L’improcedibilità non è la soluzione
di Giorgio Spangher
1. Se c’è ancora qualcuno che non ha capito che politica e giustizia penale sono strettamente connesse, le vicende di questi ultimi tempi sono decisive.
Esaurite le audizioni davanti alla commissione giustizia, che meriterebbero un commento a parte, tanto sono state illuminanti, resta il nodo politico, essendo gli altri profili, certamente non secondari, ma marginali rispetto all’approvazione della legge.
Riavvolgiamo il nastro.
Dal giorno in cui Bonafede e la Bongiorno hanno legato il tema della prescrizione alla riforma, il vincolo tra questi due elementi non si è più sciolto.
Il blitz di Bonafede con la legge spazzacorrotti, complice il differimento dei suoi effetti, ha avviato la procedura di delega della riforma del processo penale che negli sviluppi politici (mediazione per la mutata maggioranza politica) ha incorporato la riforma, appunto, con legge ordinaria della prescrizione (ecco perché, come detto, i due elementi sono anche oggi collegati). Assunte numerose audizioni, prodotti numerosi emendamenti, in attesa delle proposte del relatore e della approvazione del testo per l’Aula della Camera, interveniva il cambio del Governo, una nuova Ministra, le indicazioni vere o presunte del PNRR. La nuova ministra incaricava una commissione (Lattanzi) di elaborare proposte emendative del testo Bonafede. Invero, non si tratta e non potrà trattarsi di una riforma globale del processo penale, ma solo di interventi emendativi di quel testo, anche se, volendo, qualche spazio potrebbe essere adeguatamente sfruttato. Sull’impianto della proposta di legge delega AC 2435 (Bonafede) si sono innestate, Come ipotesi di emendamenti l’elaborato della Commissione Lattanzi ed ora come veri emendamenti, sempre al disegno di delega Bonafede, quelli del Governo, che in parte tengono conto della proposta della commissione Lattanzi (che non ha quindi valore normativo, ma solo culturale, alla quale il Governo che l’ha istituita ha potuto attingere).
2. Cercando solo di evidenziare alcuni aspetti delle diverse proposte che possano mettere in risalto alcuni elementi identitari delle stesse, questi posso essere così schematicamente indicati.
Per quanto attiene alla proposta Bonafede (AC 2435) fra le numerose direttive si prevedeva: l’inserimento del comma 1 bis dell’ art 190 c.p.p. in materia di rinnovazione della prova dichiarativa per mutata composizione del collegio; la monocraticità dell’appello del rito monocratico; la necessità di una nuova procura per appellare; le regole di giudizio fattuali per l’archiviazione e per la sentenza di non luogo; la proposta sugli effetti della sospensione della prescrizione, dopo la sentenza di primo grado.
Anche con riferimento alla proposta Lattanzi, sempre al solo fine di indicare alcuni elementi identitari, possono segnalarsi: le modifiche al sistema sanzionatorio, decisamente molto ampie: numerosi percorsi procedurali, connotati da una significativa premialità; l’introduzione di motivi predeterminati per proporre appello; l’esclusione della legittimazione del pubblico ministero ad appellare.
Dando seguito a quanto anticipato, la Ministra ha deciso di tener conto solo in parte dell’elaborato Lattanzi. I suoi emendamenti, a seguito del passaggio in Consiglio dei ministri, sono diventati gli emendamenti del Governo tra i quali sempre soltanto a fini identificativi si segnala: la conferma delle modifiche al sistema sanzionatorio; la riduzione della premialità per accedere ai riti speciali; la conferma dell’attuale appello; l’ampliamento della competenza del giudice monocratico; l’improcedibiltà per superamento dei temi fissati per la celebrazione dei giudizi di impugnazione.
A parte va segnalato l’incremento delle risorse umane e materiali, l’informatizzazione degli uffici giudiziari e l’avvio del processo telematico.
Tentando una qualche sintesi, sicuramente approssimativa, ma capace di cogliere l’essenza delle citate proposte si può dire che: la riforma Bonafede si caratterizza per un impianto connotato da autoritarismo costruito su condizionamenti delle attività difensive e dei decongestionamenti processuali accompagnati dalla compressione delle garanzie.
La relazione Lattanzi prospetta un sistema sanzionatorio low cost per una criminalità medio bassa, a non elevata intensità, che accompagni exit strategies anticipatrici della fase del giudizio, così da decongestionare progressivamente il carico giudiziario, indotte anche dalla riduzione delle ipotesi di accesso all’ appello.
Per quanto attiene agli emendamenti Cartabia è agevole riscontrare che sono ridimensionate le soglie di pena della premialità, vengono confermate le soppressioni delle previsioni dell’ AC 2435 citate in precedenza, non viene riformato il giudizio di appello (con conseguente riequilibrio tra deflazione processuale e sviluppi del processo nel merito).
