L’abuso del diritto “altrui”. Riflessioni a margine di un lavoro monografico.
Fabio Francario intervista Domenico Fiordalisi
Domenico Fiordalisi è magistrato della Corte di Cassazione autore di diverse pubblicazioni in materia penale, tra le quali si possono ricordare, edite per i tipi della Giappichelli, Una clausola generale: pericolo di danno grave alla salute (2016), Giudicato progressivo e recidiva (2008), Efficacia giuridica e falso. Per una concezione normativa della fede pubblica (2010) e Abuso di facoltà legittime ed impedibilità degli atti antigiuridici (2008). Riprendendo riflessioni già in nuce in precedenti pubblicazioni, nel 2020 ha recentemente pubblicato un nuovo lavoro monografico sul tema dell’abuso del diritto (Abuso del diritto altrui. Una figura formale di qualificazione giuridica, Giappichelli, Torino 2020). Giustizia Insieme lo ha invitato ad illustrare i contenuti di quest’ultimo lavoro monografico nell’intervista curata dal Prof. Fabio Francario, che pubblichiamo di seguito.
I. Il libro svolge un ragionamento complesso sulla figura dell’abuso del diritto, analizzandone presupposti e limiti di applicazione e soprattutto interrogandosi sulla ratio dell’istituto. L’esperienza maturata come magistrato porta naturalmente a svolgere il pensiero muovendo dal concreto dell’esperienza del fatto storico alle categorie dommatiche del diritto, in uno scambio continuo che rivela una naturale inclinazione didattica che impronta l’intera trattazione.
Il primo chiarimento d’ordine concettuale che viene operato è che la figura può trovare cittadinanza solo in un ordinamento giuridico evoluto. Anzi, tanto più è evoluto il livello di civiltà giuridica dell’ordinamento, tanto più l’istituto potrebbe avervi cittadinanza. Se non si abbandona l’idea della “difesa privata e violenta del proprio diritto”, il problema teorico dell’abuso del diritto nemmeno può porsi. Il problema si pone nel momento in cui l’ordinamento abbandona la consuetudine e avoca a sé la produzione del diritto imponendo il primato della legge.
Può illustrarci meglio questo che sembra essere il punto di partenza di tutto il ragionamento giuridico svolto nella monografia?
La vis di ogni potere privato, inteso come contenuto di un diritto e, in particolare, l’idea della forza illimitata, che era ben riconoscibile nell’antica Roma nello ius vitae ac necis del pater familias e nella manus iniectio del creditore insoddisfatto è in minima parte presente nel modo illimitato di concepire l’esercizio del diritto individuale nei sistemi giuridici successivi.
Alla fine del ‘700, l’esigenza di garanzia dei diritti ha dato centralità alla legge scritta rispetto al diritto consuetudinario, incentrato sulla normalità dei rapporti giuridici, ma ha sentito subito la necessità di trovare dei temperamenti all’uso di un diritto di fonte legislativa, che non poteva trovare più in tale “normalità” un sicuro criterio oggettivo di conformazione del potere privato.
Sicché già negli artt. 6 e 7 della dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’uomo e del cittadino nella Costituzione della Repubblica Francese del 22 agosto 1795 veniva distinto chi «viola apertamente le leggi» da «chi senza infrangerle le elude con freddezza ed astuzia, ferendo gli interessi di tutti e rendendosi così indegno della loro benevolenza e della loro stima».
È nata così, contemporaneamente all’affermarsi del primato della legge, la necessità di un rimedio all’uso distorto del diritto soggettivo di fonte legislativa, per non accordargli la protezione giuridica dello Stato.
II. L’originalità rispetto agli studi già esistenti e che potrebbero essere definiti “classici” (Giorgianni, Natoli, Gambaro, Bianca, Rescigno) è chiaramente rivelata sin dal titolo, che racchiude e condensa l’idea che l’abuso del diritto va visto non come un limite immanente, connaturato al diritto soggettivo, “interno” alla sua struttura, alla forma o ai contenuti del diritto, ma come un limite esterno che promana dal “diritto altrui” e origina un dovere giuridico di rispetto ad esso correlato. Lei sostiene come sia “fondamentale comprendere che assume rilevanza l’interesse “altrui”, “esterno al soggetto agente”, che in quanto tale “non può fungere da limite interno del potere stesso, perché non fa parte della struttura del potere al momento dell’iniziale coesistenza giuridica del potere e di un dovere siffatto” ovvero che “Tra limite e dovere c’è una differenza fondamentale; il secondo è qualcosa di più di un limite, perché ha un contenuto attivo “.
