ISSN: 2974-9999
Registrazione: 5 maggio 2023 n. 68 presso il Tribunale di Roma
Prime impressioni relative alla sentenza 41/2019 della Supreme Court sulla (il)legittimità della sospensione dei lavori del Parlamento inglese.
Mario Serio
Sommario: 1.Premessa. 2. I fatti che hanno dato origine al giudizio. 3.Portata e nozione della “PROROGATION” parlamentare inglese. 4.Gli aspetti problematici del caso e l'apparato argomentativo della sentenza. 5.Il tesoro nascosto della sentenza e le prime reazioni del mondo politico inglese.
1.Premessa.
La sentenza dello scorso 24 settembre della Supreme Court del Regno Unito (UKSC 41/2019) circa la legittimità della sospensione per circa 5 settimane ( tra la prima decade di settembre e la metà d'ottobre 2019,ossia un paio di settimane prima della annunciata fuoriuscita dall'Unione Europea di una così vasta entità territoriale) l'attività Parlamentare, disposta con un ordine del Privy Council, convocato dalla Regina, a propria volta destinataria di apposita, caldeggiata richiesta da parte del Primo Ministro,si inscrive in un esteso panorama di pronunce di Corti Supreme ( nella locuzione includendo, quanto alle proprie prerogative determinanti in materia di legittimità di leggi ed atti ad esse equiparati ,la Corte Costituzionale italiana),dirette allo scrutinio ed alla tutela della funzione dei Parlamenti, come osservato da Sabino Cassese su” Il Corriere della Sera “del 29 settembre. La questione affrontata dalla Corte inglese, riunitasi in via straordinaria e d'urgenza durante il periodo di pausa estiva, ha logicamente implicato, ai fini della decisione, un numero rilevante di punti di principio direttamente refluenti sulla individuazione dell'assetto costituzionale del common law britannico come prodotto dall'insieme di principi consuetudinari, convenzionali, normativi che contribuiscono, secondo la chiara opinione della Corte, a fornire a quell'ordinamento una base corrispondente funzionalmente e sostanzialmente a quella vigente negli ordinamenti dotati di una legge suprema scritta.
Nelle brevi pagine che seguono si cercherà di addensare sinteticamente la fitta sequenza argomentativa che sorregge la pronuncia, ponendola al riparo, nelle dichiarate intenzioni degli undici Giudici espressisi all'unanimità, da dubbi di indebite interferenze rispetto a scelte di pretta natura politica.
2. I fatti che hanno dato origine al giudizio.
Nello schema decisorio, il cui preambolo è dato da una, magari didascalica, illustrazione degli istituti rilevanti nella fattispecie, peso significativo viene attribuito per la sua capacità esplicativa dei vari aspetti della vicenda alla scansione cronologica dei fatti sul cui sfondo si è celebrato il giudizio di cui si discute.
Come accennato, lo sfondo esplicitamente evocato dai protagonisti del caso (seppur ridimensionato dalla Supreme Court a semplice antecedente, senza ascendere al ruolo di fattore essenziale in prospettiva decisoria o di possibile oggetto della cognizione delibativa) è quello della identificazione del percorso interistituzionale interno (governativo e parlamentare) destinato a sfociare il 31 ottobre 2019 nell'abbandono-con condizioni ancora incerte, riassunte nel noto dilemma “deal-no deal”- da parte britannica della propria collocazione in ambito comunitario.
Una serie di passaggi, tutti riconducibili all'iniziativa governativa (ed in particolare a quella del Primo Ministro), è utilmente ravvisabile in termini di definizione del contesto genetico (e, come si vedrà oltre, anche finalistico) dell'intero procedimento giurisdizionale, visto anche nelle sue fasi intermedie.
In via sommaria può così descriversi il quadro fattuale-istituzionale.
A seguito di una conversazione telefonica appena intercorsa con il Primo Ministro che proponeva la menzionata sospensione dell'attività delle due Camere, la Regina convocava il 28 agosto presso il castello scozzese di Balmoral il Privy Council nella sua composizione competente in ragione della materia perché emanasse un ordine rivolto a tale risultato. Ciò puntualmente è avvenuto, con conseguente mandato al Cancelliere per gli adempimenti di spettanza e la formale comunicazione davanti la House of Lords, estensibile, quanto ad identità di effetti, alla House of Commons. La posizione del Primo Ministro era suffragata, secondo quanto sostenuto in sede giudiziale, da pareri conformi dei dipartimenti governativi interpellati ed avallata dal Consiglio dei Ministri facenti parte del Gabinetto convocato in video conferenza.
Dal canto loro i due rami del Parlamento, con successivi voti, avevano deliberato agli inizi di settembre di approvare una legge (promulgata il 9 settembre), lo European Union (Withdrawal) (No.2) Act 2019, che, modificando quello di pochi mesi anteriore, subordinava la fuoriuscita dall'Unione Europea al raggiungimento di un accordo (chiudendo le porte al “ no deal”), in vista del quale il termine del 31 ottobre era prorogato di 3 mesi.
Contro la sospensione (“prorogation”) parlamentare venivano proposti 2 distinti ricorsi, rispettivamente da un consistente gruppo di deputati e da una cittadina, che già alla fine del 2016 aveva con successo adito la Supreme Court in reazione alla decisione del Primo Ministro del tempo di avvalersi dei propri poteri senza voto parlamentare allo scopo di determinare l'abbandono europeo ai sensi dell'articolo 50 del Trattato (Re Miller,UKSC 5/2017), davanti la Inner House of the Court of Session scozzese e la High Court inglese, che emettevano opposte sentenze lo stesso 11 settembre 2019, nel primo caso accogliendo la domanda e dichiarando la sospensione stessa illegittima e nulla e, nel secondo, rigettandola sotto il profilo della mancanza di giurisdizione in ordine alla questione dedotta in giudizio.
Entrambe le sentenze sono state impugnate davanti la Supreme Court che, riuniti gli appelli, li ha decisi il 24 settembre scorso, confermando quella scozzese e riformando quella inglese,con conseguente privazione di effetti dell'ordine di sospensione dei lavori parlamentari.
3.Portata e nozione della “PROROGATION” parlamentare inglese.
Presupposto sia dell'esposizione dell'itinerario seguito dalla Supreme Court sia della dovuta illustrazione dei principi e delle regole applicabili al caso è la delineazione dell'istituto della “prorogation”, dei suoi effetti, della distinzione da figure affini, della sua possibile riconduzione in chiave storica a fondamentali testi normativi cui riconoscere valore di pietre miliari del costituzionalismo all'interno del common law inglese.
La sospensione dell'attività parlamentare per periodi ragionevolmente circoscritti di tempo ( pochissime settimane) né è nuova nell'esperienza politico-istituzionale inglese né è sprovvista di adeguato fondamento rinvenibile nello stesso common law: il punto è incontroverso in ogni stadio del complesso percorso giurisdizionale che ci occupa.
L'effetto generato dall'emanazione, nelle forme e secondo le tappe prima descritti, dell'ordine di sospensione è di natura radicale per ciò che attiene all'esercizio di ogni forma di attività del potere legislativo: essa viene a cessare in ogni sua possibile esplicazione egualmente riferibile a ciascuna delle 2 Camere cui è inibito “ab externo” di riunirsi, sia in sede plenaria che di Commissioni referenti,,di dibattere, di approvare provvedimenti. Venuto ad esistenza l'ordine in questione, il cui propulsore, per il tramite della persona del Monarca in quanto titolare del potere di convocazione dell'organo, il Privy Council, titolato ad innescare la successiva attività esecutiva e perfezionativa della fattispecie riservata al Cancelliere, è ad ogni effetto l'Esecutivo (nella persona del Primo Ministro quanto alla persuasione esercitata nei confronti del Monarca stesso,costituzionalmente irresponsabile, perchè, tramite il Privy Council, si dia luogo all'emanazione dell'ordine che, in ragione della propria scaturigine,acquista la denominazione di “royal order”) che agisce nell'area dei “prerogative orders” , sfuggendo ad ogni controllo parlamentare e ad ogni possibilità di interdizione della relativa efficacia ad opera o su istanza delle Camere.
Questi caratteri distintivi valgono a rendere agevolmente discernibile la “prorogation” ( termine antitetico, e quindi verosimile fonte di inganni nelle traduzioni, rispetto alla lingua italiana, nettamente votata a conferire al termine l'opposto significato di fenomeno di ultrattività di un potere nato con più ristretti orizzonti temporali) da altre tradizionali figure afferenti alle modalità di svolgimento della vita parlamentare inglese ,quali la “dissolution” ( che designa lo scioglimento delle Camere con conseguente necessità di indizione di elezioni generali) ed il “recess” ( termine che indica l'ordinaria sospensione dell'attività parlamentare in periodi determinati-estivi,festivi- o per eventi determinati-svolgimento di congressi di partito-).In questa indiscutibile diversità di condizioni legittimanti l'inveramento degli istituti da ultimo menzionati, e nella sostanziale riferibilità di essi a circostanze previamente identificate in via legislativa o consuetudinaria o addirittura imputabili ad opzioni delle stesse Camere, risiede la visibile, maggior gravità delle conseguenze della “prorogation”,del tutto estranea alla sfera volitiva e di controllo delle Camere stesse.Si vedrà più avanti quale parte questa considerazione abbia giocato nell'economia della pronuncia della Supreme Court.
4.Gli aspetti problematici del caso e l'apparato argomentativo della sentenza.
La più intima origine della peculiare, irripetibile importanza del caso va immediatamente rintracciata-come senza riserve messo in chiaro dalla sentenza- nella delicatezza della risposta che dal relativo giudizio non poteva non sgorgare circa la pertinenza al “domain” giudiziale nella sua complessa articolazione decisoria ( la cosiddetta “justiciability” di common law) del tema discusso e controverso, ossia il sindacato di legittimità in ordine ad un gruppo scalare di atti e condotte: la richiesta, sotto forma di parere consultivo propellente dell'altrui attività propositiva, deliberativa ed attuativa ( plesso Monarca, Privy Council,Cancelliere),del Primo Ministro al Capo dello Stato;la decisione del Privy Council; l'emanazione dell'ordine di sospensione, il cui previsto e voluto effetto finale è stato quello dell'arresto dell'intera attività parlamentare per un lasso di circa cinque settimane. È di assoluta evidenza la capacità condizionante della risposta a tale quesito rispetto ad altri interrogativi logicamente implicati in caso positivo e rapportabili alle conseguenze ed alle eventuali misure rimediali in caso di accertata illegittimità della serie di atti appena enunciati.
