ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Scheda n. 4 - Misure cautelari
OBIETTIVO DELLA RIFORMA
Rispetto ad altri settori della procedura penale, la riforma in commento incide sulla disciplina delle misure cautelari in modo sensibilmente inferiore, principalmente con lo scopo di coordinare la materia della cautela (non solo personale, ma anche reale) con altri ambiti procedurali che tendono a privilegiare il contatto attivo con la persona offesa nell’ottica della riparazione; a garantire l’avvio verso la digitalizzazione del processo penale con un maggiore ricorso al mezzo telematico; a garantire l’effettiva consapevolezza all’indagato/imputato della pendenza del procedimento/processo.
La riforma, inoltre, collega alcune disposizioni in tema di sequestri con le vicende dell’appello e con il rito degli irreperibili (novellato).
Sotto il profilo del contatto con la normativa penale sostanziale, la novella coordina il decorso del termine di fase delle misure cautelari se non sia immediatamente possibile accedere alle sanzioni sostitutive, tanto da richiedere l’impiego di tempo per acquisire le necessarie informazioni in grado di giustificare la concessione di tali sanzioni.
Il pacchetto riformato delle sanzioni sostitutive è destinato ad incidere anche sulla compatibilità di determinate misure custodiali con l’applicazione di tali sanzioni.
IL RAPPORTO CON LA GIUSTIZIA RIPARATIVA
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 293 c.p.p. – Adempimenti esecutivi. 1. Salvo quanto previsto dall’art. 156, l’ufficiale o l’agente incaricato di eseguire l’ordinanza che ha disposto la custodia cautelare (Omissis) lo informa: (Omissis) i-bis) della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa. (Omissis) |
La disposizione su cui incide la riforma regola gli adempimenti esecutivi conseguenti all’esecuzione di un provvedimento dispositivo di misura cautelare coercitiva.
Con l’introduzione della lettera “i-bis” si impone all’Ufficiale o all’Agente di p.g. che provvede ad eseguire il provvedimento l’obbligo di informare l’indagato/imputato della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa.
La disposizione è immediatamente precettiva a partire dal 30.12.2022.
LA DIGITALIZZAZIONE, LA DOCUMENTAZIONE E L’UTILIZZO DEL MEZZO TELEMATICO
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 294 c.p.p. - Interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale. (Omissis) 4. Ai fini di quanto previsto dal comma 3, l'interrogatorio è condotto dal giudice con le modalità indicate negli articoli 64 e 65. Al pubblico ministero e al difensore, che ha obbligo di intervenire, è dato tempestivo avviso del compimento dell'atto. Il giudice può autorizzare la persona sottoposta a misura cautelare e il difensore che ne facciano richiesta a partecipare a distanza all’interrogatorio. (Omissis) 5. Per gli interrogatori da assumere nella circoscrizione di altro tribunale, il giudice, o il presidente, nel caso di organo collegiale qualora non ritenga di procedere personalmente e non sia possibile provvedere ai sensi del terzo periodo del comma 4, richiede il giudice per le indagini preliminari del luogo. (Omissis) 6-bis. Alla documentazione dell’interrogatorio si procede anche con mezzi di riproduzione visiva o, se ciò non è possibile a causa della contingente indisponibilità di mezzi di riproduzione audiovisiva o di personale tecnico, con mezzi di riproduzione fonografica. È fatta salva l’applicazione dell’articolo 133-ter, comma 3, terzo periodo, nei casi in cui è autorizzata la partecipazione a distanza dell’interrogatorio. |
La riforma incide sull’interrogatorio c.d. “di garanzia” che deve essere effettuato in seguito all’applicazione della misura cautelare.
Si prevede (co. 4) la possibilità di autorizzare la partecipazione a distanza dell’indagato e del difensore (se ne fanno richiesta) all’interrogatorio. Ciò va di pari passo con la modifica della modalità di documentazione dell’interrogatorio (co. 6-bis), che deve avvenire anche (quindi in combinazione con la modalità manuale tradizionale) con mezzi di riproduzione audiovisiva o – in caso in cui questi manchino o non funzionino, o non vi sia personale adibito a ciò - con mezzi di riproduzione fonografica. Il posizionamento di questa nuova disposizione nel testo della norma, come previsione ulteriore a completamento della disciplina dell’interrogatorio, sembra lasciare intendere che si tratti di una norma da applicarsi a tutti gli interrogatori, anche quelli relativi a misure diverse da quella carceraria, posto che diversamente – se cioè la si intendesse come modalità di documentazione dell’interrogatorio di chi è in custodia cautelare - sarebbe una duplicazione di quanto già previsto dall’art. 141-bis c.p.p., che impone per l’appunto la documentazione con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva dell’interrogatorio, svolto al di fuori dell’udienza, della persona che si trova in stato di detenzione. Lo stesso art. 141-bis c.p.p. è stato modificato dalla novella in commento, nel senso che la precedente formulazione: “mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva” è stata ricostruita in coerenza con il comma 6-bis dell’art. 294 c.p.p.: “l’interrogatorio […] deve essere documentato integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva o, se ciò non è possibile, con mezzi di riproduzione fonografica. Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione audiovisiva e fonografica o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia, ovvero della consulenza tecnica”.
Nel caso in cui l’interrogatorio sia svolto “a distanza” su richiesta di parte, si applica l’art. 133-ter comma 3, terzo periodo c.p.p., nel senso che “dell’atto o dell’udienza è sempre disposta la registrazione audiovisiva”.
Viene limitato il ricorso al c.d. interrogatorio per “rogatoria” (comma 5). Si privilegia infatti l’interrogatorio diretto da parte del giudice che ha disposto la misura (chiaramente per gli atti da assumere in una circoscrizione di Tribunale diversa rispetto a quella cui appartiene il giudice della misura), che può anche essere svolto tramite la partecipazione a distanza.
Solo ove il giudice ritenga di non provvedere autonomamente, salvo che non sia possibile provvedere con il collegamento “a distanza”, allora sarà possibile richiedere la rogatoria.
La disposizione è immediatamente precettiva a partire dal 30.12.2022.
LA CONSAPEVOLEZZA DELL’INDAGINE E DELLA MISURA CAUTELARE
La riforma incide su due disposizioni fondamentali che si coordinano tra loro.
All’art. 295, comma 2, c.p.p. destinato a regolare le ricerche del catturando, è inserita una formula (invero piuttosto generica e che si riporta al giudizio del singolo giudice), secondo la quale se le ricerche effettuate “non sono esaurienti”, si deve disporre che le stesse proseguano.
In caso contrario è possibile dichiarare, secondo le modalità dell’articolo 296 c.p.p., la latitanza.
Per il decreto di latitanza, previsto per ogni tipo di misura cautelare (art. 296, comma 2, c.p.p.), è ora imposto un maggiore obbligo motivazionale sulle circostanze da cui si desume la volontà dell’indagato di sottrarsi all’esecuzione della misura, essendo necessario dimostrare che questi abbia effettiva conoscenza della misura stessa. Si tratta di un passo in più rispetto alla giurisprudenza della Corte di Cassazione che, sul punto, reputava bastevole la consapevolezza della possibilità che il provvedimento restrittivo della libertà potesse essere emesso (Cass. pen., sez. II^, 23.09.2016, n° 47852).
È previsto inoltre l’obbligo di comunicare, al momento del rintraccio del latitante, la data dell’udienza, se il processo è in corso (comma 4-bis).
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 296 c.p.p. – Latitanza. (Omissis) 2. La latitanza è dichiarata con decreto motivato. Se la dichiarazione consegue alla mancata esecuzione di un’ordinanza applicativa di misure cautelari, nel decreto sono indicate le specifiche circostanze che provano l’effettiva conoscenza della misura e la volontà di sottrarvisi. Con il provvedimento che dichiara la latitanza, il giudice designa un difensore di ufficio al latitante che ne sia privo e ordina che sia depositata in cancelleria copia dell'ordinanza con la quale è stata disposta la misura rimasta ineseguita. Avviso del deposito è notificato al difensore. (Omissis) 4-bis. Quando il provvedimento che ha dato causa alla dichiarazione di latitanza è eseguito, se il processo è in corso, all’imputato è comunicata la data dell’udienza. (Omissis) |
La disposizione è immediatamente precettiva a partire dal 30.12.2022.
LA DURATA E LA PERDITA DI EFFICACIA DELLE MISURE CAUTELARI
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 300 c.p.p. - Estinzione o sostituzione delle misure per effetto della pronuncia di determinate sentenze. (Omissis) 4-bis. Quando, in qualsiasi grado del processo, è pronunciata sentenza di condanna o sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444, ancorché sottoposta a impugnazione, alla pena pecuniaria sostitutiva o al lavoro di pubblica utilità sostitutivo, di cui alla legge 24 novembre 1981 n. 689, non può essere mantenuta la custodia cautelare. Negli stessi casi, quando è pronunciata sentenza di condanna o sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 alla pena della detenzione domiciliare sostitutiva, non può essere mantenuta la custodia cautelare in carcere. In ogni caso, il giudice può sostituire la misura in essere con un’altra meno grave di cui ricorrono i presupposti, ai sensi dell’articolo 299. (Omissis) |
In tema di cause di estinzione delle misure cautelari per l’effetto della pronuncia di determinante sentenze (e quindi per causa diversa dal decorso del tempo), accanto a quelle tradizionali la riforma introduce una nuova causa di estinzione, collegandola alla concessione (con sentenza di condanna o di applicazione pena, ancorché non esecutive) della sanzione del lavoro di pubblica utilità sostitutivo, della pena pecuniaria sostitutiva, ovvero della detenzione domiciliare sostitutiva, riconosciute le quali non può essere mantenuta la custodia cautelare. La disposizione ovviamente è limitata solo a questo tipo di misura cautelare (che chiaramente impedirebbe l’adempimento alle sanzioni sostitutive), lasciando intendere che altre misure, meno gravose, risultano comunque compatibili con la sanzione sostitutiva (comma 4-bis).
Ed invero, nulla vieta al giudice, qualora ve ne siano i requisiti, di sostituire il carcere con misura meno grave (anche arresti domiciliari).
Altra causa di perdita di efficacia, prevista per la custodia cautelare e per gli arresti domiciliari, viene collegata dalla riforma alla pronuncia di sentenza nei confronti dell’irreperibile.
Quando quest’ultima diventa irrevocabile, le misure custodiali perdono efficacia (art. 420-quater, co. 7, in relazione al comma 6, c.p.p., nonché in relazione all’art. 420-sexies, co. 6 c.p.p.).
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 420-quater c.p.p. - Sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato. (Omissis) 7. In deroga a quanto disposto dall’articolo 300, le misure cautelari degli arresti domiciliari e della custodia in carcere perdono efficacia solo quando la sentenza non è più revocabile ai sensi del comma 6. In deroga a quanto disposto dagli articoli 262, 317, 323, gli effetti dei provvedimenti che hanno disposto il sequestro probatorio, il sequestro conservativo e il sequestro preventivo permangono fino a quando la sentenza non è più revocabile ai sensi del comma 6. |
In tema di cause di sospensione del termine di fase, accanto alle tradizionali la riforma ne introduce una nuova (art. 304, comma 1, lettera c-ter, c.p.p.), ancora una volta collegata alle sanzioni sostitutive ed al meccanismo per la loro applicazione (art. 545-bis c.p.p.). Il termine di fase è sospeso (automaticamente) dalla lettura del dispositivo della sentenza fino alla data dell’udienza camerale fissata per la decisione sulla sostituzione della pena, quando ciò non sia immediatamente possibile (ad esempio perché è necessario acquisire la relazione dell’UEPE), fermo restando che il termine in questione non può mai essere superiore a giorni sessanta, con la conseguenza che se l’udienza camerale è fissata ad una distanza temporale maggiore, i giorni restanti dal sessantunesimo in avanti prevederanno la ripresa del decorso del termine di fase della misura cautelare in essere.
