La Corte costituzionale interviene sui diritti del minore nato attraverso una pratica di maternità surrogata. Brevi note a Corte cost. 9 marzo 2021 n. 33
di Arnaldo Morace Pinelli
Sommario: 1. Il problema del riconoscimento della filiazione delle coppie omoaffettive. L’orientamento giurisprudenziale di massima apertura, che valorizza la tutela di un asserito diritto alla genitorialità della coppia omoaffettiva - 2. L’intervento delle Sezioni unite in tema di maternità surrogata e il revirement della prima sezione civile della Corte di cassazione - 3. Il ripensamento del problema operato dalla Corte costituzionale - 4. Necessità dell’intervento del legislatore.
1. Il problema del riconoscimento della filiazione delle coppie omoaffettive. L’orientamento giurisprudenziale di massima apertura, che valorizza la tutela di un asserito diritto alla genitorialità della coppia omoaffettiva
La recente sentenza della corte costituzionale, in tema di maternità surrogata,[1] impone una riflessione ad ampio raggio su tale spinosa questione, che interseca l’altrettanto problematico nodo della filiazione delle coppie dello stesso sesso, notoriamente esclusa dalla legge sulle unioni civili e di cui si è fatta carico la giurisprudenza, come lo stesso legislatore del resto auspicava.[2]
Subito dopo l’approvazione di tale legge ha, infatti, preso corpo un orientamento giurisprudenziale, che ha fatto del riconoscimento della filiazione delle coppie dello stesso sesso una bandiera, pretendendo di conseguire un risultato di massima apertura attraverso un percorso ermeneutico segnato, essenzialmente, da tre tappe.
Il primo tassello è rappresentato dall’ammissione della c.d. stepchild adoption all’interno delle coppie omoaffettive. La Corte di cassazione[3] – all’esito di un inconsueto scontro con la Procura Generale, la quale aveva inutilmente richiesto che la questione fosse portata all’esame delle Sezioni unite e denunciato lo sconfinamento di campo che il potere giudiziario avrebbe compiuto estendendo alle coppie di fatto l’applicazione dell’art. 44, lett. “d”, l. adoz., stante il carattere derogatorio e di stretta interpretazione della norma – ha ritenuto praticabile la c.d. stepchild adoption all’interno delle coppie omoaffettive, giudicando superabili gli argomenti ostativi posti in luce dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza[4] e trasformando, con una non comune forzatura ermeneutica, l’istituto dell’adozione particolare da criterio residuale a strumento generale, mediante il quale riconoscere alle coppie dello stesso sesso un rapporto di filiazione giuridica.
Il secondo momento di questo percorso logico-giuridico è incentrato sull’annoveramento, tra i diritti fondamentali della persona, di un asserito diritto alla genitorialità spettante anche ai membri della coppia omoaffettiva. Una pronuncia della Corte di Cassazione,[5] in particolare, cavalcando le apparenti aperture rinvenibili nella sentenza della Corte costituzionale che ha aperto alla fecondazione eterologa,[6] ha ritenuto di poter configurare un vero e proprio diritto soggettivo ad avere figli, fondato «sulla fondamentale e generale libertà delle persone di autodeterminarsi e di formare una famiglia», riconoscibile anche agli appartenenti alle coppie dello stesso sesso, onde evitare illegittime discriminazioni. Individua, poi, accanto ad esso, un diritto fondamentale del minore alla conservazione dello status filiationis, comunque acquisito (all’estero), pretendendo di identificare nella sua tutela, automaticamente, la realizzazione del superiore interesse del minore. In tale prospettiva, «la violazione delle prescrizioni e dei divieti posti dalla legge n. 40 del 2004 - imputabile agli adulti che hanno fatto ricorso ad una pratica fecondativa illegale in Italia – non possono ricadere su chi è nato» ed il riconoscimento e la trascrizione nei registri dello stato civile in Italia di un atto che riconosce lo status filiationis, validamente formato all’estero, «non contrastano con l’ordine pubblico per il solo fatto che il legislatore nazionale non preveda o vieti il verificarsi» di una pratica di p.m.a. sul proprio territorio.