La questione della “justiciability” ( ragioni di brevità espositiva consigliano di attrarre in questa parola il largo nucleo problematico in discorso) era stata affrontata e in modo opposta risolta dai 2 organi giurisdizionali, scozzese ed inglese, contro le cui decisioni le parti soccombenti hanno proposto impugnazione davanti la Supreme Court. È intuitivo aggiungere che le ragioni del diniego della conoscibilità della questione da parte di una Corte di Giustizia affonda la propria forza nel suo dedotto carattere politico e nel suo connesso impingimento nel perimetro delle prerogative ( costituzionalmente riconosciute ) del potere esecutivo.
Si vedrà immediatamente che la replica della Supreme Court -il cui esplicito preambolo è che in nessun modo la pronuncia può essere sfruttata onde stabilire i tempi e le condizioni di fuoriuscita dal circuito dell'Unione Europea del Regno Unito-è stata diffusa e categorica in punto di declamazione della propria giurisdizione in materia e, quindi, della tutelabilità in sé dell'interesse alla caducazione di atti governativi direttamente incidenti sull'esplicazione del potere legislativo in senso lato. A tale replica, resa necessaria dall'insistita eccezione sollevata dalla difesa del Governo nel corso della discussione orale (integralmente trasmessa in streaming dal sito-www.supremecourt.uk- della stessa Corte ,aperta alla pubblica conoscenza ed alla possibile critica della propria trasparente funzione) ,la sentenza premette talune convergenti osservazioni di politica giudiziale (ancora una volta per brevità, e forse con eccesso di sintesi, definibili come di “policy”), riassumibili nei termini che seguono: a) le implicazioni politiche collegate ad un caso sottoposto alla cognizione giudiziale riflettente la liceità di condotte di persone svolgenti un ruolo politico non è ragione sufficiente perché le Corti declinino il proprio ufficio; b) ancor maggiore e più fondata appare l'esigenza di un intervento giudiziale nei casi in cui, come il presente, si controverta circa la legittimità di atti governativi destinati a tradursi nella cancellazione o nell'indebolimento di una delle fondamentali prerogative parlamentari, consistente nel controllo degli atti del Governo e nel correlato dovere di questo di esporsi alla resa del conto al Parlamento stesso della propria attività; c) l'accertata justiciability, alla luce delle considerazioni appena svolte, di una questione ,pur con riflessi politici, dibattuta giudizialmente ne esclude l'attitudine ad incidere indebitamente sul principio costituzionale di separazione dei poteri.
Coerentemente alla generale impostazione della sentenza secondo rigorosi canoni costituzionali ( sull'origine e sulla identificazione dei quali ci si soffermerà concisamente in seguito),essa conclude che la “justiciability” è resa imperativa ed indubitabile nel caso di specie alla luce dell'immancabile opera di controllo giudiziale circa il concreto rispetto in ogni caso sottoposto all'esame delle corti di giustizia dei principii e dei valori costituzionali ,per rimuovere gli eventuali effetti derogatori di atti e comportamenti anche addebitabili alla sede politica in senso ampio. E nella fattispecie l'essenziale dibattito verteva circa la lesione, per effetto della sospensione della relativa attività, delle prerogative parlamentari di scrutinio diretto degli atti del Governo nel delicatissimo tempo intercorrente tra i due segmenti ( iniziale e finale) della sospensione ed il residuo breve tempo prima della data prevista ( 31 ottobre 2019) per la fuoriuscita dall'Unione Europea, con conseguente messa in pericolo della possibilità di sottoporre a controllo gli intendimenti governativi in punto di scelta delle condizioni alle quali dar luogo alla nota Brexit nonché di verificare se le nuove disposizioni legislative che impongono la proroga del termine suddetto di 3 mesi allo scopo di non pregiudicare la possibilità di conseguire un accordo con le istituzioni comunitarie non fossero eluse.
Così avviato il binario del ragionamento, la Supreme Court si preoccupa di appurare se la lunga “prorogation” (la più lunga della storia costituzionale inglese,tanto da indurre la Corte stessa, nell'opinione alla cui stesura ha atteso la Presidente Lady Hale, a qualificare come irripetibile-”one off”- la specifica situazione) se l'effetto finale potesse riconoscersi effettivamente nel più temuto degli epiloghi, in via immediata atto ad innescare la reazione invalidante perseguita dagli originari ricorrenti, ossia nel fatto di impedire l'esercizio delle funzioni parlamentari,senza giustificato motivo,per ben 5 settimane ( “The..question ,therefore,is whether this prorogation did have the effect of frustrating or preventing the ability of Parliament to carry out its political functions without reasonable justification”). E, considerata la totale carenza di idonei supporti giustificativi ( mai forniti dal Governo sin dalle prime fasi propedeutiche all'interlocuzione con la Regina, che non potè non risentire in modo negativo ed efficiente di tale vuoto informativo),la piana conclusione della sentenza è che nessun dubbio possa affacciarsi sull'effettivo impedimento, a cagione della “prorogation”, dell'attività parlamentare ,non solo riguardata nella sua globale e generica espressione ma specialmente circoscritta alla barriera in tal modo frapposta alla possibilità di doverosi scrutini da parte delle Camere dell'operato del Governo su tempi e modi di attuazione della Brexit. Tale barriera, estrinsecatasi nell'impedita esecuzione dei compiti propri di una democrazia parlamentare sovrana, non può che convertirsi nella illegittimità di ciascuna delle fasi che ha portato alla “prorogation”,ossia la mistificante richiesta alla Regina da parte del Primo Ministro e gli atti conseguenti culminati nell'ordine di sospensione Ciascuno di questi atti ed il loro esito aggregato non può che essere riportato al paradigma dell'illegittimità ( “unlawfulness”).
L'ultimo nodo problematico sciolto dalla sentenza riguarda la natura e l'oggetto della tutela concedibile alle parti richiedenti, quali corollari dell'accertata illegittimità di cui si è appena detto.
Anche per questo capo della sentenza, in quanto sollecitata dalla specifica domanda degli originari ricorrenti si è posta un'eccezione pregiudiziale di merito da parte della difesa del Governo nella discussione orale. Questa tendeva a predicare una preclusione alla pronuncia sui rimedi facendo leva su una disposizione legislativa, l'articolo 9 del Bill of Rights del 1688,replicato con previsione equivalente in Scozia dal Claim of Right 1689 ( an Act of Scottish Parliament), secondo cui la libertà di espressione, i dibattiti ed i lavori (“proceedings”) parlamentari non possono costituire oggetto di censura o di discussione in sedi-comprese le Corti di giustizia-diverse dal medesimo Parlamento (“ That the Freedome of Speech and Debates or Proceedings in Parlyament ought not to be impeached or questioned in any Court or Place out of Parlyament”).La portata applicativa della norma in sé e,quel che qui più rileva,nei suoi riverberi interattivi tra potere legislativo e giudiziario è stata,sin dagli esordi della Supreme Court ( in R.v.Chaytor, UKSC 52/2010) puntulizzata nel senso che compete alle Corti di giustizia,e non al Parlamento, stabilire l'ampiezza dei confini delle prerogative parlamentari (“privilege”) in materia, essendo a quest'ultimo riservata la facoltà di stabilire la propria organizzazione interna senza interferenze dal di fuori.La stessa dottrina parlamentare ( Erskine May,Parliamentary Practice, 25° ed.,2019,par.13.12) definisce il termine “proceeding”come di carattere tecnico ,in uso sin dal 17° secolo,diretto a designare qualsiasi atto formale adottato collegialmente da ciascuna delle Camere,normalmente una decisione.Sulla scorta dei precedenti legislativi,giurisprudenziali e dottrinari la Supreme Court perviene alla conseguente conclusione che la “prorogation” non va fatta rientrare nel novero dei “proceedings”,sia per l'oggetto non decisorio sia per la sua eteroimposizione dall'esterno sia per il suo effetto di estinzione ,anche se temporanea, dell'attività parlamentare.
Da questa congrua linea argomentativa discende che la statuizione circa l'effetto impediente, e, pertanto, illegittimo, delle attribuzioni parlamentari di provenienza costituzionale trascina ineluttabilmente con sé la dichiarazione di nullità ed improduttività di effetti della catena di effetti conducenti alla “prorogation”,oltre che, ovviamente, della sospensione stessa.Dichiarazione di invalidità cui consegue l'affermazione che spetta ai Presidenti delle Camere stabilire i provvedimenti da adottare per assicurare la ripresa dei lavori parlamentari.
Particolarmente mordace è la frase descrittiva ,in senso demolitorio, della fase finale del procedimento indirizzato all'ordine di “prorogation”, quella dell'annuncio da parte degli incaricati del provvedimento alla House of Lords:come se essi fossero entrati in Parlamento con un foglio di carta bianco (“...the actual prorogation...was as if the Commissioners had walked into Parliament with a blank piece of paper”).
In questi termini finali è la sentenza,di conferma di quella scozzese ( espressasi negli identici termini) e di ribaltamento di quella della High Court.
5.Il tesoro nascosto della sentenza e le prime reazioni del mondo politico inglese.
Si è ripetutamente ricordato che il filo rosso lungo il quale si dipana ,attraverso manifesti richiami, la pronuncia della Supreme Court è dichiaratamente di indole costituzionale, sia dal punto di vista nominalistico sia nella prospettiva dogmatica e di principio sia, infine, per la sicuramente percettibile continuità con la la più accreditata e solida linea di pensiero dottrinario.
