La Corte di Giustizia risponde alle S.U. sull’eccesso di potere giurisdizionale. Quali saranno i “seguiti” a Corte Giust., G. S., 21 dicembre 2021 - causa C-497/20, Randstad Italia? - 3) Paolo Biavati
Intervista di Roberto Conti a Paolo Biavati*
[Per l'introduzione al ciclo di interviste si rinvia all'Editoriale]
1. Il dispositivo reso dalla Corte di Giustizia a conclusione della fase del rinvio pregiudiziale non sembra lasciare margini di dubbio in ordine al “responso” del giudice di Lussemburgo. Chiamata a testare, sotto il profilo della compatibilità con il principio di effettività di matrice UE, l’istituto dell’eccesso di potere giurisdizionale come declinato dal diritto vivente interno, la Grande Sezione ha escluso che la violazione del diritto UE perpetuata dal supremo organo della giustizia amministrativa – nel caso concreto perpetrata per avere ritenuto irricevibile il ricorso contro l’aggiudicazione di un appalto presentato dalla ditta esclusa dalla gara non in via definitiva - possa vulnerare il principio di effettività laddove sia escluso dal sistema interno che gli offerenti partecipanti all’aggiudicazione possono contestare la conformità al diritto dell’Unione della sentenza del supremo organo della giustizia amministrativa nell’ambito di un ricorso dinanzi all’organo giurisdizionale supremo di detto Stato membro. Valuta questa conclusione appagante, soddisfacente o non condivisibile?
In primo luogo, ringrazio la redazione di Giustizia insieme per avermi voluto coinvolgere in questo confronto, a fianco di illustri studiosi. Mi auguro che le mie risposte non siano troppo superficiali, perché a me pare che l’intera questione sia piuttosto semplice.
Infatti, a me sembra che la conclusione a cui è pervenuta la Corte di giustizia sia assolutamente prevedibile e perfino scontata. Chi appena conosca la prudenza con cui si muovono i giudici del Kirchberg, non poteva dubitare su un esito destinato a non intaccare l’assetto costituzionale italiano del riparto della giurisdizione.
Certo, la Corte richiama il primato del diritto dell’Unione anche nei confronti di norme di rango costituzionale (punto 52) e, a mio avviso, non poteva evitare di farlo, nella prossimità della fin troppo nota vicenda polacca. Nel contempo, però, viene a riaffermare il principio di autonomia procedurale (punto 58) ed esclude che il sistema italiano, di cui agli artt. 111, comma 8°, cost. e 362 c.p.c., si ponga in collisione con i parametri dell’equivalenza della tutela dei diritti di derivazione europea rispetto a quelli garantiti dall’ordinamento interno e della non eccessiva difficoltà dell’esercizio del diritto di difesa (punti 61 e 63).
In realtà, secondo me, la Corte di Lussemburgo ha deciso correttamente, per la semplice ragione che il tema del rispetto del diritto dell’Unione, in questo caso, non è veramente quello centrale, ma è soltanto il terreno scelto dalle Sezioni unite nella loro pluriennale battaglia, tesa ad allargare i confini del controllo sulle pronunce del Consiglio di Stato. Detta in maniera brutale, l’osservanza del diritto europeo è poco più di un pretesto. Basterebbe chiedersi che cosa accade quando è la stessa Cassazione a violare il diritto dell’Unione (si rilegga il punto 26, che riporta la motivazione delle Sezioni unite nell’ordinanza di rinvio) e non è difficile ricordare alla suprema Corte che la prima condanna nei confronti dell’Italia per inadempimento ai trattati a causa della mancata applicazione del diritto europeo da parte di un giudice di ultima istanza fu pronunciata, quasi vent’anni fa, proprio a causa di scelte giurisprudenziali della Cassazione e non certo del Consiglio di Stato (sentenza Commissione c. Italia del 9 dicembre 2003). Ora, è vero che l’attenzione della Cassazione verso il diritto europeo è oggi molto più sensibile rispetto agli ultimi anni del secolo scorso, ma il “quis custodiet custodem” è un problema insolubile, perché vi sarà sempre un giudice contro le cui decisioni non si può ricorrere.
