A proposito di un recente libro sul centenario de La Cassazione civile di Piero Calamandrei.
J. Nieva-Fenoll, R. Cavani (a cura di), La casación hoy, cien años después de Calamandrei*
di Carlo Vittorio Giabardo
Sommario: 1. Premessa. - 2 La nomofilachia, oggi (Michele Taruffo e Sergio Chiarloni in dialogo). – 3. Presente e futuro. Note sul “fatto” e il suo controllo in Cassazione. – 4. Presente e passato. Un’ipotesi sull’origine inglese della Cassation francese. – 5. Alcune questioni classiche.
1. Premessa
A cura dei Professori Jordi Nieva-Fenoll (Catedratico di Diritto Processuale dell’Università di Barcellona) e Renzo Cavani (Profesor Ordinario della medesima materia della Pontificia Università Cattolica del Perù, Lima), è stata da poco pubblicata dal prestigioso editore Marcial Pons la raccolta di saggi - scritti o tradotti in spagnolo - intitolata “La casación hoy, cien años después de Calamandrei”. Il libro è ospitato nella collana Proceso y derecho e vi hanno collaborato alcuni tra i più autorevoli processualcivilisti del panorama internazionale odierno.
Come il titolo indica, il lavoro intende celebrare il secolo di vita de “La Cassazione civile” del Maestro fiorentino: opera di vastissimo respiro storico, comparato e culturale, pubblicata per la prima volta nel 1920 quando l’Autore – vale la pena ricordare – aveva appena trentun anni (anche se il manoscritto era già stato ampiamente preparato in precedenza)[1].
Non si tratta, però, di una celebrazione, di un omaggio fine a sé stesso; l’insieme degli studi qui radunati vuole piuttosto rappresentare un’occasione corale di riflessione, condotta con autentico spirito critico e ampiezza di prospettive, sulla complessa, e non sempre lineare, eredità de La Cassazione civile.
I saggi non si limitano solo a considerare in positivo l’enorme influenza normativa delle idee espresse dal Calamandrei, nel senso di analizzare il peso determinante che queste hanno avuto nella struttura di molte Corti Supreme, certamente in primis di quella italiana (si pensi all’unificazione, nel 1923, della Corte di cassazione a Roma, o alla formulazione dell’art. 65, comma 1, ord. giud., del 1941) e poi in molti altri Paesi appartenenti alla tradizione di civil law. Più criticamente, i contributi intendono anche evidenziare certi limiti dell’indagine dell’Autore e alcune debolezze dell’apparato teorico, concettuale e storico che egli offre, alla luce delle nuove consapevolezze acquisite in questi cento anni di cultura giuridica – a dimostrazione che la scienza giuridica avanza, eccome.
Quello che mi preme poi particolarmente sottolineare è la forte vocazione comparatistica del volume, che va ad arricchire il tuttora poco arato campo del diritto processuale civile comparato. Alla stesura hanno infatti partecipato studiosi del processo civile appartenenti alla tradizione italiana (il compianto Michele Taruffo, poi Sergio Chiarloni e Luca Passanante), spagnola (Jordi Nieva-Fenoll), peruviana (Renzo Cavani), francese (Frédérique Ferrand, dell’Università di Lione), inglese (John Sorabji, dell’University College di Londra), argentina (Leandro Giannini, dell’Università Nazionale di La Plata, sede di molti studiosi del processo) e brasiliana (Teresa Arruda Alvim, della Pontificia Università Cattolica di San Paolo), testimoniando così la perdurante vitalità di Calamandrei in tutta l’area di civil law, specialmente quella di lingua spagnola, e ora anche oltre[2].
Calamandrei stesso era genuinamente comparatista, nel senso pieno che le sue analisi, in generale, non erano solo di diritto straniero, cioè meramente descrittive o espositive di ordinamenti differenti, a mo’ di ornamento o sfoggio, ma autenticamente dirette al miglior intendimento della natura, e quindi delle funzioni, degli istituti giuridici processuali.[3]
In sintesi, il lettore troverà in questo libro non un’analisi su “La Cassazione civile” di Calamandrei, bensì con Calamandrei, un dialogo con l’opera e gli insegnamenti dell’Autore omaggiato che getta un ponte tra passato, presente e futuro. Il che – senza dubbio – è la maniera migliore per onorare i grandi classici della tradizione: non relegandoli nel cassetto di ciò che fu, come una foto d’epoca sbiadita da tirare fuori nelle occasioni di ricordo, ma facendo sì che essi parlino, e continuino a parlare, alla contemporaneità.