L’ultimo anello ermeneutico lo ha posto la giurisprudenza di merito. Notoriamente, sul problema della filiazione per le coppie dello stesso sesso aleggia la spinosa questione della legittimità della surrogazione di maternità. In particolare, nella coppia omosessuale maschile il figlio non può nascere a seguito di una fecondazione eterologa, «ma, di necessità, a seguito di un contratto con il quale una donna si presti ad essere fecondata artificialmente, per poi consegnare alla coppia committente il nato, contratto che, nella modalità della maternità surrogata, non solo è vietato, ma anche penalmente sanzionato (art. 12 n. 6, l. 40/2004)».[7]
Seguendo l’iter logico indicato dalla Corte di cassazione, con il pretesto della realizzazione del preminente interesse del minore, identificato nella conservazione dello status filiationis, taluni giudici di merito hanno sdoganato anche la pratica della surrogazione di maternità, conseguendo il risultato di fornire piena attuazione all’asserito diritto ad avere figli, riconosciuto anche alla coppia omoaffettiva. E’ stato pertanto affermato,[8] allo scopo di tutelare il diritto del minore a conservare lo status di figlio di due padri che avevano fatto ricorso alla surrogazione di maternità all’estero, che «la disciplina positiva della procreazione medicalmente assistita» non deve essere considerata «espressione di principi costituzionalmente obbligati» e, dunque, d’ordine pubblico internazionale, cosicché il fatto che il legislatore nazionale vieti il verificarsi di una simile pratica fecondativa nel territorio italiano non osta al riconoscimento nello Stato del provvedimento straniero che dichiari la duplice paternità.
2. L’intervento delle Sezioni unite in tema di maternità surrogata e il revirement della prima sezione civile della Corte di cassazione
Di quest’ultima questione, come è noto, sono state molto opportunamente[9] investite le Sezioni unite della Corte di cassazione, le quali[10] hanno negato la possibilità di riconoscere nel nostro ordinamento un provvedimento straniero che riconosca il rapporto di genitorialità tra un bambino nato a seguito di maternità surrogata e il c.d. genitore d’intenzione. Secondo l’importante pronuncia, deve ribadirsi che il divieto di surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma sesto, l. n. 40/2004, integra un principio di ordine pubblico, posto a tutela di valori fondamentali, quali il rispetto della dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto. Di fronte a questa pratica, penalmente sanzionata, torna ad operare il favor veritatis. Tuttavia, l’interesse del minore non è cancellato e, nei limiti consentiti da tale verità, è tutelato attraverso la possibilità della stepchild adoption da parte del genitore d’intenzione, con cui si salvaguarda «la continuità della relazione affettiva ed educativa» eventualmente instauratasi tra il minore e tale soggetto.
Questo lodevole sforzo di operare un equo bilanciamento tra l’interesse pubblico all’effettività del divieto della surrogazione di maternità e quello del minore alla conservazione delle sue relazioni affettive fondamentali è obiettivamente inappagante.[11]
Da un punto di vista sostanziale, la possibilità della stepchild adoption, per sanare giuridicamente le conseguenze di una maternità surrogata attuata all’estero, di fatto elude il divieto posto dall’art. 12 l. n. 40/2004 e non disincentiva il ricorso a tale pratica procreativa. Specie se l’adozione particolare venisse disposta automaticamente, per il solo fatto della convivenza con il figlio del partner, quando il nato sia in tenera età e, dunque, in un momento della sua vita in cui non è seriamente configurabile quella relazione affettiva fondamentale, che si intende tutelare. D’altro canto, la soluzione salomonica delle Sezioni Unite, oltre a non scongiurare il ricorso all’estero alla maternità surrogata, crea in Italia una filiazione di “serie b”. L’adozione particolare, infatti, non istituisce un rapporto di parentela tra l’adottato e la famiglia dell’adottante e neppure tra l’adottante e la famiglia dell’adottato (art. 300 c.c. e 55 l. adoz.) e ciò è obiettivamente pregiudizievole per il minore in caso di maternità surrogata, non esistendo alcuna famiglia d’origine che giustifichi la superiore limitazione, nell’interesse del minore adottato. Inoltre, nelle more della pronuncia di adozione, il minore rimane sprovvisto di tutela giuridica. Soprattutto, l’adozione in casi particolari resta rimessa alla volontà del genitore c.d. d’intenzione ed è condizionata all’assenso da parte del genitore biologico, che potrebbe non prestarlo in caso di crisi della coppia.
