, in Aa.Vv.,Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda - G. Spangher, V ed., III,Milano, 2017, 1155 ss.
[14] Per uno spunto, da ultimo, v. T.A.R. Campania, sez.I, sent. 31 marzo 2022, n. 21 49, sull’incidenza della condanna non definitiva, in Guia dir., 30 aprile 2022, n.16, 87.
Presunzione di innocenza: v. lo schema di d.lgs. per il compiuto adeguamento alla Direttiva (UE) 2016/343, in Sist. pen., 12 agosto 2021. Il 5 agosto 2021 il Consiglio dei Ministri ha approvato uno schema di decreto legislativo recante “disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”. Il provvedimento fa seguito alla legge di delegazione europea 2019-2020 (l. 22 aprile 2021, n. 53).
Cfr. V. Garofali, Presunzione d’innocenza e considerazione di non colpevolezza. La fungibilità delle due formulazioni, in Presunzione di on colpevolezza e disciplina delle impugnazioni, Atti del Convegno, Milano, Giuffrè, 2000, 63; da ultimo v. G. M. Baccari, Le nuove norme sul rafforzamento della presunzione di innocenza dell’imputato, in Dir. Pen. Proc., 2022, n.2, 160: «le nuove regole segnano un fondamentale passo in avanti, sul terreno giuridico e su quello culturale, perché esaltano il valore positivo dalla presunzione di innocenza consacrato in varie fonti normative (art. 48, par. 1, Carta dei diritti Fondamentali UE; art. 6, par. 2, CEDU; art. 27, comma 2, Cost.): un principio ancora oggi misconosciuto dall’opinione pubblica, anche a causa dell’atteggiamento “giustizialista” tenuto troppe volte dai media». V. Presunzione di innocenza: gli orientamenti in materia di “comunicazione istituzionale su procedimenti penali” della Procura Generale della Corte di cassazione, in Giur. pen., 14 aprile 2022.
Corte e.d.u., sez. I, Strasburgo, 18 novembre 2021, Marinoni c. Italia, in Proc. pen. giust., 19 novembre 2021, Foro it., 19 novembre 2021, commento di N. Paolucci, La correzione di tiro della Corte di Strasburgo sulla presunzione di innocenza.
In ordine al primo grado, v.. in dottrina M. Mazza, Contributo all’analisi del giudizio penale di primo grado, Milano, Giuffrè, 1964, 207; A. A. Dalia, Giudizio, in Il nuovo diritto processuale 2, Il giudizio di primo grado, a cura di A. A. Dalia, Napoli, Jovene, 1991, 385; G. Ubertis, Giudizio di primo grado (disciplina) nel diritto processuale penale, in Dig. pen., V, Torino, Utet, 1991, p. 521; G. Olivieri, Giudice unico di primo grado, in Enc. dir., Agg. V, Milano, Giuffrè, 2001, 483; nonché, più recentemente, A. Diddi, Giudizio, in Aa. Vv., Manuale teorico-pratico di diritto processuale penale, Padova, Cedam, 2018, 303.
[15] Tra i primi commentatori, è, specialmente, M. Chiavario, Una “Carta di libertà” espressione di impegno civile: con qualche sgualcitura (è qualche…patinatura di troppo), in Commento al nuovo Codice di procedura penale, coord. da M. Chavario, III, Torino, Utet, 1990, 3, che richiama E. Fassone, La coercizione personale, in Mag Dem, 1978, 14.
[16] Proprio la libertà personale è stata considerata come «libertà dagli arresti», da G. Aamato, Sub art. 13, Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Rapporti civili, Bologna-Roma, Zanichelli,1977, 4, che cita C. Mortati, Relazione alla Assemblea Costituente della Commissione per studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato, istituita presso il Ministero per la Costituente, Studi diritti pubblico subiettivi, ora in Raccolta di Scritti, I, 622, il quale parla di « inviolabilità dagli arresti ».
[17] Presidiati dai due uffici Gip e Gup, su cui v E. Maccora, La specializzazione per materia negli uffici gip-gup di grandi dimensioni, in Quest. giust.,10 febbraio 2022: «L’ufficio gip-gup diventerà quindi sempre di più un anello strategico dell’intero procedimento penale e sarà determinante per mantenere i canoni della ragionevole durata e rispettare le condizioni poste dal PNRR, che verranno valutati nel 2026 ».Cfr. G. Ruta, Verso una nuova istruzione formale? Il ruolo del pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari, ivi, 20 gennaio 2022: «La “riforma Cartabia” investe profondamente la fase delle indagini preliminari, incidendo su snodi fondamentali, quali il momento “genetico” dell’iscrizione della notizia di reato e del nominativo della persona cui esso è da attribuire, e il momento “conclusivo” delle determinazioni sull’esercizio dell’azione penale».
Cfr. A. Leopizzi, Le indagini preliminari, Milano, Giuffrè, 2017 e, in giurisprudenza, Cass., sez. IV, 4 maggio 2021, n. 16819, in Proc. pen. giust., 4 maggio 2021.
[18] Così, Chiavario, Una “Carta di libertà” espressione di impegno civile: con qualche sgualcitura (è qualche…patinatura di troppo), in Commento al nuovo Codice di procedura penale, cit. 10.
[19] Art. 1, La giurisdizione penale è esercitata dai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario secondo le norme di questo codice. Al riguardo, tra i primi commentari, in dottrina, coglie l’elemento di novità, rispetto alla passata esperienza codicistica, E. Amodio, Il modello accusatorio nel nuovo codice di procedura penale, in E. Amodio-O.Dominioni, Commentario del nuovo codice di procedura pena, I, Milano, Giuffrè, 1989, XXIX: «Il raffronto tra i due sistemi mette subito in evidenza come il codice del 1988 abbia abbandonato lo schema risalente alla tradizione francese, che collocando in testa al codice la normativa sull’azione penale, riconduce tutta la procedura penale a questo concetto». Altresì, v. V. Grevi, Funzioni di garanzia e funzioni di controllo del giudice nel corso delle indagini preliminari, in AA. VV., Il nuovo processo penale. Dalle indagini preliminari al dibattimento, Milano, Giuffrè, 1989,16, ancorché tautologicamente: «la figura del giudice risulta delineata secondo criteri di accentuata giurisdizionalizzazione». Cfr., recentemente, M. Menna, Soggetti e ruoli, in Manuale di diritto processuale penale, III ed., AA. VV., Giappichelli, Torino, 2018, 71 ss.: «Nel codice di procedura penale, a differenza del Codice Rocco, è centrale il riferimento alla giurisdizione».
[20] O. Vannini, Manuale di diritto processuale penale italiano, agg. da G. Cocciardi, Milano, Giuffrè, 1958, 43.
[21] Articolo inserito dalla legge di conversione 28 marzo 2019, n. 26. L’omessa comunicazione delle variazioni di reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari o da vincite al gioco, è idonea alla revoca o alla riduzione del reddito di cittadinanza (Cass., sez. III, sent. 15 febbraio 2022, n. 5309). Cfr. A. Preve, La Cassazione sulla disciplina penale in materia di reddito di cittadinanza: cause di riduzione del beneficio e sequestrabilità delle somme di denaro, in Sist. pen., 2 marzo 2022.
[22] P. L. Vigna, Le indagini preliminari, in AA. VV., Il nuovo processo penale, Dalle indagini preliminari al dibattimento, Milano, Giuffrè, 1989, 6 sulla finalità delle indagini « in senso endoprocedimentale…il che sta a significare che, normalmente, tutto ciò che viene raccolto nella fase delle indagini preliminari è utilizzabile solo all’interno di esse ».
[23] G. D. Pisapia, Prefazione, in AA. VV., Il nuovo processo penale, Dalle indagini preliminari al dibattimento, Milano, Giuffrè, 1989, VII, che segnala il passaggio «dall’applicazione di un sistema sostanzialmente inquisitorio, quale è quello al quale si ispira prevalentemente il codice Rocco, ad un processo a struttura accusatoria, come quello delineato dal codice del 1988». Recentemente, A. Scalfati, Obiettivi processuali e modelli giudiziari, in Manuale di diritto processuale penale, AA. VV., Torino, Giappichelli, 2018, 7, si sofferma sui «caratteri essenziali dei sistemi, rispettivamente, inquisitorio e accusatorio…Nei sistemi del secondo tipo, la magistratura…fa i conti con le garanzie individuali».
[24] «1° di delitto contro la personalita' dello Stato per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a dieci anni, o una pena piu' grave; 2° di omicidio volontario consumato o tentato, di lesioni personali volontarie gravi o gravissime, di rapina, di estorsione o di sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione; 3° di ogni altro delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione per un tempo non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni o una pena più grave». Un meccanismo estensivo coinvolgeva, per esempio, il «delinquente abituale, professionale o per tendenza». La relativa dichiarazione darà luogo ad altre conseguenze: «importa l’applicazione di misure di sicurezza», ai sensi dell’attuale art. 109 c.p. Osserva T. Padovani, Diritto penale, Milano, Giuffrè, 2017, 395: «In realtà, in base all’art. 31, L. 663/1986, anche l’applicazione di una misura di sicurezza personale ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza presuppone in ogni caso il previo accertamento giudiziale della pericolosità». Pure G.Marinucci-E.Dolcini-G.L.Gatta, Manuale di diritto penale, P.G., XII ed., Milano, Giuffrè, 2021, 97: «Secondo la disciplina attuale, la pericolosità sociale va sempre accertata in concreto dal giudice. La disciplina vigente non sembra peraltro compatibile con il principio di precisione che impone al legislatore di fare tutto quanto è in suo potere per ridurre al minimo l’arbitrio del giudice nella formulazione del giudizio di pericolosità».
[25] Corte cost., sent.30 gennaio 1974, n. 21, Pres. F. P. Bonifacio, proc. M. Cristalli.
[26] Si ricorda, del vecchio codice, con G. Leone, Manuale di diritto processuale penale, Napoli, Jovene, 1988, 393: «L’istruzione è sommaria o formale. La distinzione tra le due specie d’istruzione si riferisce alla sollecitudine o meno dell’indagine…Fino alla legge 7 novembre 1969, n. 780 la scelta della specie di istruzione era affidata discrezionalmente al procuratore della Repubblica…Con la predetta legge (provocata dalla sent. n. 117 del 1968 della Corte costituzionale) si è introdotto il potere dell’imputato di chiedere la trasformazione dell’istruzione in formale».