2. La nomofilachia, oggi (Michele Taruffo e Sergio Chiarloni in dialogo)
Non sorprende che uno dei temi ricorrenti lungo tutto l’arco del libro sia la nomofilachia: i suoi contorni, le sue trasformazioni e lo spazio che ha, o può ancora avere, negli ordinamenti giuridici contemporanei. Non sorprende perché quella della nomofilachia è, per eccellenza, l’idea centrale e uno dei lasciti maggiori del testo di Calamandrei, un aspetto sul quale egli insistette certamente con gran forza.
Il libro si apre proprio con due contributi su questa grande questione, nella prima Sezione intitolata El dialogo de dos Maestros (“Il dialogo di due Maestri”). Sezione che non esito a definire, per me, emotivamente significativa, dato che i Maestri qui in dialogo rappresentano due figure di alto riferimento anche personale: Michele Taruffo (il suo saggio è qui pubblicato postumo: uno degli ultimi - se non proprio l’ultimo – sul tema da parte del Giurista pavese), intitolato Sobre la evolución del Tribunal de casación italiano (“Sull’evoluzione della Corte di cassazione italiana”) e Sergio Chiarloni – che considero uno dei miei grandi Maestri, all’Università di Torino - su Nomofilaxis y reforma del juicio de casación (“Nomofilachia e riforma del giudizio di cassazione”).
Il cuore dello studio di Michele Taruffo sta nel chiarire i termini della mai risolta, e tuttora ben presente, tensione concettuale - l’ambiguità, diremo, ricalcando il titolo di un suo celebre libro di sulla Cassazione[4] - tra la funzione ‘retrospettiva’ delle Corti Supreme, cioè di controllo della corretta applicazione del diritto nella controversia di specie (funzione che si esplica pertanto verso il passato), e quella ‘proattiva’, diretta a guidare pro futuro le decisioni dei giudici di merito circa la corretta, giusta, vera interpretazione (l’«esatta osservanza») delle disposizioni giuridiche (ammesso, ovviamente, che possa predicarsi la correttezza, giustizia e verità delle interpretazioni, come crediamo). La prima è funzione di controllo della legalità, la seconda è funzione di uniformizzazione del diritto, questa concettualmente legata ai due valori fondanti dell’uguaglianza dei consociati di fronte alla legge e della prevedibilità delle decisioni[5]. Ancora: l’una sarebbe funzione spiccatamente privata, la seconda spiccatamente pubblica, o – come ancora si usa dire con terminologia comune, anche se non del tutto corretta – l’una è posta a tutela dello ius litigatoris, l’altra a tutela dello ius constitutionis[6].
Non c’è dubbio – rileva Taruffo, fotografando un dato di realtà – che il pendolo della storia oscilli ora dal lato di questa seconda funzione, nella direzione cioè di modelli di Corti cd. “del precedente”. Queste ultime, seppur variamente configurate nel panorama comparato, sono, quasi per natura, dotate di caratteri propri e ben riconoscibili, quali, ad es., la presenza sempre più ingombrante di forme di certiorari o di filtri, più o meno discrezionali, al fine di selezionare il contenzioso meritevole – per così dire - di “attenzione pubblica”[7].
Il problema di cosa rimane oggi della nomofilachia è la domanda centrale delle osservazioni di Sergio Chiarloni. È ancora possibile la nomofilachia – si chiede l’A. - in un contesto, come quello italiano, in cui vige la disposizione, di rango costituzionale, che garantisce sempre il ricorso per cassazione contro tutte le sentenze (rectius: pronunce che decidono su diritti), ex art. 111, comma 7, Cost.? La presenza di questa disposizione è uno dei più evidenti esempi di “eterogenesi dei fini” – concetto sul quale Sergio Chiarloni si è già più volte soffermato in vari studi precedenti – e cioè quel fenomeno per il quale alle buone intenzioni (qui, processuali) seguono effetti di segno contrario. Nel nostro caso: proprio l’introduzione della garanzia costituzionale del ricorso in cassazione, animata dal voler assicurare l’uniformità di trattamento e la prevedibilità delle decisioni a tutti (buona intenzione) è ciò ha condotto all’impossibilità pratica di attuare questi compiti (cattivo effetto), per la semplicissima ragione che l’elevatissimo numero di ricorsi causa, e non può non causare, disordine giurisprudenziale (che per giunta si va ad aggiungere al disordine legislativo)[8].