Muovendo da tali contraddizioni, la prima sezione civile della Corte di Cassazione, a meno di un anno dalla pronuncia delle Sezioni Unite, ha ritenuto di dover sollevare questioni di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, l. n. 40/2004, dell’art. 64, comma 1, lett. “g” l. n. 218/95 e dell’art. 18 d.p.r. n. 396/2000 «nella parte in cui non consentono, secondo l’interpretazione attuale del diritto vivente (fornita dalle Sezioni unite), che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo, per contrasto con l’ordine pubblico, il provvedimento giudiziario straniero relativo all’inserimento nell’atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestione per altri (altrimenti detta “maternità surrogata”) del c.d. genitore d’intenzione non biologico».[12]
Autorevole dottrina non ha mancato di criticare il revirement,[13] che mette in discussione il “fresco” risultato ermeneutico raggiunto dalle Sezioni Unite, attraverso il ricorso alla Corte costituzionale.
3. Il ripensamento del problema operato dalla Corte costituzionale
La Corte costituzionale,[14] con una pronuncia che si coordina con un’altra, pubblicata nello stesso giorno[15] e di cui condivide l’iter logico-giuridico, ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate dalla prima sezione della Corte di cassazione, mettendo, peraltro, ordine nella complessa materia ed aprendo scenari nuovi.
Le due sentenza hanno, innanzitutto, il merito di mostrare l’evanescenza (rectius: l’erroneità) degli argomenti giuridici da cui ha preso le mosse l’orientamento giurisprudenziale che si è proposto di riconoscere il rapporto di filiazione all’interno delle coppie omoaffettive, ossia l’asserita sussistenza di un diritto alla genitorialità spettante ai membri della coppia e la ritenuta legittimità del ricorso all’adozione particolare per costituire il rapporto di filiazione tra il minore ed il partner del genitore biologico.
Da un canto, infatti, viene ribadito a chiare lettere che l’asserito diritto alla genitorialità, spettante ai membri delle coppie omoaffettive, non esiste.[16] In effetti, la l. n. 40/2004 configura le tecniche di P.M.A. come rimedio alla sterilità o infertilità umana, «escludendo chiaramente con ciò, che la PMA possa rappresentare una modalità di realizzazione del “desiderio di genitorialità” alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati»; d’altro canto, tale legge «prevede una serie di limitazioni di ordine soggettivo all’accesso alla PMA, alla cui radice si colloca il trasparente intento di garantire che il suddetto nucleo riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre» (art. 5, secondo il cui disposto possono accedere alla PMA esclusivamente le coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi).[17] Meno che mai, in termini generali, è configurabile un diritto soggettivo ad adottare, sussistendo soltanto un interesse giuridicamente rilevante ad adottare, che «può essere soddisfatto solo se e in quanto sia adeguatamente realizzato il diritto del minore ad essere adottato».[18]
Al contempo, si riconosce l’erroneità dell’operazione ermeneutica in virtù della quale è stato consentito alle coppie omoaffettive il ricorso all’istituto dell’adozione particolare. La Corte costituzionale ammette, infatti, che la situazione del nato da p.m.a. è «assai distante da quelle che il legislatore ha inteso regolare per mezzo dell’art. 44, comma 1, lett. ”d”, della l. n. 184 del 1983».[19] Il che significa che siffatta peculiare situazione non poteva rientrare, attraverso il ricorso all’interpretazione estensiva, nell’ambito di operatività di quest’ultima norma, specie considerando che si tratta di una norma residuale e di chiusura e – in quanto tale - di stretta interpretazione. Di qui l’intrinseca impossibilità della stessa ad assurgere a regola generale e primaria del sistema, che consente al convivente, eterosessuale o omosessuale che sia, di diventare genitore, adottando il figlio del proprio partner.