In primo luogo-così dando vita ad una spiegabile soddisfazione tra gli studiosi del common law inglese,”quorum ego” in non isolate occasioni, che avevano sostenuto il punto anche in mancanza di così plateali affermazioni, connettendolo, alla, pur generalmente disconosciuta, abilità dei giuristi d'oltremanica nell'elaborazione di categorie giuridiche,orientate, secondo la lucida teoria di Peter Birks,ad incidere beneficamente sulla creazione di sistemi di principii fondamentali-la sentenza (par.39 ss.) scultoreamente esprime il punto di vista secondo cui ,sebbene il Regno Unito non conosca un autonomo documento esplicitamente denominato “Costituzione”, tuttavia esso contempla in sé una Costituzione, sviluppatasi in forma pragmatica e flessibile ( e,quindi, suscettibile di sviluppi ulteriori),quale sedimentata nel corso della storia in ragione del common law, delle leggi del Parlamento, delle convenzioni e della prassi (“Although the United Kingdom does not have a single document entitled “The Constitution”,it nevertheless possesses a Constitution established over the course of our history by common law,statutes,conventions and practice”).Essa si nutre di una gamma di principii di diritto, perfettamente capaci di immediata applicazione, al pari di altri principii codificati, in sede giudiziale, quale quello della trasparente e pubblica amministrazione della giustizia, l'altro- oggi trasposto nell'ordinamento inglese attraverso lo Human Rights Act del 1998-del divieto di espropriazione governativa per pubblica utilità in difetto del pagamento di indennità al proprietario, nonché altri principii riflettenti l'esigenza di un equilibrato esercizio dei poteri pubblici ,quali la sovranità del Parlamento doverosamente tutelabile di fronte alla minaccia di abusi di potere da parte dell'Esecutivo e la obbligatoria resa del conto ( “accountability, termine al quale va sottratta la suggestione che esso alluda ad una responsabilità in sé, mentre essa può sorgere solo se il preliminare dovere di dar conto del proprio operato sia omesso o assolto in modo dalle Camere giudicato insoddisfacente) dei propri atti davanti al Parlamento ( come si ricava dall'illuminante opinione,riportata anche nella sentenza oggetto del presente studio, del compianto Lord Bingham of Cornhill nella sentenza resa dalla House of Lords nel caso Bobb v.Manning del 2006: “the conduct of government by a Prime Minister and Cabinet collectively responsible and accountable to Parliament lies at the heart of Westminster democracy”).Ora,è facile arguire dal raffronto tra le circostanze del caso esaminato e gli ultimi 2 principii di calibro costituzionale citati che questi non hanno trovato la dovuta e dignitosa ospitalità nella condotta governativa volta ad una prolungata ed immotivata stasi dell'attività parlamentare,inibente, per le ragioni prima spiegate,anche lo scrutinio delle azioni ,compiute o anche preannunciate, del governo Johnson in materia di Brexit e con il sostegno dei Brexiteers,influenti fuori dal Parlamento.
L'affresco che si rivela agli occhi di un giurista continentale è contraddistinto dai toni soffusi e riposanti, e non bellicosi, minacciosi o iattanti, che si liberano dalle pagine della sentenza, che sembra erigere un monumento equestre all'elevato pensiero del pioniere del costituzionalismo inglese,Albert Venn Dicey,così scrupoloso, sin dall'ultimo quarto del diciannovesimo secolo fino alle propaggini dei 20 anni successivi, a difendere il valore della sovranità del Parlamento e la stringente regola della scrutinabilità anche in sede giudiziale delle modalità,del contenuto ,dell'oggetto dell'esercizio dei “prerogative orders” governativi.
Un siffatto accostamento da parte della Suprema Corte di giustizia del Regno unito allo scottante tema, indubbiamente implicito nel telaio dell'ispirazione della sentenza, non poteva non suscitare movimenti di pensiero, fluttuanti dal meditato e sereno ragionamento sul pangiudizialimo svolto in conformità ad una matura concezione liberale dall'ex Giudice della stessa Supreme Court, Lord Sumption nel recentissimo “Trials of the State” ( che raccoglie il testo di sue allocuzioni nel corso di trasmissioni di BBC Radio 4 dopo la cessazione dalla carica) e nelle sue dichiarazioni in merito alla sentenza (The Daily Telegraph del 26 settembre 2019,pag.5,secondo cui la pronuncia né mette a repentaglio la democrazia né è sovversiva,ma ha semplicemente sostituito la regola normalmente applicabile in via convenzionale in ragione delle speciali circostanze al caso in cui il Governo ha gettato alle ortiche le norme convenzionali:”That is not undermining democracy nor is it a coup.It is simply replacing what ought to have happened by convention by law in circumstances when the government has tried to kick away the conventions”) all'agguerrito monito dell'Attorney General Geoffrey Cox, autore del parere, non particolarmente felice,circa la praticabilità della “prorogation” che vedrebbe di buon occhio un nuovo sistema di reclutamento dei Giudici della Supreme Court ( se non addirittura l'abolizione della stessa ed il ripristino del sistema castale della House of Lords) prevedente audizioni nel corso delle quali i candidati dovrebbero rivelare la loro espressione di voto nel referendum europeo.
Rasserenano e garantiscono, infine,le parole di Robert Buckland, Lord Chancellor, che, quasi stesse parlando davanti ad un'assemblea di elettori italiani,invita all'orgoglio per l'operato del potere giudiziario inglese, definendo la “rule of law the basis of our democracy,for all seasons” e censurando gli attacchi personali ai Giudici da qualunque parte provenienti in quanto “completely unacceptable”.
Semplice la lezione da trarre da questa esperienza: quella della coriacea ed illimitata autodifesa del potere da parte di chi lo detiene, incurante degli esorbitanti prezzi esigibili in termini di democrazia sociale, rappreesentativa e con salde radici costituzionali.Ovunque nel mondo ed in presenza di qualunque sistema ordinamentale.
di Andrea Apollonio
Non è un caso che a propugnare le ragioni di Marco Cappato davanti alla Corte Costituzionale vi fosse Vittorio Manes, uno degli studiosi italiani più attenti alla law in action, al dover essere della legge nella sua cornice nazionale e internazionale, che appena qualche mese fa pubblicava (assieme a Valerio Napoleoni) "La legge penale illegittima", un contributo sul controllo di costituzionalità delle leggi innovativo, perché spinge lo sguardo sopratutto fuori i confini nazionali. Non è un caso, quindi, che a difendere Cappato sia stato l'autore de "Il giudice nel labirinto", che qualche anno or sono ha insinuato nella comunità scientifica profondi e necessari interrogativi: il primo tra tutti: come si deve porre il giudice (oggi al centro di un "labirinto" fatto di Carte e di Corti) di fronte alla legge, spesso retaggio storico, talvolta anacronistica?
La risposta che oggi più di ieri ci sentiamo di associare a questa domanda cruciale è: si deve porre in modo "politico", in una duplice accezione.
Nel senso di polis, di comunità - e questo vale per il giudice ordinario. Il giudice deve essere consapevole di stare dentro, e al centro di una comunità scientifica e - diremmo anche - giurisprudenziale che utilizza parametri di legittimità sostanziale, principi diversi da quelli con i quali abbiamo ragionato fino a ieri l'altro. Dietro la legge c'è la Costituzione, da qui poi l'ulteriore rinvio - sul piano interpretativo dei precetti - alla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo ed ai Trattati dell'UE. Forse che la Corte d'Assise di Milano non ha seguito questo percorso oggi obbligato? L'ha seguito, nella misura in cui chiedeva al Giudice delle Leggi di verificare la costituzionalità del reato di aiuto al suicidio alla luce degli artt. 3, 13 e 117 Cost. in relazione agli artt. 2 e 8 della CEDU, i quali sanciscono il diritto alla vita (e, a contrario, anche quello alla morte, a certe condizioni) e quello a "resistere" di fronte alle arbitrarie ingerenze delle pubbliche autorità. A Strasburgo, infatti, da tempo è stato acclarato il "diritto di un individuo di decidere il mezzo ed il momento in cui la sua vita debba finire" sempre che il soggetto sia in grado di assumere una decisione libera e pienamente consapevole (vd. Haas c. Svizzera, sentenza del 20.11.2011); mentre, paradossalmente, la nostra Carta Costituzionale - si sa, bella e imperfetta - non contempla neppure il diritto alla vita, impedendo così in radice lo sviluppo di una giurisprudenza costituzionale sul diritto a morire - sempre, meglio ribadire, a certe condizioni.
Ma questa vicenda (mediatica prima, giudiziaria dopo, costituzionale in ultimo) ha confermato che il giudice è politico, è costretto ad esserlo, anche in altro senso: perché in grado di fare delle scelte originariamente ed istituzionalmente appannaggio di organi rappresentativi (leggi: il Parlamento) - e questo vale per la Consulta.
In questo senso, la categoria del Politico, per dirla con le parole di Carl Schmitt, coincide con la categoria del Giudice, tutte le volte in cui la politica, pur chiamata in causa, si interessa d'altro. Perché la vera novità del modus decidendi dei giudici costituzionali sta nell'avere assegnato, circa un anno fa, un termine al Parlamento per superare l'empasse della norma penale illegittima; per la prima volta nella sua storia, attesa la rilevanza della questione (sociale, prima ancora che giuridica), aveva rinviato la decisione al fine dichiarato di rimettere alla politica il compito di intervenire sulla questione del fine-vita, in particolare nelle sue declinazioni penalistiche. Com'è giusto che sia. Nulla è stato fatto, il tema non è neppure entrato nelle agende dei partiti: così, la Corte ha deciso di decidere.
Ha deciso con una sentenza addittiva di regola degna - sotto il profilo tecnico-compilativo - del migliore e più illuminato legislatore, riuscendo a racchiudere in poche parole un canone di civiltà (giuridica, prima ancora che sociale) senza il quale, tanto per intenderci, Marco Cappato avrebbe rischiato fino a dodici anni di reclusione.
D'altronde, la Corte ci ha abituato ad interventi sullo jus scriptum che sono anche interventi - diciamolo chiaramente - su pubblici pregiudizi, che ci trasciniamo dietro da sempre. Proprio su questa Rivista appariva tempo addietro il commento ad una sentenza della Corte che, finalmente, bonificava una materia (quella delle misure di prevenzione) profondamente illiberale, priva di effettive garanzie per i suoi destinatari, riuscendoci grazie ai principi elaborati a Strasburgo. Quella delle misure di prevenzione era una materia che discendeva direttamente dal regime fascista; e non è, l'art. 580 del codice penale, un reato del quale il Guardasigilli scriveva, nei lavori preparatori del codice: "Era universalmente conclamata la necessità di perseguire, col massimo rigore, tutte le cause di un doloroso fenomeno, il quale ebbe, nell'immediato dopo-guerra, un impressionante sviluppo"? Il dopo-guerra a cui Alfredo Rocco si stava riferendo era quello successivo alla Prima Guerra mondiale, correva l'anno 1930; ed è in forza di questo reato che, nel 2019, Marco Cappato si trova imputato innanzi alla Corte d'Assise di Milano. Se questi sono gli strumenti regolativi del vivere comune di cui disponiamo, e di cui i giudici dispongono per decidere i casi concreti, allora è bene - è necessario - che questi si atteggino, nel doppio senso che abbiamo poc'anzi esplicitato, a giudici politici. Non è l'invasione di un potere nel campo di un altro: è, piuttosto, la certificazione dell'attuale, incapacità della politica parlamentare e governativa ad affrontare razionalmente, laicamente, senza i consueti strepiti di retorica, le questioni che la società fa emergere in una forma sempre più complessa. Chiamatela pure, se volete, supplenza giudiziaria, ma dalla tensione specific
di Emanuela Coronica[1]
Il nostro sistema giudiziario presenta numerose criticità e, tra queste, ci sono le numerose carenze di personale nei tribunali. Le conseguenze sono lungaggini processuali, procedimenti a rischio prescrizione e uffici giudiziari allo stremo.