A questo proposito, è assai indicativo che Sergio Chiarloni – sempre in altri precedenti lavori dedicati al tema - abbia accostato metaforicamente, e assai criticamente, la giurisprudenza della Corte di cassazione italiana a un supermercato «nei cui scaffali i clienti - i litiganti - riescono facilmente a trovare il prodotto che cercano»[9].
Riprendiamo la domanda: è ancora possibile, quindi, parlare di nomofilachia oggi? E se sì, in quali termini? Sergio Chiarloni si oppone – anche qui, sulla scia di suoi studi anteriori – a quella che viene definita come nomofilachia tendenziale, o dialettica, dialogica (“corale” potremmo dire), intesa cioè non rigidamente dall’alto verso il basso, autoritativa, come un comando che cala da un vertice e si impone ai destinatari. Quella forma antica di nomofilachia – si dice - non solo non sarebbe più pensabile nel quadro plurale e complesso attuale, ma nemmeno desiderabile[10]. Questa che stiamo vivendo non sarebbe più l’epoca illuministica delle certezze, bensì quella delle incertezze, colte però nei loro aspetti più positivi, quasi liberatori (il riferimento, nemmeno troppo implicito, è chiaramente al vasto movimento del postmodernismo giuridico, con la sua insistenza sulla crisi, certamente benefica per coloro che lo sostengono, del paradigma della legalità e delle sue categorie fondanti[11]). Per Chiarloni, invece, l’esigenza di una nomofilachia in senso forte va rimarcata, pur nella consapevolezza che i tempi sono mutati. Anzi, proprio nella consapevolezza di questo cambiamento di paradigma. Di qui, la difesa dell’A. dall’accusa – certamente ingenerosa – di veteropositivismo (o, nelle parole dell’articolo, di conservatorismo paleopositivista[12]). È proprio in tempi di indeterminatezze, disorientamenti, che abbiamo più bisogno di una guida, di una istituzione che metta ordine al pluralismo interpretativo (peraltro fisiologico), quando questo supera una certa soglia. «Una “teoria dei cento fiori” – chiosa infine il Chiarloni, con un colto riferimento storico – non può esser applicata alla Corte di cassazione»[13].
3. Presente e futuro. Note sul “fatto” e il suo controllo in Cassazione
Nella Sezione Seconda - intitolata El presente y el futuro (“Il presente e il futuro”) – troviamo lo studio critico di Luca Passanante, che indaga su alcuni aspetti della Corte di cassazione italiana contemporanea, ma con considerazioni teoriche di più ampia portata (El tribunal supremo italiano a cien años de la «Cassazione Civile» de Calamandrei, “La corte suprema italiana a cent’anni da “La Cassazione civile” di Calamandrei”)[14], e un’analisi di Frédérique Ferrand circa l’avvenire della Corte di vertice francese (El futuro del Tribunal de casación francés, “Il futuro della Corte di cassazione francese”)[15].
Lascio al lettore il contenuto di quest’ultimo articolo, ricchissimo sia di spunti comparatistici utili per comprendere la direzione delle riforme in Italia (si pensi, ad es., all’istituto della saisine pour avis, preso a diretto modello del rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione, di prossima introduzione[16]), sia di dati statistici ed empirici circa la concreta situazione oltremanica, e mi rivolgo brevemente al primo saggio, il bel contributo di Luca Passanante.
Una delle questioni teorico-istituzionali più dibattute nel corso del tempo è stata senza dubbio quella relativa al ruolo del “fatto” nel giudizio di legittimità e il sindacato della Cassazione nel controllo della logicità delle sentenze di merito. In Italia, dal punto di vista storico, questo ruolo e questo sindacato hanno conosciuto, rispetto all’inizio, prima una espansione, poi un restringimento (si veda il novellato testo dell’art. 360, n. 5 c.p.c., relativo al vizio di motivazione, come modificato dalla L. 143/2012, che ha riaffermato in buona sostanza la versione originale “ristretta” del 1942[17]). Senza dubbio, il Calamandrei del La Cassazione civile avrebbe fortemente approvato questa limitazione. Ma non significa che la sua impostazione non sia teoricamente debole, se vista con gli occhi della contemporaneità.