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 304 c.p.p. - Sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare. 1. I termini previsti dall'articolo 303 sono sospesi, con ordinanza appellabile a norma dell'articolo 310, nei seguenti casi: (Omissis) c-ter) nei casi previsti dall’articolo 545-bis, comma 1, durante il tempo intercorrente tra la lettura del dispositivo e l’udienza fissata per la decisione sulla eventuale sostituzione della pena detentiva con una pena sostitutiva ai sensi dell’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689; in tal caso, la sospensione dei termini previsti dall’articolo 303 non può comunque avere durata superiore a sessanta giorni. (Omissis) |
La disposizione è immediatamente precettiva a partire dal 30.12.2022.
GLI INTERVENTI SULLE MISURE CAUTELARI REALI ED IL RAPPORTO CON L’APPELLO
In tema di sequestro conservativo la riforma elimina la possibilità di ottenere il provvedimento cautelare reale in esame per la garanzia a favore dello Stato del pagamento della pena pecuniaria (art. 316 c.p.p.), proprio per ciò – in tema di esecuzione sui beni sequestrati - viene espunto dal codice di procedura il riferimento al passaggio in giudicato delle sentenze che dispongono il pagamento di sanzione pecuniaria, così come viene espunto il riferimento alle pene pecuniarie dall’elenco dei crediti che possono essere soddisfatti con il ricavato della vendita dei beni sottoposti a sequestro.
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 320 c.p.p. – Esecuzione sui beni sequestrati. 1. Il sequestro conservativo si converte in pignoramento quando diventa irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria ovvero quando diventa esecutiva la sentenza che condanna l'imputato e il responsabile civile al risarcimento del danno in favore della parte civile, fatto salvo quanto previsto dal comma 2-bis dell'articolo 539. La conversione non estingue il privilegio previsto dall'articolo 316 comma 4. 2. Salva l'azione per ottenere con le forme ordinarie il pagamento delle somme che rimangono ancora dovute, l'esecuzione forzata sui beni sequestrati ha luogo nelle forme prescritte dal codice di procedura civile. Sul prezzo ricavato dalla vendita dei beni sequestrati e sulle somme depositate a titolo di cauzione e non devolute alla cassa delle ammende, sono pagate, nell'ordine, le somme dovute alla parte civile a titolo di risarcimento del danno e di spese processuali, le pene pecuniarie, le spese di procedimento e ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato. |
La riforma inoltre coordina le disposizioni sulla durata del sequestro conservativo con le disposizioni in tema di appello che si occupano della decisione sui capi civili della sentenza.
In caso di devoluzione della decisione sulle questioni civili al giudice civile per improcedibilità dell’azione dovuta al superamento dei termini previsti per l’appello, il sequestro conservativo permane efficace fino all’intervenuto giudicato della sentenza civile (art. 317, comma 1 che si riporta all’art. 578, comma 1-ter c.p.p.).
ARTICOLO RIFORMATO |
Art. 317 c.p.p. – Forma del provvedimento. Competenza. 4. Salvo quanto disposto dal comma 1-ter dell’articolo 578, gli effetti del sequestro cessano quando la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere non è più soggetta a impugnazione. La cancellazione della trascrizione del sequestro di immobili è eseguita a cura del pubblico ministero. Se il pubblico ministero non provvede, l’interessato può proporre incidente di esecuzione. |
I sequestri probatori, conservativi e preventivi, se emessi nei procedimenti contro irreperibili, sono destinati a perdere efficacia con l’irrevocabilità della sentenza ex art. 420-quater c.p.p. (comma 6 dello stesso art. 420-quater c.p.p.)
La disposizione è immediatamente precettiva a partire dal 30.12.2022.
DISCIPLINA TRANSITORIA
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 85 d.lgs. 150/2022 - Disposizioni transitorie in materia di modifica del regime di procedibilità. (omissis) 2. Fermo restando il termine di cui al comma 1, le misure cautelari personali in corso di esecuzione perdono efficacia se, entro venti giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, l'Autorità Giudiziaria che procede non acquisisce la querela. A questi fini, l'Autorità giudiziaria effettua ogni utile ricerca della persona offesa, anche avvalendosi della polizia giudiziaria. Durante la pendenza del termine indicato al primo periodo i termini previsti dall'articolo 303 del codice di procedura penale sono sospesi. 2-bis. Durante la pendenza del termine di cui ai commi 1 e 2 si applica l'articolo 346 del codice di procedura penale |
In seguito all’emanazione del D.l. 31 ottobre 2022, n° 162 che, come noto, attraverso l’introduzione dell’art. 99-bis al d.lgs 150/2022 ha comportato il differimento dell’entrata in vigore della riforma al 30.12.2022, il Legislatore – in sede di conversione del predetto decreto – ha disposto in tema di misure cautelari una specifica norma transitoria contenuta nei commi 2 e 2-bis dell’art. 85 del d.lgs 150/2022, rispettivamente modificato ed aggiunto rispetto all’originario testo.
Si è inteso così regolare la sorte delle misure cautelari in corso di esecuzione che si reggono su delitti che, anteriormente all’entrata in vigore della riforma, risultavano essere procedibili d’ufficio e che, successivamente al 30.12.2022, diventano procedibili solo su querela.
Per impedire l’immediata perdita di efficacia delle misure cautelari, venendo meno il requisito della procedibilità, il Legislatore ha previsto una forma di efficacia interinale della misura, calibrata in venti giorni decorrenti dal 30.12.2022.
Il dies a quo è specificamente indicato dalla norma, e si riaggancia alla formula “Fermo restando il termine di cui al comma 1)”, che si legge nell’incipit del comma 2 dell’art. 85 d.lgs 150/2022, riformulato dalla legge di conversione e che si riferisce per l’appunto all’entrata in vigore del decreto, come differito dal d.l. 162/2022, per individuare il termine per presentare la querela relativamente ai reati che mutano il regime di procedibilità.
Durante questi venti giorni l’Autorità Giudiziaria deve necessariamente procedere alla ricerca della persona offesa allo scopo di raccogliere la querela, eventualmente anche con l’ausilio della polizia giudiziaria. Qualora la p.o. non sia rintracciata nei venti giorni, ovvero se rintracciata non sporga querela, la misura cautelare necessariamente perde efficacia.
Quanto alla “Autorità Giudiziaria procedente” essa deve intendersi in quella che al momento ha la disponibilità degli atti.
Se si è in fase di indagini preliminari, spetterà al Pubblico Ministero procedere alla ricerca della p.o. Se si è in fase di udienza preliminare, ovvero ancora in fase di giudizio, la ricerca spetterà al GUP, ovvero al Tribunale o ancora alla Corte d’appello.
Il termine di fase è sospeso per la durata dei venti giorni e – per salvaguardare l’interesse all’acquisizione delle fonti di prova – è resa applicabile la disposizione di cui all’art. 346 c.p.p., richiamata dal comma 2-bis aggiunto dalla legge di conversione al testo dell’art. 85 d.lgs 150/2022.
Scheda n. 16 - Le pene sostitutive di pene detentive brevi (art. 20-bis c.p., artt. 53 ss. l. 689/81 e art. 545-bis c.p.p.)
OBIETTIVO DELLA RIFORMA
Attraverso la codificazione e ridefinizione del sistema delle sanzioni sostitutive, finora disciplinato esclusivamente dalla Legge speciale n. 689/1981, il legislatore della riforma mira a favorirne l’applicazione da parte del giudice della cognizione, a fini di deflazione processuale e penitenziaria.
L’ampliamento dei limiti di applicabilità alle pene detentive fino a quattro anni di reclusione, unitamente alla ridefinizione della tipologia di sanzioni (detenzione domiciliare e semilibertà, mutuate dal novero delle misure alternative alla detenzione, lavori di pubblica utilità, introdotti in via generalizzata per tutte le tipologie di reati, e pene pecuniarie) mira ad incentivare la scelta di riti alternativi, e, in particolare, del patteggiamento, con applicazione delle pene sostitutive già in sede di cognizione. Ne dovrebbe conseguire l’alleggerimento del carico della magistratura di sorveglianza, e, sul versante penitenziario, la riduzione del sovraffollamento carcerario, evitando l’ingresso in carcere dei condannati, con incentivazione di misure volte alla risocializzazione del condannato.
ART. 20-BIS C.P. E ART. 53 L. 689/81:
TIPOLOGIE DI PENE SOSTITUTIVE DI PENE DETENTIVE BREVI
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 20-bis c.p. – Pene sostitutive delle pene detentive brevi. 1. Salvo quanto previsto da particolari disposizioni di legge, le pene sostitutive della reclusione e dell’arresto sono disciplinate dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, e sono le seguenti: 1) la semilibertà sostitutiva; 2) la detenzione domiciliare sostitutiva; 3) il lavoro di pubblica utilità sostitutivo; 4) la pena pecuniaria sostitutiva. 2. La semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva possono essere applicate dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni. 3. Il lavoro di pubblica utilità sostitutivo può essere applicato dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni. 4. La pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata dal giudice in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno. |
TESTO PREVIGENTE | TESTO RIFORMATO |
Art. 53 L. 689/1981 - Sostituzione di pene detentive brevi. 1. Il giudice, nel pronunciare la sentenza di condanna, quando ritiene di dovere determinare la durata della pena detentiva entro il limite di due anni, può sostituire tale pena con quella della semidetenzione; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla anche con la libertà controllata; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di sei mesi, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente. *** *** *** *** *** *** 2. La sostituzione della pena detentiva ha luogo secondo i criteri indicati dall'articolo 57. Per determinare l'ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell'ammontare di cui al precedente periodo il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'articolo 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare. Alla sostituzione della pena detentiva con la pena pecuniaria si applica l'articolo 133-ter del codice penale. 3. Le norme del codice di procedura penale relative al giudizio per decreto si applicano anche quando il pretore, nei procedimenti per i reati perseguibili d'ufficio, ritiene di dover infliggere la multa o l'ammenda in sostituzione di una pena detentiva. Nel decreto devono essere indicati i motivi che determinano la sostituzione. 4. Nei casi previsti dall'articolo 81 del codice penale, quando per ciascun reato è consentita la sostituzione della pena detentiva, si tiene conto dei limiti indicati nel primo comma soltanto per la pena che dovrebbe infliggersi per il reato più grave. Quando la sostituzione della pena detentiva è ammissibile soltanto per alcuni reati, il giudice, se ritiene di doverla disporre, determina, al solo fine della sostituzione, la parte di pena per i reati per i quali opera la sostituzione. | Art. 53 L. 689/1981- Il giudice delle pene detentive brevi. 1. Il giudice, nel pronunciare sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, quando ritiene di dover determinare la durata della pena detentiva entro il limite di quattro anni, può sostituire tale pena con quella della semilibertà o della detenzione domiciliare; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di tre anni, può sostituirla anche con il lavoro di pubblica utilità; quando ritiene di doverla determinare entro il limite di un anno, può sostituirla altresì con la pena pecuniaria della specie corrispondente, determinata ai sensi dell’articolo 56-quater. 2. Con il decreto penale di condanna, il giudice, su richiesta dell’indagato o del condannato, può sostituire la pena detentiva determinata entro il limite di un anno, oltre che con la pena pecuniaria, con il lavoro di pubblica utilità. Si applica l’articolo 459, commi 1-bis e 1-ter del codice di procedura penale. *** *** *** *** *** *** *** *** *** 3. Ai fini della determinazione dei limiti di pena detentiva, entro i quali possono essere applicate pene sostitutive, si tiene conto della pena aumentata ai sensi dell’articolo 81 del codice penale. *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** |
Il giudice della cognizione potrà irrogare, con sentenza di condanna o di applicazione della pena:
- la semilibertà sostitutiva e la detenzione domiciliare sostitutiva in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a quattro anni;
- il lavoro di pubblica utilità sostitutivo in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a tre anni;
- la pena pecuniaria sostitutiva in caso di condanna alla reclusione o all’arresto non superiori a un anno
La principale innovazione, accanto al nomen iuris (non più “sanzioni” ma “pene” sostitutive), consiste nell’estensione dei limiti di pena che ammettono la sostituzione, aumentati da due a quattro anni, con gradazione delle sanzioni applicabili in base all’entità della pena.