[27] E «con questo sistema si è inteso sopperire ad una situazione determinata dalla abolizione della istruzione, segreta e scritta, tipica dei sistemi inquisitori. Ed alla conseguente soppressione della figura del Giudice Istruttore» (G.D.Pisapia, Introduzione, in AA. VV., Lezioni sul nuovo processo penale, Milano Giuffrè, 1990, 9). Pure G. Riccio, Dal giudice istruttore al giudice dell’udienza preliminare: la fase anteriore al dibattimento nella legge-delega, nel progetto preliminare e nella nuova legge-delega, in Ideologie e modelli del processo penale, Scritti, Napoli, E.S.I., 1995, 106, in merito allo «sforzo di riforma sul giudice istruttore». Più recentemente, per un bilancio, v. F. Casibba, Udienza preliminare e controlli sull’enunciato d’accusa a trent’anni dal codice di procedura penale, in Arch. pen., Riv. Quadr., 2019, fac. 3, Pisa, Ius Pisa, 2019,843, che punta il dito sulla «invadenza della prassi…Il legislatore del 1988 aveva, in effetti, riposto un’eccessiva fiducia nella forza delle regole e nella loro capacità di orientare i comportamenti dei soggetti processuali ».
[28] Scrive P. Ferrua, La prova nel processo penale: profili generali, in AA., VV., La prova penale, a cura di P. Ferrua-E. Marzaduri-G.Spangher, Torino, Giappichelli, 2013, 1-2: «Prova è ogni dato che, legittimamente acquisito al processo, sia valutabile dal giudice in ordine a una determinata proposizione da provare» e G. Ubertis, La prova penale. Profili di studi giuridici ed espistemologici, Utet, Torino, 1995, 27 si concentra sull’«elemento di prova, rappresentato da ciò che, introdotto nel procedimento, può essere utilizzato dal giudice come fondamento della sua successiva attività inferenziale».
[29] Si levavano in dottrina forti dubbi di illegittimità, nel filtro ermeneutico della presunzione di non colpevolezza (ex multis, v. E. Amodio, La tutela della libertà personale dell’imputato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in Riv. it. dir. proc. pen., 1967, 864; M. Pisani, La custodia preventiva: profili costituzionali, in Ind. pen., 1970, 192; nonché V. Grevi, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, Milano 1976, 131 s.; G. Illuminati, La presunzione d’innocenza dell’imputato, Bologna, Zanichelli, 1979, 52).
[30]«Circa l'obbligo di motivazione imposto dall'art. 13 della Costituzione é da osservare che la dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell'art. 253 c.p.p. é sufficiente ad imporne l'osservanza in tutti i casi nei quali la legge - si tratti del codice processuale o di legge speciale - impone l'emissione del mandato di cattura… a prescindere dalla preferibilità di un sistema che demandi sempre al giudice il potere di valutare di volta in volta se il lasciare in libertà l'imputato determini un pericolo di entità tale da giustificarne la cattura e la detenzione» (sent. di Corte cost., n. 64 del 4 maggio 1970, in Giur. cost., 1970. 663; successivamente, sullo stesso tema, v.sentt. 21/74, cit; 19 giugno 1975, n. 146, «dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 148 del codice penale, nella parte in cui prevede che il giudice, nel disporre il ricovero in manicomio giudiziario del condannato caduto in stato d'infermità psichica durante l'esecuzione di pena restrittiva della libertà personale, ordini che la pena medesima sia sospesa»; 14 aprile 1976, n. 88, avvisa che «la detenzione preventiva non ha la funzione di anticipare la pena, applicabile solo dopo l'accertamento della colpevolezza»; 23 gennaio 1980, n. 1, allorché «risulta vulnerata la presunzione di non colpevolezza dell'imputato, la quale impedisce - fino alla sentenza definitiva - di considerare l'imputato come sicuramente responsabile dei reati a lui attribuiti»). In tema, da ultimo, v. Cass., sez. IV, 4 febbraio 2022, n. 3938 quando i ricorrenti con «il quarto motivo censurano il vizio di motivazione» e Cass., sez. V, sent. 10 febbraio 2022, n. 4930, in Norme & Trib., 10 febbraio 2022 allorché «la motivazione del provvedimento impugnato risulta esaustiva e priva di contraddizioni ed illogicità e che in essa si dà anche atto dei vari riscontri che assistono il racconto delle vittime».
[31] Avverte Padovani, Diritto penale, cit., 398: «In particolare, potrà trattasi dell’eventuale applicazione della libertà vigilata (art. 228 c..p., con prescrizioni corrispondenti alle esigenze terapeutiche del soggetto e sufficienti a impedire la commissione di nuovi reati»). Da ultimo, v. F. Gualtieri, L’applicazione delle misure di sicurezza detentive e il “malfunzionamento strutturale” del sistema delle REMS, secondo C. Cost., sentenza n. 22 del 2022: un punto di svolta nel percorso di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, in Giust. ins., 7 febbraio 2022. V., altresì, A. Massaro, Tutela della salute mentale e sistema penale: dalla possibile riforma del doppio binario alla necessaria diversificazione della risposta “esecutiva”, in Quest. giust., 13 maggio 2021.
[32] V., invece, Cass., sez. lav. n. 4154: negato il risarcimento dei danno, patrimoniale e non, al soggetto che è stato sospeso dall’insegnamento a seguito di una misura cautelare interdittiva (Cass., sez. lav., ord. 9 febbraio 2022, n. 4154, in Norme & Trib., 9 febbraio 2022).
[33] Con sent. 44366 del primo dicembre 2021, la Corte di Cassazione muta orientamento interpretativo: rilevanti effetti sulla vicenda degli stranieri che hanno percepito il reddito senza aver maturato il requisito di 10 anni di residenza. La falsa dichiarazione per ottenere il reddito di cittadinanza non integra il reato specifico se il RDC è comunque dovuto (in ASGI, 24 gennaio 2022). È stata depositata ieri la sentenza n. 19/2022 della Corte che dichiara in parte inammissibili e in parte infondate la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 co. 1 lett. a) num. 1) DL 4/19 conv. in L. 26/19, in ASGI, 16 gennaio 2022.
Quindi, la sentenza n. 44366 depositata il 1° dicembre 2021, in particolare, ha confermato il sequestro preventivo emesso a carico di una donna, indagata in ordine alla violazione di cui all’art. 7, comma 1, del Dl n. 4/2019, per aver omesso di fornire, in occasione della presentazione dell’istanza per accedere al reddito di cittadinanza, le complete informazioni concernenti la sussistenza dei requisiti per il godimento del beneficio. Reddito di cittadinanza: sequestro solo se le dichiarazioni omesse ostano al beneficio.
[34] V., ad esempio, E. Marzaduri, Sub art. 275, in Commento al Codice di procedura penale, coord. da M. Chiavario, Terzo Agg., Torino, Utet, 1998, 169 sulla «formulazione di un giudizio di proporzionalità idoneo a soddisfare le esigenze garantistiche che ne costituiscono la ratio».
Sull’accennata esigenza di riequilibrio dei rapporti, si tratterebbe della introduzione di uno strumento inteso come meccanismo di riequilibrio sociale, il cui funzionamento presuppone una leale collaborazione e cooperazione tra cittadino e amministrazione, ispirata alla trasparenza. Per il commento alle sentenze 5289 e 5290 del 2019 della Corte di Cassazione, si rinvia a. M. Carani, Una prima
lettura della disciplina penale in materia di reddito di cittadinanza, in Cass. pen., 2021, 1297 ss.
[35] V. G. Cirioli, Bertoldo e la presunzione assoluta di pericolosità sociale: entrambi impiccati a una pianta di fragole? Un breve commento alla sentenza n. 253/2019 della Corte Costituzionale, in A. I. C., f. 4, 4 agosto 2020. Appunto, v. Corte cost., sent. n. 253, 23 ottobre 2019 (dep. il 4 dicembre 2019), Pres. Lattanzi, Red. Zanon, in www.giurcost.org, con note di M. Ruotolo, Reati ostativi e permessi premio. Le conseguenze della sent. n. 253 del 2019 della Corte costituzionale, in Sist. pen., 12 dicembre 2019; A.Pugiotto, La sent. n. 253/2019 della Corte costituzionale: una breccia nel muro dell’ostatività penitenziaria, in Forum di Quaderni Costituzionali (web), fasc. 1/2020, 4 febbraio 2020, p. 160; M. Cerase, La Corte costituzionale sui reati ostativi: una sentenza, molte perplessità, in Forum di Quaderni Costituzionali (web), fasc. 1/2020, 5 febbraio 2020, 175; M. Chiavario, La sentenza sui permessi-premio: una pronuncia che non merita inquadramenti unilaterali, in Osservatorio AIC (web), fasc. 1/2020, 4 febbraio 2020, 211; A. Menghini, La Consulta apre una breccia nell’art. 4 bis o.p., Nota a Corte cost. n. 253/2019, in Osservatorio AIC (web), fasc. 2/2020, 3 marzo 2020, 307; S. Bernardi, Sull’incompatibilità con la Costituzione della presunzione assoluta di pericolosità dei condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia: in margine a Corte cost., sentenza del 23 ottobre 2019 (dep. 4 dicembre 2019), n. 253, in Osservatorio AIC (web), fasc. 2/2020, 3 marzo 2020, 324; nonché G. Della Monica, La irragionevolezza delle presunzioni che connotano il modello differenziato di esecuzione della pena per i condannati pericolosi. Riflessioni a margine della sentenza n. 253/2019 della Corte costituzionale, in Dirittifondamentali.it, fasc. 1/2020, 4 aprile 2020, 986; J. Mazzacuva, Reati ostativi e benefici premiali: l’emergere di un nuovo paradigma ermeneutico (Commento a C. Cost. 23 Ottobre 2019, n. 253), in Federalismi.it, fasc. 3/2020, 5 febbraio 2020, 84.
[36] Per rendere plastico l’iter, si mutua il titolo, in precedenza, adottato da M. Chiavario, La custodia preventiva nel faticoso e tortuoso cammino delle riforme, in Riv. it. dir. proc. pen., 1982, 1314 ss.