Uno dei fondamenti della cattedrale calamandreiana stava infatti nella rigorosa separazione tra fatto e diritto. Calamandrei scrive nel 1920, in un’atmosfera già intrisa di positivismo giuridico (la prima versione della “Reine Rechtslehre” di Kelsen è del 1934). La teoria del ragionamento giudiziale più accreditata è quella del sillogismo, dove la norma (generale ed astratta) e il fatto (particolare e concreto) sono pensati come necessariamente distinti. Calamandrei sposa con convinzione questo schema logico (è del 1914 il suo La genesi logica della sentenza civile, che pure tiene conto di molte complessità), anche se poi lo abbandonerà nella fase più matura della sua vita («Vi confesso – scriverà egli nel 1955, a 65 anni, l’anno prima di morire - che quanto più passano gli anni e si allunga la mia esperienza forense […] tanto più si accresce la mia diffidenza, che a volte si avvicina al terrore, per la logica giuridica»[18]). Alla base della sua idea di Cassazione sta appunto questa netta separazione: la Corte di vertice è giudice solo e soltanto del diritto. Il lavoro di Luca Passanante mette a nudo tutta l’artificialità, e quindi l’odierna insostenibilità, di questo assioma. È infatti ora chiarissimo in praticamente ogni teoria dell’interpretazione che il giudizio di fatto e quello di diritto si implicano reciprocamente (il fatto è già sempre fatto qualificato, o fatto normativo, e la norma è già sempre interpretata alla luce dei fatti) e che i due elementi, seppur teoricamente distinti, sono pertanto indissolubili nella realtà processuale[19]. L’originaria, fittizia, scissione logica tra i due termini serviva a Calamandrei per disegnare una Cassazione ‘pura’, lontana dagli accadimenti storici e dalla loro prova, una Cassazione cioè interessata solo all’interpretazione del diritto, e non alla giusta risoluzione del caso. Ma in una prospettiva olistica, di giustificazione cioè della decisione tout court, il contatto coi fatti rimane cruciale (e spesso la Cassazione stessa ne è stata consapevole, come l’indagine giurisprudenziale dimostra). Una decisione del tutto astratta, sconnessa dalla cornice fattuale, difficilmente sarà in grado di esser giusta.
4. Presente e passato. Un’ipotesi sull’origine inglese della Cassation francese
Nella Sezione Terza del Volume compaiono il lavoro storico-ricostruttivo sulla derivazione inglese del Tribunal de cassation francese, di Jordi Nieva Fenoll (El origen inglés de la Casación francesa, “L’origine inglese della Cassazione francese”)[20], e quello di John Sorabji, avente ad oggetto l’attività della Supreme Court oggi, nei suoi aspetti anche più pratici e operativi[21].
In particolare, merita di essere sottolineata e discussa la proposta originale e di grande interesse di Jordi Nieva-Fenoll (ricchissima di documentazioni, come sempre accade nei lavori del processualista spagnolo), circa la sottaciuta radice inglese dell’originale Tribunal de cassation francese; radice che Calamandrei, nella sua opera, non approfondisce e anzi rifiuta.
La ricostruzione proposta è certamente innovativa (nessuno la aveva avanzata prima d’ora), e ha (almeno) due grossi meriti. Da un lato, valorizza i fortissimi contatti - dovuti certamente, ma non solo, alla prossimità geografica - tra giuristi francesi e inglesi, dalle origini del common law, fino alla modernità e oltre, demitizzando così una presunta radicale incomunicabilità storica dei mondi di civil law e common law. Dall’altro, ha il pregio di mettere in discussione un elemento di conoscenza che troppe volte e troppo in fretta è dato per scontato, e cioè l’originarietà intrinseca del modello della Tribunal de cassation, inteso come prodotto esclusivo e tipico dello spirito della Rivoluzione Francese.