Inoltre sono abrogate la semidetenzione e la libertà controllata, sostituite dalla semilibertà e dalla detenzione domiciliare sostitutive, mutuate dal novero delle misure alternative alla detenzione, applicate dal giudice di sorveglianza.
I LPU sono introdotti quale sanzione sostitutiva generalizzata, non più applicabile soltanto a determinate fattispecie (quali le contravvenzioni della guida in stato di ebbrezza e in stato di alterazione da assunzione di sostanze stupefacenti, 186, co. 9-bis d.lgs. n. 285/1992 e 187, co. 8-bis d.lgs. n. 285/1992, e i reati in materia di stupefacenti, art. 73, co. 5-bis d.P.R. n. 309/1990), ma per tutti i reati per i quali sia stata irrogata una pena non superiore a tre anni.
La riforma, inoltre, consente che anche il G.I.P., in sede di emissione del decreto penale di condanna, su richiesta dell’indagato o del condannato, possa sostituire la pena detentiva determinata entro il limite di un anno, oltre che con la pena pecuniaria, con il lavoro di pubblica utilità.
Al riguardo trovano applicazione i commi 3-bis e il nuovo 3-ter dell’art. 459 c.p.p., che prevedono, rispettivamente, i criteri di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria in sede di emissione del decreto penale di condanna e la possibilità per il condannato, nei cui confronti sia stato emesso decreto penale di condanna a pena pecuniaria sostitutiva, di proporre istanza di sostituzione con i LPU.
Infine, la pena pecuniaria sostitutiva può essere applicata in caso di pena detentiva fino ad 1 anno (e non più sei mesi).
LA DISCIPLINA SOSTANZIALE E PROCESSUALE DELLE NUOVE PENE SOSTITUIVE:
ARTT. 53 ss. L. 689/81 e 545-bis c.p.p.
La capillarità della riforma non consente, in questa sede, un richiamo integrale alle norme della Legge 689/1981, cui si fa rinvio. Di seguito verranno, quindi, illustrati i tratti principali della disciplina sostanziale e processuale delle pene sostitutive.
1. LA DETERMINAZIONE DEI LIMITI DI PENA
L’art. 53, u.c. prevede si debba tenere conto, ai fini della determinazione dei limiti di pena detentiva, entro i quali possono essere applicate pene sostitutive, degli aumenti determinati ai sensi dell’art. 81 c.p. per concorso formale di reati e continuazione.
2. LA SEMILIBERTÀ SOSTITUTIVA E LA DETENZIONE DOMICILIARE SOSTITUTIVA
L’art. 55 disciplina la semilibertà sostitutiva. La pena è così strutturata: obbligo di permanenza di almeno otto ore in istituto di pena e, per il restante tempo, impegno del condannato in attività risocializzanti (studio, lavoro, formazione, ecc…), secondo un programma concordato con l’UEPE (cfr. sul punto l’art. 545-bis c.p.p., § 10).
L’art. 56 prevede la detenzione domiciliare sostitutiva, che comporta l’obbligo di permanenza nel luogo di privata dimora o in luogo di cura, comunità o casa famiglia, per non meno di dodici ore al giorno, tenuto conto delle esigenze familiari, di studio, formazione, lavoro e salute, con facoltà per il condannato di allontanarsi dal domicilio per almeno quattro ore al giorno, anche non continuative, per provvedere alle indispensabili esigenze di vita e di salute.
La detenzione domiciliare può essere rafforzata dalla previsione di procedure di controllo con mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, qualora ritenuti dal giudice necessari per prevenire il pericolo di commissione di altri reati o per tutelare la persona offesa.
L’indisponibilità di tali mezzi, tuttavia, non può ritardare l’esecuzione della pena. Sarà necessario verificare, quindi, se i dispositivi siano immediatamente disponibili, laddove la pena sia ritenuta congrua solo con l’applicazione degli stessi.
Le pene in esame potrebbero non avere fortuna nella prassi, non risultando appetibili né in sede di patteggiamento, né all’esito del dibattimento, a seguito della pronuncia di un dispositivo di condanna a pena detentiva superiore ai tre anni ed inferiore o uguale a quattro anni, ovvero al limite previsto per la sostituzione.
Si osserva, infatti, che le pene fino a tre anni possono essere sostituite con i LPU, mentre rimane tuttora accessibile al condannato ad una pena superiore ai tre anni, ma inferiore ai quattro (sostituibile solo con semilibertà e detenzione domiciliare) la più appetibile misura alternativa dell’affidamento in prova, da richiedere al Tribunale di sorveglianza a seguito del passaggio in giudicato della sentenza.
Il successivo art. 67, inoltre, vieta l’applicazione delle misure alternative ai condannati con pene sostitutive, salvo quanto previsto dal nuovo comma 3-ter dell’art. 47 ord. pen., che prevede che con l’applicazione della semidetenzione o semilibertà sostitutive non vi sarà possibilità di chiedere l’affidamento in prova se non nei casi in cui il condannato “dopo l’espiazione di almeno metà della pena, abbia serbato un comportamento tale per cui l’affidamento in prova appaia più idoneo alla rieducazione del condannato e assicuri comunque la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati”.
In ogni caso, ai sensi dell’art. 59, i reati c.d. ostativi alla concessione di misure alternative alla detenzione di cui all’art. 4-bis l. ord. pen. precludono altresì la sostituzione della pena (cfr. § 8).
3. I LAVORI DI PUBBLICA UTILITÀ
L’art. 56-bis riprende la nozione di LPU dall’art. 54, comma 2 D. Lgs. 274/2000, definendoli come una “prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, le città metropolitane, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato”.
Riguardo al luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, si prevede che il lavoro debba essere svolto “di regola” nella regione in cui risiede il condannato.
Quanto alla durata, la prestazione deve consistere in non meno di sei e non più di quindici ore di lavoro settimanale. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore, non eccedente le otto ore giornaliere.
Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro.
Si specifica che la prestazione lavorativa non debba pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato.
In caso di risarcimento del danno o di eliminazione delle conseguenze dannose del reato, ove possibili, è prevista la revoca della confisca eventualmente disposta, salvi i casi di confisca obbligatoria.
L’articolo in esame demanda ad un decreto del Ministro della giustizia, d’intesa con la Conferenza unificata, la definizione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità.
Nelle more dell’adozione del decreto ministeriale attuativo, entrando le nuove norme immediatamente in vigore, l’art. 56-bis prevede che si dovrà fare riferimento, per quanto compatibili, ai decreti del Ministro della giustizia 26 marzo 2001 e 8 giugno 2015 n. 88, adottati, rispettivamente, per il lavoro di pubblica utilità quale pena principale irrogabile dal giudice di pace e quale contenuto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato (cfr. disciplina transitoria).
Oltre alle prevedibili difficoltà, di carattere pratico, legate al reperimento dell’ente disponibile allo svolgimento dei LPU (ricerca che si rivela già oggi difficoltosa nell’ambito della predisposizione del programma di trattamento M.A.P.), una volta ottenuta tale disponibilità, si porrà altresì il problema dell’effettività della pena sostitutiva, attesa l’ineseguibilità dei lavori in pendenza di impugnazione della sentenza che li dispone e le possibili difficoltà di coordinamento con l’ente una volta terminato il giudizio di impugnazione con esito di conferma.
Al riguardo, l’art. 593 c.p.p. limita il problema della dilatazione dei tempi di esecuzione della sentenza, prevedendo la non appellabilità delle sentenze di condanna alla pena sostitutiva dei lavori di pubblica utilità, che sono quindi soltanto ricorribili per cassazione.
4. PRESCRIZIONI COMUNI ALLE PENE SOSTITUTIVE DELLA SEMILIBERTÀ, SEMIDETENZIONE E LPU
L’art. 56-ter prevede prescrizioni comuni, da impartire unitamente alle pene sostitutive della semilibertà, della detenzione domiciliare e dei LPU, quali, ad esempio, il divieto di tenere armi, di frequentare pregiudicati e persone sottoposte a misure di sicurezza, l’obbligo di dimora in un determinato territorio (di regola regionale), il ritiro del passaporto e la sospensione della validità all’espatrio di ogni altro documento equipollente, eventualmente il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.
5. LA PENA PECUNIARIA SOSTITUTIVA
L’art. 56-quater detta i criteri di ragguaglio della pena pecuniaria sostitutiva, prevedendo che l’ammontare sia determinato dal giudice individuando il valore giornaliero e moltiplicandolo per i giorni di pena detentiva.
Tale valore giornaliero non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 250 euro e corrisponde alla quota di reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare.
Si applica la possibilità di pagamento rateale prevista dall’articolo 133-ter c.p. (da 3 a 30 rate mensili comunque non inferiori a 15 euro) salva la possibilità di estinguere la pena, in ogni momento, mediante un unico pagamento.
All’evidenza l’applicazione della pena pecuniaria in sostituzione di quella detentiva presuppone la disponibilità, da parte del giudice, di informazioni circa le predette “condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare”.
6. DURATA DELLE PENE SOSTITUTIVE DELLA SEMILIBERTÀ, DELLA DETENZIONE DOMICILIARE E DEI LPU
L’art. 57, in punto di durata delle pene sostitutive, prevede che:
- semilibertà e detenzione domiciliare abbiano la stessa durata della pena detentiva irrogata;
- LPU abbiano durata corrispondente a quella della pena detentiva, secondo i parametri di ragguaglio dell’art. 56-bis (che sono quelli dell’art. 54 D. Lgs. 274/2000: 1 giorno di LPU = 2 ore di lavoro, con il limite di 8 ore giornaliere e da un minimo di 6 ad un massimo di 15 ore a settimana).
7. CRITERI DI SCELTA DELLA PENA SOSTITUTIVA, ONERE DI MOTIVAZIONE E DISPOSTIVO
L’art. 58, quanto alla scelta della pena e alla motivazione sul punto, prevede il potere discrezionale del giudice, che individua la pena sostitutiva più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato, con il minor sacrificio della libertà personale.
Il giudice è chiamato a motivare la scelta del tipo e delle modalità applicative della pena sostitutiva. In particolare, quando la misura sostituisce una pena nel limite dei tre anni o di un anno, l’applicazione della semilibertà o della detenzione domiciliare deve essere motivata, indicando le ragioni per cui non sono idonei, nel caso concreto, rispettivamente i lavori di pubblica utilità o la pena pecuniaria.
Nel compiere le valutazioni di cui sopra, il giudice dovrà tenere conto della gravità del reato e della capacità a delinquere del condannato, secondo quanto prescritto dall’art. 133 c.p.. Dovrà inoltre tenere conto dell’età, della salute fisica o psichica, della condizione di maternità o (secondo quanto previsto dall’art. 47-quinquies, comma 7, legge n. 354 del 1975) di paternità dello stesso.
