Giudice o giudici nell'Italia postmoderna?
Intervista in tre domande, a cura di Roberto Giovanni Conti, a Antonio Ruggeri e a Roberto Bin.
“La pluralità di Carte dei diritti fondamentali (Costituzione, Cedu, Carta UE dei diritti fondamentali, Convenzioni internazionali) ha favorito la proliferazione di poli decisionali e di sentenze pronunziate da giudici nazionali e sovranazionali destinate ad interagire, a sovrapporsi o, a volte, a porsi in dichiarato conflitto fra loro. Rispetto a tale fenomeno il giudice nazionale esce indebolito o rafforzato nel suo ruolo?”
“L’avvento di strumenti sovranazionali con al centro i diritti fondamentali ha aggravato le responsabilità del giudice egli divenendo, per dirla con Paolo Grossi, <<…il più autentico garante della crescita di un ordinamento giuridico>>. Si sentirebbe di offrire al giudice dei suggerimenti minimi per affrontare nel modo migliore l’era del postmoderno?”
“Una delle accuse che si rivolge al giudice “garante della legalità” è quella di avere contribuito ad erodere i canoni di prevedibilità e certezza incarnati dal legislatore, divenendo egli stesso artefice primo del diritto e favorendo, non solo nuova litigiosità ma anche scelte contromaggioritarie, in nome dei diritti fondamentali. Esistono dei rimedi di agevole portata che, a suo giudizio, possono evitare o attenuare tali rischi? Ed ancora, i momenti di raccordo fra giudici nazionali e giudici sovranazionali(rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, richiesta di parere preventivo alla Corte Edu, quando sarà entrato in vigore per l’Italia il Protocollo n.16 annesso alla CEDU) possono offrire un antidoto all’incertezza e se sì in che misura?”
La scelta del tema.
Perché dedicare uno spazio ad un tema così difficile e astruso? Perché sottrarre del tempo prezioso ai giudici chiamati a smaltire pile di cause ed a rispondere ad una sempre crescente domanda di giustizia, a rincorrere statistiche sempre più oppressive e richiami alla tempestività dei depositi provenienti dai capi degli Uffici? Con quale fine e con quale utilità?
La rubrica che oggi si inaugura ed il tema che si è cominciato a focalizzare con la prima intervista, al quale seguiranno ulteriori approfondimenti anch’essi calibrati sul ruolo del giudice, non vuole essere rivolta alle élite (sempre che ve ne siano) della magistratura o a chi governa il mondo giudiziario.
Intenderebbe piuttosto aprire una finestra in favore dei giudici, di quelli che, soprattutto giovani, svolgono quotidianamente il loro lavoro senza riflettori su alcuni scenari che scarso appeal riscuotono tra i dirigenti, anche loro chiamati a governare un’estenuante domanda di giustizia che a volte non consente di affrontare ed esaminare con l’attenzione e la cura che invece merita i temi che saranno esaminati di seguito.
Ebbene, si può cominciare col chiedersi quale sia l’armamentario che il giudice maneggia oggi per svolgere la sua funzione.
Un tempo avevamo i codici, le leggi e la Costituzione – l’ordine appena esposto non è casuale ma voluto–. Oggi abbiamo il computer e le banche dati normative e giurisprudenziali, ma un ambito sempre più vasto è occupato dalla Costituzione, dalle Carte dei diritti fondamentali e dalle giurisprudenze delle corti nazionali e sovranazionali.
In effetti, siamo tutti più o meno consapevoli che il nostro modo di lavorare non può prescindere dall’uso di queste fonti e dei rispettivi diritti viventi.
Sulla nostra scrivania stazionano, a volte in modo virtuale, le Carte dei diritti e le sentenze delle Corti europee – edu e di giustizia – se non le conosciamo e non ne abbiamo conoscenza diretta.
Come maneggiarle dunque, quale peso ad esse fornire, quale rilevanza, quale vincolatività esse hanno nel sistema, se si parte dalle affermazioni esposte dalla Corte costituzionale tese a via via revisionare, addolcire, superare e alla fine recuperare i postulati affermati nelle sentenze c.d. gemelle del 2007?
La domande poste ai Professori Bin, ordinario di diritto costituzionale a Ferrara e Ruggeri, già ordinario nella stessa disciplina a Messina, intendono dunque mettere a fuoco l’estrema complessità del sistema che proprio il giudice è chiamato a governare non per scelta, ma per funzione.