In realtà, l’approfondita analisi condotta da Jordi Nieva-Fenoll sulle fonti storiche dell’epoca dimostra come alcuni dei giuristi francesi di fine Settecento - e in particolare Pierre Gilbert de Voisins (1767) e Philippe-Antoine Merlin de Douai (1790) – si fossero ispirati (o è molto probabile che lo fossero) al diritto inglese, attraverso la lettura dei Commentaries di Blackstone (1765), tradotti in francese poco dopo[22]. Certi caratteri presenti nella House of Lord del tempo sembrano difatti molto simili a quelli poi caratteristici del Tribunal de cassation: uno su tutti, la possibilità di adire l’organo di vertice solo e soltanto per errori circa un punto di diritto (point of law). La House of Lords inglese - apprendiamo da Blackstone – veniva qualificata come una supreme court of judicature, che decide soltanto in caso di injustice o mistake of the law, e davanti alla quale non è possibile ammettere prove nuove né ridiscutere le questioni di fatto (lasciate, nel processo civile inglese dell’epoca, alla determinazione della giuria, la quale decideva con verdetto senza motivazione)[23]. Il parallelismo, in effetti, è significativo. Senza poi contare che una delle maggiori differenze utilizzate per rimarcare la distanza tra la corte di vertice inglese e quella francese era la presenza, solo nella prima, dell’istituto del precedente vincolante: ma anche qui, l’analisi storica ci dice che questa particolarità non si stabilizzò, almeno nella forma in cui la conosciamo oggi, fino alla seconda metà del XIX secolo, e quindi in una epoca storica già molto successiva a quella presa in considerazione da Calamandrei.
Siamo sicuri che l’articolo, che argomenta questa ipotesi tanto intrigante quanto originale, aprirà un ampio dibattito storico per la miglior comprensione di un istituto processuale così centrale.
5. Alcune questioni classiche
Chiudono il Volume, nella Sezione Quarta, tre contributi che affrontano altrettanti temi classici, rileggendo Calamandrei alla luce delle molteplici evoluzioni, bisogni sociali e nuove consapevolezze contemporanee.
Il primo (Cuestión de hecho y cuestión de derecho en los recursos ante los tribunales superiores, “Questioni di fatto e questioni di diritto nei ricorsi davanti ai tribunali supremi”) di Teresa Arruda Alvim, verte sulla separazione tra fatto e diritto, con una particolare attenzione dell’A. all’annoso problema del sindacato delle Corti di vertice qualora siano in gioco concetti vaghi, clausole generali del diritto e princìpi giuridici - questi ultimi, come noto, di uso sempre più crescente nei ragionamenti dei giudici negli ultimi anni, soprattutto a seguito della costituzionalizzazione del processo civile.[24]
Il secondo (Los filtros de acceso ante las cortes supremas, “I filtri d’accesso davanti alle corti supreme”), di Leandro Giannini, tratta della questione, di importanza ordinamentale crescente in molte giurisdizioni (Italia in testa), dei filtri d’accesso alle Corti Supreme – un tema sul quale l’Autore ha già scritto una recente monografia[25] –, offrendo importanti distinzioni analitiche utili per metter ordine nel diversificato panorama comparato sul punto. In particolare, degna di attenzione appare la suddivisione tra parametri quantitativi e qualitativi (i primi – a mio giudizio – sempre assai problematici[26]), così come le ulteriori sfumature basate sul grado di discrezionalità del giudice[27].
Il terzo saggio (Casación y precedente. Reflexiones a partir de Calamandrei, “Cassazione e precedente. Riflessioni a partire da Calamandrei”), di Renzo Cavani, si concentra sulla apparente incompatibilità tra il disegno calamandreiano e la presenza di forme di precedente (più o meno vincolanti), che Calamandrei - come noto - rifiuta[28].
Qui l’Autore, dopo aver chiarito in termini generali (a) il concetto di precedente, (b) la ratio decidendi e (c) lo stare decisis - quali componenti basilari di ogni teoria comprensiva del precedente giudiziale che aspiri ad essere tale - rilegge la funzione di uniformizzazione della giurisprudenza per sostenere che il modello di Corte di cassazione immaginato da Calamandrei non è affatto incompatibile con le funzioni tipiche di una “corte del precedente”. Se da un lato è vero che lo schema calamandreiano è inconciliabile con la vincolatività dei precedenti tipica del diritto inglese (soprattutto se intesa nella sua forma più rigida, come era anteriormente al noto Practice Statement della House of Lords del 1966[29]), dall’altro, si sostiene che dalla lettura de “La Cassazione civile” emerge una idea di corte di vertice comunque dotata di una forte funzione prospettiva, di una ideale forza proiettiva, seppur empirica, diretta cioè verso il futuro, e avente di mira una stabilità interpretativa, oltre che nello spazio, anche nel tempo: flessibile e relativa quanto si vuole, ma pur sempre da considerarsi come valore[30].
*Le presenti considerazioni appariranno, tradotte in lingua spagnola, anche sul prossimo numero della Revista de la Maestría en Derecho Procesal, della Pontificia Università Cattolica del Perù, Lima (2021).