Compiendo un’operazione culturale d’indubbio valore, la Corte costituzionale indica una strada diversa, che muove, anziché dai diritti della coppia omoaffettiva, soltanto dal minore e dai suoi diritti fondamentali. In altri termini, la Corte chiarisce definitivamente che il problema non è quello di riconoscere un inesistente diritto ad avere figli della coppia dello stesso sesso, bensì quello di tutelare i diritti fondamentali del nato da P.M.A., anche se questa è avvenuta all’estero ed in spregio ai divieti della l. n. 40/2004. Il nato, infatti, non ha colpa della violazione del divieto ed è «bisognoso di tutela come ogni altro e più di ogni altro» ed è criticabile il fatto che il legislatore si sia limitato, in questa materia, a vietare e sanzionare, mentre «avrebbe dovuto… regolare la sorte del nato malgrado il divieto».[20]
Questo percorso ermeneutico si sviluppa in piena armonia con i principi sanciti dalla c.d. Riforma Bianca sulla filiazione, che ha saldamente riposizionato l’ordinamento dalla parte del minore. E’ noto infatti che, in un mutato contesto, il nuovo art. 315 bis c.c. enuncia lo statuto dei diritti fondamentali del figlio come persona, mentre in passato «la posizione giuridica del figlio veniva identificata solo relativamente ai doveri dei genitori e agli obblighi delle prestazioni alimentari».[21] Il figlio viene posto al centro del sistema, ultimando la Riforma Bianca sulla filiazione il passaggio da una concezione del minore, quale soggetto debole da tutelare, a quella di individuo, titolare di diritti soggettivi, che l’ordinamento salvaguarda ed è chiamato a promuovere. Ed i suoi diritti, scolpiti nell’art. 315 bis c.c. (il diritto ad essere mantenuto, educato, istruito ed assistito moralmente dai genitori, il diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, il diritto all’ascolto) rientrano nel novero di quelli fondamentali della persona e sono garantiti dall’art. 2 Cost.
Questa visione minore-centrica si ripercuote anche nel rapporto con i genitori, focalizzato sulla persona del figlio e sulla prevalenza dei suoi diritti. Costituisce portato fondamentale della Riforma del 2012 la sostituzione della nozione di potestà, evocativa di un potere sul minore, con quella di responsabilità genitoriale, che evidenzia invece l’impegno che l’ordinamento richiede ai genitori, non identificabile «come una “potestà” sul figlio minore, ma come un’assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio».[22] Questa sostituzione lessicale assume una valenza culturale profonda, segnando il radicale mutamento di prospettiva operato dalla Riforma: nel rapporto genitori-figlio l’ordinamento si colloca dalla parte del minore, in virtù del superiore interesse di cui questi è portatore.
In questa nuova prospettiva, espressamente evocata dalla Corte costituzionale,[23] nelle decisioni concernenti il minore deve essere sempre ricercata «la soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore, quella cioè che più garantisca…la miglior “cura della persona”»,[24] e non vi è dubbio – afferma la Corte costituzionale - «che l’interesse di un bambino accudito sin dalla nascita…da una coppia che ha condiviso la decisione di farlo venire al mondo è quello di ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia».