Cfr. G. Lozzi, Sulle principali innovazioni apportate al codice di procedura penale del 1930 dalla legge 5 agosto 1988 n. 330, in Giust. pen., 1988, III, 630.
Non può non citarsi la legge 1995/332, su cui v. V. Grevi, Più ombre che luci nella l. 8 agosto 1995 n. 332 tra istanze garantistiche ed esigenze del processo, in Misure cautelari e diritto di difesa nella L. 8 agosto 1995 n. 332, a cura di V Grevi, Milano, Giuffrè, 1996, 4: «Luci ed ombre nella nuova legge. O meglio, per molti aspetti, più ombre che luci».
[37] Cass., sez. VI, sent. 29 maggio (dep. 11 giugno) 2019, n. 25771, Pres. Paoloni, rel. Bassi, ric. P. A., nel commento di E. Zuffada, La Cassazione scardina in via interpretativa l’automatismo applicativo delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale: verso una questione di legittimità costituzionale?, in Dir. pen. cont., 23 settembre 2019.
[38] Cass., sez. I, sent. 22 aprile 2021 (dep. 20 maggio 2021), n. 20156, Pres. Boni, est. Magi, in Sist. pen., 27 settembre 2021 (con nota di M. Griffo, Una ante-prima della pronuncia delle Sezioni Unite in tema di rimedio esperibile per far valere gli effetti della pronuncia della Corte costituzionale n. 24 del 2019).
[39] Corte cost., sent. 24 gennaio-27 febbraio 2019, n. 24, in Arch. pen., 2019 e Dir. pen, cont., 4 marzo 2019. Sul punto, v. F. Basile, E. Mariani, La dichiarazione di incostituzionalità della fattispecie preventiva dei soggetti “abitualmente dediti a traffici delittuosi”: questioni aperte in tema di pericolosità, in DisCrimen, 10 giugno 2019; M. Cerfeda, La prevedibilità ai confini della materia penale: la sentenza n. 24/2019 della Corte costituzionale e la sorte delle “misure di polizia”, in Arch. pen., 2019, n. 2; S. Finocchiaro, Due pronunce della Corte costituzionale in tema di principio di legalità e misure di prevenzione a seguito della sentenza De Tommaso della Corte edu, in Dir. pen. cont., 4 marzo 2019; C. Forte, La Consulta espunge dal sistema le misure di prevenzione nei confronti dei soggetti “abitualmente dediti a traffici delittuosi”, in il Penalista.it, 28 marzo 2019; V. Maiello, La prevenzione ante delictum da pericolosità generica al bivio tra legalità costituzionale e interpretazione tassativizzante, in Giur. cost., 2019, 332.
[40] C. edu, Grande camera, 23 febbraio 2017 De Tommaso c. Italia, in Arch. pen., 2017, n.1, 1 ss., con commento di A. Dello Russo, La Corte EDU sulle misure di prevenzione. Altro caso di conflitto istituzionale?, e in Dir. pen. cont., 3 marzo 2017, e su cui v. F. Viganò, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, ivi, fasc. 3/2017, 370; S. Finocchiaro, Le misure di prevenzione italiane sul banco degli imputati a Strasburgo, in Riv. it. dir. proc. pen., 2, 2017, 881; V. Maiello, De Tommaso c. Italia e la cattiva coscienza delle misure di prevenzione, in Dir. pen. proc., 2017, 1039; A. M. Maugeri, Misure di prevenzione e fattispecie a pericolosità generica: la Corte europea condanna l’Italia per la mancanza di qualità della “legge”, ma una rondine non fa primavera, in Dir. pen. cont., fasc. 3/2017, 15.
Sui presupposti applicativi della confisca di prevenzione, cfr. AA.VV., Le sanzioni patrimoniali come moderno strumento di lotta contro il crimine: reciproco riconoscimento e prospettive di armonizzazione, a cura di A. Maugeri, Milano, Giuffrè, 2007, 145 ss.; A. Aiello, La tutela civilistica dei terzi nel sistema della prevenzione patrimoniale antimafia, Milano, Giuffrè, 2005, 44 ss.; A. Balsamo, Le prospettive di riforma del sistema delle misure patrimoniali, in AA.VV., I costi dell’illegalità, Bologna, Il Mulino, 2008, 58 ss.; A. Balsamo, La prevenzione ante delictum, in AA.VV., Contrasto al terrorismo interno e internazionale, a cura di R. Kostoris – R. Orlandi, Torino, Giappichelli, 2006, 28 ss.
[41] Cass., sez. VI, sent. 29 maggio (dep. 11 giugno) 2019, n. 25771, in Dir. pen. cont. 2019. V., pure per uno spunto, Corte cost., sent 3 febbraio 2022, n.30. In tale ordine di idee, considerando il carattere residuale gli arresti domiciliari di carattere residuale e il c.d. allontanamento una misura di sicurezza, v. Cass., sez. VI, sent. 7 febbraio 2022, n. 4213, in Guida dir., 26 febbraio 2022, n. 7, 55: il convivente alcolista che ha commesso il reato di maltrattamento in famiglia contro la propria compagna può essere sottoposto a misure che ne limitano la libertà personale al fine di scongiurare il rischio di reiterazione della condotta criminosa. Tuttavia la gradazìone della limitazione della libertà personale deve essere approfonditamente valutata al momento dell’adozione della misura. A ricordarlo è la Cassazione che, nel confermare la misura cautelare degli arresti domiciliari, non aveva preso in considerazione alcune circostanze di fatto che potevano far propendere per l’applicazione di una misura di sicurezza come l’allontanamento della casa familiare, il divieto di avvicinamento alla persona offesa e ai luoghi da essa frequentati oppure il divieto di dimora nel medesimo Comune della vittima. Nel caso di specie vi era stata la fine della convivenza, il cambio di residenza e la presa di contatto con il Sert del luogo della nuova dimora, tutti elementi che non sono stati valorizzati in alcun modo dai giudici (v. C. D. Leotta, Ammissibile il concorso materiale tra maltrattamenti in famiglia e tortura privata, che commenta Cass., sez. III, 31 agosto 2021, n. 32380, in Giur. it., 2020, 194 ss.). Sull’obbligo di dimora, v. Cass., sez. V, 14 ottobre 2020, n. 28757, in Giur. it., 2020, 2598.
In dottrina, v. F. Cordero, Procedura penale, Milano, Giuffrè, 2012, 505: «Allontanamento dalla casa familiare. Dalla l. 4 aprile 2001 n.154 nascono un titolo IX-bis nel codice civile, recante “ordini di protezione contro gli abusi familiari”, e correlativamente, nell’art. 282 bis, una nuova misura prescrittiva: N lasci immediatamente la casa coniugale e non vi rientri né vi acceda senza permesso, secondo date modalità (comma 1)». Cfr. T. Padovani, Sicurezza pubblica: quel collasso dei codici “figlio della rincorsa” all’ultima emergenza, in Guida dir., 2013, n. 36, 10.
[42] In materia, v. E. Marzaduri, A trent’anni dall’entrata in vigore del c.p.p.:le disposizioni generali sulle misure cautelari personali, in Arch. pen., Riv. Quadr., 2019, fac. 3, Pisa, Ius Pisa, 2019,893 ss.
[43] v. A. De Cacro, Strumenti cautelari e precautelari, in Manuale di diritto processuale penale, AA. VV., Torino, Giappichelli, 2017, 354.
[44] M. Chiavario, Diritto processuale penale, Torino, Utet, VIII ed., 2019, 923, ora in Id., Diritto processuale penale, IX ed., Torino, Utet, 2022, 945 ss.
[45] A. Marandola, Le misure cautelari personale, AA. VV., Manuale teorico-pratico di diritto processuale penale, Padova, Cedam, 2018, 694: «il panorama delle misure cautelari si è arricchito di una nuova “cautela”».
[46] Quindi, si tratterebbe della neutralizzazione dell’ animus manendi et revertendi.
[47] Su cui v. Trib. Ferrara, sez. pen., sent. 12 ottobre 2021, n.1201, cit., relativamente al provvedimento di foglio di via obbligatorio che deve contenere non solo il divieto di far ritorno nel territorio del Comune di emissione del provvedimento, ma anche l’ordine di rimpatrio in un determinato luogo (al fini del reato di cui all’art. 76 co. 3, D.Lgs. 6 settembre 2011, n.159).Per il foglio obbligatorio di via del Questore illegittimo v. Cass. pen., sez. I, sent. 29 agosto 2019 n. 36652. In materia, v. Cons. St., sent. 17 maggio 2021, n. 3829; Cons. St., sez. III, sent. 6 settembre 2016, n. 3818; T. A. R. Liguria, 24 febbraio 2016, n. 202. Secondo Cons. St., sez. III, sent. 8 giugno 2011, n. 3451 non è richiesta la comunicazione dell’avviso di procedimento.
[48] In dottrina, v. F. Viganò, Sub art. 2 Prot. n. 4. Libertà di circolazione, in Corte di Strasburgo e giustizia penale, a cura di G. Ubertis e F. Viganò, Torino, Giappichelli, 2016, 354, il quale avverte: «Le garanzie previste dall’art. 2 Prot. n. 4 Cedu, che corrisponde nella sostanza a quelle riconosciute dall’art. 16 della Costituzione italiana, nonché a quelle sancite dall’art. 12 Pidu, sono entrambe riconducibili al genus rappresentato dalla libertà di movimento nello spazio».
[49] V. art. 342-bis c. c. (Ordini di protezione contro gli abusi familiari) «Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente» e art. 342-ter c.c. (Contenuto degli ordini di protezione): «Con il decreto di cui all'articolo 342-bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro». In giurisprudenza, v.Trib. Monza, 7 maggio 2012 (ord.), M.F., in Giur. Mer., 313, 294, in tema di allontanamento dalla casa familiare ai sensi degli artt. 342-bis e 342-ter c.c. Pure, v. Cass. civ., sez. VI, 7 dicembre 2017, n. 29492. Est. Scaldaferri.
[50] Trib. Roma, 25 giugno 2022, Servizio, in Giur. mer., 2002, 1290.
[51] Su cui v. M. Montagna, Obblighi convenzionali, tutela della vittima e completezza delle indagini, in Arch. pen., Riv. Quadr., 2019, fac. 3, Pisa, Ius Pisa, 2019, 771 s. Altresì, v. B. Romano- A. Marandola (a cura di), Codice rosso. Commento alla l. 19 luglio 2019 n. 69, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, Pisa, Pacini giuridica, 2020.