[1] Cfr., a proposito, i sentiti ricordi della nipote, Silvia Calamandrei (ora Presidente della Biblioteca Archivio Piero Calamandrei di Montepulciano), in Attualità di Calamandrei nel centenario de La Cassazione civile, 11 novembre 2020, disponibile in https://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/Cassazione_civile_Calamandrei.pdf
Come noto, “La Cassazione civile” (dedicata alla «cara memoria» di Carlo Lessona, con il quale Calamandrei si laureò a Pisa) fu pubblicata originalmente dallo storico editore torinese-milanese “Fratelli Bocca”, in due volumi. Il primo (Storia e legislazione) è dedicato all’evoluzione della Corte di cassazione civile, a partire dal diritto romano (Capo I), a quello germanico antico (Capo II), da quello comune italiano e tedesco (Capo III) a quello francese prerivoluzionario (Capo IV) e postrivoluzionario (Capo V), per giungere infine all’analisi della Corte nella storia d’Italia (Capo VIII). Il secondo tomo (Il disegno generale dell’istituto) si focalizza invece sugli aspetti istituzionali della Corte di cassazione, e cioè sul suo scopo (Capo I), che altro non è se non la nomofilachia (cioè la protezione del diritto obiettivo: Capo II) e l’unificazione della giurisprudenza (Capo III), intese come funzioni eminentemente pubbliche (Capo IV). Segue poi l’analisi del ricorso per cassazione propriamente detto, ossia il mezzo attraverso cui lo scopo è raggiunto, concepito come derivazione dalla querela nullitatis del diritto intermedio (Capo III, dove si trova l’elucidazione della distinzione tra errores in procedendo ed errores in judicando). Concludono il volume l’esame della situazione italiana e riflessioni de iure condendo. L’intera opera è ora liberamente disponibile online, a cura del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre, nella collana “Memoria del diritto” (Roma Tre Press, 2019), in un progetto più ampio volto alla ripubblicazione dell’Opera omnia giuridica di Piero Calamandrei, in 10 Tomi. I volumi de “La Cassazione civile” sono, rispettivamente, il sesto e il settimo (l’uno con la Presentazione di Virgilio Andrioli, scritta in occasione della ristampa delle opere giuridiche di Calamandrei a cura dell’allievo Mauro Cappelletti, nel 1976, presso l’Editore Morano di Napoli; l’altro, con breve prologo dello stesso Cappelletti, Dopo vent’anni, del medesimo anno). I volumi sono interamente accessibili a https://romatrepress.uniroma3.it/libro/opere-giuridiche-volume-vi-la-cassazione-civile-parte-prima/ e https://romatrepress.uniroma3.it/wp-content/uploads/2019/09/Opere-giuridiche-%E2%80%93-Volume-VII-%E2%80%93-La-Cassazione-civile-parte-seconda.pdf.
[2] Per comprendere l’influenza de “La Cassazione civile” oltre i confini italiani mi pare utile ricordare che entrambi i volumi furono tradotti in lingua spagnola da Santiago Sentís Melendo (magistrato spagnolo che, a seguito della Guerra Civile, dovette esiliarsi prima in Colombia e poi, definitivamente, in Argentina; fu grande traduttore di molti patres della processualistica italiana) e pubblicati in tre Tomi nel 1945 per la Editorial Bibliográfica Argentina, con prologo di Niceto Alcalá-Zamora y Castillo (altro processualista spagnolo, anch’egli costretto all’esilio all’indomani della Guerra Civile, inizialmente in Argentina e poi in Messico, prima tornare in Spagna).
[3] Cfr., sul punto, T. E. Frosini, Piero Calamandrei comparatista, in Federalismi, 28 febbraio 2018, https://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?eid=470&dpath=editoriale&dfile=EDITORIALE%5F26022018121030%2Epdf&content=Piero%2BCalamandrei%2BComparatista&content_auth=%3Cb%3ETommaso%2BEdoardo%2BFrosini%3C%2Fb%3E, testo della Relazione al Convegno Processo e Democrazia: le lezioni messicane di Piero Calamandrei, Università di Siena, 5 ottobre 2017.
[4] Ci riferiamo, naturalmente, a Il vertice ambiguo. Saggi sulla Cassazione civile, Bologna, 1991.
[5] Lo specifica bene M. Taruffo, Sobre la evolución, cit., 17 – 18.