L’art. 61, in punto di formulazione del dispositivo, prevede che il giudice, nel dispositivo della sentenza o del decreto penale, indichi la specie e la durata sia della pena sostituita, sia della pena sostitutiva ovvero, nel caso della pena sostitutiva pecuniaria, il suo ammontare.
8. SITUAZIONI SOGGETTIVE OSTATIVE ALL’APPLICAZIONE DELLE PENE SOSTITUTIVE
Ai sensi dell’art. 59, vi è divieto di applicazione di una pena sostitutiva per chi:
a) ha commesso il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della pena sostitutiva, effettuata per i motivi contemplati dall’articolo 66 della L. n. 689/81 (cfr. § 11) o ha commesso un delitto non colposo durante l’esecuzione delle medesime pene sostitutive. In tali casi è fatta comunque salva la possibilità di applicare una pena sostitutiva di specie più grave di quella revocata;
b) non abbia proceduto al pagamento di una pena pecuniaria, anche sostitutiva, nei precedenti cinque anni. In tal caso sono comunque salvi i casi di conversione per insolvibilità del condannato disciplinati dagli articoli 71 e 103 della Legge n. 689/81;
c) sia sottoposto a misura di sicurezza personale, salvi i casi di parziale incapacità di intendere e di volere;
d) sia imputato di uno dei reati per i quali non è consentita l'applicazione dei benefici penitenziari (art. 4-bis, legge n. 354 del 1975), salvo il riconoscimento della circostanza di cui all’art. 323-bis c.p.
Quanto alla verifica della sussistenza delle situazioni ostative di cui alle lettere a), si osserva che l’art. 82, in materia di modifiche in tema di provvedimenti iscrivibili nel certificato del casellario giudiziale, non prevede l’iscrizione dei provvedimenti di revoca delle sanzioni sostitutive, ma solo dei provvedimenti di conversione della pena pecuniaria in caso di inadempimento (cfr. § 11). Tuttavia, se la conversione non vi è ancora stata, nonostante l’inadempimento, nemmeno i provvedimenti di conversione saranno conoscibili dal giudice della cognizione, se non su segnalazione della parte interessata.
9. SOSPENSIONE CONDIZIONALE DELLA PENA E NON MENZIONE
Alla pena sostitutiva non è applicabile la sospensione condizionale della pena (art. 61-bis), ma può essere concessa la non menzione (art. 175 c.p., come modificato dall’art. 1 lett. n) del decreto legislativo delegato).
1O. CONDANNA A PENA SOSTITUTIVA: ART. 545-BIS C.P.P.
ARTICOLO INTRODOTTO |
Art. 545-bis c.p.p. - Condanna a pena sostitutiva. 1. Quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981 n. 689, ne dà avviso alle parti. Se l’imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, acconsente alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena pecuniaria, ovvero se può aver luogo la sostituzione con detta pena, il giudice, sentito il pubblico ministero, quando non è possibile decidere immediatamente, fissa un’apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti e all’ufficio di esecuzione penale esterna competente; in tal caso il processo è sospeso. 2. Al fine di decidere sulla sostituzione della pena detentiva e sulla scelta della pena sostitutiva ai sensi dell’articolo 58 della legge 24 novembre 1981 n. 689, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni relative, il giudice può acquisire dall’ufficio di esecuzione penale esterna e, se del caso, dalla polizia giudiziaria tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale, economica e patrimoniale dell’imputato. Il giudice può richiedere altresì all’ufficio di esecuzione penale esterna il programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell’ente. Agli stessi fini, il giudice può acquisire altresì dai soggetti indicati dall’articolo 94 D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 la certificazione di disturbo da uso di sostanze o di alcol ovvero da gioco d’azzardo e il programma terapeutico, che il condannato abbia in corso o a cui intenda sottoporsi. Le parti possono depositare documentazione all’ufficio di esecuzione penale esterna e fino a cinque giorni prima dell’udienza possono presentare memorie in cancelleria. 3. Acquisiti gli atti, i documenti e le informazioni di cui ai commi precedenti, all’udienza fissata, sentite le parti presenti, il giudice, se sostituisce la pena detentiva, integra il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti; si applicano gli articoli 57 e 61 della legge 24 novembre 1981 n. 689. In caso contrario, il giudice conferma il dispositivo. Del dispositivo, integrato o confermato è data lettura in udienza ai sensi e per gli effetti dell’articolo 545. 4. Quando il processo è sospeso ai sensi del primo comma, la lettura della motivazione redatta a norma dell’art. 544 comma 1 segue quella del dispositivo integrato o confermato e può essere sostituita con un’esposizione riassuntiva. Fuori dai casi di cui all’articolo 544, comma 1, i termini per il deposito della motivazione decorrono, ad ogni effetto di legge, dalla lettura del dispositivo, confermato o integrato, di cui al comma 3. |
L’art. 545-bis c.p.p. disciplina la fase applicativa delle pene sostitutive, prevedendo la possibilità, per il giudice della cognizione, di sostituire la pena irrogata a seguito della lettura del dispositivo di condanna, secondo le seguenti modalità e scansioni processuali.
i) Subito dopo la lettura del dispositivo della sentenza che applica una pena detentiva non superiore a quattro anni, il giudice, se ricorrono le condizioni – in astratto – per sostituire la pena detentiva breve con una pena sostitutiva di cui all’art. 53 legge n. 689/1981 (entità della pena, non concessione della sospensione condizionale, assenza delle cause ostative di cui all’art. 59, su cui v. infra), ne dà avviso alle parti.
Rispetto alle pene sostitutive diverse da quella pecuniaria, l’imputato (o il suo difensore munito di procura speciale) deve acconsentire alla sostituzione con una pena diversa da quella pecuniaria. Quanto, invece, alla pena pecuniaria, sembrerebbe sufficiente la sussistenza delle sole condizioni materiali per l’adempimento (“se l’imputato, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, acconsente alla sostituzione della pena detentiva con una pena diversa dalla pena pecuniaria, ovvero se può aver luogo la sostituzione con detta pena”).
ii) In mancanza degli elementi necessari per decidere immediatamente, il giudice, avvisate le parti e raccolto il consenso dell’imputato, dispone la sospensione del processo e la fissazione di un’apposita udienza non oltre sessanta giorni, con avviso alle parti e all’UEPE competente (per gli stessi motivi può essere sospeso il processo in sede di patteggiamento ai sensi dell’art. 448, nuovo comma 1-bis c.p.p. e di procedimento per decreto penale di condanna ex art. 459, nuovo comma 1-ter c.p.p.). Durante il periodo di sospensione, dovranno quindi pervenire al giudice dall’ufficio dell’esecuzione penale esterna (o dalla polizia giudiziaria) tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale, economica e patrimoniale dell’imputato, oltre al “programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell’ente”.
iii)All’udienza fissata per la decisione sulla sostituzione della pena detentiva, il giudice – lo stesso che ha disposto la condanna – deciderà se e come sostituire la pena detentiva, avendo acquisito dall’UEPE (o dalla polizia giudiziaria) gli elementi utili per individuare il trattamento sanzionatorio più adeguato:
- se il giudice ritiene di poter sostituire: integra il dispositivo “indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti”;
- se il giudice ritiene di non poter sostituire, conferma il dispositivo.
Si rileva, allo stato e in attesa di un adeguamento delle strutture territoriali dell’ufficio dell’esecuzione penale esterna, la ristrettezza delle tempistiche per ottenere le informazioni necessarie dall’UEPE che di regola necessita di un periodo ben più lungo di 60 giorni per l’elaborazione di un programma di trattamento nell’ambito del rito speciale della MAP[1].
11. L’ESECUZIONE DELLE PENNE SOSTITUTIVE E LA MODIFICABILITÀ DELLE STESSE IN SEDE ESECUTIVA
La materia è disciplinata dagli artt. 62-64 e dall’art. 71.
In particolare, l’art. 62 prevede che l’esecuzione della semilibertà e della detenzione domiciliare sia curata dal magistrato di sorveglianza del luogo di domicilio del condannato, a seguito della trasmissione della sentenza a cura del Pubblico Ministero.
Il magistrato di sorveglianza procede a norma dell’articolo 678, comma 1-bis, del codice di procedura penale, e, previa verifica dell’attualità delle prescrizioni ed entro il quarantacinquesimo giorno dalla ricezione della sentenza, provvede con ordinanza con cui conferma e, ove necessario, modifica le modalità di esecuzione e le prescrizioni della pena.
L’art. 63 descrive il procedimento di esecuzione della pena degli LPU, in cui sono coinvolti per la consegna del provvedimento all’imputato, l’ingiunzione al rispetto delle prescrizioni e la verifica del rispetto delle stesse, “l’ufficio di pubblica sicurezza o, in mancanza di questo, al comando dell’Arma dei carabinieri competenti in relazione al comune in cui il condannato risiede, nonché all’ufficio di esecuzione penale esterna”.
L’UEPE è tenuto a relazionare periodicamente il giudice che ha applicato la pena sostitutiva e, all’esito dei lavori, quest’ultimo dovrà dichiarare eseguita la pena, estinto ogni altro effetto penale (ad eccezione delle pene accessorie perpetue) e revocare la confisca ex art. 56-bis.
L’art. 64 disciplina le modalità di modifica -per comprovate ragioni- delle prescrizioni, prevedendo espressamente la competenza del magistrato di sorveglianza in relazione alle pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare, del giudice che ha applicato la pena sostitutiva, invece, in relazione ai lavori di pubblica utilità.
Gli artt. 71, 102 e 103 disciplinano, infine, l’esecuzione della pena pecuniaria sostitutiva, rinviando all’art. 660 c.p.p., che a sua volta demanda alle leggi e ai regolamenti l’esecuzione delle pene pecuniarie.
12. VICENDE ACCIDENTALI DELLE PENE SOSTITUTIVE IN FASE ESECUTIVA
La legge 689/1981, infine, così come novellata, prevede la revoca delle sanzioni sostitutive (art. 66), disposta dal giudice che ha applicato i lavori di pubblica utilità o dal magistrato di sorveglianza, in caso di mancata esecuzione della pena sostitutiva, ovvero di violazione grave o reiterata degli obblighi e delle prescrizioni ad essa inerenti, con conversione della parte residua nella pena sostituita o in pena sostitutiva più grave.
Il mancato pagamento della pena pecuniaria determina la conversione della stessa in semilibertà o semidetenzione sostitutiva, salvo l’inadempimento sia dovuto alle condizioni economiche e patrimoniali del condannato, con conseguente conversione- in questo caso- della pena pecuniaria in lavori di pubblica utilità o di detenzione domiciliare sostituiva (art. 71).
L’art. 72, inoltre, prevede la responsabilità penale, ai sensi dell’art. 385 c.p., del condannato alla semilibertà e alla detenzione domiciliare, che si allontani dall’istituto di pena o dal domicilio per più di 12 ore senza giustificato motivo. Analogamente, la mancata presentazione presso il luogo di svolgimento dei lavori di pubblica utilità ovvero il suo abbandono integra il reato di cui all’art. 56 D. Lgs. 274/2000, punito con la reclusione fino ad un anno.
Gli artt. 68 e 69 disciplinano la possibilità di sospensione delle pene e, per i condannati alla semilibertà e alla semidetenzione, di conseguire licenze.
In caso di esecuzione di una pluralità di pene sostitutive concorrenti si applicano i criteri di cui all’art. 70.