Il limite di tutte le proposte è costituito dal mancato alleggerimento delle fattispecie incriminatrici per le quali il legislatore affida impropriamente al processo il compito dell’ accertamento e dello smaltimento. Senza intervento in questa direzione, però, qualsiasi riforma è destinata a esiti deludenti.
3. Entro questi schemi si inseriscono le proposte di superamento della riforma della prescrizione targata Bonafede e, soprattutto, il fine pena “mai” a seguito dei giudizi di impugnazione
Varie le ipotesi sul tappeto: sospensione della prescrizione per un tempo definito e successiva ripresa del suo decorso, con recupero anche del tempo sospeso; sospensione della prescrizione per un tempo definito e successiva riduzione di pena o indennizzi per il prosciolto; cessazione della prescrizione e, dopo un tempo definito, una declaratoria di improcedibilità.
E’ stata scelta allo stato quest’ ultima soluzione: una partita in due tempi, cioè, prescrizione del reato (di natura sostanziale) e prescrizione del processo (di natura processuale)
La soluzione adottata , al di là della terminologia (procedibilità o proseguibilità) suscita notevoli perplessità al di là dell’ ibridismo tra i due orologi.
In un primo periodo corre solo la prescrizione sostanziale e, solo se questa non matura, si procede con quella processuale esclusivamente per la fase delle impugnazioni. Conseguentemente, un processo breve, come quello immediato, potrà essere dichiarato improcedibile per superamento dei termini del giudizio di gravame, ed uno di durata non ragionevole e non prescrittosi potrà continuare il suo corso per il tempo previsto per la fase di gravame.
Naturalmente questo dato condizionerà i comportamenti processuali tra rinuncia al gravame e richieste di concordato.
Invero, la prescrizione processuale può essere concepita come dato complessivo della durata del processo ma non può operare solo nell’ ultimo miglio dello stesso anche perché ha effetti più rilevanti di quella sostanziale e può intervenire molto prima dell’ altra che, esclusa la fase delle indagini preliminari, è del tutto assente in Cassazione e residuale in appello.
Si caducano le decisioni di condanna e di proscioglimento, le misure cautelari personali e reali, le pene accessorie le disposizioni civili, anche quelle provvisoriamente esecutive. Se riconosciuta nel giudizio di rinvio, la decisione travolgerà il giudicato parziale sulla responsabilità.
La decisione di improcedibiltà esclude l’applicazione della art 129 c.p.p. consente, però, il recupero del materiale probatorio nel giudizio civile e nel procedimento di prevenzione.
Considerata la sua immediata operatività, con l’approvazione della legge, andrebbe chiarito se l’improcedibilità operi anche per l’appello delle sentenze di non luogo e per l’appello della parte civile per i soli interessi civili.
Oltre a queste riserve di fondo, ove si volesse mantenere questa scelta, vanno da subito evidenziate non poche criticità che la previsione è suscettibile di determinare: forti differenziazioni tra i distretti, in relazione ai carichi processuali; possibile discrezionalità nelle decisioni di quali fascicoli trattare e quelli da far prescrivere; effetti pregiudizievoli per i processi che hanno esaurito il primo grado; effetti pregiudizievoli per gli imputati assolti e per le vittime che devono riniziare l’azione civile; condizionamento psicologico sul giudice e, comunque, rischi di accelerazioni decisorie; ristrettezza del tempo in caso di conversione dei ricorsi in appello; eccesso di discrezionalità nella valutazione della complessità che consente l’ ampliamento dei termini; mancate considerazioni sui processi davanti alle Corti di Assise di appello.
Come anticipato, alcuni correttivi potranno essere subito introdotti con effetto retroattivo, se verrà confermata la natura processuale della previsione. Il timore, invece, è che si introducano previsioni restrittive solo per far funzionare il meccanismo, con conseguenze negative di sistema: ampliamento progressivo delle ipotesi di reato che possano prevedere tempi più lunghi; spostamento del momento dal quale far decorrere il tempo di definizione dei giudizi di impugnazione; l’introduzione di filtri alle impugnazioni ed estensione delle cause di inammissibilità; recupero della ipotesi della collegialità solo a domanda nel rito monocratico.
Resta una domanda; a fronte di non pretestuose riserve, perché questo accanimento per una proposta quando la Commissione Lattanzi, incaricata dalla Ministra, ne ha prospettato un’altra che è poi condivisa largamente (Lattanzi, Lupo, Manes solo per citare chi si è espresso) e sulla quale con qualche variante non dovrebbe essere impossibile convergere?