Posto che, piaccia o no, l’ordinamento europeo non ha (ancora) carattere federale, resta il fatto che i rimedi nei confronti dell’inosservanza del diritto dell’Unione da parte dei giudici nazionali di ultima istanza sono deboli e indiretti. La Commissione è cauta nel proporre ricorsi per inadempimento (punto 79) e, a quanto si vede, tende a muoversi quando l’inosservanza diventa sistemica e non per un dato caso singolo. L’azione di responsabilità verso lo Stato membro, a sua volta, è sottoposta a condizioni rigorose, senza dimenticare il tema della durata dei giudizi, che allontana il momento della realizzazione della tutela (punto 80).
Tutto questo, però, sul piano del diritto dell’Unione, non giustifica il tentativo delle Sezioni unite di allargare in modo “dinamico” gli spazi della giurisdizione ordinaria rispetto a quelli della giurisdizione amministrativa. Un tentativo di natura prettamente interna, rispetto al quale il Kirchberg si è ben guardato dall’intervenire.
Un’ultima notazione. Alla base dell’iniziativa delle Sezioni unite, sussistono ragioni, in senso lato politiche, che devono essere apprezzate. L’attuale riparto di giurisdizione assegna al giudice amministrativo un vasto controllo su tutto il contenzioso economico più rilevante: per dirla plasticamente, in Cassazione vanno le cause condominiali, mentre il Consiglio di Stato decide sui piani urbanistici. Il legislatore è molto lontano dall’avventurarsi su questo terreno infido e quindi si spiegano gli sforzi delle Sezioni unite per riequilibrare la situazione. Ciò non toglie, però, che il tema della conformità delle pronunce al diritto dell’Unione non sia la strada corretta da percorrere.
2. La Corte di giustizia ha sottolineato che per eliminare gli effetti dannosi connessi alla violazione del diritto UE perpetrata per effetto di una decisione resa in via definitiva dal giudice amministrativo costituiscono idonei strumenti per eliminare le conseguenze dannose tanto il ricorso per inadempimento da parte della Commissione o l’azione di responsabilità dello Stato per violazione del diritto UE, nella ricorrenza dei presupposti fissati dalla giurisprudenza della Corte stessa- pp.79 e 80 sent. cit.-. Pensa che la fase discendente susseguente alla decisione della Corte di Giustizia potrà avere un seguito diverso da quello che il dispositivo della sentenza della Corte UE sembra avere scolpito in maniera nitida? Pensa, in altri termini, che dopo la pronunzia della Corte di giustizia le Sezioni Unite possano giungere ad un revirement, questa volta sul piano interno e non più su quello del diritto UE, rispetto al diritto vivente formatosi dopo la sentenza della Corte costituzionale n.6/2018 sui confini dell’eccesso di potere giurisdizionale? E in ipotesi di risposta positiva a tale quesito, Lei reputa che sarebbe possibile ampliare l’ambito della figura dell’eccesso di potere giurisdizionale da parte delle Sezioni Unite o risulterebbe necessario sollevare nuovamente una questione di legittimità costituzionale per suscitare una rimeditazione delle conclusioni espresse nella sentenza n.6/2018?
Per le ragioni che ho indicato rispondendo alla domanda precedente, è del tutto probabile che le Sezioni unite cercheranno altri sbocchi, tesi ad accrescere il controllo sulle pronunce del Consiglio di Stato ed è altrettanto verosimile che si muovano sul piano del diritto interno.
Tuttavia, a me sembra che la via dell’eccesso di potere giurisdizionale non sia convincente. L’eccesso di potere significa che un giudice ha esercitato un potere che non ha e non, invece, che ha esercitato male un potere che ha. I giudici amministrativi di ultima istanza hanno il potere di decidere i casi loro sottoposti, applicando obbligatoriamente il diritto dell’Unione, al pari del diritto interno. Diversamente ragionando, ogni atto di impugnazione dovrebbe consistere in una censura di eccesso di potere del giudice inferiore.
L’assetto dato dalla Consulta con la sentenza n. 6 del 2018, per il momento, governa con chiarezza il tema. La struttura della giurisdizione ripartita può non convincere e, personalmente, nel migliore dei sistemi possibili, vedrei meglio una giurisdizione unica con segmenti fortemente specializzati. Tutto questo, però, ci allontana dal quadro costituzionale attuale, una cui revisione non è certo all’ordine del giorno. Come ripeto, sarebbe opportuno, piuttosto, riscrivere l’allocazione di alcune materie, riportandole al giudice ordinario.