Sommario: 1. Italia maglia nera nell’ue per definizione dei processi e investimenti. 2. Nuove politiche assunzionali. 3. Piante organiche inadeguate e riforma della prescrizione. 4. Le richieste del comitato idonei assistenti giudiziari.
1.Italia maglia nera nell’UEe per definizione dei processi e investimenti
La giustizia italiana vive da anni in una condizione di continua emergenza.
Lungaggini processuali e gravi carenze di personale, rendono il nostro sistema giudiziario lento e poco efficiente. Ce lo ricorda anche la Commissione Europea, la quale non manca di far presente che il nostro Paese è tra gli ultimi per la definizione di procedimenti civili e commerciali e tra quelli dell’Unione Europea che investono meno sulla giustizia.
Ciò non stupisce poiché, per anni, il nostro sistema giudiziario è stato oggetto di politiche di spending review che hanno aggravato la sua condizione.
Alla base di tutto, le notevoli carenze di personale giudiziario e, anche in questo caso, la Commissione Europea ci ricorda che è il nostro Paese deve investire in risorse umane e materiali.
Negli ultimi anni, il Ministero della Giustizia ha cercato di invertire lo stallo nelle politiche di reclutamento imposto dal pluriennale blocco del turn over, disponendo numerose iniziative al fine di incrementare le risorse negli uffici giudiziari, soprattutto, per arginare gli effetti dei vuoti di organico dovuti anche all'aumento dei pensionamenti.
2.Nuove Politiche Assunzionali
Una prima inversione di rotta è stata registrata nel 2016 con l’indizione del concorso ad 800 posti per il profilo di assistente giudiziario, conclusosi nel 2017 con la pubblicazione di una graduatoria composta da 4.915 persone. L’ultimo concorso per il medesimo profilo si era svolto circa venti anni prima.
Il Comitato Idonei Assistenti Giudiziari si è costituito nell’ottobre 2017 con l’obiettivo dello scorrimento integrale della graduatoria in considerazione dei numerosi vuoti di organico negli uffici giudiziari ma anche dell’importanza del profilo di assistente giudiziario che rappresenta una figura centrale nell’amministrazione della giustizia ed è considerata la fonte principale dell’attività di una cancelleria perché è soprattutto colui che assiste il magistrato in udienza.
Dei 4.915 idonei che compongono la graduatoria, 3.386 sono entrati già in servizio tra gennaio 2018 e luglio di quest’anno ma ancora non basta perché restano in attesa circa 1.300 persone che, in realtà, sono ancora meno se si considera che tale numero è al netto di rinunce e dimissioni.
Si tratta di assunzioni già programmate, finanziate ed autorizzate da un ambizioso piano assunzionale, sottoscritto dal Ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, nel giugno scorso.
La legge di Bilancio 2019, il decreto “Quota 100”, la cosiddetta legge Genova e il DPCM del 20 giugno 2019, consentiranno l'assunzione di 8.661 unità di personale ma anche l’esaurimento integrale della graduatoria degli idonei assistenti giudiziari.
Mancano, però, le tempistiche che, finora, sono sempre state piuttosto incerte e approssimative.
L'esaurimento della graduatoria per il profilo di assistente giudiziario non risolverebbe in un colpo solo i gravi vuoti di organico negli uffici giudiziari ma, di certo, sarebbe una boccata d'ossigeno per tutti quei tribunali che, allo stato attuale, per mancanza di personale, rischiano il blocco di ogni attività amministrativa, complice anche l'inadeguatezza delle piante organiche che dovrebbero essere ampliate.
3.Piante organiche inadeguate e la riforma della prescrizione
La riforma della geografia giudiziaria del 2012, oltre a determinare la chiusura di 31 tribunali, di tutte le sezioni distaccate di Tribunale e il drastico taglio degli Uffici dei Giudici di Pace, allo stesso tempo, ha creato ai tribunali rimasti notevoli disagi organizzativi incrementando i bacini di utenza senza che questi venissero controbilanciati da un ampliamento delle dotazioni organiche del personale.
La conseguenza è stata che il carico di lavoro e gli arretrati da smaltire sono aumentati mentre le risorse umane sono rimaste quelle e i tempi di definizione dei processi si sono allungati.
Appare chiaro che il tema delle politiche assunzionali non è indifferente a quello del dimezzamento dei tempi dei processi.
Quello dell'incremento delle risorse negli uffici giudiziari è un tema prioritario anche in questi giorni in cui si parla di riforma della giustizia e, in particolare, della prescrizione.
I detrattori della riforma, voluta dal Guardasigilli e inserita nella legge “Spazzacorrotti”, ritengono che lo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado allungherà i tempi dei procedimenti e a farne le spese saranno gli uffici giudiziari.
I sostenitori, reputano che sia giusto preservare il lavoro dei magistrati in primo grado ma giudicano indispensabile che la riforma venga accompagnata da ulteriori misure e, tra queste, c'è l'assunzione di personale qualificato.
Senza entrare nel merito della discussione sulla riforma della prescrizione, che lasciamo volentieri agli addetti ai lavori, è comunque evidente che quando si affronta il tema della giustizia in tutte le sue declinazioni, non si può non tenere conto della necessità di incrementare le risorse umane e materiali.
4.Le richieste del comitato idonei assistenti giudiziari
Per questo, il Comitato Idonei Assistenti Giudiziari chiede di conoscere le tempistiche della prossime assunzioni, a cominciare dai 400 idonei che, da mesi, sono in attesa.
Il Ministro Bonafede, confermato alla guida di via Arenula, ha ribadito ancora una volta l'obiettivo di una giustizia equa ed efficiente ma un simile risultato si può raggiungere soprattutto con risorse qualificate insieme alla valorizzazione delle professionalità e al riconoscimento del merito.
[1] Comitato Idonei Assistenti Giudiziari
di Franco De Stefano[2]
sommario: 1. Il plesso giurisdizionale delle acque pubbliche.- 2. La giurisdizione delle acque pubbliche: qualità dell’acqua e giurisdizione del giudice ordinario; il plesso TSAP-TRAP come giudice specializzato, privo di giurisdizione esclusiva. -3. Cenni alle particolarità del rito. - 4. La tipologia delle controversie in tema di diritti soggettivi.- 5. Attualità dei tribunali delle acque. - 6. Appendice. Indicazioni bibliografiche essenziali.
1. Il plesso giurisdizionale delle acque pubbliche.
La specialità e la complessità tecnica della legislazione in materia di acqua pubblica hanno, fin dall’epoca repubblicana di Roma, esaltato la centralità di quella risorsa nella gestione dell’economia e spesso giustificato l’istituzione di organismi amministrativi e pure di giurisdizioni ad hoc, dotati di particolare competenza e in grado di assicurare una tutela più rapida e specialistica.
Il tribunale superiore e gli otto tribunali regionali delle acque pubbliche[3] sono stati regolamentati dal r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (d’ora in avanti, anche solo t.u. o t.u. acque). Si tratta di un plesso giurisdizionale sui generis, articolato su di una struttura in due gradi di merito in materia di diritti soggettivi ed un unico grado di legittimità in materia di interessi legittimi, con l’ulteriore peculiarità che il suo organo di vertice giudica ora appunto in grado di appello ed ora in unico grado e per di più a composizione variabile (rispettivamente con tre consiglieri di Cassazione ed un consigliere di Stato e con tre consiglieri di Cassazione e tre di Stato), sia pure sempre con l’intervento di un esperto esterno all’ordine giudiziario.
Se il singolo tribunale regionale delle acque pubbliche è sostanzialmente riconducibile ad una sezione specializzata della corte di appello presso cui è istituito[4] (con caratteristiche analoghe alla sezione specializzata agraria quanto ad istituzionale non riconducibilità all’ufficio, almeno a fini di competenza; e con la peculiarità di una circoscrizione territoriale pluridistrettuale specifica), il tribunale superiore è un autentico ibrido: una giurisdizione superiore a giurisdizione nazionale, che resta però giudice specializzato in entrambi i casi[5] e le cui decisioni sono soggette al controllo ordinario in sede di legittimità dinanzi alle Sezioni Unite della Corte suprema di cassazione.
La singolarità del plesso sta poi in ciò, che, mentre i tribunali regionali sono incardinati presso le corti di appello corrispondenti (di cui costituiscono una sezione, benché specializzata, con l’intervento di un tecnico iscritto all’albo degli Ingegneri nominato con decreto del Ministro della giustizia in conformità alla deliberazione del Consiglio superiore della magistratura adottata su proposta del presidente della Corte di appello), quello superiore è ufficio a sé stante, ma con un solo magistrato di carriera in pianta organica, cioè il suo presidente, mentre i consiglieri di Cassazione e quelli di Stato che lo compongono, effettivi e supplenti, sono destinati a tali funzioni con provvedimenti di durata quinquennale e l’esperto che integra ogni collegio (a seguito della riforma di cui al d.l. 24 dicembre 2003, n. 354, convertito con modificazioni dalla L. 26 febbraio 2004, n. 45) è un iscritto all’albo degli Ingegneri, nominato dal Ministro della Giustizia su delibera del Consiglio Superiore della Magistratura a seguito di proposta del Presidente del tribunale stesso.
Il collegio giudicante del tribunale regionale si articola in tre componenti, di cui uno è il tecnico esperto; il tribunale superiore giudica in collegio di sette componenti nelle controversie di cui all’art. 143 t.u. (in materia di interessi legittimi; di cui tre consiglieri di Cassazione, compreso il presidente, tre consiglieri di Stato e il tecnico esperto) e di cinque in quelle di cui all’art. 140 t.u. (in materia di diritti soggettivi; di cui tre consiglieri di Cassazione, compreso il presidente, un consigliere di Stato e il tecnico esperto).
Per concludere, due notazioni. In primo luogo, il tribunale superiore realizza un interessante e finora unico esempio di giurisdizione soggettivamente esclusiva, in cui cioè – a differenza delle ipotesi ordinarie di giurisdizione esclusiva, in cui ogni controversia è devoluta ad un organo giurisdizionale istituzionalmente deputato a conoscere o soltanto di diritti soggettivi o soltanto di interessi legittimi – la controversia può avere ad oggetto indifferentemente un diritto soggettivo o un interesse legittimo ed è trattata però non da due organi giurisdizionali differenti, bensì da un organo formalmente e sostanzialmente unitario, in cui la differenziazione è data dalla diversa provenienza dei suoi componenti.