[52] G.i.p. Trib. Palermo, 25 giugno 2001, Lo Coco, in Giur. Mer., 2002, 1047. In dottrina, per esempio, v. G. De Amicis, Sub art. 282-bis, in Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e dottrina, dir. da G. Lattanzi-E.Lupo, IV, a cura di G. Canzio-P.Spagnolo-G. De Amicis, Milano, Giuffrè, 2003, 459; G. Cariolo, Sub art. 282-bis, in Codice di procedura penale, a cura di G Tranchina, T. I, Milano, Giuffrè, 2008, 2072 ss.
Per la manualistica, v. P. Corso, Le misure cautelari, in Aa. Vv., Procedura penale, Torino, Giappichelli, 2015, 371: «l’allontanamento dalla casa familiare è una misura coercitiva specificamente prevista per gli imputati di violenza nelle relazioni familiari: introdotta con l’art. 282 bis (norma pluriemendata)».
[53] Montagna, Obblighi convenzionali, tutela della vittima e completezza delle indagini, cit., 774.
[54]V. in dottrina G. Lozzi, Lezioni di procedura penale, Torino, Giappichelli, 2020, 305: «L’istituto può trovare applicazione nei confronti di chi sia colto in flagranza di uno dei delitti elencati nell’art. 282 bis comma 6° c. p. p. e consta…nell’allontanamento urgente dalla casa familiare». Appunto, «con tale misura il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare». (F. Tonini, Manuale breve. Diritto processuale penale, Milano, Giuffrè, 2021). Nello stesso senso, in materia, v. E. Zappalà-V. Patanè, Le misure cautelari personali, in AA. VV., Diritto processuale penale, a cura di G. Di Chiara, V. Patanè, F. Siracusano, Milano, Giuffrè, 2018, 335: «In vista delle esigenze connesse con le indagini, e quindi al di fuori di ogni finalità di tipo propriamente cautelare, la legge concede agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria il potere di procedere all’arresto o al fermo della perdona indiziata di un delitto, nonché all’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare…nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all’art. 282-bis, comma 6», e ciò, appunto, «per i delitti che sono indicati espressamente dal comma 6 dell’art. 282-bis» (P. Tonini-C.Conti, Lineamenti di diritto processuale penale, XIX ed., Milano, Giuffrè, 2021, 262).
Il giudice che ritenga adeguata e proporzionata la sola misura cautelare dell’obbligo di mantenere una determinata distanza dalla persona offesa (art. 282-ter, comma 1, c. p. p.) può limitarsi ad indicare tale distanza. Nel caso in cui, al contrario, nel rispetto dei predetti principi, disponga, anche cumulativamente, le misure del divieto di avvicinamento ai luoghi da essa abitualmente frequentati e/o di mantenimento della distanza dai medesimi, deve indicarli specificamente [così, in materia di misure cautelari, Cass. pen., sez. un., 28 ottobre 2021 (29 aprile 2021), n. 39005 - Pres. Cassano - Rel. Di Stefano - P.M. Gaeta (parz. diff.) - Ric. G., in Dir. pen. proc., 2022, n.1, 13]. Qualora il giudice applichi la misura del divieto di avvicinamento a favore della persona offesa, è sufficiente che stabilisca la distanza che l'imputato deve mantenere da questa, non essendo necessario che indichi anche i luoghi preclusi all'imputato, nella “sintassi” di Cass., sez. un., sent. 28 settembre 2021, n. 39005.
Per la dottrina, v. G. Bellantoni, Divieto di avvicinamento alla persona offesa ex art. 282 ter c. p. p. e determinazione di luoghi e distanze, ivi, 2013, 1283 s.; P. Bronzo, Profili critici delle misure cautelari “a tutela dell’offeso”, in Cass. pen., 2012, 3466 s.; V. Maffeo, Il nuovo delitto di atti persecutori (stalking): un primo commento al d.l. n. 11 del 20009 (conv. con modif. dalla l. n. 38 del 2009), ivi, 2009, 2719 s.; A. Marandola, I profili processuali delle nuove norme in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale e stalking, in Dir. pen. proc., 2009, 946 s.; C. Minnella, Divieto di avvicinamento e ordine di protezione europeo: il difficile equilibrio tra la tutela “dinamica” alle vittime di stalking e le libertà dell’imputato, in Cass. pen., 2014, 2207 ss.; Id., In assenza di un’individuazione dettagliata il provvedimento è nullo per indeterminatezza, in Guida dir., 2014, 18, 67; F. Peroni, I luoghi oggetto del divieto di avvicinamento devono essere indicati in maniera specifica e dettagliata, in Dir. pen. proc., 2011,1081 ss.
[55] Per Cass., sez. VI, sent. 12 aprile 2010, n. 1389, è inidonea ed inadeguata la misura cautelare che impone l'allontanamento dall'ambiente familiare del genitore che assuma un atteggiamento nei confronti dei figlio minore scarsamente apprezzabile come strumento educativo, e tuttavia generalmente ricorrente nei rapporti familiari, quale quello di rivolgergli epiteti ingiuriosi (nella specie quello di “deficiente”), senza che tenga in debito conto delle ripercussioni che possono derivare sull'assetto affettivo e organizzativo della stessa famiglia e la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare, prevista dall'art. 282 bis c.p.p., non rientrando tra quelle espressamente previste dagli artt. 19 e ss. del D.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, non può trovare applicazione nei confronti di soggetto minorenne (Cass., sez. V, sent. 25 maggio 2007, n. 20496).
Addirittura, la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis c. p. p.) è applicabile anche quando l'indagato abbia già abbandonato il domicilio domestico per intervenuta separazione coniugale (Cass.,sez. VI, sent. 26 maggio 2006, n. 18990).
[56] La fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori da parte dell’agente nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma del delitto aggravato ai sensi dell’artt. 575 c. p. e 576, comma 1, n. 5.1, c. p. - punito con la pena edittale dell’ergastolo - integra un reato complesso, ai sensi dell’art. 84,comma 1, c. p. in ragione della unitarietà del fatto [Cass. pen., sez. un., 26 ottobre 2021 (15 luglio 2021), n. 38402 - Pres. Cassano - Rel. Zaza - P.M. Birritteri (diff.) - Ric. A.M., in Dir. pen. proc., 2022, n.1, 14]. In dottrina, v. R. Bricchetti-L. Pistorelli, Sulla circostanza aggravante dell’omicidio c’è il rischio di interpretazioni forzate, in Guida dir., 2009, 19, 43; F. Macrì, Modifiche alla disciplina delle circostanze aggravanti dell’omicidio e nuovo delitto di “Atti persecutori”, in Dir. pen. proc., 2009, 816.
[57] Ai fini della sussistenza del reato di molestie “col mezzo del telefono”, ciò che rileva è l’invasività in sé del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere l’azione perturbatrice, già subita e avvertita come tale, ovvero di prevenirne la reiterazione, escludendo il contatto o l’utenza sgradita senza nocumento della propria libertà di comunicazione [Cass. pen., sez. I, 22 ottobre 2021 (u.p. 18 marzo2021), n. 37974 - Pres. Siani - Rel. Saraceno - P.M. Zacco (conf.) - Ric. D.F., in Dir.pen. proc., 2022, n.1, 17 s.].
[58] A. Marandola, Le misure cautelari personale, AA. VV., Manuale teorico-pratico di diritto processuale penale, Padova, Cedam, 2018, 694: «sebbene» - prosegue l’A. - «in analogia con quanto stabilito per le misure di cui all’art. 283, pare ovvio ritenere che il provvedimento debba essere comunicato all’interessato e alla polizia giudiziaria competete a controllarne la misura». Sul punto, v. P. Corso, Le misure cautelari, in Aa. VV., Procedura penale, VII ed., Torino Giappichelli 2021, 389: «il rispetto può essere garantito con modalità di controllo elettronico, ove possibili (art. 282 bis in relazione all’art. 275 bis)» .
[59] V., ad esempio il seguente principio: l’inammissibilità dell’appello, scaturente da un precedente rigetto di istanza di rimessione in termini per impugnare, va dichiarata con procedura “de plano”, senza necessità di fissare l’udienza camerale e di avvisare i difensori, trovando applicazione l’art. 127, comma 9, c.p.p., secondo il quale l’inammissibilità dell’atto introduttivo del procedimento è dichiarata dal giudice con ordinanza, anche senza formalità di procedura, salvo che sia diversamente stabilito [Cass pen., sez. II, 2 settembre 2020 (C.C. 24 luglio 2020), n. 24808 - Pres. Imperiali - Est. Pacilli - P.M. Corasaniti - Ric. Koiyf Redwan, in Dir.pen. proc., 2022, f.1, 40]. Fra gli altri, v. G. Colaiacovo, Procedimento in camera di consiglio e declaratoria de plano dell’inammissibilità dell’impugnazione, in Proc. pen. giust., 2019, 3; G. Spagnoli, Osservazioni a Sez. III, 22 dicembre 2010, n. 3895, in Cass. pen., 2011, 3483.
[60] A. Camon, Le prove, in Aa. Vv., Fondamenti di procedura penale, seconda edizione, Vicenza, Cedam, 2020, 282, sul «procedimento probatorio», rinviandosi (al tema può solo accennarsi perché perimetro risulta esulante dai confini della presente analisi).
[61] G. Conso, Introduzione (agg. da M. Bargis), in G. Conso-V.Grevi-M.Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, Cedam, 2019, LXXXIX.
[62] Cfr. M. Cassano, Il procedimento in absentia. Principi sovranazionali e profili applicativi a confronto, Milano, Giuffrè, 2015; L. Iannone, Procedimento in absentia, in il Penalista, 2021.
In dottrina, v. lo studio, ancorché non più recente egualmente d’interesse, sulla «mancata partecipazione dell’imputato ad atti dibattimentali», di G. Ubertis, Dibattimento senza imputato e tutela del diritto di difesa, Milano, Giuffrè, 1984, p.224.