DISCIPLINA TRANSITORIA
L’art. 95 prevede che, in quanto più favorevoli, le nuove norme trovino applicazione nei procedimenti pendenti in primo grado e in grado di appello nel momento di entrata in vigore, quindi il 30 dicembre.
Per i procedimenti pendenti in Cassazione è previsto un termine di 30 giorni dall’irrevocabilità della sentenza per la proposizione al giudice dell’esecuzione, da parte del condannato a pena non superiore a 4 anni, di istanza di applicazione di una pena sostitutiva.
Ai condannati alle abrogate sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata è prevista l’applicazione della normativa previgente, salvo possibilità per i condannati alla semidetenzione di chiedere al magistrato di sorveglianza l’applicazione della semilibertà, di contenuto analogo.
Infine, per quanto riguarda gli LPU, le modalità attuative sono demandate ad un decreto attuativo del Ministero (art. 56-bis L. 689/1991). Nelle more si dovrà fare riferimento, per quanto compatibili, ai decreti del Ministro della giustizia 26 marzo 2001 e 8 giugno 2015 n. 88, adottati, rispettivamente, per il lavoro di pubblica utilità quale pena principale irrogabile dal giudice di pace e quale contenuto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato.
[1] cfr. circolare 3/2022 del Ministero della Giustizia- Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità, p. 11 ss., sul potenziamento del ruolo di assistenza dell’UEPE all’autorità giudiziaria nelle diverse fasi della predisposizione dei programmi e dell’esecuzione delle pene sostitutive.
Proseguono le uscite dedicate alla riforma Cartabia - settore penale. Dopo lo scritto introduttivo di Spangher e le due "instant notes", partiamo oggi con le prime due (di 18) schede di presentazione delle norme più significative modificate dal testo di riforma.
La riforma Cartabia in schede
I 99 articoli del Decreto legislativo n. 150 (anzi, 100 dopo che il D.L. n. 162 ha introdotto l’art. 99-bis…) hanno modificato oltre 200 articoli del codice di procedura penale e qualche decina di articoli del codice penale e di altre leggi.
Bastano questi numeri per definire la riforma Cartabia, per le dimensioni mai viste e l’introduzione di nuovi istituti, come una risistemazione complessiva del processo penale; non esagerando qualcuno ha parlato di un “nuovo” codice.
Ancora: la pubblicazione solo il 17 ottobre del decreto destinato ad entrare in vigore il 2 novembre ha creato preoccupazione, solamente alleviata dalla inusuale emanazione del citato decreto legge che ne ha differito l’entrata in vigore al 30 dicembre (per rispettare i termini del PNRR).
I 14 giudici della sezione penale di Vicenza, sia dell’Ufficio GIP-GUP che dell’Ufficio dibattimento, hanno affrontato l’emergenza di doverne fare applicazione concreta in tempi così ristretti suddividendo lo studio della riforma nei vari argomenti sostanziali e processuali, per poi farne patrimonio collettivo. Ne sono nate così le Schede che da oggi la Rivista pubblica.
Si tratta di schede tecniche, con l’evidenziazione delle norme di legge e la divisione del testo in paragrafi; l’obiettivo è di esporre in modo sintetico e chiaro le novità normative e le loro implicazioni; e di essere uno strumento agile e di lettura rapida, per favorirne l’applicazione pratica.
Coordinatore di questa attività è Lorenzo Miazzi, supportato da Francesca Dell’Orso.
I contributi sono di:
Roberto Venditti
Antonella Crea
Matteo Mantovani
Nicolò Gianesini
Antonella Toniolo
Chiara Cuzzi
Filippo Lagrasta
Giulia Poi
Veronica Salvadori
Alessia Russo
Luigi Lunardon
Elisabetta Pezzoli
Claudia Molinaro
Scheda n. 2 - Le modifiche alla costituzione di parte civile
OBIETTIVO DELLA RIFORMA
L’obiettivo della riforma appare da un lato quello di precisare le modalità con cui il difensore nominato può essere sostituito in udienza e dall’altro quello di richiedere, in sede di costituzione di parte civile e di istanza di natura civilistica presentata all’interno del processo penale, una prova documentale più stringente delle pretese risarcitorie.
FORMALITÀ DELLA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE
TESTO PREVIGENTE | TESTO RIFORMATO |
Art. 78 c.p.p. - Formalità della costituzione di parte civile. 1. La dichiarazione di costituzione di parte civile è depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza e deve contenere, a pena di inammissibilità: a) le generalità della persona fisica o la denominazione dell'associazione o dell'ente che si costituisce parte civile e le generalità del suo legale rappresentante; b) le generalità dell'imputato nei cui confronti viene esercitata l'azione civile o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo; c) il nome e il cognome del difensore e l'indicazione della procura;0 d) l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda; e) la sottoscrizione del difensore. *** *** *** *** *** *** *** *** *** *** (Omissis) | Art. 78 c.p.p. - Formalità della costituzione di parte civile. 1. La dichiarazione di costituzione di parte civile è depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza e deve contenere, a pena di inammissibilità: a) le generalità della persona fisica o la denominazione dell'associazione o dell'ente che si costituisce parte civile e le generalità del suo legale rappresentante; b) le generalità dell'imputato nei cui confronti viene esercitata l'azione civile o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo; c) il nome e il cognome del difensore e l'indicazione della procura; d) l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili; e) la sottoscrizione del difensore. 1-bis. Il difensore cui sia stata conferita la procura speciale ai sensi dell’articolo 100, nonché la procura per la costituzione di parte civile a norma dell’articolo 122, se in questa non risulta la volontà contraria della parte interessata, può conferire al proprio sostituto, con atto scritto, il potere di sottoscrivere e depositare l’atto di costituzione. (Omissis) |
È precisato che la costituzione di parte civile deve contenere l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda “agli effetti civili”: il legislatore sembra seguire l’orientamento maggioritario della giurisprudenza formatosi sulla causa petendi dell’atto di costituzione di parte civile prima della riforma.
Le ragioni che giustificano la domanda, anche prima della novella legislativa, dovevano concretizzarsi nella descrizione del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato ed i danni che dalla condotta di questo sono derivati. La giurisprudenza, pressoché all'unanimità, pretendeva una descrizione, se non analitica perlomeno inequivoca, del rapporto esistente tra il danno lamentato e il comportamento attribuibile all'imputato respingendo come non pertinente al requisito di cui alla lett. d) la semplice intenzione di ottenere il risarcimento dei danni subiti o la restituzione di quanto sottratto.
La causa petendi dell'atto di costituzione di parte civile della persona offesa dal reato era ritenuta dalla giurisprudenza di legittimità sufficientemente delineata con riferimento al capo di imputazione soltanto quando il nesso tra il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risultasse con immediatezza (così da ultimo Cas. Sez. II sent. n. 23940/2020).
Il comma 1-bis art. 78 c.p.p. prevede che il difensore munito della procura, sia ai sensi dell’art. 100 c.p.p. che dell’art. 122 c.p.p., possa conferire al proprio sostituto, con atto scritto, il potere di sottoscrivere e depositare l’atto di costituzione, salvo che risulti volontà contraria della parte interessata.
La questione se il sostituto processuale potesse depositare la costituzione di parte civile era già stata affrontata dalla giurisprudenza con l’intervento delle Sezioni unite n. 12213 del 21.12.2017 che hanno affermato che il sostituto processuale del difensore, al quale il danneggiato abbia rilasciato procura speciale al fine di esercitare l'azione civile nel processo penale, non ha la facoltà di costituirsi parte civile, salvo che detta facoltà sia stata espressamente conferita nella procura ovvero che la costituzione in udienza avvenga in presenza del danneggiato, situazione questa che consente di ritenere la costituzione come avvenuta personalmente.
Con la novella legislativa, viene rovesciata la prospettiva, in quanto si prevede che il difensore, al quale sono state conferite entrambe le procure ex artt. 100 e 122 c.p.p., salva diversa volontà della parte, possa conferire al proprio sostituto, con atto scritto, anche successivo pertanto alla procura medesima, il potere di sottoscrivere e depositare l’atto di costituzione.
Verificata, pertanto, la sussistenza di entrambe le procure che coerentemente ai principi generali di conservazione dell’atto e di prevalenza della sostanza sulla forma possono coesistere in unico atto, occorre verificare se la parte ha espresso volontà contraria al conferimento al sostituto dei poteri indicati, per poi accertarsi se con atto scritto il difensore procuratore speciale abbia conferito a un sostituto il potere di sottoscrivere e depositare l’atto.
TERMINE PER LA COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE
TESTO PREVIGENTE | TESTO RIFORMATO |
Art. 79 c.p.p. - Termine per la costituzione di parte civile. 1. La costituzione di parte civile può avvenire per l'udienza preliminare e successivamente, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484. *** *** *** *** 2. Il termine previsto dal comma 1 è stabilito a pena di decadenza. 3. Se la costituzione avviene dopo la scadenza del termine previsto dall'articolo 468 comma 1, la parte civile non può avvalersi della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici. *** *** *** | Art. 79 c.p.p. - Termine per la costituzione di parte civile. 1. La costituzione di parte civile può avvenire per l'udienza preliminare e successivamente, prima che siano ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, o, quando manca l’udienza preliminare, fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall'articolo 484 o dall’articolo 554-bis, comma 2. 2. I termini previsti dal comma 1 sono stabiliti a pena di decadenza. 3. Quando la costituzione di parte civile è consentita fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall’articolo 484, se la stessa avviene dopo la scadenza del termine previsto dall'articolo 468 comma 1, la parte civile non può avvalersi della facoltà di presentare le liste dei testimoni, periti o consulenti tecnici. |
Cambiano i termini per costituirsi parte civile, distinguendo a seconda che si celebri o meno l’udienza preliminare:
- se si tiene udienza preliminare, il termine è quello degli accertamenti relativi alla costituzione delle parti in udienza preliminare e non anche in dibattimento;
- se manca l’udienza preliminare, il termine è quello degli accertamenti della costituzione delle parti ex art. 484 c.p.p. o 554-bis co. 2 c.p.p. (udienza predibattimentale di nuova applicazione).
Viene precisato che i termini sono posti a pena di decadenza (non più il termine, ma i termini al plurale) e che, se la costituzione avviene ex art. 484 c.p.p. dopo la scadenza del termine di cui all’art. 468 co. 1 c.p.p., la parte non può presentare lista testi. Sul punto non vi sono mutamenti rispetto alla disciplina previgente, fermo restando che la parte danneggiata che sia anche persona offesa può presentare lista testi nel termine dell’art. 468 c.p.p. e poi costituirsi nel termine dell’art. 484 c.p.p.
DISCIPLINA TRANSITORIA
ARTICOLO DI NUOVA INTRODUZIONE |
Art. 85-bis d.lgs. n. 150/2022 – Disposizioni transitorie in materia di termini per la costituzione di parte civile. 1. Nei procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono già stati ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nell’udienza preliminare, non si applicano le disposizioni di cui all’articolo 5, comma 1, lettera c), del presente decreto e continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 79 e, limitatamente alla persona offesa, dell’articolo 429, comma 4, del codice di procedura penale, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del presente decreto. |
La legge di conversione del d.l. 162/2022 ha introdotto l’art. 85-bis al d.lgs. 150/2022 in cui viene specificato che la nuova disciplina di cui all’art. 79 c.p.p. che muta i termini di costituzione di parte civile si applica solo nei procedimenti nei quali alla data del 30.12.2022 (data di entrata in vigore del d.lgs. 150/2022) non sono stati ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti nell’udienza preliminare.