Infine, il processo civile telematico non opera presso il tribunale superiore, mentre in quelli regionali segue le sorti dell’introduzione presso le rispettive corti d’appello: i tentativi di informatizzazione sono ancora embrionali e, nonostante gli sforzi ripetuti degli ultimi presidenti e del dirigente e del personale di cancelleria, non è riuscito l’inserimento dell’ufficio, verosimilmente per le sue modeste dimensioni a dispetto della centralità e dell’importanza economica del contenzioso, nei relativi programmi ministeriali. Tuttora non è possibile applicare, presso il TSAP, alcuna delle norme su quel processo, salva ovviamente la possibilità delle notifiche telematiche di atti ad opera delle parti (e, vista la natura di giurisdizione superiore, la teorica possibilità di estendere al rito davanti a tale ufficio la ricchissima problematica sulle ritualità delle notifiche elaborata per il giudizio di legittimità[6]).
2. La giurisdizione delle acque pubbliche: qualità dell’acqua e giurisdizione del giudice ordinario; il plesso TSAP-TRAP come giudice specializzato, privo di giurisdizione esclusiva.
Al plesso dei tribunali delle acque pubbliche è devoluta la giurisdizione:
A) in materia di diritti soggettivi (art. 140 t.u.):
a) le controversie intorno alla demanialità delle acque;
b) le controversie circa i limiti dei corsi o bacini, loro alveo e sponde;
c) le controversie, aventi ad oggetto qualunque diritto relativo alle derivazioni e utilizzazioni di acqua pubblica;
d) le controversie di qualunque natura, riguardanti l’occupazione totale o parziale, permanente o temporanea di fondi e le indennità previste dall’articolo 46 della legge 25 giugno 1865, n. 2359, in conseguenza dell’esecuzione o manutenzione di opere idrauliche, di bonifica e derivazione e utilizzazione di acque; per quanto riguarda la determinazione peritale dell’indennità prima dell’emissione del decreto della espropriazione resta fermo il disposto dell’articolo 33 della presente legge;
e) le controversie per risarcimenti di danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione e da qualunque provvedimento emesso dall’autorità amministrativa a termini dell’articolo 2 del testo unico delle leggi 25 luglio 1904, n. 523, modificato con l’articolo 22 della legge 13 luglio 1911, n. 774[7];
f) i ricorsi previsti dagli articoli 25 e 29 del testo unico delle leggi sulla pesca, approvato con r.d. 8 ottobre 1931, n. 1604 (espropriazione per non uso od uso inadeguato o contrarietà agli interessi pubblici dei diritti esclusivi di pesca in mare e negli altri corsi d’acqua).
B) in materia di interessi legittimi (art. 143 t.u., “cognizione diretta”):
a) i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall’Amministrazione in materia di acque pubbliche;
b) i ricorsi, anche per il merito, contro i provvedimenti definitivi dell’autorità amministrativa adottati ai sensi degli articoli 217 e 221 della presente legge; nonché contro i provvedimenti definitivi adottati dall’autorità amministrativa in materia di regime delle acque pubbliche ai sensi dell’articolo 2 del testo unico delle leggi sulle opere idrauliche approvato con R. decreto 25 luglio 1904, n. 523, modificato con l’art. 22 della legge 13 luglio 1911, n. 774, del R. decreto 19 novembre 1921, n. 1688, e degli art. 378 e 379 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F;
c) i ricorsi la cui cognizione è attribuita al Tribunale Superiore delle acque dalla presente legge e dagli articoli 23, 24, 26 e 28 del testo unico delle leggi sulla pesca, approvato con R. decreto 8 ottobre 1931, n. 1604.
Sul presupposto che pubbliche sono soltanto le acque che possono rivestire una utilità per la collettività, sia pure poi variamente intesa e disciplinata, l’intero sistema giurisdizionale si riferisce al bene acqua inteso come suscettibile di sfruttamento in senso esclusivamente economico e si preoccupa di consentirlo ai singoli in modo da preservarne la destinazione a fini di utilità collettiva.
L’impostazione originaria del t.u. è caratterizzata pertanto da una visione strettamente patrimonialistica delle acque pubbliche, in conformità del resto alle nozioni ordinamentali del tardo Ottocento, di cui quel testo normativo, già di per sé ricognitivo di una legislazione disorganica e rudimentale, è espressione: in un’epoca in cui i diritti fondamentali cosiddetti di terza generazione non erano neppure ancora ipotizzati.
Non vi è traccia, quindi, nell’impostazione tradizionale del t.u. di un diritto all’acqua inteso come tale, né di alcuna prospettiva di un diritto di accesso all’acqua come bene fondamentale per la vita e l’esistenza quotidiana e quindi connesso alla salute od all’esistenza libera e dignitosa.
Anche sulle prime controversie in materia di qualità dell’acqua potabile non si è mai neppure ipotizzata una devoluzione al plesso giurisdizionale delle acque, sol che la causa sia impostata come diritto a ricevere l’acqua in condizioni corrispondenti a quelle fissate dalla legge quale oggetto del contratto di somministrazione[8]. Quanto poi alla condotta dello Stato italiano di imprecisa o mancata ottemperanza alla normativa eurounitaria, la giurisdizione è a maggior ragione del giudice ordinario[9]. E sono rimaste avvinte nella tradizionale impostazione patrimonialistica, regolate da ordinari criteri di equiordinazione tra diritti dello stesso rango, le cause per danni promosse dalle concessionarie di derivazioni idroelettriche rispetto agli enti locali per il prelievo di acqua a fini potabili o di consumo umano, se successivo al diritto soggettivo di attingimento delle prime[10].
È piuttosto in sede di delimitazione dei confini con la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria e del giudice amministrativo che il contenuto di quella devoluta al plesso delle acque ha trovato più puntuale definizione, finendo con il coincidere con il governo delle acque pubbliche e del territorio e delle opere ad esse connesse e restando quindi esclusa in caso di mere condotte della pubblica amministrazione[11] o di atti amministrativi involgenti solo in via mediata o riflessa il governo delle acque[12].
In conformità alla nettezza della ripartizione imperante all’epoca di redazione del testo normativo di riferimento, può rilevarsi che non potevano ritenersi sussistenti, in difetto di esplicite e testuali previsioni di legge (quali però potrebbero rilevarsi in tema di espropriazione per pubblica utilità quando sia coinvolto il governo delle acque), ipotesi di giurisdizione esclusiva devolute al TSAP in unico grado.
Resta questione di giurisdizione, soggetta ai particolari regimi di rilievo e di conseguente ammissibilità (come pure a quelli di proponibilità del regolamento di ufficio previsto dai rispettivi ordinamenti codicistici), quella del riparto tra TSAP in unico grado e TRAP (cioè il medesimo plesso, ma in duplice grado); e si ripropone in modo particolare, indotta dal carattere ibrido del plesso giurisdizionale, la problematica in tema di riparto della giurisdizione in caso di espropriazione: con la devoluzione alla giurisdizione del TSAP in unico grado di tutte le controversie diverse da quelle in materia di congruità dell’indennità, che restano devolute invece a quella del TRAP in primo grado (con l’ulteriore peculiarità che tali ultime controversie sono assoggettate ad un duplice grado di merito, mentre all’infuori del diritto delle acque esse, come è noto, sono devolute alla corte d’appello in unico grado di merito).
Va peraltro conclusivamente notato che, in materia di tutela di interessi legittimi (e quindi nella giurisdizione del tribunale superiore in unico grado), la visione eminentemente patrimonialistica del bene acqua è stata fortemente ridimensionata: la cura di interessi pubblici anche sensibilmente diversi, soprattutto in materia ambientale, ha consentito un controllo accurato dell’adeguatezza dell’azione amministrativa del governo delle acque orientandola anche al contemperamento di esigenze pubblicistiche importanti e via via assurte ad autentica centralità.
Tuttavia, l’analisi sarà qui condotta limitatamente al contenzioso in materia di diritti, che da quell’impostazione patrimonialistica continua ad essere caratterizzato ancor oggi.
3. Cenni alla particolarità del rito.
Non è questa la sede per una compiuta trattazione del rito davanti ai tribunali delle acque. Basti comunque rinviare alla disciplina contenuta negli artt. 140 ss. del r.d. 1775 del 1933, con alcune importanti specificazioni:
- il rito speciale prevede l’impostazione tardo ottocentesca della suddivisione dei compiti tra giudice istruttore (qui chiamato delegato) e collegio, con riserva però a quest’ultimo di ogni potere decisionale finale[13]: e, quindi, con similitudine rispetto al rito civile collegiale (o di appello) anteriore alla riforma del 1990/95, ma con una sensibile accentuazione dei poteri monocratici del presidente del TSAP, tra cui quello di dirimere le questioni di competenza interne al plesso;
- vi è una norma generale di rinvio (l’art. 208) ai rispettivi sistemi processuali civile (per le controversie in materia di diritti soggettivi, o in doppio grado di merito) ed amministrativo (per quelle in materia di interessi legittimi, o in unico grado), che va inteso a quelli via via vigenti, a meno di un’espressa previsione incompatibile;
- il rito è caratterizzato da una straordinaria agilità, a partire dalla forma del ricorso da notificarsi a controparte quale atto introduttivo e dalla sostanziale carenza di preclusioni (assertive, ma anche istruttorie), almeno in primo grado, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni dinanzi al giudice delegato[14], per connotarsi della tendenziale sanabilità di qualunque nullità; tuttavia, le preclusioni derivanti dal sistema delle impugnazioni devono intendersi comunque operanti (tra cui quelle degli artt. 342 e 343 cod. proc. civ., coi conseguenti oneri di specificità dei motivi di appello[15], di proposizione dell’appello incidentale entro il termine perentorio di venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nel ricorso[16]; ma ne discende analoga estensione dell’onere di riproposizione delle domande ed eccezioni non esaminate, nonché del divieto di domande ed eccezioni nuove e di prove nuove);
- la sentenza di primo grado del tribunale regionale non è provvisoriamente esecutiva ope legis, salvo che quel giudice non la abbia dichiarata tale (e solo in tale ultima evenienza sussistendo la competenza del giudice di appello a sospenderla[17]);
- i termini per l’impugnazione decorrono dalla comunicazione del dispositivo anche se effettuata a mezzo p.e.c. ed in uno all’intero testo della sentenza[18];
- l’impugnazione è data alle Sezioni Unite della Corte di cassazione[19] coi consueti limiti (tra cui quelli elaborati sul vizio motivazionale da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014[20]), ma rimane operativo l’istituto della rettificazione prevista dal codice di rito civile del 1865 per i casi di ultrapetizione od infrapetizione e di contraddittorietà della motivazione[21], mentre la revocazione è data per motivi corrispondenti a quelli regolati dall’attuale art. 395 cod. proc. civ.[22];
- poiché si tratta di una giurisdizione superiore e poiché la normativa che regola il patrocinio dinanzi a queste prevale su quella speciale, mentre in primo grado dinanzi ai tribunali regionali è di norma ammessa anche la difesa personale in giudizio, dinanzi al tribunale superiore è sempre necessario il ministero di avvocato iscritto agli albi speciali per il patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori[23].