Ci può illustrare meglio questa differenza tra limite e contenuto attivo?
Il ricorso all’abuso del diritto si è affermato come necessario temperamento dei modi di uso di ogni diritto in contrapposizione concreta a interessi legittimi di diritto privato, nei casi di conflitto concreto tra il potere privato, esercitato in forza della norma attributiva del diritto soggettivo che lo contiene, e il dovere di solidarietà, dettato da una norma costituzionale che ha carattere precettivo e non solo programmatico e che ha la sua radice più forte nel principio di uguaglianza tra diritti in conflitto.
Si tratta di un temperamento che, al di là del generico e insufficiente riferimento al carattere sociale di ogni diritto, deve trovare nell’attenta descrizione giurisprudenziale delle forme del dovere giuridico di solidarietà, il rispetto effettivo del principio di uguaglianza e, quindi, la strada più oggettiva che consente di conformare a tali forme le singole modalità di esercizio di un potere o di una facoltà inutilmente lesive del diritto altrui.
L’interesse altrui fa parte del contenuto del dovere, tuttavia presenta un carattere di elevata genericità nella fase di costituzione e attribuzione del potere privato, sicché non può fungere da limite interno al potere stesso, perché non fa parte della sua struttura al momento dell’iniziale coesistenza giuridica del potere attribuito all’agente e del dovere, che contiene appunto l’interesse altrui.
Quest’ultimo ha bisogno, molto spesso, di eventi determinativi, che permettano la specificazione del valore dell’azione realizzatrice del dovere della sua tutela, puntualizzandosi su soggetti individuali, cioè su singole persone portatrici di interessi reali, che consentono di definire, solo dopo il prodursi di tali eventi concreti, in modo preciso, il criterio effettivo di conformazione dei comportamenti del titolare del potere, durante le articolate fasi di esercizio del diritto.
Salvo che un chiaro limite interno non sia espressamente indicato nella norma e tramite essa nel titolo costitutivo del diritto, in tutti gli altri casi - quindi in modo generale - il principio di uguaglianza e il dovere di solidarietà si posizionano all’esterno della fattispecie parziale di esercizio di un diritto. Possiamo parlare di abuso del diritto, quindi, per la violazione di un limite o di un dovere che originariamente è esterno al diritto, perché si riferisce ad un valore che viene specificato soltanto nel corso della vita del rapporto giuridico concreto tra chi esercita il suo potere privato e il terzo portatore di un interesse privato in conflitto.
Infatti, la norma non pone solo dei limiti all’esercizio di un diritto, bensì anche dei doveri ad esso connessi (cfr. l’art. 832 cod. civ.); l’indeterminatezza iniziale di limiti e doveri, come il dovere di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., al momento della coesistenza col diritto sorto in capo al soggetto titolare, e il fatto che essi non costituiscono la ragione (o una delle ragioni) in considerazione della quale la norma attribuisce quel diritto al soggetto collocano i medesimi limiti e doveri al di fuori della struttura costitutiva del diritto, sicché rimangono esterni alla sua fattispecie giuridica parziale.
I doveri, anche sotto forma di oneri, a differenza dei limiti, hanno un contenuto attivo, perché impongono una condotta cioè la scelta tra più modalità di azione, che permette di realizzare e salvaguardare il valore indicato in modo precettivo dalla norma all’agente.
Più è elevata l’importanza del valore (si pensi al livello in cui va collocato il valore della persona umana, sotto il profilo della dignità e della salute), più è intenso e preminente il dovere giuridico della sua tutela, imposto da una norma in base agli eventi determinativi con i quali l’agente si confronta in concreto.
III. Veniamo al profilo della ricostruzione dommatica della figura giuridica. Lei sostiene che, affinché possa configurarsi, l’abuso del diritto richiede sempre la violazione di un preciso dovere giuridico imposto da una norma, che però protegge un interesse che è estraneo alla fattispecie costitutiva del diritto esercitato. Ciò porta ad affermare che si risolve in una figura unitaria di secondo grado: è necessaria una doppia qualificazione del contegno come esercizio del diritto e violazione del dovere.