Tuttavia, la Corte costituzionale ribadisce la condanna della maternità surrogata, pratica che «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane», con il rischio di «sfruttamento della vulnerabilità di donne che versino in situazioni sociali ed economiche disagiate», con la conseguenza che l’interesse del minore deve essere bilanciato, «alla luce del criterio di proporzionalità, con lo scopo legittimo perseguito dall’ordinamento di disincentivare il ricorso alla surrogazione di maternità, penalmente sanzionato dal legislatore», ferma restando «la rammentata necessità di riconoscimento del “legame di filiazione” con entrambi i componenti della coppia che di fatto se ne prende cura».
Secondo la Corte, dunque, è legittima la soluzione, offerta dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, in ordine alla non trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero, e, a fortiori, dell’originario atto di nascita, che indichino quale genitore del bambino il c.d. padre d’intenzione. L’interesse del minore al riconoscimento giuridico del suo rapporto con entrambi i componenti della coppia, che lo abbiano accudito esercitando di fatto la responsabilità genitoriale, impone, peraltro, che esso sia tutelato «attraverso un procedimento di adozione effettivo e celere, che riconosca la pienezza del legame di filiazione tra adottante e adottato,…sia pure ex post e in esito a una verifica in concreto da parte del giudice», non potendosi «strumentalizzare la persona del minore in nome della pur legittima finalità di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata».
4. Necessità dell’intervento del legislatore
Molto condivisibilmente, secondo la Corte costituzionale, nel contesto del difficile bilanciamento tra l’esigenza di disincentivare il ricorso alla pratica della maternità surrogata e la necessità di assicurare i diritti dei minori, la soluzione non può essere quella indicata dalle Sezioni unite dell’adozione particolare, per gli evidenziati limiti intrinseci dell’istituto, volto a disciplinare ipotesi peculiari (rectius: eccezionali), in cui si pone, tra l’altro, la necessità di conservare il legame giuridico tra il minore e la sua famiglia d’origine, situazione del tutto estranea ai nati da P.M.A.
Il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela degli interessi dei bambini nati da maternità surrogata non può che spettare, almeno «in prima battuta», al legislatore, «al quale deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell’individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco». La Corte costituzionale, pertanto, «allo stato», si arresta, pur riservandosi chiaramente di intervenire in futuro, in caso di latitanza del legislatore, stante l’”indifferibilità” di una soluzione in grado di porre rimedio «all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore».
In effetti, in questa delicata materia, soltanto il legislatore può individuare una disciplina esaustiva, individuando soluzioni di carattere generale e astratte, in grado di contemperare tutti gli interessi in gioco.
A nostro avviso, il legislatore dovrà, innanzitutto, favorire la costituzione di rapporti di filiazione giuridica tra persone esistenti, anziché il ricorso alle tecniche di p.m.a., con una profonda revisione della legge sulle adozioni. Essendo incontestabile l’idoneità genitoriale delle coppie omoaffettive ed in virtù dei sempre maggiori riconoscimenti delle convivenze, in un’epoca in cui il matrimonio non costituisce garanzia di stabilità affettiva, ci pare che il legislatore debba prendere seriamente in considerazione la possibilità di ammettere i conviventi, anche dello stesso sesso (ed, a ben vedere, anche la persona singola) all’adozione piena. Se – come ci sembra innegabile - l’adozione ha una chiara matrice solidaristica ed accedendo ad essa si adempie anche un «dovere di solidarietà verso i minori in stato di abbandono»,[25] è certamente auspicabile un’apertura dell’adozione nazionale e – in questo peculiare momento storico – di quella internazionale anche alle coppie conviventi, comprese quelle dello stesso sesso, ed alle persone singole, previa individuazione di ragionevoli requisiti e presupposti d’accesso ai due istituti.