4. La tipologia di contenzioso in materia di diritti soggettivi.
In materia di diritti soggettivi, vale a dire di controversie riconducibili all’art. 140 del t.u., il contenzioso – fermo il riconoscimento dell’inammissibilità di una condanna ad un facere da parte del giudice specializzato nei confronti delle autorità amministrative[24] – può grosso modo suddividersi in due grandi categorie: cause relative allo sfruttamento complessivo della risorsa idrica (canoni, sovracanoni, altre prestazioni patrimoniali, concessioni e altre modalità di intervento pubblicistico; ma pure tendenziale esclusione di prestazioni a carico di operatori del settore delle telecomunicazioni[25]) e cause relative alla regimentazione della risorsa idrica ed ai danni conseguenti (espropriazioni, acquisizioni sananti, delimitazioni del demanio, danni da esondazioni o disastri analoghi).
Le due grandi tipologie di controversie corrispondono poi, singolarmente, grosso modo a due macroaree geografiche: concentrandosi soprattutto le prime nell’Italia settentrionale e le seconde in quella centromeridionale. Tanto può ascriversi verosimilmente al fatto che la non limitatezza della risorsa idrica – soprattutto a fini di sfruttamento economico e di produzione di energia da fonte evidentemente rinnovabile – nel primo contesto socio-geografico implica dispute sul suo fisiologico utilizzo e di conseguenza sulle necessità di contemperare gli interessi in conflitto tra aspiranti utilizzatori o tra costoro e titolari dei poteri in materia di governo, mentre la fragilità geologica del secondo contesto sposta l’accento sulla verifica dell’adeguatezza dell’ordito infrastrutturale finalizzato a contemperare quelle caratteristiche intrinseche con le esigenze di sviluppo o di fruizione ordinaria del bene ambiente.
Quanto allo sfruttamento delle risorse idriche, la stessa morfologica diversità di queste ultime e del territorio nel suo complesso rende più frequenti nelle regioni settentrionali le controversie sull’esatta delimitazione tra demanio e proprietà privata, soprattutto in prossimità di rive di laghi o di fiumi (suscettibili, particolarmente le prime, di intenso sfruttamento economico: si tratta di porzioni di demanio sostanzialmente appropriate a fini abitativi o residenziali, ma pure di svolgimento di attività economiche, soprattutto turistiche[26]), ma pure quelle in tema di prestazioni patrimoniali imposte, variamente denominate (soprattutto i sovracanoni, tra cui particolare rilievo hanno quelli dovuti ai Consorzi dei bacini imbriferi montani o b.i.m.), connesse allo sfruttamento della risorsa idrica e finalizzate ad una sorta di compensazione delle comunità locali[27]. Le cause risarcitorie attengono soprattutto, in questo contesto geografico, agli ostacoli all’accesso alle acque quali beni produttivi[28] o, talvolta, alla compensazione di un loro sfruttamento al di là o senza specifici titoli e corrispettivi[29], ivi compresi i danni da sottensioni - o simili condotte - illegittime.
Comune a tutto il territorio nazionale, ma con prevalenza nelle regioni centromeridionali, è il contenzioso in materia di interventi ablatori per pubblica utilità, ovviamente – trattandosi di controversie in materia di diritti soggettivi; in materia di acque, gli interventi sostanzialmente espropriativi spesso riguardano l’imposizione di specifiche servitù, soprattutto di acquedotto, ma sono sempre più frequenti quelle finalizzate a specifiche modalità di regolazione del regime delle acque (destinazione a cassa di espansione). Alcune zone della Campania e della Puglia sono accomunate da tematiche connesse alla realizzazione di importanti opere di somministrazione di acqua a scopo umano o irriguo, a servizio rispettivamente di grandi centri urbani o di notevoli estensioni territoriali sfruttate a fini agricoli.
Praticamente tipico delle regioni centromeridionali – ma pure dell’area ligure, accomunata da un analogo sostrato geologico di precarietà – è poi il contenzioso risarcitorio da malgoverno delle opere idrauliche e soprattutto in tema di danni ascritti ad allagamenti, inondazioni, esondazioni, frane, dissesti, il tutto prospettato come inadeguatezza delle opere che avrebbero dovuto prevenirli ed in relazione alle scelte di pianificazione dei relativi interventi. Questi sono talvolta stati posti in discussione in caso di istituzione di oasi[30] o riserve naturali o di opzioni in caso di gestione di emergenze, ma soprattutto ai fini della concreta determinazione della soglia di prevedibilità degli eventi da prevenire in rapporto al cosiddetto tempo di ritorno ed all’entità ed al costo delle opere[31]; ma grande attenzione, evidentemente per le ricadute pratiche quanto a concreta e pratica eseguibilità forzata delle eventuali condanne, è stata dedicata all’individuazione dei soggetti pubblici responsabili.
A questo riguardo, la giurisprudenza in tema di diritti soggettivi ha potuto ribadire concetti generali elaborati nella teoria generale del danno e soprattutto di responsabilità oggettiva da danni da cose in custodia, individuando - parallelamente all’elaborazione messa a punto dalla Corte di cassazione[32] - di norma quale prima responsabile la titolare attuale della proprietà e delle potestà amministrative in materia di corsi d’acqua e cioè la Regione[33], aggiungendovi però, a titolo di concorso (ai sensi dell’art. 2055 cod. civ.), quella degli altri Enti a vario titolo coinvolti nella gestione o manutenzione di quelli e quindi, ove sussistessero peculiarità delle singole legislazioni anche regionali e vi fosse stata la loro effettiva attuazione con traslazione del potere di signoria di fatto sui beni (a sua volta presupposto della responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.), dei Consorzi di Bonifica o degli altri enti territoriali intermedi, a rafforzamento della tutela del danneggiato.
5. Attualità dei tribunali delle acque.
Il contenzioso odierno dinanzi al plesso giurisdizionale delle acque pubbliche è tuttavia quantitativamente modesto, a dispetto della rilevanza economica delle controversie e del loro impatto sul complessivo assetto di intere comunità e delle ricadute appunto sul bene fondamentale costituito dall’acqua e nel settore della principale fonte di energia rinnovabile di cui naturalmente può fruire il nostro Paese.
È un contenzioso di poche centinaia di controversie annue, per di più, soprattutto negli ultimi anni, in gran prevalenza in tema di interessi legittimi: trovando le questioni in materia di diritti evidentemente adeguata risoluzione in pronunce di principio, idonee ad assumere la natura di decisioni-pilota. Da un lato, il contenzioso risarcitorio vero e proprio tende a trasferirsi dinanzi al giudice ordinario; dall’altro lato, quello sui diritti demaniali riveste caratteri di spiccata marginalità soggettiva e territoriale.
Ancora, la tematica sulle prestazioni patrimoniali comunque imposte ai privati concessionari di acque pubbliche è sempre più puntualmente disciplinata dalla legge, con progressive specificazioni dei presupposti ed individuazione di limiti temporali più chiari, generalmente in favore dei concessionari ed al fine di rendere meno imprevedibili i costi economici dei progetti di sfruttamento della risorsa pubblica.
Né può dirsi che il rito delle acque in materia di diritti possa offrire, tranne che per la presenza di un componente tecnico di particolare preparazione, spunti di riflessione utili per il rito civile: il primo è restato quasi un fossile vivente ibridato, quasi un Celacanto giuridico, legato com’è ancora ad istituti tempi e concetti propri del tardo Ottocento ed al contempo vivificato dall’innesto del tessuto vitale di un processo civile radicalmente mutato e caratterizzato da scansioni temporali e decadenziali prima sconosciute, ma al contempo teso ad una incontenibile, benché poco convincente, sommarizzazione. Ed è proprio questa ibridazione a legittimarlo, senza neppure bisogno di una formale riconduzione ad unità almeno al rito sommario del processo civile ordinario: la quale potrebbe, tutt’al più, giustificarsi per esigenze di uniformità sistematica e, comunque, al pur sempre pregevole scopo della certezza del diritto a garanzia dell’effettività della tutela delle posizioni giuridiche del giustiziabile.
Nondimeno, l’esiguità quantitativa del contenzioso non fa venir meno la sua peculiare rilevanza qualitativa già soltanto nell’impostazione tradizionale dell’acqua pubblica come risorsa economica suscettibile di sfruttamento da razionalizzare e regolare, né scalza la singolare importanza, ai fini della correttezza e ponderatezza della decisione, dell’apporto della professionalità tecnica esterna e della contaminazione interattiva tra Consiglieri di Cassazione e Consiglieri di Stato; e tanto, in uno verosimilmente alla complessità delle conseguenze tecniche della scarsa ponderazione del relativo intervento, è valso il fallimento dei conati di soppressione dell’ordinamento delle acque ai primi anni del millennio e, neppure giunto a vedere la luce in un testo normativo, alla metà del 2016[34].
Nuovi orizzonti potrebbero utilmente aprirsi ove l’idea ed il concetto stessi di acqua pubblica fossero rivisti nel senso contemporaneo di diritto fondamentale della persona, anziché di oggetto di diritti di sfruttamento economico.
Tanto è reso evidente già nella giurisdizione in tema di interessi ed a legislazione invariata, come si è visto in occasione dell’emergenza idrica della Capitale; ma nulla vieta che, sia pure a prezzo di un intervento legislativo chiaro ed univoco, la cognizione dei tribunali delle acque sia estesa al diritto del singolo all’accesso all’acqua salubre.
Anzi, l’esperienza finora maturata nel settore tradizionale costituisce un titolo di merito per presentare i tribunali delle acque come attrezzati tutori dei diritti dei singoli in un settore che, da vitale per l’economia, si è oggi compreso vitale per l’esistenza stessa, per la dignitosa e libera quotidiana esistenza di ogni individuo quale Persona.