[63] G. Illuminati, Relazione, in AA. VV., G.i.p. e libertà personale. Verso un contraddittorio anticipato?, Napoli, Jovene, 1997, 24, seccamente: « Il giudice per decidere deve conoscere deve conoscere le ragioni di entrambe le parti. Enzo Zappalà…parlava nel 1993 di “giurisdizione senza cognizione”, con riferimento al giudice per le indagini preliminari che adotta il provvedimento restrittivo della libertà personale. Questa definizione ha avuto fortuna ed è stata ripresa da molti ». Parimenti, si interroga M. Nobili, Dal garantismo inquisitorio all’accusatorio non garantito?, in Scenari e trasformazioni del processo penale, Padova, Cedam, 1998, 30: «giudice senza poteri di conduzione o, altresì, giudice senza poteri di cognizione degli atti compiuti?».
[64] V., per uno spunto, Corte cost., ord. 19 novembre 2002, n. 460: «d'altra parte - posto che la funzione dell'avviso di cui al richiamato articolo 415-bis appare essere chiaramente quella di assicurare una fase di “contraddittorio” tra indagato e pubblico ministero, in ordine alla completezza delle indagini - consegue che l'espletamento di quella fase e la garanzia di uno specifico ius ad loquendum dell'indagato in tanto si giustificano, in quanto il pubblico ministero intenda coltivare una prospettiva di esercizio dell'azione penale». Altresì, v. Cass., sez. IV, 19 maggio 2016, n. 20993.
Ma vi sono casi in cui, invece, la parola non è data, all’opposto, alla persona offesa, e su cui v. C. Morselli, È tempo di dare la parola alla persona offesa dal reato nella discussione finale ex art. 523 c.p.p. (riconosciuta all’imputato ma non alla sua vittima non costituita parte civile), passibile di una censura di incostituzionalità nella formulazione attuale, in A. I. C., 19 febbraio 2019, n. 2, 351 s.
[65] In merito all’esame dell’imputato (art. 208 c.p.p.), su tale mezzo istruttorio, v., per uno spunto, Corte e. d. u. 8 luglio 2021, causa Maestri ed altri contro Italia, in Proc. pen. giust., 2021, Sist. pen., 30 settembre 2021, che «ha censurato l’ordinamento processuale italiano per non aver previsto, a garanzia dell’imputato assolto nel primo grado del giudizio e condannato nel processo di appello, uno specifico onere di audizione del medesimo prima di assumere la decisione di condanna. A tal fine è necessario che l’imputato…sia destinatario di una chiamata in giudizio al fine di porlo in condizione di rendere l’esame: a questo scopo non è sufficiente l’ordinaria citazione in appello, ma è richiesta una chiamata specifica con l’indicazione dell’incombente istruttorio da compiersi…Invero, il recente arresto costituisce una tappa ulteriore di una sempre più approfondita verifica - da parte della Corte europea - dei diritti e delle garanzie dell’imputato previste dall’ordinamento, in caso di ribaltamento della sentenza di assoluzione nel giudizio di appello. A partire dal famoso caso Dan c. Moldavia del 15 luglio 2011, la Corte EDU ha mostrato una specifica attenzione all’applicazione dei canoni del giusto processo…in caso di condanna dell’imputato, per la prima volta, nel secondo grado di giudizio…La sentenza Maestri c. Italia, ad avviso della Corte, individua un vulnus sia procedurale che sostanziale, laddove non ci sia stata apposita citazione dell’imputato per l’esame innanzi al giudice di appello prima di essere condannato - per la prima volta - a seguito di un giudizio di primo grado definito con pronuncia di assoluzione. 3. Tale situazione richiede la rimessione al più alto consesso della Corte, pur in assenza di uno specifico strumento previsto nel codice di rito vigente, a differenza del codice di procedura civile…art. 374 secondo comma…operando in via estensiva e sistematica, per esigenza di armonia dei sistemi processuali» (v. Cass., sez. I, ord. 7 dicembre 2021, n. 45179, Pres. A. Tardio, in Norme & Trib., 7 dicembre 2021; v. D. D’Auria, Caso Maestro c. Italia: una nuova ipotesi estensiva della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello?, in Quot. giur., 24 dicembre 2021; altresì L. Roccatagliata, Obbligo del giudice di appello di rinnovare l’esame dell’imputato assolto in primo grado: rimessa una questione alle Sezioni Unite, in Giur. pen., 24 dicembre 2021).
[66] F. Cordero, Riti e sapienza del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1981, 44.
[67] Il corsivo è nostro, per far risaltare la base solida del diniego, rappresentata da una sentenza di merito non da un provvedimento cautelare.
[68] Su ciò pone l’accento G. Spagnher, Inquadramento generale, in Aa. Vv., Manuale teorico-pratico di diritto processuale penale, loc.cit., sulla «eccezionalità della restrizione (con il conseguente riconoscimento del minor sacrificio) della libertà personale prima della condanna se non in presenza di valori costituzionalmente protetti…con il conseguente corollario della provvisorietà (conseguente contingentamento del tempo della restrizione, anche per evitare l’anticipazione della pena) e della rivedibilità…,la libertà personale può subire limitazioni» [sul punto, in precedenza, v. C. De Robbio, (Penale e processo) Le misure cautelari personali, 2016, 1: «Sembrerebbe fuori dal sistema ed illegittima…ogni forma di “anticipazione della pena”»].
Cfr., pure, M. L. Di Bitonto, La tutela cautelare, in Aa Vv., Fondamenti di procedura penale, seconda edizione, Vicenza, Cedam, 2020, 821, sui provvedimenti «attraverso i quali è possibile disporre in via provvisoria la restrizione di diritti, al fine di salvaguardare specifiche esigenze».
[69] L’introduzione nell’ordinamento, con legge 11 febbraio 2015, n.15, del preavviso di rigetto ha segnato l’ingresso di una modalità di partecipazione al procedimento, con la quale si è voluto “anticipare” l’esplicitazione delle ragioni del provvedimento sfavorevole alla fase endoprocedimentale, allo scopo di consentire una difesa ancora migliore all’interessato, mirata a rendere possibile in confronto con l’amministrazione, ancor prima della decisione finale (Cons. St., sez. 3, sent. 8 ottobre 2021, n. 6743 , in Il Merito, febbraio 2022, n.2, 73). L'istituto del c.d. preavviso di rigetto mira a far conoscere alle Amministrazioni, in contraddittorio rispetto alle motivazioni da esse assunte sulla scorta degli esiti dell'istruttoria espletata, quelle ragioni, fattuali e giuridiche, dell'interessato, che possono contribuire a far assumere agli organi competenti una diversa determinazione finale, derivante dal vaglio e dalla ponderazione di tutti gli interessi in campo e determinando una possibile riduzione del contenzioso fra le parti (cfr. Cons. St., sez. III, 5 dicembre 2019, n.834 e 26 giugno 2019, n. 4413; sez. VI, 06 agosto 2013, 4111; sez. III 27 giugno 2013, n. 3525).
[70] Cfr. O. Mazza, Garanzie di indipendenza e di imparzialità degli organi giurisdizionali, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, diretta da M. Chavario ed E. Marzaduri, Torino Utet, 1995, 3, traccia un interessante percorso inverso a quello da noi descritto: «Il ruolo del giudice…è…emblematico del percorso attraverso il quale il modello originario si è confrontato con parametri costituzionali rilevatisi più severi del previsto e con esigenze e sollecitazioni della pratica, emerse con forza nel clima di esasperato impegno in cui il rinnovato processo penale ha fatto le sue prime prove. All’esito si registra un sensibile recupero di centralità d’una figura che la riforma tendeva a spogliare, almeno in parte, delle sue, un tempo soverchianti, attitudini propulsive, a beneficio delle parti», richiamando V. Zagrebelsky, Sul ruolo del giudice nel nuovo processo penale, in Cass. pen., 1989, 913.
[71] Di Bitonto, La tutela cautelare, in Aa. Vv., Fondamenti di procedura penale, cit., 875: «L’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare è misura esperibile in relazione al novero dei reati per i quali è prevista la misura cautelare di cui all’art 282 bis. L’individuazione dei relativi casi di applicabilità, quindi…per relationem».Si osserva che «Il provvedimento impositivo della misura è, altresì, comunicato alla persona offesa, la quale deve essere informata anche della facoltà di richiedere l’emissione di un ordine di protezione europeo, al fine di ottenere che gli effetti della misura cautelare si estendano al territorio di altro Stato membro dell’Unione europea in cui decida di risiedere o soggiornare (art. 282, quater)» (op. cit.,.280).
[72] Tonini-Conti, Manuale di procedura penale, cit., 449, ricordandosi, per le misure, che «la loro applicazione deve rispettare il principio di proporzionalità che ha un fondamento sovranazionale e nel diritto interno, oltre che nella giurisprudenza della Consulta». Da ultimo, v. A. Rizzo, La sentenza della Corte costituzionale sul Reddito di cittadinanza: una critica di merito e “di metodo”, in AISDUE, 2022, sulla sentenza della Corte costituzionale n. 19 del 2022: breve analisi alla luce dei rapporti tra diritto nazionale e diritto dell’Unione europea.
Con la sentenza n. 67 depositata l’11 marzo scorso, la Corte Costituzionale (in ASGI, 17 marzo 2022) ha posto fine al contenzioso in materia di Assegno al Nucleo Familiare, affermando l’obbligo del giudice di applicare anche ai titolari di permesso di lungo periodo e di permesso unico lavoro il trattamento più favorevole previsto per gli italiani.
[73] Trib. Ascoli Piceno, 5 ottobre 2021 (che richiama la circolare INPS n.100 del 5 luglio 2019), sez. I, sent. 5 ottobre 2021 n. 201, in Il Merito, 2022, n. 1, p.13: in tema di reddito di cittadinanza, non ha diritto al sussidio il componente del nucleo familiare disoccupato a seguito di dimissioni volontarie, nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa. In caso di dimissioni volontarie, perderà il diritto a percepire il reddito di cittadinanza il solo componente del nucleo familiare che si è volontariamente licenziato dal lavoro. V., collegata con tale decisione, l’analisi di C. Insarda, Reddito di cittadinanza negato per abbandono volontario del lavoro ma riconosciuto in misura ridotta ad altro componente del nucleo familiare (ivi, 16 ss).
[74] Testualmente, v., in dottrina, P. Tonini, Lineamenti di diritto processuale penale, Milano, Giuffrè, 2017, 228 (più recentemente ribadito in Tonini-Conti, Manuale di procedura penale, cit., 448, e in aggiunta: «Il provvedimento di allontanamento dalla casa familiare è comunicato all’autorità di pubblica sicurezza competente, ai fini dell’eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni»).