Per quanto concerne, poi, la maternità surrogata, che riguarda soprattutto le coppie eterologhe, certamente non basta vietarla, dovendosi necessariamente disciplinare le conseguenze giuridiche che discendono dalla violazione del divieto, posizionandosi sempre dalla parte del minore, «nato incolpevole e bisognoso di tutela come ogni altro e più di ogni altro».[26] La possibilità dell’adozione particolare, ammessa dalle Sezioni unite, per quanto detto, costituisce un rimedio insufficiente. Il legislatore è chiamato ad introdurre una nuova tipologia di adozione, con un procedimento celere ed una disciplina che l’avvicini, negli effetti, all’adozione piena. Dovrà, peraltro, rimanere il vaglio del Giudice, che accerti, in concreto, la sussistenza del legame tra il minore e il genitore d’intenzione.
Nelle more dell’intervento del legislatore o della Corte costituzionale, va invece evitata, a nostro avviso, la chiamata alle armi dei giudici di merito, anche al fine di scongiurare soluzioni che, sulla base delle esigenze del caso concreto, risultino contrastanti e contraddittorie. La pronuncia della Corte costituzionale n. 33/2021 ha chiaramente ribadito la natura pubblicistica del divieto di maternità surrogata e non legittima – come peraltro è stato affermato[27] - alcun «ripensamento della nozione di ordine pubblico fatta propria dalle Sezioni unite, per il diverso bilanciamento tra i valori in gioco» suggerito dalla prima sezione civile.[28] Anzi, la Corte costituzionale ha espressamente riconosciuto la piena legittimità della soluzione offerta dalle Sezioni unite della Corte di cassazione, in ordine alla non trascrivibilità del provvedimento giudiziario straniero e, a fortiori, dell’originario atto di nascita, che indichino quale genitore del bambino il c.d. padre d’intenzione.
In materia di maternità surrogata, le Sezioni unite hanno compiuto il massimo sforzo ermeneutico possibile, entro il limite di compatibilità con la voluntas legis, espressa dalle norme vigenti e dai valori che esse esprimono, di cui deve essere operato il bilanciamento.
Come riteneva un illustre e compianto Maestro - il cui insegnamento, in materia di diritto di famiglia, è stato brillantemente esposto in un recente saggio[29] - «l’effettività della norma» è data «dalla sua accettazione da parte del corpo sociale come norma giuridica», che è il fatto dal quale scaturisce il diritto.[30] Il principio di effettività costituisce il metro dell’attività interpretativa, imponendo una lettura della norma «secondo il significato in cui essa è effettivamente operante».[31] Di qui il fondamentale ruolo della giurisprudenza, giacché «le applicazioni giurisprudenziali che si traducono in orientamenti consolidati conferiscono alla norma un significato che tende ad essere recepito nel tessuto sociale».[32] Ciò non significa, tuttavia, «né conferire né riconoscere un potere normativo ai giudici né dare ingresso alla “consuetudine giurisprudenziale” come fonte del diritto».[33]
In effetti, l’interpretazione della giurisprudenza non possiede un’autorità legislativa[34] e, soprattutto, secondo l’insegnamento degli stessi giudici di legittimità, non può correggere o sostituire la voluntas legis, dovendosi arrestare di fronte al limite di tolleranza ed elasticità segnato dal significante testuale della norma, nell’ambito del quale questa, di volta in volta, adegua il suo contenuto, piegandosi all’evoluzione che «l’interesse tutelato nel tempo assume nella coscienza sociale, anche nel bilanciamento con contigui valori di rango superiore, a livello costituzionale e sovranazionale».[35] A tale limite di tolleranza ed elasticità della norma soggiace anche l’interpretazione costituzionalmente orientata.[36]
A ben vedere, il diritto vivente costituisce un fenomeno oggettivo, legato alla peculiare struttura della norma giuridica e determinato dall’evoluzione dell’ordinamento. Come è stato efficacemente rilevato, la giurisprudenza «lo disvela, ma non per questo lo crea».[37]
E’ compito del legislatore, dunque, di fronte ad una realtà moralmente inadeguata, quale è certamente l’attuale con riguardo alla posizione giuridica del minore nato da un pratica di maternità surrogata, operarne il mutamento ed apprestare l’invocata tutela.[38]
[1] Corte cost., 9 marzo 2021, n. 33.