I punti salienti dell’attuazione della riforma del processo civile di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 149[1]
di Giuliano Scarselli
Sommario: 1. Premessa. La trattazione delle sole questioni principali. - 2. Gli atti processuali. - 3. Le udienze. - 4. Le ordinanze di accoglimento oppure di rigetto in via breve delle domande. - 5. L’inammissibilità dell’appello. - 6. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione. - 7. I procedimenti in materia di famiglia. - 8. Le sanzioni.
1. Premessa. La trattazione delle sole questioni principali
Il 10 ottobre 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n. 149 emanato dal Governo in attuazione della legge delega di riforma del processo civile 26 novembre 2021 n. 206.
Come previsto dall’articolo 1, comma 1, della legge delega, e come precisato nella stessa Relazione illustrativa del Ministro della Giustizia, anch’essa apparsa in Gazzetta Ufficiale del 19 ottobre 2022, il testo legislativo elaborato dal Governo si propone di realizzare un riassetto formale e sostanziale completo della disciplina del processo civile, comprensivo del processo di cognizione, del processo di esecuzione, dei procedimenti speciali e degli strumenti alternativi di composizione delle controversie, e ciò mediante interventi sul codice di procedura civile, sul codice civile, sul codice penale, sul codice di procedura penale e su numerose leggi speciali, in funzione degli obiettivi di “semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile”.
Dal punto di vista temporale il decreto legislativo è stato presentato nel rispetto delle tempistiche imposte dal comma 2 della legge delega, e in conformità a quanto stabilito nel PNRR.
Ovviamente, questo mio intervento non intende costituire guida ragionata della riforma, poiché essa necessiterebbe di spazi da monografia.
Questo mio scritto ha ad oggetto le sole novità che mi sono sembrate le principali, e, proprio per questa loro maggiore incisività, più bisognose di una qualche analisi critica.
Queste, come agevolmente può comprendersi dall’indice, sono quelle degli atti processuali, delle udienze, delle ordinanze di accoglimento oppure di rigetto in via breve delle domande, dell’inammissibilità dell’appello, del rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione, dei procedimenti in materia di famiglia, e infine delle sanzioni pecuniarie.
2. Gli atti processuali
Circa la forma degli atti processuali, la riforma ha modificato in primo luogo l’art. 121 c.p.c., che oggi ha aggiunto la statuizione secondo la quale: “Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico” (aggiunte analoghe sono state poste negli artt. 163, 167, 342, 366 e 473 bis 12, c.p.c.), e poi, soprattutto, ha riscritto l’art. 46 disp. att. c.p.c. sulla base di un più ridotto testo contenuto nella legge delega[2].
2.1. Orbene, a me sembra in primo luogo che se si confronta la norma del decreto legislativo con quella della legge delega, si rileva un eccesso di delega.
a) La legge delega ribadiva il principio della libertà delle forme nella redazione degli atti processuali, stabilendo che questi possano essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo, nel rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità, mentre il decreto legislativo ha abbandonato il criterio della libertà delle forme degli atti ed ha espressamente previsto che un decreto del Ministro della Giustizia stabilirà i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti, disponendo altresì che l’atto processuale debba avere in ogni caso un indice e una breve sintesi del contenuto dell'atto stesso.
b) La legge delega, poi, semplicemente prevedeva che gli atti processuali dovessero essere redatti in modo da assicurare la strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo, mentre il decreto legislativo ha disposto, oltre ciò, che con decreto del Ministro della Giustizia sono stabiliti i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti. Nella determinazione dei limiti non si tiene conto dell'intestazione e delle altre indicazioni formali dell'atto, fra le quali si intendono compresi un indice e una breve sintesi del contenuto dell'atto stesso. Il decreto è aggiornato con cadenza almeno biennale.
Par evidente che tutta questa seconda parte non era prevista dalla legge delega, e si presenta per la prima volta nel solo decreto legislativo di attuazione.
c) La legge delega, infine, giustificava l’inquadramento e la regolamentazione degli atti processuali semplicemente sulla esigenza della raccolta dati nel processo telematico, ovvero strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo; il decreto legislativo supera al contrario questa ratio e prevede una regolamentazione ministeriale di tipo generale (……rispettano la normativa, anche regolamentare, concernente la redazione……), in grado così di investire gli atti processuali in ogni momento, e non solo in quello della raccolta telematica dei dati.
Espressamente un decreto del Ministro della Giustizia stabilirà, infatti, lo ripetiamo ancora, i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti.
2.2. Se dunque l’art. 46 disp. att. c.p.c. presenta dubbi di costituzionalità per eccesso di delega, parimenti la norma non sembra rispettosa nemmeno degli artt. 24, 101 e 110 Cost.
Premesso che per atti processuali devono intendersi sia gli atti del giudice che quelli degli avvocati, e ciò non solo per il chiaro tenore letterale della norma, quanto perché altrimenti non si comprenderebbero le ragioni per le quali il decreto del Ministro della Giustizia debba essere adottato sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense, e premesso che il parere di questi due organi, per come è disposta la norma, appare meramente consultivo e non vincolante (ma poco cambierebbe, a mio parere, anche ove il parere fosse vincolante), non si vede come il Ministro della Giustizia possa stabilire le modalità con le quali le parti debbano chiedere giustizia e il giudice debba renderla, ovvero non si comprende come il Ministro della Giustizia possa stabilire la struttura di una citazione, di un ricorso, di una ordinanza oppure di una sentenza.
Si deve così ricordare che l’art. 110 Cost. esclude che il Ministro della Giustizia possa avere simili poteri, poiché tutto al contrario ad esso spettano solo “l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”, e certo non rientrano, ne’ sono mai rientrati, nel concetto di servizi relativi alla giustizia le modalità di stesura degli atti processuali.
Dal che, non può che essere ribadito che ogni regolamentazione degli atti processuali deve concernere aspetti meramente telematici e informatici, e non può assolutamente incidere ne’ sull’esercizio della funzione giurisdizionale, ne’ sul diritto di azione, poiché altrimenti la disposizione si pone in contrasto con gli artt. 24 e 101 Cost.
E a niente serve prevedere che la violazione del regolamento ha conseguenze solo sulle spese, poiché gli spazi degli atti potrebbero essere predeterminati dal sistema informatico, cosicché, di fatto, potrebbe essere impedito a giudici e/o avvocati di inserire nel sistema atti che non corrispondano ai limiti dimensionali e/o tipologici previsti dal Ministro della Giustizia.
Si tratta di un punto fondamentale, che non può essere sottovalutato.
3. Le udienze
Per quanto concerna le udienze, la riforma prevede oggi non solo che le stesse stiano sotto la direzione del giudice, cosa che da sempre è così, ma anche che “il giudice può disporre che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza o sia sostituita dal deposito di note scritte” (nuovo art. 127, 3° comma c.p.c.).
Si tratta di una novità importante, che oggi trova infatti disciplina nell’art. 127 bis c.p.c. quanto all’udienza mediante collegamenti audiovisivi e nell’art. 127 ter c.p.c. quanto al deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza.
Si tratta di disposizioni in parte analoghe, ed esattamente entrambe statuiscono che il giudice possa, nelle udienze che non richiedano la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice, disporre, a sua discrezione, (può essere disposto dal giudice) ora l’udienza mediante collegamenti audiovisivi, ora il deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza.
3.1. Dunque, al giudice spetta la scelta circa le modalità di svolgimento delle udienze, e la decisione presenta queste caratteristiche:
a) si tratta di un decreto privo di motivazione, visto che i decreti sono motivati solo se la legge dispone che debbano esserlo (art. 135, 4° comma c.p.c.) e gli artt. 127 bis e ter c.p.c., al contrario, non prevedono che la decisione del giudice debba essere motivata.
b) Si tratta di determinazione completamente discrezionale, poiché la legge non prevede in quali casi l’udienza possa essere sostituita mediante collegamenti audiovisivi o mediante il deposito di note scritte, dal che il giudice può farlo liberamente e senza specifiche ragioni; fino ad oggi la scelta era motivata da ragioni di sicurezza sanitaria, ma da domani la determinazione delle modalità di svolgimento dell’udienza sarà rimessa alla piena libertà del giudice.
c) Le parti possono opporsi all’udienza con collegamento audiovisivo; tuttavia in questi casi Il giudice provvede con decreto non impugnabile, con il quale può anche disporre che l’udienza si svolga alla presenza delle parti che ne hanno fatto richiesta e con collegamento audiovisivo per le altre parti. In tal caso resta ferma la possibilità per queste ultime di partecipare in presenza.
Dal che, se il giudice può anche disporre che l’udienza si svolga alla presenza delle parti, significa, sic et simpliciter, che il giudice può anche disporre che al contrario l’udienza si tenga nei modi che questi aveva già determinato, ovvero significa che l’istanza della parte ben può essere respinta dal giudice.
E cosa analoga si ha nelle ipotesi in cui l’udienza sia sostituita con il deposito di note scritte; in questo caso, a seguito dell’opposizione, il giudice in caso di istanza proposta congiuntamente da tutte le parti, dispone in conformità; il che significa che il giudice è tenuto allo svolgimento dell’udienza in presenza solo se la richiesta proviene da entrambi le parti, poiché se al contrario la richiesta è solo di una parte, il giudice può ben disattendere la richiesta e confermare che la stessa sia sostituita dal deposito di note scritte.
3.2. Ora, io credo sia preoccupante che il giudice, con decreti non impugnabili e non motivati, abbia assoluta libertà di scegliere le modalità di svolgimento delle udienze, e ciò sia perché le norme in questione rompono un principio di trattamento paritario delle parti, in quanto i giudici, ognuno in base alla propria sensibilità, potranno fare scelte diverse, che daranno vita a diverse modalità di svolgimento dei processi tra parti e parti, e sia perché, è bene sottolineare, le modalità di svolgimento dell’udienza attengono molto più all’esercizio del diritto di azione e di difesa che non a quello decisionale, poiché, ancora, par evidente, mentre le modalità di svolgimento dell’udienza possono modificare e/o comprimere il diritto all’azione e alla difesa, le stesse lasciano invece sostanzialmente invariato il diritto/dovere del giudice di decidere.
In questi termini pareva necessario che il giudice potesse accedere a queste modalità alternative di svolgimento delle udienze solo se a questi proveniva richiesta congiunta di tutte le parti; mentre la riforma ha pensato al contrario che l’opinione delle parti non rilevassero, e che il giudice potesse determinare dette modalità a prescindere dai desiderata dei litiganti.
E in questo contesto, nessun senso ha l’opposizione prevista dagli artt 127 bis e ter c.p.c., poiché il giudice può egualmente confermare la sua decisione con provvedimento non impugnabile e non motivato, e la parte quindi non farai mai un’opposizione del genere, che non le assicura alcun risultato utile e che le servirebbe solo a rendersi antipatico agli occhi del giudice.
3.3. Seppur sia comodo fare udienze a distanza, o preferibile depositare una nota scritta piuttosto che recarsi in un palazzo di giustizia, io credo che noi dobbiamo ancora batterci per un processo che faccia dell’incontro il fulcro della sua funzione, poiché è proprio l’incontro che meglio consente, indiscutibilmente, l’esercizio dell’azione e della difesa.
Per questo mi sembra che gli artt. 127 bis e ter c.p.c. siano da ripensare:
a) perché la regola rimanga quella dell’udienza in presenza;
b) e perché l’eccezione non sia rimessa alla discrezionalità del giudice, da esercitare con decreti privi di motivazione e non impugnabili, e senza che la legge fissi le condizioni con le quali una udienza può essere sostituita con mezzi audiovisivi o note scritte.