[6] Dico “impropriamente” perché le due espressioni, originalmente, nell’opera dei Glossatori del Digesto, non identificavano la valenza o la portata più o meno pubblica, più o meno importante, delle questioni trattate, bensì semplicemente la distinzione tra errori nella ricostruzioni dei fatti, o relativi alla sussunzione della norma al fatto (ius litigatoris) da un lato, ed errori sull’esistenza o il contenuto del diritto, dall’altro (ius constitutionis). Per questa importante precisazione storico-terminologica, G. Scarselli, Ius constitutionis e ius litigatoris alla luce della recente riforma del giudizio di Cassazione, in Riv. dir. proc., 2017, 355 ss.
[7] M. Taruffo, Sobre la evolución, cit., 21 - 22, il quale ricorda gli esempi dell’elaborazione del concetto di interés casacional in Spagna e delle corrispondenti evoluzioni in Germania e Argentina.
[8] S. Chiarloni, Nomofilaxis y reforma, cit., 27. In precedenza, già Id., Un singolare caso di eterogenesi dei fini, irrimediabile per via di legge ordinaria: la garanzia costituzionale del ricorso in cassazione contro le sentenze, in J. M. G. Medina et al. (a cura di), Os poderes do juiz e o controle das decisões judiciais: estudos em homenagem à Professora Teresa Arruda Alvim Wambier, São Paulo, 2008, 846 e seg.
[9] Così S. Chiarloni, Ruolo della giurisprudenza e attività creative di nuovo diritto, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, 6. Per il fatto che «quanto più la giurisprudenza della corte assomiglia ad un supermercato dove il soccombente nel giudizio di merito trova precedenti anche favorevoli, tanto più aumentano i ricorsi», sempre Id., Un ossimoro occulto: nomofilachia e garanzia costituzionale dell’accesso in Cassazione, in C. Besso, S. Chiarloni (a cura di), Problemi e prospettive delle corti supreme: esperienze a confronto, Napoli, 2012, 21; v. poi ancora, Id., Ragionevolezza costituzionale e garanzie del processo, in Riv. dir. proc., 2013, 525: «i prodotti giurisprudenziali della corte suprema simili a quelli di un supermercato, dove la parte soccombente spesso trova, accanto a quelli contrari, anche i precedenti favorevoli che possono indurla a tentare la sorte».
[10] Sul dibattito, con ampiezza, F. Di Stefano, Giudice e precedente: per una nomofilachia sostenibile, in Giustizia Insieme, 3 marzo 2021, in https://www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1598-giudice-e-precedente-per-una-nomofilachia-sostenibile
[11] Di cui, uno dei più importanti esponenti è Paolo Grossi. Cfr., da ultimo, P. Grossi, Il diritto civile in Italia fra moderno e postmoderno (dal monismo legalistico al pluralismo giuridico), apparso nella collana Per la storia del pensiero giuridico moderno, Milano, 2021 (sul quale v. le osservazioni di M. Serio, Riflessioni su “Il diritto civile in Italia tra moderno e posmoderno. Dal monismo legalistico al pluralismo giuridico” di Paolo Grossi, in Giustizia Insieme, Giugno 2021, https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-civile/1822-riflessioni-su-il-diritto-civile-in-italia-tra-moderno-e-posmoderno-dal-monismo-legalistico-al-pluralismo-giuridico-di-paolo-grossi). «La cosiddetta incertezza del diritto, che non si può non cogliere quale fattore negativo se si assume un angolo di osservazione prettamente legalistico – afferma P. Grossi, Ritorno al diritto, Roma-Bari, 2015, 66 - merita un capovolgimento valutativo, se la si vede come il prezzo naturale da pagare per il recupero di una dimensione giuridica che sia veramente diritto».
[12] S. Chiarloni, Nomofilaxis y reforma, cit., 30.
[13] S. Chiarloni, ult. op. cit., 31.
[14] L. Passanante, ivi, 39 ss. Cfr. anche, in italiano, Id., Il postulato del “primo” Calamandrei e il destino della Cassazione civile, in www.judicium.it, 19 Novembre 2020, https://www.judicium.it/postulato-del-primo-calamandrei-destino-della-cassazione-civile/. Sulla questione del giudizio di fatto e di diritto, si sofferma con ampiezza anche Teresa Arruda Alvim, nel saggio Cuestión de hecho y cuestión de derecho en los recursos ante los tribunales superiores, ivi, 127 e seg.