6. Appendice. Indicazioni bibliografiche essenziali
6.A. In generale sul sistema dei tribunali delle acque
G. Mastrangelo, I tribunali delle acque pubbliche, Corr. giur., monografie, Milano (IPSOA) 2009 (anche per un compiuto sistema di ulteriori riferimenti)
H. Simonetti, Passato e presente del tribunale superiore delle acque pubbliche: la ricerca di un modello oltre la specialità, in Foro Amministrativo (Il), fasc. 4, 1 giugno 2019, pag. 739
V. Giomi, Giusto processo, effettività della giurisdizione e concentrazione dei giudizi: la Corte di Cassazione riforma in via interpretativa la specialità della giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, in Dir. proc. amm., 2013, fasc. 4, p. 1153
V. Parisio, I tribunali delle acque: un modello giurisdizionale tutto italiano, in Foro amm. TAR, fasc. 12, 2009, pag. 3679
G. Fuochi Tinarelli, Il ricorso contro i provvedimenti del tribunale superiore delle acque pubbliche, in G. Ianniruberto, U. Morcavallo (a cura di), Il nuovo giudizio di Cassazione, 2010, pp. 67 ss.
G. Conte, Tribunali delle acque pubbliche, in Enc. dir. XLV, Milano, 1992, pp. 51 ss.
P.F. Pratis, Tribunale superiore delle acque pubbliche, in NSS Dig. it., XIX, Torino, 1973, p. 719
6.B. In generale sul diritto all’acqua
A. Di Lieto, Il diritto all’acqua nel diritto internazionale, in Riv. giur. ambiente, fasc. 5, 2004, pag. 749
F. Di Dio, Acqua, derivazioni e conflitti d’uso: per la prima volta un Tribunale riconosce che bere è un diritto primario rispetto alle concessioni per produrre energia elettrica, in Riv. giur. ambiente, fasc. 6, 2008, pag. 1018 (nota a Trib. reg. acque, 04 febbraio 2008, n. 12)
F. Castoldi, La riforma dei servizi pubblici locali a rilevanza economica al vaglio della Corte Costituzionale: i riflessi di alcune delle questioni trattate dalla sentenza sul servizio idrico integrato nazionale, in Riv. giur. ambiente, fasc. 2, 2011, pag. 0260B (nota a Corte Cost., 17 novembre 2010, n. 325)
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[1] Intervento al Corso "Il diritto all’acqua come diritto fondamentale" organizzato dalla Struttura di formazione decentrata della Corte di Cassazione della Scuola Superiore della Magistratura e tenutosi a Roma il 19 settembre 2019. Articolo sottoposto a referaggio anonimo.
[2] Consigliere della Corte Suprema di Cassazione e Componente titolare del Tribunale Superiore delle Acque pubbliche.
[3] Istituiti, rispettivamente, presso le corti di appello di:
- Torino: per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Torino e Genova;
- Milano: per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Milano e Brescia;
- Venezia: per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Venezia (, Trento) e Trieste;
- Firenze: per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Bologna e Firenze;
- Roma: per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Roma, Aquila ed Ancona;
- Napoli: per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Napoli (, Campobasso, Salerno), Bari (,Lecce, s.d. Taranto, Potenza) e Catanzaro;
- Palermo: per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Palermo (, Caltanissetta), Catania e Messina;
- Cagliari: per la circoscrizione della Corte di Appello di Cagliari (e la s.d. di Sassari).
[4] Sulla natura di giudice specializzato dei tribunali regionali, nella giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, tra le ultime, v. Cass. Sez. U. ord. 12/07/2019, n. 18827; in generale, v. pure Cass. Sez. U. ord. 19/04/2013, n. 9534.
[5] Tra le ultime, v. Cons. St., sez. V, 19/10/2017, n. 4839: “è ormai non più dubitabile che, come in giurisprudenza è recepito da tempo risalente (cfr. Cass., 18 febbraio 1955, n. 475; 10 giugno 1955, n. 1786; 16 giugno 1973, n. 1776; Cass., SS.UU., 30 luglio 2007, n. 16798; 2 dicembre 2008, n. 28535; cfr. anche Cons. Stato, Ad. gen., 6 febbraio 1958, n. 5) e come in dottrina è stato da tempo sottolineato con attenzione alla sua composizione, che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche sia un organo giudiziario ordinario, seppure specializzato. Il che è confermato da vari altri indici, che sono stati essenzialmente ravvisati nella nomina dei componenti con decreto del presidente della Repubblica su proposta del Ministro della giustizia; nella circostanza che dal 1947 sia previsto per il presidente del TSAP un apposito posto nel ruolo organico della magistratura ordinaria; nel dato normativo storico che per il d.lgs. C.p.S. 1° ottobre 1947, n. 1696, il presidente del TSAP ha il «grado secondo, corrispondente a quello di procuratore generale della Corte di cassazione»; nel dato normativo che l’art. 6 (Conferimento di uffici direttivi a magistrati di Corte di cassazione) l. 24 maggio 1951, n 392 (Distinzione dei magistrati secondo le funzioni. Trattamento economico della Magistratura nonché dei magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della Giustizia militare e degli avvocati e procuratori dello Stato) affermi che l’“ufficio direttivo” di presidente del TSAP è conferito, analogamente agli altri, «per anzianità e per merito a magistrati di Corte di cassazione»; nel dato normativo che l’art. 10 (sulle funzioni dei magistrati ordinari), comma 15, d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati) dispone che «le funzioni direttive superiori giudicanti di legittimità sono quelle di presidente aggiunto della Corte di cassazione e di presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche»; nel fatto che l’ammissione al gratuito patrocinio è di competenza dell’apposita commissione la Corte di cassazione (art. 209 r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 - Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici)”.
Va segnalato però che, in origine, era diversa l’impostazione quanto al tribunale superiore: per Cass. Sez. U. 18/02/1955, n. 475, in Rass. dir. pubbl., 1956, II, 586, quel tribunale superiore era invece giudice speciale (preesistente alla Costituzione e quindi immune dal divieto di cui all’art. 102, ma pur sempre in teoria soggetto alla VI disposizione transitoria e al disegno di riordino in essa previsto), soprattutto perché i giudici ordinari vi decidono – nelle controversie su interessi legittimi – in minoranza.
[6] Per una ricognizione, senza pretesa di completezza, può farsi riferimento a Cass. Sez. U. 24/09/2018, n. 22438, ove ulteriori riferimenti.
[7] E così in materia di opere di qualunque natura e pure sugli usi, atti o fatti, anche consuetudinari, che possono aver relazione col buon regime delle acque pubbliche, con la difesa e conservazione delle sponde, con l’esercizio della navigazione, con quello delle derivazioni legalmente stabilite e con l’animazione dei molini ed opifici sovra le dette acque esistenti; inoltre, in materia di condizioni di regolarità dei ripari ed argini od altra opera qualunque fatta entro gli alvei o contro le sponde.
[8] L’alternativa poteva infatti, tutt’al più, porsi non con i tribunali delle acque, ma col giudice amministrativo. È il caso di recente deciso da Cass. Sez. U. 19/12/2018, n. 32780, a mente della quale “l’azione risarcitoria proposta dall’utente nei confronti del gestore del servizio idrico integrato - qualora si controverta soltanto del risarcimento del danno cagionato all’utente dalla fornitura di acqua in violazione dei limiti ai contenuti di sostanze tossiche (nella specie, arsenico e floruri) imposti da disposizioni anche di rango eurounitario, ovvero del diritto alla riduzione del corrispettivo della fornitura stessa per i vizi del bene somministrato - rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, atteso che in tale ipotesi l’attività di programmazione o di organizzazione del servizio complessivo di fornitura di acqua posta in essere dalla P.A. costituisce solo il presupposto del non esatto adempimento delle obbligazioni gravanti sul gestore in forza del rapporto individuale di utenza.”
[9] Per tutte, Cass. ord. 28/06/2018, n. 17058, ovvero Cass. ord. 20/06/2019, n. 16633 (che hanno peraltro escluso, per la peculiarità della normativa, una sua concreta violazione da parte dello Stato).
[10] Tra le ultime, Cass. Sez. U. 25/05/2018, n. 13195.
[11] Ricorrente è l’interrogativo del riparto in caso di controversie risarcitorie, anche se la giurisprudenza della Corte di cassazione pare ormai saldamente basata sulla devoluzione al plesso specializzato di quelle in cui la causa petendi sia ascritta a vizi di progettazione o realizzazione delle opere idrauliche e non soltanto a difetti di manutenzione ordinaria o condotte meramente inerti. Da ultimo, v. Cass. ord. 20/06/2019, n. 16636, a mente della quale “nelle controversie aventi per oggetto il risarcimento dei danni derivanti dallo straripamento di un corso d’acqua pubblico per omessa cura o manutenzione dello stesso, ex art. 140, lett. e), del r.d. n. 1775 del 1933, spettano alla competenza dei tribunali regionali delle acque le domande in relazione alle quali l’esistenza dei danni dipenda dall’esecuzione, dalla manutenzione o dal funzionamento di un’opera idraulica, mentre restano riservate alla cognizione del giudice in sede ordinaria quelle aventi per oggetto pretese che si ricollegano solo indirettamente e occasionalmente alle vicende relative al governo delle acque, atteso che la competenza del giudice specializzato si giustifica in presenza di comportamenti, commissivi o omissivi, che implichino apprezzamenti circa la deliberazione, la progettazione e l’attuazione di opere idrauliche o comunque scelte della P.A. dirette alla tutela di interessi generali correlati al regime delle acque pubbliche.”
[12] Per Cons. Stato, IV sez., 05/08/2019, n. 5555 (che richiama anche Cass. Sez. U. 26/02/2019, n. 5641), “sono devoluti alla giurisdizione in unico grado del Tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell’art. 143, comma 1, lett. a, r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, anche i ricorsi avverso provvedimenti amministrativi che, sebbene non costituiscano esercizio di un potere propriamente attinente alla materia delle acque pubbliche, riguardino comunque l’utilizzazione del demanio idrico, incidendo in maniera diretta e immediata sul regime delle acque”. Ad esempio, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo sulla causa avente ad oggetto l’annullamento del provvedimento emesso dal gestore dei servizi energetici con riguardo agli incentivi economici per la produzione di energia da fonte rinnovabile, poiché viene in rilievo un atto che non ha incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche, ma concerne l’indirizzo della produzione energetica nazionale (Cass. Sez. U. ord. 03/11/2017, n. 26150); ancora, ai sensi dell’art. 143, comma 1, lett. a), del r.d. n. 1775 del 1933, i provvedimenti riguardanti gli ambiti territoriali ottimali rientrano tra quelli riservati alla cognizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche, in unico grado di legittimità, quando da essi discendano ricadute sulla organizzazione e sulla conduzione del sistema idrico integrato che, mirando a garantire la gestione di tale servizio in termini di efficienza, efficacia ed economicità, abbiano incidenza diretta sul regime delle acque pubbliche e del loro utilizzo (Cass. Sez. U. ord. 11/06/2018, n. 15105). Per Trib. sup. Acque 28/02/2019, n. 90, la giurisdizione del TSAP sussiste anche in tema di opere dirette a scongiurare il rischio di esondazione.