4. Le ordinanze di accoglimento oppure di rigetto in via breve della domanda
La riforma, poi, introduce nel codice di rito due nuove norme con le quali, in limite litis, il giudice può accogliere (art. 183 ter c.p.c.) oppure rigettare (art. 183 quater c.p.c.) la domanda fatta valere in giudizio dall’attore.
Esattamente, il diritto alla difesa può subire una contrazione che consente al giudice di non portare al termine il processo accogliendo immediatamente la domanda quando “i fatti costitutivi sono provati e le difese della controparte appaiono manifestamente infondate” (art. 183 ter c.p.c.), e parimenti il diritto di azione può subire egualmente una contrazione che consente al giudice, all’esito dell’udienza ex art. 183 c.p.c., di rigettare la domanda “quando questa è manifestamente infondata” (art. 183 quater c.p.c.).
Entrambe queste disposizioni avvertono: a) che le ordinane sono reclamabili ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.; b) che in assenza di reclamo, oppure nel caso di rigetto del reclamo, le ordinanze definiscono il giudizio; c) e che infine le stesse non acquistano efficacia di giudicato ex art. 2909 c.c., ne’ la loro autorità può essere invocata in altri processi.
4.1. Queste disposizioni prestano il fianco, a mio parere, alle seguenti osservazioni:
a) in primo luogo, se queste nuove norme consentono una abbreviazione dei tempi del singolo processo ove vengono pronunciate, non consentono tuttavia una riduzione delle attività processuali in generale, in quanto l’assenza degli effetti di giudicato di queste ordinanze consentirà alla parte soccombente di ripresentare la domanda, e quindi di ripetere per la seconda volta, e in contrasto con un principio di economia processuale, il medesimo processo; inoltre, in caso di reclamo, si impegna un collegio non per stabilire se la domanda o la difesa sono fondate o infondate nel merito, bensì se le stesse sono o non sono manifestamente infondate, per poi far svolgere le attività di merito, e se del caso, ad un altro giudice, di nuovo con un raddoppio delle attività processuali necessarie alla definizione del giudizio.
b) In secondo luogo queste nuove disposizioni, per come sono congegnate, istituiscono una sorta di nuova ammissibilità della domanda e della difesa, che è quella della loro non manifesta infondatezza, cosicché, presentata al giudice una domanda oppure una difesa, il giudice non deve stabilire se queste sono o non sono fondate, ma deve preliminarmente valutare che queste non siano, appunto, manifestamente infondate, e solo se non hanno questa caratteristica esse saranno poi ammesse al giudizio di merito.
L’idea, così, dell’inammissibilità della domanda per manifesta infondatezza, che al momento esiste solo per il ricorso per cassazione ex art. 375 n. 5 c.p.c., può suscitare a mio parere dubbi se estesa ad un giudizio di merito, soprattutto quando riferita al diritto di difesa.
4.2. Ed infatti, deve rilevarsi che la manifesta infondatezza è concetto giuridico vago, e quindi le norme, nella sostanza, rimettono alla discrezionalità del giudice il proseguimento o meno del processo; e quale rovescio della medaglia gli artt. 183 ter e quater c.p.c. costituiscono per gli avvocati, e quindi per le parti, disposizioni particolarmente pericolose, in quanto consentono, senza regole precise e/o predeterminate, la chiusura del processo.
Dunque gli avvocati stiano bene attenti nella composizione degli atti introduttivi del giudizio, poiché imminente incombe su di loro sempre il rischio che tutto possa definirsi senza una reale cognizione piena dell’oggetto del contendere.
Peraltro, a mio sommesso parere, v’è da chiedersi se tutto questo sia conforme all’art. 24 Cost.
E la domanda è semplice: è costituzionalmente legittimo che il giudice, sulla base di una valutazione elastica e discrezionale, possa impedire il pieno esercizio dell’azione o della difesa chiudendo in via breve il processo?[3]
5. L’inammissibilità dell’appello
Se l’art. 121 c.p.c. statuisce che “Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico” senza aggiungere altro, e quindi senza prevedere quali siano le conseguenze di un atto processuale privo di chiarezza e sinteticità, qualcosa di più nebuloso si trova invece nel nuovo art. 342 c.p.c. in base al quale “L’appello deve essere motivato e per ciascuno dei motivi deve indicare, a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico”, ecc…….
Per questa ultima norma, infatti, sembra che la chiarezza e la sinteticità possano costituire condizioni di ammissibilità dell’impugnazione, cosicché si pone un problema di interpretazione della norma.
La cosa non è anodina poiché certo, se a qualcuno venisse in mente che le Corti di Appello, peraltro nel rispetto dell’obiettivo della riduzione dei tempi del contenzioso, possono dichiarare inammissibili tutte le impugnazioni che, prima facie, appaiono di non facile lettura, oppure non ben centrate sulle questioni rilevanti, o ancora inutilmente sovrabbondanti nelle esposizioni dei fatti o nello sviluppo delle argomentazioni giuridiche, va da sé che la classe forense, e con essa tutti i cittadini, avrebbero di che preoccuparsi.
In verità, la norma subordina l’inammissibilità dell’impugnazione all’assenza dei requisiti dei nn. 1, 2 e 3 del medesimo art. 342 c.p.c., ovvero l’appello è inammissibile, quando lo stesso non indichi il capo della decisione di primo grado che venga impugnato (n. 1), le censure proposte alla ricostruzione dei fatti (n. 2), o le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza (n. 3), il tutto secondo schemi non molto diversi da quelli già rodati con il vecchio art. 342 c.p.c.
Io, sinceramente, dubito che le Corti di Appello possano dichiarare inammissibile una impugnazione solo per carenze formali, se non addirittura per stile degli atti; e allora, forse, non è inutile precisare che:
a) l’inammissibilità dell’appello si ha quando l’atto non presenta i requisiti di cui ai punti 1, 2 e 3 dell’art. 342 c.p.c., non quando l’esposizione di tali punti è carente sotto il profilo della chiarezza, oppure della specificità, o ancora della sinteticità;
b) per contro, se l’atto contiene i requisiti di cui ai nn. 1, 2 e 3 dell’art. 324 c.p.c. ma la loro esposizione non è chiara o sintetica, il giudice dell’appello può regolare il fenomeno sotto il profilo delle spese, così come recita l’art. 46 disp. att. c.p.c., ma non già dichiarare inammissibile l’impugnazione, pena altrimenti la violazione dell’art. 342 c.p.c., nonché, probabilmente, dello stesso art. 24 Cost.
5.1. Il problema, se del caso, è che corre un filo sottilissimo tra un atto di impugnazione che manca dei requisiti di cui ai nn. 1, 2 e 3 dell’art. 324 c.p.c. e un atto di impugnazione che presenta tale esposizione in modo non chiaro oppure non sintetico ne’ specifico; e allora le Corti di Appello potrebbero essere tentate non già di affermare che la chiarezza e la sinteticità dell’atto di appello è condizione di ammissibilità dell’impugnazione, bensì che l’assenza di chiarezza e/o di specificità può comportare la carenza dei medesimi nn. 1, 2 e 3 dell’art. 324 c.p.c., e conseguentemente, e indirettamente, l’atto di appello non chiaro, sintetico o specifico può parimenti essere un atto che non consente la decisione di merito in ordine all’impugnazione.
Quid iuris?
È possibile una simile lettura della norma?
A mio sommesso parere le Corti di Appello non possono dare una esegesi della disposizione di questo genere, poiché l’inammissibilità di una impugnazione deve discendere da una condizione specifica, e non da presupposti incerti e rimessi alla discrezionalità del giudice.
È la legge che, per prima, deve indicare in modo chiaro e specifico quali siano le ragioni di una possibile inammissibilità dell’impugnazione; e tra queste non possono esservi, nemmeno in via mediata e indiretta, quelle della chiarezza e/o sinteticità dell’atto di impugnazione.
Tra il serio e faceto si potrebbe allora concludere così: che la chiarezza, la sinteticità e la specificità dell’atto non possono costituire condizioni di inammissibilità dell’impugnazione, poiché, a loro volta, non sono condizioni chiare e specifiche.
6. Il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione
Con il nuovo art. 363 bis c.p.c. il giudice del merito può rimettere in ogni tempo alla Corte di cassazione la risoluzione di un dubbio giuridico, se la questione è nuova, di particolare importanza e suscettibile di porsi in numerose future controversie.
In questo caso il processo è sospeso fino alla decisione della Corte di cassazione, e successivamente il giudice del merito, al pari di un giudice del rinvio, deve attenersi al principio enunciato dalla cassazione, che resta vincolante “nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione”.
Il parere anticipato della Corte di cassazione, evidentemente, è vincolante solo per il giudice che lo ha richiesto; tuttavia la riforma rischia egualmente, a mio sommesso parere, di andar oltre il principio di cui all’art. 101, 2° comma Cost. (e per il quale, come è noto, il giudice – persona fisica – è soggetto soltanto alla legge) almeno sotto due profili:
a) perché il parere dato dalla cassazione può vincolare anche un giudice – persona fisica - diverso da quello che abbia richiesto il parere; ad esempio ciò può avvenire se muta il giudice della causa, o se la stessa passa da una fase ad un'altra fase (ad esempio con un reclamo al collegio) oppure da un grado ad un altro grado (ad esempio a seguito di appello), in quanto, appunto, il parere è vincolate non per il giudice che abbia richiesto il parere ma nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione.
b) E perché, par evidente, nello spirito della riforma, una volta che la cassazione si sia pronunciata sulla questione di diritto a lei rimessa in via anticipata, tutti i giudici, e non solo il remittente, sono tenuti, in un certo modo e in una certa misura, ad adeguarsi a quel dettato, visto che la riforma si giustifica con una esigenza di uniformità delle decisioni, anche nel rispetto dell’art. 3 Cost., e non vi sarebbe alcuna uniformità, e quindi alcuna giustificazione della riforma, se non si pretendesse che tutti i giudici, e non soltanto il remittente, si adeguino poi al parere preventivo manifestato dalla cassazione.
In questo modo l’istituto, più che volto a rispettare un principio di nomofilachia, a me sembra invece finalizzato ad introdurre surrettiziamente un principio di vincolatività dei precedenti; e mi sia consentito sottolineare che non è la stessa cosa, poiché una è la nomofilachia, altra la vincolatività dei precedenti; e nella misura in cui si pretende (di fatto) che tutti i giudici e non solo i rimettenti, si adeguino nei futuri giudizi al parere della cassazione, lì si inizia a cementare un istituto che fino ad ieri si riteneva invece inesistente nel nostro ordinamento.
6.1. Qualcuno ha ritenuto però che queste lamentele siano infondate, e per dimostrare ciò ha richiamato l’art. 393 c.p.c. il quale, nel caso di estinzione o di mancata attivazione del processo di rinvio dispone comunque che: “la sentenza della Corte di Cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda”.
Si è detto che se un giudice diverso da quello del rinvio, ovvero il giudice della riproposizione della domanda, è egualmente tenuto a rispettare l’effetto vincolante della decisione della cassazione, qual è il problema a rendere vincolante il parere della cassazione a tutti i giudici e non solo al giudice che abbia rimesso in via pregiudiziale la questione?
E parimenti, se nessuno ha mai avuto niente da eccepire sulla disciplina dell’art. 393 c.p.c., perché viceversa qualcuno si lamenta della disciplina del nuovo art. 363 bis c.p.c.?
Ora, io credo che porre sullo stesso piano l’art. 393 con l’art. 363 bis c.p.c. sia errato.