[2] Cfr., sul punto, il nostro Il problema della filiazione nell’unione civile, in C.M. BIANCA, Le unioni civili e le convivenze, Torino, 2017, 303 e ss.
[3] Cass., 22 giugno 2016, n. 12962, in Foro it., 2016, I, 2342.
[4] Per il loro compiuto esame, rinviamo al nostro Per una riforma dell’adozione, in Fam. e dir., 2016, 723 e ss.
[5] Cass., 30 settembre 2016, n. 19599, in Foro it., 2016, I, 3329.
[6] Corte Cost., 10 giugno 2014, n. 162, in Foro it., 2014, I, 2324.
[7] F. GAZZONI, La famiglia di fatto e le unioni civili. Appunti sulla recente legge, in www.personaedanno.it
[8] App. Trento 23 febbraio 2017, in Foro it., 2017, I, 1034.
[9] Cass., ord., 22 febbraio 2018, n. 4382, rel. Genovese, in Foro it., 2018, I, 782.
[10] Cass., S.U., 8 maggio 2019, n. 12193, in Foro it., 2019, I, 1951.
[11] Cfr., sul punto, il nostro La filiazione da p.m.a. e gli spinosi problemi della maternità surrogata e della procreazione “post mortem”, in Foro it., 2019, I, 3357 e ss.
[12] Cass., I Sez. civ., ord., 29 aprile 2020 n. 8325, in giudicedonna.it, 2/2020, con nota di M. BIANCA, Il revirement della Cassazione dopo la decisione delle Sezioni Unite. Conflitto o dialogo con la Corte di Strasburgo? Alcune notazioni sul diritto vivente delle azioni di stato.
[13] M. BIANCA, Il revirement, cit., 2
[14] Sent. n. 33/2021.
[15] Corte cost., 8 marzo 2021, n. 32.
[16] Corte cost., 9 marzo 2021, n. 33, precisa che «non è qui in discussione un preteso “diritto alla genitorialità” in capo a coloro che si prendono cura del bambino»; Corte cost., 9 marzo 2021 n. 32, esclude propriamente «l’esistenza di un diritto alla genitorialità delle coppie dello stesso sesso».
[17] Corte cost., 23 ottobre 2019, n. 221.
[18] In tal senso, cfr. C.M. BIANCA, Audizione, alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati del 23 maggio 2016, nel corso dell’indagine conoscitiva diretta a verificare lo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido.
[19] Corte cost., 9 marzo 2021, n. 33.
Anche Corte cost., 9 marzo 2021 n. 32, si premura di porre in luce le «caratteristiche peculiari dell’adozione in casi particolari, che opera in ipotesi tipiche e circoscritte, producendo effetti limitati».
[20] G. OPPO, Procreazione assistita e sorte del nascituro, in G. OPPO, Scritti giuridici, VII, Vario diritto, Padova, 2005, 49 e ss.
[21] M. BIANCA, Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, in La riforma del diritto della filiazione (l. n. 219/12), in N.l.c.c., 2013, 509.
[22] Così la Relazione illustrativa del d.lgs. n. 154/2013.
[23] Cfr. soprattutto Corte cost., 9 marzo 2021, n. 32.
[24] Corte cost., 9 marzo 2021, n. 33; Corte cost., 10 febbraio 1981 n. 11.
[25] Così Cass., S.U., ord., 16 febbraio 1995, n. 78.
Cfr. da ultimo, sulle ragioni solidaristiche dell’istituto dell’adozione, Cass., S.U., 31 marzo 2021, n. 9006, in Questionegiustizia.it, con nota di L. GIACOMELLI, L’adozione piena da parte delle coppie dello stesso sesso avvenuta all’estero è compatibile con l’ordine pubblico internazionale: gli equilibrismi della Cassazione tra inerzia del legislatore, moniti costituzionali ed esigenze di tutela omogenea dei figli.