[13] Tuttavia, compete al g.d. l’immediato rilievo delle eventuali questioni di giurisdizione, a pena di inammissibilità del successivo regolamento d’ufficio: Cass. Sez. U. ord. 08/05/2017, n. 11143.
[14] Cass. Sez. U. 20/06/2017, n. 15279.
[15] Cass. Sez. U. 28/12/2017, n. 31113; Trib. sup. Acque 17/02/2016, n. 55.
[16] Trib. sup. Acque 15/07/2016, n. 237; Cass. Sez. U. 25/06/2019, n. 16979.
[17] Trib. sup. Acque, ord. 19/12/2016, n. 1097 cron.; Trib. sup. Acque 12/02/2019, n. 60; Trib. sup. Acque 11/07/2018, n. 113.
[18] Tra le ultime, Trib. sup. Acque 23/11/2018, n. 193: la comunicazione a mezzo posta elettronica certificata della sentenza, in quanto ne contenga anche il dispositivo per intero, è idonea a fare decorrere il termine per l’impugnazione previsto dal primo comma dell’art. 189 del r.d. 1775/1933 in relazione alla notificazione prevista dal terzo comma del precedente art. 183 (Trib. sup. Acque 16/02/2016, n. 53, seguita poi dalle sentenze nn.: 70, 270, 311 e 333 del 2016; 143, 166, 176, 181, 219, 231 del 2017; 16, 18, 32 del 2018). Il principio è stato confermato anche da Cass. Sez. U. 26/02/2019, n. 5642 (seguita già da Cass. Sez. U. 13/06/2019, n. 15900), che ha rigettato il ricorso avverso Trib. sup. Acque n. 176/17.
[19] Entro i termini previsti espressamente a tal fine. Al riguardo, i termini per proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del Tribunale Superiore delle acque pubbliche in unico grado, ai sensi degli artt. 201 e 202 del r.d. n. 1775 del 1933, sono quelli indicati nell’art. 518 c.p.c. del 1865, ridotti alla metà (quarantacinque giorni): da ultimo, Cass. Sez. U. 30/03/2018, n. 8048.
[20] Cass. Sez. U. 07/01/2016, n. 67.
[21] Per tutte, v. Trib. sup. Acque 01/10/2018, n. 128, oppure Cass. Sez. U. 25/06/2019, n. 16979.
[22] Trib. sup. Acque n. 128/18, cit.; in particolare: in materia di impugnazioni di sentenze rese dal Tribunale superiore delle acque pubbliche in grado di appello, la rettificazione prevista dall’art. 517, nn. da 4 a 6, del cod. proc. civ. 1865, richiamata dall'art. 204 cpv. r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 (rimedio concesso quando la sentenza «abbia pronunciato su cosa non domandata» - n. 4 dell’art. 517 cod. proc. civ. del 1865, «abbia aggiudicato più di quello ch'era domandato» - n. 5 del medesimo art. 517 - ovvero «abbia omesso di pronunciare sopra alcuno dei capi della domanda stati dedotti per conclusione speciale …» - n. 6 di detta disposizione -), comporta l’identificazione dell’oggetto dell'impugnazione nel vizio di ultra-, infra- od extrapetizione come elaborato anche successivamente nel vigore dell'art. 112 cod. proc. civ. del 1942; peraltro, poiché la rettificazione è ammessa in via alternativa e mutuamente esclusiva col ricorso per cassazione, essa non è ammissibile se non nel caso in cui l’omissione lamentata integri una totale pretermissione della domanda o dell’eccezione, derivante dalla radicale carenza di considerazione di argomenti anche con l’una o con l’altra incompatibile ed alla stregua dei quali ricostruire appunto una pronuncia implicita o per assorbimento: dovendo, in mancanza di tali caratteristiche, risolversi in altro dei vizi di ricorso per cassazione.
Infine, la rettificazione ai sensi del n. 7 dell’art. 517 cod. proc. civ. del previgente codice di rito, anch’essa richiamata dal citato art. 207, co. 2, r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775, è ammessa dinanzi alla totale ed assoluta, cioè non riducibile in via interpretativa neppure sistematica, contraddittorietà tra parti essenziali della sentenza da gravare, in applicazione della giurisprudenza consolidatasi in ordine al vizio di violazione di legge ai sensi del previgente testo dell’art. 360 cod. proc. civ. del 1942 sul ricorso straordinario per cassazione, nuovamente attuale dopo la riforma del 2012 di quella norma, come interpretata dalle Sezioni Unite della Corte di legittimità.
[23] Trib. sup. Acque 19/04/2017, n. 75; Cass. Sez. U. ord. 22/05/2019, n. 13903, ove altri riferimenti.
[24] Per tutte: Trib. sup. Acque 23/08/2018, n. 107; Trib. sup. Acque 21/06/2016, n. 210. Non può trovare infatti applicazione, nel regime delle acque ed in forza dell’art. 2 del r.d. 25 luglio 1904, n. 523, la regola generale elaborata dalla giurisprudenza di legittimità per la quale l’inosservanza, da parte della P.A., nella gestione (e manutenzione) dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei comuni canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato davanti al giudice ordinario sia quando tenda a conseguire la condanna ad un facere, sia quando abbia per oggetto la richiesta del risarcimento del danno patrimoniale, giacché una siffatta domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’amministrazione, ma un’attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere (Cass. Sez. U. 06/09/2013, n. 13571; Cass. Sez. U. 20/10/2014, n. 22116; Cass. 12/07/2016, n. 14180).
[25] Su tale ultimo punto, v. ad es. Trib. sup. Acque 16/05/2019, n. 129, ove ulteriori riferimenti anche alla giurisprudenza di legittimità.
[26] È il caso dei laghi principali, soprattutto di quello di Garda. In generale, la controversia ha ad oggetto la demanialità di un terreno, in genere quando la competente amministrazione pubblica agisce per conseguirne il rilascio o, più di frequente, la sottoposizione ad un canone od altra indennità di occupazione senza titolo. È sempre esclusa la sdemanializzazione di fatto (tranne che per le fattispecie anteriori al 1994, ma pur sempre a rigorose condizioni), per la peculiare connotazione del demanio idrico: per tutte, ove riferimenti, Trib. sup. Acque 22/11/2018, n. 189.
[27] Non sono mancate cause in materia di validità di convenzioni tra enti locali e concessionarie in merito a corrispettivi, variamente denominati, dell’utilizzo del suolo a fini produttivi, anche se di recente la Corte di cassazione ha escluso la loro devoluzione alla giurisdizione del plesso delle acque. Per Cass. ord. 23/02/2017, n. 4699, “in tema di riparto di competenza fra giudice ordinario e tribunale regionale delle acque pubbliche, non rientrano nella cognizione del giudice specializzato le controversie che, pur ricollegandosi al presupposto della sussistenza di una concessione di acqua pubblica, non investano la legittimità o la portata di quest’ultima e non tocchino, quindi, i relativi interessi pubblici, ma riguardino esclusivamente reciproci obblighi negoziali tra le parti, previsti da fonti contrattuali che semplicemente presuppongano l’attuazione e l’esercizio dei diritti di uso delle acque, di modo che non sia necessaria un’indagine sul contenuto e sui limiti della concessione al fine di individuarne la portata e gli effetti e di stabilire se essa abbia, o meno, l’attitudine ad incidere, modificandoli, sui rapporti tra le parti. (Nella specie, la S.C., sul presupposto dall’assenza di competenza diretta in capo ai comuni sul rilascio delle concessioni in materia di acque pubbliche, ha ritenuto competente il giudice ordinario in merito ad un’azione di nullità di clausola di una convenzione-quadro, che prevedeva la realizzazione di un impianto idroelettrico con derivazione delle acque di un canale pubblico ed in base alla quale la società contraente si era impegnata a corrispondere al comune una royalty sul ricavato della vendita dell’energia prodotta).”. In casi analoghi, ma evidentemente perché la relativa questione non era mai tempestivamente stata posta, era stata rilevata la nullità delle clausole che imponevano la corresponsione di somme aggiuntive rispetto ai canoni ed ai sovracanoni espressamente previste: Trib. sup. Acque 02/02/2016, n. 23.
[28] V. ad es. Trib. sup. Acque 11/11/2016, n. 309.
[29] Per l’interferenza di manufatti su opere idrauliche, v. Trib. sup. Acque 11/04/2016, n. 111.
[30] Trib. sup. Acque 16/02/2016, n. 54.
[31] Trib. sup. Acque 11/04/2016, n. 109.
[32] Soprattutto Cass. ordd. 01/02/2018, n.. 2478, 2480 e 2482.
[33] Tra molte: Trib. sup. Acque nn. 198 e 199 del 15/06/2016; n. 219 del 04/07/2016; n. 60 del 23/02/2016; n. 21 del dì 08/02/2017.
[34] Com’è noto, il d.d.l. 1075 Senato della corrente Legislatura prevede la soppressione dell’intero plesso giurisdizionale delle acque con devoluzione della relativa giurisdizione al giudice amministrativo (eccettuate le sole controversie sulle misure delle indennità di espropriazione).
IL DIRITTO PENALE DELL'EMERGENZA DALLA LEGGE REALE AI DECRETI SICUREZZA
Una riflessione sulla recenti misure emergenziali non può esaurirsi solo nell'attualità come se i "decreti sicurezza" e le varie riforme ( intercettazioni prescrizione, codice rosso) fossero frutto di un particolare governo o momento storico.
Il ricorso allo stato di eccezione, la compressione in nome di esigenze di volta in volta scelte secondo l'interesse politico e raramente per quello generale è una triste e ricorrente caratteristica della storia italiana.
Dunque è lecito chiedersi se l'emergenza di oggi, basata su false percezioni della realtà, sia figlia di quella proclamata ad intervalli ricorrenti dai vari governi e quale sia il limite entro il quale la libertà del singolo può essere sacrificata all'emergenza di turno.
Ne parliamo con alcuni dei protagonisti più importanti della recente storia giudiziaria, con studiosi e politici.
Iscrizione su:
CONVEGNO LAPEC AULA FACOLTA' VALDESE via P. Cossa (piazza Cavour) mercoledì 25 settembre ore 15 -19
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