Nel caso dell’art. 393 c.p.c. noi siamo di fronte ad un processo già fatto e deciso, mentre nel caso dell’art. 363 bis c.p.c. noi siamo viceversa di fronte ad un processo da fare e da decidere (e/o comunque da completare nel suo iter); in un caso si ha una vera e propria pronuncia della Corte di Cassazione a seguito di impugnazione, che, ove non fosse vincolante in assenza di rinvio o nel caso di estinzione del giudizio di rinvio, consentirebbe alle parti di raggirare la decisione stessa, permettendo l’omissione o l’abbandono del giudizio di rinvio; nel caso dell’art. 363 bis c.p.c. questa esigenza è assente, poiché siamo di fronte solo all’affermazione di un principio generale fuori da ogni meccanismo di impugnazione.
L’art. 393 c.p.c. risponde per questo al divieto del ne bis in idem, in quanto in sua assenza sarebbe consentito fare un nuovo processo in ordine ad un giudizio già svolto e deciso, tanto che la sua ratio sta infatti nel fatto che sui capi e punti non cassati si ha cosa giudicata[4]; l‘art. 363 bis c.p.c. non risponde a questa esigenza, poiché il rispetto del parere della cassazione non evita il ne bis in idem, in quanto la causa è ancora da definire[5].
Se poi si aggiunge, come abbiamo rilevato, che il nuovo artt. 363 bis c.p.c. mira altresì a superare il concetto di nomofilachia e introdurre nel nostro ordinamento un principio di vincolatività dei precedenti, ovvero mira ad obiettivi del tutto assenti con riferimento all’altra più vecchia norma di cui all’art. 393 c.p.c., va da sé che l’una non possa essere paragonata all’altra, e che quindi la novità dell’art. 363 bis c.p.c. può essere davvero fonte di legittime perplessità.
7. Dei procedimenti in materia di famiglia
E passiamo al processo di famiglia.
Brevemente, esso presenta una novità ordinamentale ed altre relative al procedimento.
7.1. Per quanto riguarda gli aspetti ordinamentali, è condivisibile l’idea di sopprimere i tribunali per i minorenni e prevedere, con il nuovo art. 49 r.d. 12/1941, un tribunale unico per le persone, per i minorenni e per le famiglie, “….il quale si articola in una sezione distrettuale e in una o più sezioni distaccate circondariali”.
Il problema, però, è che nei moltissimi piccoli tribunali della nostra penisola, è difficile avere un numero sufficiente di magistrati da assegnare alle sezioni distaccate circondariali della famiglia; dal che l’idea del tribunale unico, per quanto pregevole, appare lontana dalla possibilità di essere realizzata in concreto, e si vedrà quali accorgimenti pratici il legislatore intenderà adottare per sormontare un problema di carenza di mezzi e persone che, al momento, sembra davvero difficile.
7.2. Per quanto invece riguardi il procedimento, il decreto legislativo continua ad affidare al giudice della famiglia poteri d’ufficio che nel processo civile non sussistono, e prevede infatti, con l’art. 473 bis 2 c.p.c., che il giudice non sia tenuto ne’ al rispetto della domanda, ne’ a quello di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ne’ infine a quello dispositivo in ordine alle prove.
Si giustifica questa eccezione in considerazione del fatto che le deroghe vanno a tutela dei minori, e quindi concernono diritti indisponibili.
Ma, sia consentito, a parte la circostanza che il secondo comma della medesima disposizione, regolando gli aspetti economici, non precisa che il potere d’ufficio del giudice possa disporsi solo a vantaggio dei minori e non per tutte le altre parti del processo[6], ma, a parte ciò, l’indisponibilità dei diritti non comporta di regola il venir meno dei principi di cui agli artt. 99, 112 e 115 c.p.c., e tutto il nostro sistema processuale è infatti intessuto di diritti indisponibili che tuttavia mantengono i classici limiti del rispetto della domanda, di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, e dispositivo.
Si osserva che nella misura in cui al minore può essere nominato il curatore speciale, e nella misura in cui vigila sui minori anche l’ufficio del pubblico ministro, che ha tutti i poteri di cui all’art. 473 bis 3 c.p.c., non si vedono poi le ragioni per le quali, oltre ciò, il giudice possa operare fuori dalle regole della giurisdizione.
Non può quindi sostenersi che la deroga al principio della domanda sia giustificata dalla indisponibilità dei diritti o dall’interesse superiore del minore, poiché questi interessi sono assicurati dalla presenza del PM e del curatore speciale, mentre il giudice deve rimanere terzo e imparziale anche quando giudica sui minori, e non può trasformarsi in un funzionario, come diceva Piero Calamandrei, che “si mette in viaggio alla scoperta dei torti da raddrizzare”[7], poiché ciò comprometterebbe la terzietà della sua funzione.
Dal che io credo che, proprio in ossequio alla terzietà e indipendenza del giudice, norme quali l’art. 473 bis 2 c.p.c. andrebbero rimeditate.
8. Le sanzioni
Infine le sanzioni.
Non meritano commento.
Costituiscono semplicemente un altro modo di intendere i rapporti tra avvocati e giudici, tra cittadini e Stato, un’onta, a mio sommesso parere, alle nostre tradizioni processuali.
È qui sufficiente solo ricordare quelle nuove che questa ultima riforma ha ritenuto di aggiungere e/o rivedere, ricordando (tristemente) che addirittura con DM del Ministero della Giustizia 20 ottobre 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 28 ottobre 2022 n. 253, sono oggi date le “Disposizioni relative alla tenuta, in forma automatizzata, di un registro dei provvedimento di applicazione delle sanzioni pecuniarie civili”.
Art. 96, 4° comma c.p.c.: “Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00”
Art. 118, 2° comma c.p.c. e 210, 4° comma c.p.c.: “Se la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo, il giudice la condanna ad una pena pecuniaria da € 500,00 ad € 3.000,00……se rifiuta il terzo, il giudice lo condanna ad una pena pecuniaria da € 250,00 ad € 1.500,00”.
Art. 283, 3° comma c.p.c.: “Se l’istanza prevista dal primo e dal secondo comma che precede è inammissibile o manifestamente infondata il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l’ha proposta al pagamento in favore della cassa delle ammende di una pena pecuniaria non inferiore ad € 250,00 e non superiore ad € 10.000,00”.
Art. 473 bis 18 c.p.c.: “Il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete è valutabile ai sensi del secondo comma dell’articolo 116, nonché ai sensi dell’articolo 92 e dell’articolo 96” (dunque può essere sanzionato con la pena pecuniaria in favore delle casse delle ammende di cui all’art. 96, 4° comma c.p.c.).
Art. 12 bis, 2° e 3° comma d. lgs. 4 marzo 2010 n. 28: “Quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio. Nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice, se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione”.
[1] Si tratta della composizione di due relazioni tenute la prima in Firenze, il 4 novembre 2022, organizzata dall’Unione nazionale delle camere civili e dalla Fondazione dell’Ordine degli avvocati di Firenze, e la seconda nel Convento di Camaldoli (AR), l’11 novembre 2022, in un incontro di studio organizzato dal Centro fiorentino di studi giuridici.
[2] L’art. 1, 17° comma, lettera d) della legge delega 26 novembre 2021 n. 206, prevedeva infatti semplicemente che: “….i provvedimenti del giudice e gli atti del processo per i quali la legge non richiede forme determinate possano essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo, nel rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità, stabilendo che sia assicurata la strutturazione di campi necessari all’inserimento delle informazioni nei registri del processo, nel rispetto dei criteri e dei limiti stabiliti con decreto adottato dal Ministro della Giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense”.
[3] Questo dubbio, tuttavia, non esclude che il legislatore possa egualmente utilizzare uno o più provvedimenti interinali al fine di evitare le attività processuali defatigatorie.
È sufficiente che gli artt. 183 ter e quater c.p.c., invece di far riferimento ad una condizione vaga qual è quella della manifesta infondatezza, facciano riferimento a tecniche più rigorose riconducibili ai criteri dell’onere della prova.
Sostanzialmente, la riscrittura degli artt. 183 ter e quater c.p.c. si sostanzierebbe in ciò: se in prima udienza, o anche successivamente nel corso del processo, sussiste la prova dei fatti costitutivi e al tempo stesso non sussiste prova dei fatti estintivi, impeditivi e modificativi fatti valere da chi si difende, e quindi in prima udienza l’attore ha provveduto all’adempimento degli oneri che la legge fa gravare su di lui ex art. 2697 c.c., e lo stesso non può dirsi per il convenuto, il giudice accoglie in via provvisoria la domanda e condanna il convenuto a quanto dovuto; al contrario, se in prima udienza, o anche successivamente nel corso del processo, manca la prova dei fatti costitutivi, oppure, anche in presenza della prova dei fatti costitutivi, v’è già la prova di almeno un fatto estintivo, impeditivo o modificativo, allora non può dirsi che l’attore abbia già l’evidenza del suo diritto, e dunque in quei casi il giudice respinge provvisoriamente la domanda; il tutto, con le medesime regole e le stesse logiche tecnico/giuridiche con le quali si pronuncia sentenza al termine della lite, e ciò anche con riferimento ad ogni altra valutazione de iure.
Se si fa questo, semplicemente si dà attuazione ad un principio secondo il quale, i tempi del processo vanno a danno della parte che ha bisogno della trattazione della causa.
Ed infatti, nel sistema attuale, la durata del processo è sempre addossata alla parte attrice, che per ottenere soddisfazione deve necessariamente attendere tutti i tempi dell’istruzione e della decisione; con questa riscrittura degli artt. 183 ter e quater c.p.c., i tempi del processo verrebbero al contrario ripartiti fra attore e convenuto in base a chi abbia bisogno della trattazione della causa; inoltre i provvedimenti anticipatori qui delineati non chiuderebbero il processo come oggi invece si prevede, poiché, tutto al contrario, il processo proseguirebbe dopo la loro pronuncia per l’accertamento a cognizione piena dei diritti e delle eccezioni, così evitando d’essere tacciati di incostituzionalità; e ciò nonostante, infine, questi provvedimenti in via breve non di meno svolgerebbero una funzione di contrasto agli abusi, poiché è evidente che dopo la loro pronuncia i processi proseguirebbero solo se seri e non defatigatori.
[4] Così espressamente Cass. 5 settembre 1997 n. 8592.
[5] Resistono così alla estinzione del giudizio di rinvio tutte quelle pronunce “già coperte da giudicato, in quanto non investite da appello o ricorso per cassazione, in base ai principi della formazione progressiva del giudicato” (v. Cass. 18 gennaio 1983 n. 465; Cass. 17 novembre 2000 n. 14892), mentre niente di ciò si dà con la disciplina del nuovo art. 363 bis c.p.c.
Ancora, ove non vi fosse l’art. 393 c.p.c. verrebbe meno, ai sensi dell’art. 2945, 3° comma c.c., il permanere dell’effetto interruttivo della prescrizione dovuto all’esercizio della domanda giudiziale (v. Cass. 27 gennaio 1993 n. 986), ed inoltre l’art. 393 c.p.c. serve altresì per coordinare l’ipotesi dell’estinzione del giudizio a quella dell’opposizione a decreto ingiuntivo di cui all’art. 653 c.p.c. (v. Cass. sez. un. 22 febbraio 2010 n. 4071), esigenze tutte di nuovo inesistenti a fronte dell’art. 363 bis c.p.c.
[6] L’art. 473 bis 2, 2° comma c.p.c.: “Con riferimento alle domande di contributo economico, il giudice può d’ufficio ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagine sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria”.
[7] CALAMANDREI, Istituzioni di diritto processuale civile, Padova, 1941, 113.
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