Sullo stesso articolo del c. p. p., v. G. Lozzi, Lineamenti di procedura penale, Torino, Giappichelli, 2016, 173.
[75] Sulla «“creatività del giudice” o “della giurisprudenza”…” si ammette che la sua attività…si possa spingere a compiere operazioni più complesse, quali la creazione di una regola…Come è noto, l’ordinamento italiano…consente l’analogia legis e l’ analogia iuris » (G.Alpa, L’arte di giudicare, Roma.Bari, Laterza, 1996, 5-6-7). Sul punto, v. P. Trimarchi, Istituzioni di diritto privato, Milano, Giuffrè, 2000, 9-12: « sovente la norma va interpretata; talvolta non esiste una norma di legge direttamente applicabile al caso…L’art. 12 comma 2 delle disposizioni sulla legge in generale impone qui di aver riguardo a disposizioni che regolano casi simili o materia analoghe (procedimento per analogia)». Da ultimo, v. A. Torrente-P.Schlesinger, Manuale di diritto privato, XV ed., a cura di F. Anelli e C. Granelli, Milano, Giuffrè, 2021, 51: «È impossibile che il legislatore riesca a disciplinare l’intero ambito dell’esperienza umana, per quanto possa essere attento e minuzioso. È inevitabile, infatti, che si presentino casi che nessuna norma di legge ha espressamente previsto e regolato (le c.d. lacune dell’ordinamento)».
[76] A. Pizzorusso, Giustizia e giudici, in La Costituzione ferita, Roma-Bari, Laterza, 1999, 136.
[77] M. R. Damaska, I volti della giustizia e del potere. Analisi comparativa del processo, Bologna, Il Mulino, 1991, 258. Sulla più generale categoria, costituzionale del c.c. giusto processo, v., fra gli altri, Chiavario, Diritto processuale penale (IX ed 2022), cit., 11.; Tonini-Conti, Lineamenti di Diritto processuale penale, cit., 12 ss.
[78] Volendo considerare l’atto della sospensione del RdC una specie di revoca amministrativa ratione temporis (di carattere sanzionatorio se non propriamente “repressivo”, per la immediata e diretta incidenza sulla condizione personale e patrimoniale del soggetto passivo: v. retro nota 4), di cui nella previsione mancano “l’avvio” e “l’avviso” (le due “a”), in via comparativa, v. T. A. R. Lazio, sez. staccata di Latina, sez. I, 15 dicembre 2018, n. 647: in materia di carta di soggiorno ai sensi dell'art. 9, d.lgs. n. 286/98, il mancato avviso dell'avvio del procedimento ex art. 7, legge 241/90, attraverso cui la questura competente comunica al soggetto interessato la revoca della stessa a seguito di reati penali a suo carico che non lo rendono meritevole della permanenza sul territorio italiano, viola il principio del contraddittorio necessario in siffatte fattispecie. Infatti, attraverso la comunicazione dell'avvio del procedimento e il seguente contraddittorio tra le parti, si rende l'Amministrazione procedente edotta di tutte quelle circostanze che la stessa è obbligata a valutare prima della definizione del procedimento di annullamento o revoca della carta di soggiorno, giacché l'organo amministrativo competente deve prendere in considerazione anche l'eventuale esistenza di nuovi elementi che potrebbero eventualmente consentire il mantenimento in capo al ricorrente del permesso di soggiorno che invece si intende revocare.
Sul requisito del possesso della carta di soggiorno (ora permesso per lungo soggiornanti), v. Cass., sez. lav. civ., 10 agosto 2020, n. 16867, in Immigrazione.it., 2020. In tema, v. T. A. R Lombardia, sez. VI, 4 agosto 2021, n. 1885, ivi, 2021.
L'interessato che lamenta la violazione dell'obbligo di comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo ha anche l'onere di allegare e dimostrare che, grazie alla comunicazione, egli avrebbe potuto sottoporre all'Amministrazione elementi che avrebbero potuto condurla a una diversa determinazione da quella che invece ha assunto (art. 7 L. n. 241/1990) (Cons. St., sez. III, sent. 12 maggio 2017, n. 2218). Sulla c.d. garanzia partecipativa di cui all'art. 7 L. 241/1990, v. Cons. St., sez. V, sent. 29 dicembre 2014, n. 6402.
D’interesse la decisione - sul generale procedimento amministrativo e il c.d. preavviso di diniego - di T.A.R. Veneto, Venezia, sez. I, 16 giugno 2021, n. 611, in Norme & Trib., 23 giugno 2021: l’istituto del cosiddetto. preavviso di diniego (articolo 10 bis legge n. 241/1990) assicura che ogni momento del procedimento immediatamente precedente l’adozione del provvedimento sia utile alla P.a. per pervenire alla scelta discrezionale migliore. La norma esige, non solo che l’Amministrazione enunci compiutamente nel preavviso di provvedimento negativo le ragioni che intende assumere a fondamento del diniego, ma anche che le integri, nella determinazione conclusiva (se ancora negativa), con le argomentazioni finalizzate a confutare la fondatezza delle osservazioni formulate dall’interessato nell’ambito del contraddittorio predecisorio attivato dall’adempimento procedurale in questione. La disposizione de qua assolve la sua funzione di consentire un effettivo ed utile confronto dialettico con l’interessato prima della formalizzazione dell’atto negativo, evitando che si traduca in un inutile e sterile adempimento formale.
Il Tribunale di Milano sulla non punibilità delle condotte elusive
di Giovanni Liberati
1. Con la sentenza n. 11397 del 10 novembre 2021 (divenuta definitiva a seguito della mancata impugnazione da parte del pubblico ministero), il Tribunale di Milano, Seconda Sezione Penale, ha assolto l’imputata dal reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art. 3 d.lgs. 74/2000), ritenendo non corretta la qualificazione giuridica delle condotte contestate, oltre che applicabile la disposizione di cui all’art. 10 bis della legge n. 212 del 27 luglio 2000 (Statuto dei diritti del contribuente).
La pronuncia è l’occasione per una breve riflessione sulla punibilità delle condotte elusive o abusive.
2. Alla imputata era stato contestato il reato di cui all’art. 3 d.lgs. 74/2000 in quanto, quale firmataria delle Dichiarazioni dei Redditi (Modello Unico P.F.) per gli anni di imposta 2012, 2013, 2014 e 2015, al fine di evadere l’IRPEF, cedendo in via esclusiva alla società di capitali interamente partecipata dal padre dell’imputata e dalla imputata medesima i diritti economici di utilizzazione della propria immagine (negozio che sarebbe stato privo delle effettive ragioni economiche rappresentate e in realtà avrebbe avuto come unica finalità la interposizione fittizia della società, costituente centro di costo, nella tassazione dei redditi personali dell’imputata, così da ostacolarne l’accertamento e indurre in errore l’amministrazione finanziaria), aveva indicato nelle relative dichiarazioni fiscali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo.
3. Il Tribunale di Milano ha assolto l’imputata da tale contestazione, con la formula “perché il fatto non sussiste”, a seguito di una ricostruzione della fattispecie sottoposta al suo esame.
Il Tribunale ha evidenziato che la ricostruzione accusatoria si fondava sulla natura ancillare della società riconducibile alla imputata, che sarebbe stata priva di apprezzabile ragione giuridica e avente la sola finalità di consentire un indebito risparmio fiscale all’imputata medesima; e ciò mediante una serie di operazioni aventi quale oggetto l’abbattimento degli introiti, la creazione di un centro di costo, la conseguente applicazione alla base imponibile di una aliquota inferiore rispetto a quella riservata alla persona fisica e il riporto a nuovo degli utili (così da posticipare la tassazione del socio al momento della effettiva corresponsione degli utili medesimi).
A fronte di una simile ricostruzione accusatoria, il Tribunale di Milano ha ritenuto corretto l’intervento – operato ai sensi dell’art. 37, comma 3, d.P.R. 600/1973 – della polizia giudiziaria, che, attribuendo globalmente i ricavi all’imputata (secondo il principio di cassa), ha individuato la maggiore imposta dalla medesima dovuta; al contempo, il Tribunale ha ritenuto non condivisibile l’assunto accusatorio avente a oggetto la natura della interposizione societaria, considerata dall’accusa fittizia e simulata (da cui la ritenuta applicabilità, in sede d’imputazione, della disposizione di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74/2000).
In proposito il Tribunale ha ricordato che l’ipotesi di interposizione fittizia può ritenersi integrata, alla luce della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2015, n. 4738, nonché Cass. Civ., sez. II, 12 ottobre 2018, n. 25578), solamente in caso di partecipazione all’accordo simulatorio non solo del soggetto interponente e di quello interposto, ma anche di un terzo soggetto contraente, il quale manifesti la volontà di assumere diritti ed obblighi contrattuali direttamente nei confronti dell’interponente.
L’ipotesi di interposizione simulata (nella specie della simulazione relativa), similmente, può ritenersi integrata (Cass. civ., sez. II, 23 marzo 2017, n. 7537) solo nel caso in cui sussista un accordo non solo tra interponente e interposto, ma anche con il terzo, il quale deve consentirvi esprimendo la propria adesione. Elemento necessario, dunque, affinché possano ritenersi integrate le fattispecie della interposizione fittizia e della interposizione simulata, è la sussistenza di una intesa triangolare, la quale è stata ritenuta assente nel caso riguardante la imputata.
Le operazioni poste in essere dalla società riconducibile alla imputata, infatti, sono state ritenute effettive: nel caso in esame si potrebbe, al più, ad avviso del Tribunale, discorrere di interposizione reale.
In base a quanto affermato in sede di legittimità (Cass. civ., sez. V, 28 giugno 2018, n. 17128), la disciplina di cui all’art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, antielusiva dell’interposizione, trova applicazione non solo nel caso in cui il contribuente ponga in essere un comportamento fraudolento, che si ponga in aperto contrasto con il dettato normativo, ma anche nel caso di comportamenti che si caratterizzano per un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, non distinguendo la norma neppure tra interposizione fittizia ed interposizione reale (si veda in tal senso Cass. civ., sez. V, 27 aprile 2021, n. 11055,[1]).
