Ufficio per il Processo, una opportunità o un rischio per la Giustizia?
di Massimo Morgia*
Gli assunti, per lo più neolaureati senza esperienza lavorativa, dopo avere superato un concorso che consiste in un test di 40 quesiti su diritto pubblico, ordinamento giudiziario e lingua inglese, dovrebbero coadiuvare il magistrato nella stesura delle sentenze, principalmente, secondo il Ministro della Giustizia, occupandosi delle ricerche giurisprudenziali.
Ma pensiamo davvero che ogni giorno possano essere impiegati nell’attività di ricerca giurisprudenziale? I magistrati di riferimento hanno davvero bisogno di tante ricerche? E poi, quali ricerche dovranno fare? Dovranno loro studiare i fascicoli, individuare le fattispecie normative da applicare al caso concreto, o questo resterà un compito del magistrato che poi indirizzerà l’assistente nella ricerca di giurisprudenza, ammesso che sia sempre utile? In quest’ultimo caso non si vede l’utilità dell’affiancamento, perché non è certo la ricerca giurisprudenziale ad appesantire il lavoro del magistrato sottraendogli tempo. I magistrati, infatti, sono dotati di ottime banche dati che, una volta impostata correttamente la ricerca, offrono una panoramica completa degli orientamenti della giurisprudenza, con collegamenti ipertestuali alla normativa di riferimento ed alla dottrina. Inoltre, bisogna essere in grado di impostare la ricerca ed avere una idonea preparazione giuridica per comprendere le massime e verificarne l’attinenza al caso specifico. I neoassunti sono in grado di fare tutto ciò? Hanno le competenze? Ricordiamo che vengono assunti con una verifica su materie che nulla hanno a che fare con i compiti cui vengono assegnati e che non sono avvocati e, in taluni casi, nemmeno laureati in legge. Infatti, sono ammessi al concorso, oltre ai laureati in materie giuridiche, anche con laurea triennale, i laureati in economia e commercio, scienze politiche o con titoli equiparati ed equipollenti.
Gli assistenti dovranno, quindi, essere formati dal magistrato di riferimento, che dovrà verificarne la preparazione e indirizzarli nello studio delle materie civilistiche e processualistiche attinenti ai loro compiti.
Il rischio che si profila è che i magistrati più scrupolosi debbano occupare parte del loro tempo nella formazione degli assistenti e nella correzione dei loro elaborati, sottraendolo al loro compito primario di studio e risoluzione delle controversie, mentre i magistrati più interessati all’incremento delle proprie statistiche di produttività possano delegare all’assistente la stesura delle sentenze, con tutto ciò che ne consegue in termini di qualità delle sentenze stesse e di rispondenza alla richiesta di giustizia delle parti in giudizio.
Eppure, secondo il Ministero, il nuovo ufficio del processo dovrà permettere al giudice di decidere dieci cause al giorno, con un nuovo schema di “sentenza su modulistica dove il prodotto ha una standardizzazione che fa a cazzotti con il fioretto cui siamo abituati” (dott. Andrea Montagni, direttore generale dei magistrati), trasformando, così, il magistrato in un anonimo correttore di bozze scritte da giovani laureati non formati e non competenti, con buona pace del tanto decantato prestigio della magistratura.
A questo punto bisogna chiedersi se sia ammissibile che, di fatto, la funzione giurisdizionale venga esercitata da personale non abilitato. La scrittura di “bozze di sentenza”, così come vengono definite dal Ministero, non può prescindere dallo studio della causa, dalla comprensione della fattispecie concreta e dalla conseguente applicazione della normativa confacente, attività questa che attiene alla funzione giurisdizionale e che deve competere esclusivamente al magistrato, non certo nella veste di semplice correttore di bozze, ma di unico responsabile del procedimento, al quale solo appartiene l’alta funzione del giudicare e amministrare la giustizia.
Le contraddizioni dell’ufficio del processo appaiono ancora più stridenti se rapportate al trattamento riservato ai giudici onorari, ai quali, nonostante smaltiscano più del 50% del contenzioso civile, scrivendo sentenze che, per una strana alchimia, confluiscono nelle statistiche dei magistrati cosiddetti togati, non viene riconosciuta nemmeno la qualifica di lavoratori, lasciandoli nel limbo dei “fantasmi della giurisdizione”.
A differenza degli aspiranti assistenti dell’ufficio del processo, i giudici onorari sono in gran parte avvocati che, pertanto, hanno superato gli esami di abilitazione alla professione forense, dimostrando di avere una idonea preparazione giuridica, e ogni quattro anni vengono sottoposti a verifica di professionalità da parte di una commissione formata da magistrati e avvocati. Ma, chissà per quale oscuro motivo, tutto questo non basta per inserirli in maniera stabile nella amministrazione giudiziaria, riconoscendogli i fondamentali diritti dei lavoratori.
* Got presso il Tribunale di Messina