3. Che effetti potrebbe avere sulle questioni qui esaminate la decisione del legislatore che, di recente, ha introdotto quale forma di revocazione delle sentenze rese dal giudice civile ed amministrativo una nuova causa di revocazione -art.1, c.10 l.n.206/2021- per le ipotesi di contrasto della sentenza passata in giudicato resa dal giudice nazionale e una decisione della Corte dei diritti dell’uomo che abbia accertato la violazione della normativa convenzionale?
L’art. 1, comma 10°, della l. n. 206 del 2021 ha introdotto una forma di revocazione straordinaria per contrasto fra una sentenza passata in giudicato e una decisione successiva della Corte Edu. Questa norma (rectius, principio di delega) è una sorta di masso erratico nel contesto di una riforma tesa a semplificare e ridurre i tempi del processo civile: la disposizione è stata introdotta, come noto, in sede parlamentare e non era contemplata né nelle proposte della Commissione Luiso, né negli emendamenti governativi.
Di per sé, la norma non mi pare tocchi direttamente il tema in oggetto, perché la violazione di un diritto fondamentale garantito dalla convenzione è cosa diversa dalla violazione di una norma di diritto dell’Unione. Certo, si potrebbe pensare ad un ricorso a Strasburgo, basato sulla violazione dell’art. 6 Cedu, in ragione di una presunta lesione del diritto di difesa per l’impossibilità di impugnare in Cassazione una sentenza del Consiglio di Stato (ma, se non mi inganno, a prescindere dal fatto che la violazione concerna il diritto europeo o solo quello interno).
Credo, però, che difficilmente la Corte Edu potrebbe catalogare come violazione dell’art. 6 Cedu qualsiasi errore in diritto commesso da un giudice di ultima istanza e si può discutere se una materia come quella degli appalti pubblici rientri fra i diritti fondamentali e le libertà della persona.
Detto questo, la nuova revocazione straordinaria è (ancora una volta, rectius, sarà) una significativa innovazione nella costruzione dei rapporti fra il giudice nazionale e il diritto europeo, sia pure qui nel prisma della convenzione di Roma. In definitiva, non si viene a censurare una situazione di fatto di eccezionale gravità, come nelle ipotesi attuali, ma un errore di diritto del giudice, che sarà quasi sempre la Cassazione come giudice di ultima istanza.
4. Dopo la sentenza resa dalla Corte di Giustizia il 21 dicembre scorso, residuano a suo giudizio, ragioni di dubbi in ordine alla possibilità di sperimentare innanzi alle Sezioni Unite il vizio di eccesso di potere giurisdizionale sotto il profilo della mancata sollevazione del rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia da parte del giudice speciale di ultima istanza?
Il tema della mancata sollevazione del rinvio pregiudiziale da parte del giudice di ultima istanza non è suscettibile di adeguata e piena soluzione allo stato attuale del sistema dell’Unione europea. Come annotavo rispondendo alla prima domanda, non vi è alcuna ragione per supporre che le Sezioni unite saranno sempre pronte a rivolgersi al Kirchberg, e il Consiglio di Stato no.
Guardando alla questione dal punto di vista dell’Unione, occorre stimolare una sempre più sensibile e attenta collaborazione dei giudici interni. Guardandola nell’ottica dell’ordinamento italiano, non vedo come una qualsiasi autorità esterna possa comprimere la libera (seppure responsabile) valutazione delle massime autorità giurisdizionali.
Per rispondere alla domanda, quindi, credo che non restino ragioni di dubbio.
5. In definitiva, a suo giudizio è stato utile il dialogo fra Corte di Cassazione a sezione Unite e Corte di giustizia sul tema suscitato dall’ordinanza n.19598/2020 o si è trattato di un tentativo di aggirare l’orientamento espresso dalla sentenza n.6/2018, peraltro non dotato di efficacia vincolante per il giudice comune in relazione alla natura della sentenza di rigetto della questione di legittimità costituzionale da parte della Consulta?
Credo di essermi già espresso.
*Professore ordinario di Diritto processuale civile presso l'Università Alma Mater Studiorum di Bologna.