Per tale ragione tale disposizione è stata ritenuta applicabile al caso sottoposto all’esame del Tribunale di Milano, che ha ritenuto condivisibile l’intervento sulla imputazione dei ricavi (e correlati costi) operato ai sensi dell’art. 37, comma 3, d.P.R. 600/73.
La condotta posta in essere dall’imputata è stata, però, ritenuta priva dei tratti tipici dell’illecito contestato, e cioè quello di cui all’art. 3 d.lgs. n. 74/2000, in quanto priva del necessario carattere della falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie mediante mezzi fraudolenti idonei a ostacolarne l’accertamento, in difetto della insidiosa artificiosità richiesta dalla disposizione, in considerazione della accertata realtà nonché della piena evidenza dei rapporti commerciali intrattenuti dalla imputata con la società alla stessa riconducibile.
La condotta è stata quindi riqualificata ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n. 74/2000 (dichiarazione infedele), del quale tuttavia non risultava superata la soglia di punibilità.
Pertanto, il Tribunale di Milano ha qualificato l’addebito attribuito all’imputata quale “atipico”, e tale circostanza ha condotto all’adozione della formula assolutoria “il fatto non sussiste”, piuttosto che di quella “il fatto non è previsto dalla legge come reato”.
4. Peraltro, l’irrilevanza penale della condotta è stata ritenuta confermata da una sopravvenienza normativa (ad opera del d.lgs. 128/2015) rispetto a una parte delle condotte, costituita dall’art. 10-bis della l. n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), il quale esclude – in particolare, al comma 13 – la punibilità di quelle operazioni – qualificate come “abuso del diritto” o “elusione fiscale” – prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.
Al riguardo il Tribunale ha ritenuto che in presenza di interposizione reale (e non fittizia) non siano ipotizzabili reazioni penali in difetto dei connotati della fraudolenza “in estensione della clausola di cui all’art. 10 bis, comma 13, l. n. 212 del 2000[2]).
5. La pronuncia in commento ripropone la questione delle condotte meramente elusive o abusive e della loro rilevanza penale.
Il Decreto Legislativo n. 128 del 5 agosto 2015, recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 agosto 2015. Dando attuazione all’articolo 5 della legge delega, e in ottemperanza alla raccomandazione 2012/772/UE sulla pianificazione fiscale aggressiva, l'articolo 1 del decreto reca la revisione delle disposizioni antielusive al fine di disciplinare il principio generale di divieto dell'abuso del diritto, dandone una nuova definizione, unificata a quella dell'elusione, estesa a tutti i tributi, non limitata a fattispecie particolari e corredata dalla previsione di adeguate garanzie procedimentali.
La disciplina è prevista dal nuovo articolo 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente (legge n. 212 del 2000).
In base alle nuove disposizioni, si è in presenza dell'abuso del diritto allorché una o più operazioni prive di sostanza economica, pur rispettando le norme tributarie, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.
La norma chiarisce che un'operazione è priva di sostanza economica se i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, sono inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato. Si considerano indebitamente conseguiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.
Tali operazioni non sono opponibili al fisco: quando l'Agenzia delle entrate accerta la condotta abusiva, le operazioni elusive effettuate dal contribuente diventano inefficaci ai fini tributari e, quindi, non sono ottenibili i relativi vantaggi fiscali.
Non si considerano, invece, abusive le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa o dell'attività professionale del contribuente.
Viene esplicitata la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale.
6. Le condotte qualificabili come meramente abusive o elusive, non connotate da fraudolenza o simulazione, o non accompagnate da fatti teleologicamente diretti alla creazione e utilizzo di documenti falsi, non sono penalmente rilevanti, ai sensi dell’art. 10 bis, comma 1, l. n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente[3]), con la conseguenza che si tratta di condotte che, ai sensi del comma 13 della medesima disposizione, non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie, ferma restando l'applicazione delle sanzioni amministrative tributarie (come rilevato anche dal Tribunale di Milano, che ha evidenziato la correttezza dell’accertamento tributario eseguito nei confronti della imputata).
La giurisprudenza di legittimità ha, però, chiarito che l’istituto dell'abuso del diritto[4] ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, cosicché esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi (così Sez. 3, n. 38016 del 21/04/2017[5]).
Occorre, dunque, per escludere la rilevanza penale di condotte meramente elusive o abusive, che nelle condotte contestate difettino fatti connotati da fraudolenza, simulazione o comunque teleologicamente diretti alla creazione e utilizzo di documenti falsi, e anche violazioni di specifiche norme tributarie da osservare nella redazione delle dichiarazioni (quanto alla qualificazione delle componenti attive di reddito), e anche che i fatti in contestazione non integrino le fattispecie penali contemplate dal d.lgs. n. 74 del 2000 connotate da comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa, stante la ricordata residualità dell’istituto dell’abuso del diritto.
Se, quindi, l’art. 10 bis dello Statuto dei diritti del contribuente, sostituendo il previgente art. 37 bis d.P.R. 600/1973 in tema di elusione fiscale (o abuso del diritto), ricomprendendo tutte quelle fattispecie abusive atipiche (di derivazione costituzionale e unionale), ne ha determinato, alle condizioni ricordate, la non punibilità, l’art. 37, comma 3, d.P.R. 600/1973 rimane in vigore, e continua a trovare applicazione nelle ipotesi di interposizione di persona, fittizia o reale [6].
Con la nuova disciplina dell’abuso del diritto, dunque, quelle condotte elusive risultanti dal testo dell’art. 10-bis l. n. 212/2000 non sono punibili e, determinando la disposizione in questione una riduzione dell’area tipica dell’illecito, la medesima trova applicazione retroattiva – come avvenuto nel caso sottoposto all’esame del Tribunale di Milano - ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen.
Dunque, se da un lato – e questa è l’ipotesi che ricorre nel caso di specie -, a seguito della introduzione dell’art. 10 bis l. n. 212/2000, è escluso che operazioni esistenti e volute, anche se prive di sostanza economica e tali da realizzare vantaggi fiscali indebiti, possano integrare condotte penalmente rilevanti - non essendo più configurabile il reato di dichiarazione infedele in presenza di condotte puramente elusive -, al contempo la disposizione trova applicazione soltanto residuale rispetto a quelle fattispecie penalmente rilevanti, contenute nel d.gs. 74/2000, che si riferiscono a comportamenti che presentano i caratteri della fraudolenza, della simulazione o della falsità documentale (in tal senso Cass. pen., sez. III, 7 ottobre 2015, n. 40272).
7. Tali principi, ormai consolidati nella giurisprudenza di legittimità, rilevano anche nelle fattispecie di infedeltà dichiarativa.
Il comma 1 bis dell’art. 4 del d.lgs. 74/2000, stabilisce che “ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali”: la disposizione determina dunque l’irrilevanza penale di dichiarazioni infedeli conseguenti a violazioni solo formali o di carattere valutativo, ossia derivanti dalla scorretta classificazione o dalla diversa valutazione di elementi reddituali, senza falsificazione o fraudolenza, escludendone l’idoneità a consentire di ritenere configurabile il delitto di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000,
Anche nell’applicazione di tale disposizione occorre, però, escludere comportamenti connotati da fraudolenza, giacché in tale ipotesi non si verserebbe più in un caso di scorretta classificazione o diversa valutazione di elementi reddituali, bensì in un comportamento strumentale alla evasione fiscale, a essa preordinato, tale da consentire di escludere l’applicabilità della clausola di irrilevanza penale di cui al citato comma 1 bis.
8. L’ambito di rilevanza penale delle condotte abusive o meramente abusive può dirsi, dunque, chiarito dalla giurisprudenza di legittimità e ai criteri da questa elaborati si è attenuto il Tribunale di Milano nella decisione in commento.
Può aggiungersi che le disposizioni in materia di abuso del diritto in materia tributaria vanno comunque interpretate e applicate tenendo conto dei principi affermati dalle Sezioni Unite Civili con le sentenze n. 30055, n. 30056 e n. 30057 del 23 dicembre 2008, secondo cui:
- esiste nell'ordinamento tributario un generale principio antielusivo, la cui fonte va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria, quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l'ordinamento tributario italiano, segnatamente nell'articolo 53 della Costituzione che afferma i principi di capacità contributiva (comma 1) e di progressività dell'imposizione (comma 2); tali principi costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere; in virtù di tale principio generale il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale "in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale";
- l'esistenza di questo principio non contrasta né con le successive norme antielusive sopravvenute, che appaiono "mero sintomo" dell'esistenza di una regola generale, né con la riserva di legge di cui all'articolo 23 della Costituzione, in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso non si traduce nell'imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, ma solamente nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione delle norme fiscali.
Anche a proposito della punibilità delle condotte abusive o meramente elusive occorrerà, dunque, tenere conto di tali criteri e della ricordata residualità delle disposizioni relative a tali condotte.
Come affermato nella sentenza n. 1372 del 2011[7] l'applicazione delle disposizioni in materia di abuso del diritto deve essere guidata da una particolare cautela, essendo necessario trovare una linea giusta di confine tra pianificazione fiscale eccessivamente aggressiva e la libertà di scelta delle forme giuridiche, soprattutto quando si tratta di attività d'impresa.
[1] secondo cui “ In tema di accertamento dei redditi, la disciplina antielusiva di cui all'art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, non distingue tra interposizione fittizia - la quale ricorre quando, in forza di accordo simulatorio intercorrente tra interponente, terzo e interposto, si finge di contrarre con una persona, ma, in realtà, si vuole che gli effetti del negozio si producano nei confronti di un'altra persona diversa da quella che appare nell'atto - e interposizione reale - nella quale non vi è un accordo simulatorio tra le persone che prendono parte all'atto, il quale è effettivamente voluto; neppure presuppone necessariamente un comportamento fraudolento del contribuente, ma postula l'uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, tale da consentire di eludere l'applicazione del regime fiscale costituente il presupposto di imposta, essendo finalizzata a stigmatizzare operazioni volte ad aggirare la normativa fiscale alla luce del più generale principio del divieto di abuso del diritto”.
[2] così a pag. 10 della sentenza del Tribunale di Milano.
[3] secondo cui “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti; tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”.