[26] G. OPPO, Procreazione assistita e sorte del nascituro, cit., 53.
[27] G. FERRANDO, Il diritto dei figli di due mamme o di due papà ad avere due genitori. Un primo commento alle sentenze della Corte costituzionale n. 32 e 33 del 2021, in www.giustiziainsieme.it.
[28] Argomento in tal senso non è deducibile neppure dalla recentissima Cass., S.U., 31 marzo 2021, n. 9006, cit. In tale pronuncia, infatti, la Corte di cassazione chiarisce ripetutamente le differenze tra il caso esaminato e quello, affrontato da Cass., S.U., 8 maggio 2019, n. 12193, cit., riguardante la genitorialità formatasi all’estero attraverso una pratica di maternità surrogata, di cui si ribadisce il divieto e la contrarietà all’ordine pubblico. Ed anzi Cass. n. 9006/2021 richiama espressamente Corte cost. n. 33/2021 «con la quale è stato riaffermato il margine di apprezzamento degli Stati nel non consentire la trascrizione di atti di stato civile o provvedimenti giudiziari stranieri che fondino gli status genitoriali sulla surrogazione di maternità, pur sottolineando l’esigenza di un sistema di tutela del minore più efficace che non quello garantito dall’adozione in casi particolari» (§ 17 detta).
[29] M. BIANCA, Il diritto di famiglia e la missione del giurista. L’insegnamento di mio padre Cesare Massimo Bianca, in Familia, 2021, 125 e ss.
[30] C.M. BIANCA, Ex facto oritur ius, in C.M. BIANCA, Realtà sociale ed effettività della norma giuridica. Scritti giuridici, I, 1, 202 e ss.
[31] C.M. BIANCA, Interpretazione e fedeltà alla norma, in C.M. BIANCA, Realtà sociale, cit.,I, 1, 138 e ss.
[32] C.M. BIANCA, Ex facto oritur ius, cit., 207.
[33] C.M. BIANCA, Ex facto oritur ius, cit., 203 e ss.
[34] Non essendo quello italiano un ordinamento di common law, il giudice non è vincolato dal precedente, per quanto autorevole. Cfr., in tal senso, Cass., S.U., 3 maggio 2019, n. 11747.
[35] Cass., S.U., 11 luglio 2011, n. 15144.
[36] Secondo Corte cost., 13 aprile 2017, n. 82, in Foro it., 2017, I, 1819, «l'univoco tenore letterale della norma impugnata preclude un'interpretazione adeguatrice, che deve, pertanto, cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale». Conf. Corte cost., 19 febbraio 2016, n. 36, «l'obbligo di addivenire ad un'interpretazione conforme alla Costituzione cede il passo all'incidente di legittimità costituzionale ogni qual volta essa sia incompatibile con il disposto letterale della disposizione e si riveli del tutto eccentrica e bizzarra, anche alla luce del contesto normativo ove la disposizione si colloca (sentenze n. 1 del 2013 e n. 219 del 2008). L'interpretazione secondo Costituzione è doverosa ed ha un'indubbia priorità su ogni altra, ma appartiene pur sempre alla famiglia delle tecniche esegetiche, poste a disposizione del giudice nell'esercizio della funzione giurisdizionale, che hanno carattere dichiarativo. Ove, perciò, sulla base di tali tecniche, non sia possibile trarre dalla disposizione alcuna norma conforme alla Costituzione, il giudice è tenuto ad investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale».
[37] Cass., S.U., 11 luglio 2011, n. 15144.
[38] Cfr., in generale, C.M. BIANCA, Lo pseudo-riconoscimento dei figli adulterini, in Realtà sociale, cit., I, 1, 303 e ss.