[15] F. Ferrand, ivi, 69 e seg.
[16] Avevo avuto occasione di toccare incidentalmente il punto in In difesa della nomofilachia. Prime notazioni teorico-comparate sul nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione nel progetto di riforma del Codice di procedura civile, in Giustizia Insieme, 22 giugno 2021, in https://www.giustiziainsieme.it/it/processo-civile/1815-in-difesa-della-nomofilachia-prime-notazioni-teorico-comparate-sul-nuovo-rinvio-pregiudiziale-alla-corte-di-cassazione-nel-progetto-di-riforma-del-codice-di-procedura-civile-di-carlo-vittorio-giabardo
[17] Il quale – ora – limita il sindacato di legittimità nel solo caso di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Su questo restringimento, per tutti, di recente, B. Capponi, Note brevi sul n. 5 dell’art. 360 c.p.c., in Giustizia Insieme, 10 febbraio 2021, https://www.giustiziainsieme.it/it/news/121-main/processo-civile/1540-note-brevi-sul-n-5-dell-art-360-c-p-c.
[18] Così P. Calamandrei, La funzione della giurisprudenza nel tempo presente, ora in Opere giuridiche, Vol. I, cit., 604. Sull’articolato itinerario del pensiero calamandreiano, v. N. Trocker, Il rapporto processo-giudizio nel pensiero di Piero Calamandrei, in AA.VV., Piero Calamandrei. Ventidue saggi su grande maestro, Milano, 1990, a cura di P. Barile, 101 ss. V. poi anche P. Grossi, Lungo l’itinerario di Piero Calamandrei, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2009, 865 e seg.
[19] Sull’inestricabile nesso tra fatto e diritto, recentemente, G. Ubertis, Quaestio facti e quaestio iuris, in Quaestio Facti. Revista internacional sobre razonamiento probatorio, 1, 2020, 67 e seg., anche online, in https://revistes.udg.edu/quaestio-facti/article/view/22326/26148
[20] J. Nieva-Fenoll, El origen inglés de la Casación francesa, ivi, 91 e seg. L’articolo è apparso anche sulla Revista Ítalo-Española de Derecho Procesal, 2020, 83 e seg. e, in portoghese, sulla Revista de Processo (São Paulo), 2021, 445 e seg. (A origem inglesa da cassação francesa). Il contributo è di prossima pubblicazione anche in italiano (Le origini inglesi della Cassazione) sulla Riv. trim. dir. proc. civ., 2021. Per una prima presentazione, in italiano, a cura dell’Autore, presso l’Università di Genova (3 dicembre 2021), nel corso di diritto processuale civile tenuto dal Professor Angelo Dondi, cfr. Le origini inglesi della cassazione francese, disponibile su YouTube,
[21] J. Sorabji, El tribunal supremo del Reino Unido: procedimientos, precedentes y reforma (“Il tribunale supremo del Regno Unito: procedimenti, precedenti, e riforma”), ivi, 107 e seg.
[22]J. Nieva-Fenoll, cit., 96 e seg. e poi 104 e seg.
[23] J. Nieva-Fenoll, cit., 102.
[24] T. Arruda Alvim, Cuestión de hecho y cuestión de derecho, cit., 135 e seg., e spec. 147 e seg.
[25] L. Giannini, El certiorari. La jurisdicción discrecional de las Cortes Supremas, La Plata, 2016.
[26] Per la ragione che la significatività di una questione di diritto prescinde totalmente dal valore della controversia; è ben possibile che la pronuncia della Corte di vertice sia necessaria – per es., al fine di chiarire un dissidio interpretativo, o per offrire una interpretazione di una norma più convincente di quella data finora, etc. – anche in una causa di pochi euro.
[27] L. Giannini, Los filtros de acceso, cit., 155 e seg.
[28] R. Cavani, Casación y precedente, cit., 187 e seg.
[29] [1966] 3 All ER 77. Con il Practice Statement, la House of Lords dichiarò che d’ora in avanti si sarebbe ritenuta svincolata dal rispetto dei propri precedenti, qualora lo considerasse giusto (nelle parole dell’allora giudice Lord Gardiner: “Their Lordships […] recognise that too rigid adherence to precedent may lead to injustice in a particular case and also unduly restrict the proper development of the law. They propose therefore to modify their present practice and, while treating former decisions of this House as normally binding, to depart from a previous decision when it appears right to do so».
[30] R. Cavani, ibidem
, 214 – 215.