[4] generalmente individuato in quelle operazioni prive di spessore economico che l'impresa mette in atto con l'obiettivo principale di ottenere risparmi di imposta attraverso l'utilizzo distorto di schemi giuridici; ognuno di questi schemi singolarmente appare perfettamente legittimo, mentre l'illegittimità deriva dal fatto che essi nel complesso sono messi in atto unicamente per ottenere vantaggi fiscali; il divieto dell'abuso del diritto rientra tra gli istituti cosiddetti antielusivi.
[5] relativa a fattispecie concernente l'indebita indicazione di plusvalenza in regime di esenzione parziale, anziché ordinariamente tassabile e quindi determinante nella formazione del reddito IRES; nel medesimo senso Sez. 3, n. 35575 del 05/04/2016, che ha ribadito che l’istituto dell'abuso di diritto non è configurabile in presenza di condotte che integrino una diretta violazione delle norme in materia doganale o tributaria, con la conseguenza che queste ultime vanno perseguite con gli strumenti che l'ordinamento mette a disposizione, mentre, riguardo ai fatti elusivi riconducibili alla categoria dell'abuso, la suddetta disciplina realizza una sostanziale abolitio criminis, ed opera, pertanto, retroattivamente senza condizioni; nonché Sez. 3, n. 40272 del 01/10/2015, secondo cui l'istituto dell'abuso del diritto ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa di cui al d.lgs. n. 74 del 2000, cosicché esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi; nel medesimo senso v. anche Sez. 3, n. 5809 del 04/12/2018.
[6] in questo senso Cass. civ., sez. V, 22 giugno 2021, n. 17743.
[7] Cass. Civ., n. 1372 del 21 gennaio 2011.
Usucapione della piena proprietà di fondo enfiteutico: non c’è davvero più niente da dire?
di Nicolò Crascì
L’arresto di Cass. VI-II 24.8.2022 n. 25301 sembrerebbe non lasciar adito a dubbi residui. La Suprema Corte ritiene (dopo aver sanzionato di inammissibilità i primi due motivi) manifestamente infondato il terzo motivo di ricorso rivolto a censurare l’affermazione dei giudici di merito che, sia in primo che in secondo grado, avevano concluso che il ricorrente non potesse aver acquistato per usucapione il fondo al centro della controversia in difetto di alcun atto di interversione – quali quelli contemplati dall’art. 1164 c.c. – a partire dal quale potersi ritenere che fosse decorso il termine di legge per usucapire.
È bastato agli Ermellini richiamare due massime della loro giurisprudenza per sancire - poste le premesse (che già, tuttavia, non brillano per chiarezza, risultando infatti tra loro apparentemente contraddittorie) che “il dominio diretto è imprescrittibile” e che, tuttavia, “La proprietà, naturalmente, può essere acquistata da chiunque con il possesso ad usucapionem protratto per il termine di legge”) - che “l'enfiteuta ….. non può - per il preciso disposto dell'art. 1164 cod. civ. vigente e dell'art. 2116 del cod. civ. abrogato - usucapire la proprietà se il titolo del suo possesso non è mutato per causa proveniente da un terzo o in forza di opposizione da lui fatta contro il diritto del proprietario”: laddove – si sanziona infine - “l'omesso pagamento del canone, per qualsiasi tempo protratto, non giova a mutare il titolo del possesso, neppure nel singolare caso che al pagamento sia stata attribuita dalle parti efficacia ricognitiva”.
Che agli effetti di cui all’art. 1164 c.c. il possesso dell’enfiteuta vada assimilato a quello del titolare di altro diritto reale di godimento non appare, tuttavia, per niente pacifico: e tanto si ritiene che, piuttosto che predicarsi una manifesta infondatezza del motivo di ricorso, dovesse essere quantomeno – anche se soltanto per negarlo infine - segnalato.
Che l’art. 1164 c.c. non sia applicabile anche all’enfiteuta è stato, in realtà, riconosciuto non soltanto in dottrina[1] ma anche dalla stessa Suprema Corte allorchè affermava che “L’omessa richiesta da parte del concedente della ricognizione del proprio diritto, ai sensi dell’art. 969 c.c., non nuoce all’esistenza del rapporto enfiteutico solo se con essa non concorra l’acquisto per usucapione da parte dell’enfiteuta che abbia posseduto come pieno proprietario”[2]. Se ciò vero, pare di dover allora riconoscere – una volta ripresa la definizione, fornita dal volume più famoso della dottrina italiana dell’Ottocento in materia[3], secondo cui l’enfiteusi è il diritto che deriva dal “contratto col quale viene concessa una cosa immobile, in perpetuo od a tempo, verso una pensione o canone che si presta al padrone diretto a ricognizione di dominio” – che il possesso dell’utilista “come pieno proprietario” debba essere contrassegnato, al suo esordio, non già da atto di interversione quanto, invece, dalla cessata corresponsione del canone di censo già versato “a ricognizione di dominio”: soltanto entro contesto così ricostruito apparendo, infatti, giustificabile l’affermazione che “L’omessa richiesta da parte del concedente della ricognizione del proprio diritto……nuoce all’esistenza del rapporto enfiteutico”[4].
In contrario – occorre precisare – non si presta a deporre il disposto di detto art. 969 secondo cui il concedente “può” richiedere la ricognizione del proprio diritto, ciò da cui taluno pretende di desumere che questa non debba invece essere richiesta dallo stesso concedente a pena di estinzione del diritto medesimo. Al riguardo si è persuasivamente replicato che il concedente che si veda corrisposto il canone di censo periodico può anche esimersi dal richiedere la ricognizione del proprio diritto senza che debba, per questo, temere alcuna usucapione dell’enfiteuta: usucapione che può, all’opposto, essere impedita solo da un atto di ricognizione se l’utilista abbia posseduto “come pieno proprietario” astenendosi - a partire da un certo tempo, e per tutto il tempo necessario ad usucapire - dal versamento del canone di censo periodico.
Ancora, non sembra che il richiamo di quella sola sua esegesi che pone sullo stesso identico piano il “disposto dell'art. 1164 cod. civ. vigente e dell'art. 2116 del cod. civ. abrogato” sia stato dei più felici giacchè, in realtà, l’art. 2115 del Codice Pisanelli (ricompreso nel capo attinente le “cause che impediscono o sospendono la prescrizione”) - cui l’art. 2116 anzidetto rinviava (prevedendo, infatti, che “Le persone indicate nel precedente articolo possono tuttavia prescrivere, se il titolo del loro possesso si trova mutato o per causa provegnente da un terzo, o in forza delle opposizioni da loro fatte contro il diritto del proprietario”) - sanciva che “Non possono prescrivere a proprio favore quelli che possedono in nome altrui e i loro successori a titolo universale. Sono possessori in nome altrui il conduttore, il depositario, l’usufruttuario e generalmente coloro che ritengono precariamente la cosa”: agli effetti della prescrizione acquisitiva, pertanto, l’enfiteuta non era anch’egli possessore in nome altrui cui, come tale, fosse dato di mutare il titolo del proprio possesso mediante atto di interversione. Dunque, ed in definitiva, quello dell’enfiteuta – cui l’art. 1563 del codice civile abrogato attribuiva espressamente la qualità di “possessore del fondo” - era un possesso sui generis, perché non corrispondente all’esercizio di un diritto reale di godimento: per il Codice Pisanelli l’enfiteusi non era, affatto, un diritto reale di godimento ma un contratto tipico, disciplinato dal suo art. 1556 secondo cui “L’enfiteusi è un contratto con cui si concede, in perpetuo o a tempo, un fondo con l’obbligo di migliorarlo e di pagare un’annua determinata prestazione in denaro o in derrate”; contratto mercè il quale (per quanto – non si vuol sottacere - nozione del genere risulti di non immediata comprensione a chi si sia formato nel vigore del codice civile del 1942) la parte cui venivano trasferite soltanto alcune delle facoltà, ancorchè nel loro complesso di preponderante rilevanza, del diritto di piena proprietà di controparte acquistava anche il possesso cum juribus et pleno dominio del fondo oggetto di negoziazione.
Ed a questo punto – nell’ottica del redattore di questa breve nota di commento – il cerchio si chiude: il versamento al domino eminente del canone di censo periodico previsto in contratto non si atteggia a semplice pagamento di un corrispettivo ma serve, soprattutto, a fornire costante testimonianza del concorrente possesso, anch’esso sui generis, di chi lo riscuote; detto canone viene cioè prestato, con le parole del Borsari, “al padrone diretto a ricognizione di dominio”, ditalchè la sua mancata corresponsione rende già manifesta, da sé soltanto, la volontà dell’utilista di non riconoscere più il concorrente possesso del domino eminente.
Analoga ratio sorregge, d’altro canto, quanto risulta pacifico[5] in materia di usucapione di bene comune, vale a dire che il comunista ben possa usucapire anche in assenza di atti di interversione.
Sarebbe auspicabile – si ritiene - un intervento delle Sezioni Unite, anche se la materia a taluno sa forse di vecchio e stantio….
[1] RUPERTO C., Usucapione (diritto vigente), in Enc. Dir., XLV, Milano, 1992.
[2] Cass. 19.8.57 n. 3405, in Giust. Civ. Rep., 1957, voce Enfiteusi, n. 62.
[3] BORSARI L., Il contratto d’enfiteusi, sopravvivenze del dominio diviso nell’età della codificazione, Ferrara 1850.
[4] In termini MESSINEO F., “La finalità dell’atto di ricognizione è evitare l’estinzione del diritto del concedente – nell’enfiteusi perpetua o di durata superiore al ventennio – per effetto di usucapione del diritto medesimo da parte del possessore del fondo enfiteutico. L’atto di interruzione funge da mezzo di interruzione dell’usucapione (arg. 1165 e 2944 c.c.)”, così in Manuale di Diritto Civile e Commerciale, 9^ Ed. (Milano 1950-55).
[5] La giurisprudenza in argomento è sempre stata di segno univoco: tra gli arresti più recenti Cass. II 12/04/2018 n. 9100, “Il partecipante alla comunione che intenda dimostrare l'intenzione di possedere non a titolo di compossesso, ma di possesso esclusivo ("uti dominus"), non ha la necessità di compiere atti di "interversio possessionis" alla stregua dell'art. 1164 c.c., dovendo, peraltro, il mutamento del titolo consistere in atti integranti un comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed "animo domini" della cosa, incompatibile con il permanere del compossesso altrui”.
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