Può illustrarci cosa intende quando fa riferimento alla necessità di questa doppia qualificazione?
Ciò che rileva nella fattispecie dell’abuso è il pericolo di danno al diritto altrui, per la violazione oggettiva (da parte del soggetto agente che esercita il potere) del dovere di tutelare l’altrui interesse, che rischia di essere inutilmente compresso o addirittura soppresso da siffatta attività. Tale dovere di tutela, non legato alla ratio della norma attributiva del potere a quel soggetto, rimane estraneo alla fattispecie del diritto soggettivo esercitato. Questi risulta integrata in modo indipendente come fattispecie parziale, per esempio, nei riguardi dei terzi che non vengono lesi. Ma il riscontro concreto dell’avvenuta violazione del dovere di solidarietà e del diritto altrui si presenta come un elemento negativo, che si colloca all’esterno di detta fattispecie giuridica parziale del diritto esercitato, sicché l’effetto che normalmente ne sarebbe derivato, non può prodursi, atteso che le concrete modalità di esercizio di quel diritto lo rendono immeritevole di protezione giuridica.
L’abuso del diritto è riconoscibile, quindi, in una qualificazione giuridica di secondo grado, in base alla fattispecie completa composta dalla ordinaria fattispecie del diritto esercitato (costituita dagli elementi oggettivi e soggettivi dettati dalla norma attributiva) più l’elemento estraneo a questa, consistente nella violazione del dovere di tutela dell’interesse altrui, che gli eventi determinativi intervenuti (come la stessa libera scelta di particolari modalità concrete, che di fatto interferiscono con esso) hanno specificato.
Vi sono pertanto due norme, due fattispecie, due qualificazioni giuridiche. La norma di tutela del diritto di chi agisce e quella che tutela il diritto altrui.
Vi è la fattispecie parziale di esercizio del diritto e la fattispecie completa, che contiene la prima più l’elemento ad esso esterno, che viene specificato in base alla violazione del limite o del dovere di tutela attivo dell’interesse altrui, che non ha costituito né ha fatto parte della ragione di attribuzione del potere al titolare del diritto esercitato.
L’istituto permette sia la qualificazione giuridica in termini di «esercizio del diritto», che mantiene in ogni caso la sua validità ed efficacia giuridica verso i terzi non lesi ingiustamente, sia la qualificazione giuridica complessiva di “abuso del diritto”, che ha rilevanza limitata al terzo, il cui interesse doveva essere tenuto in considerazione e salvaguardato dall’agente: questi ha scelto modalità sproporzionate e irrazionali, lesive o pericolose della posizione giuridica di un terzo, con la conseguenza ordinaria dell’inefficacia relativa dell’atto o degli atti posti in essere e della possibilità, per il terzo il cui interesse è leso o messo in pericolo, di esperire quantomeno un’azione inibitoria di ulteriori atti lesivi.
IV. Nel libro si sostiene che l’eventuale abuso è riferito sempre ad un potere in senso lato, anche – ma non solo - quando questo costituisce contenuto di un diritto soggettivo, sottolineando che poteri giuridici sono anche i poteri pubblicistici e gli interessi legittimi.
Nel diritto amministrativo l’esigenza di tutela dell’interesse altrui è però connaturata alla struttura del potere, è immanente, non esterno alla costruzione del potere giuridico.
Si può ugualmente ricostruire l’abuso del diritto come figura generale o nel diritto amministrativo la figura è surrogata da quella dell’eccesso di potere?
Sono convinto che anche nel diritto pubblico vi sono forme di abuso del diritto inteso in senso stretto, laddove l’interesse altrui non sia stato preso in considerazione dalla norma come ragione dell’attribuzione del potere giuridico al soggetto agente, sicché la lesione o messa in pericolo di tale interesse costituisce elemento esterno alla fattispecie giuridica parziale di esercizio del potere, come nel caso già qualificato in termini di “abuso del diritto” dalla Corte costituzionale, con la sentenza del 23 aprile 1998 n. 140, che ha considerato atto arbitrario del pubblico ufficiale quello posto in essere con modi maleducati, aggressivi, vessatori, inurbani ed arroganti, poiché l’atto da lui compiuto, pur essendo sostanzialmente legittimo, viene compiuto con modalità scorrette, offensive o comunque sconvenienti, in quanto la convenienza e l’urbanità dei modi, esplicitamente imposte a determinate categorie di pubblici ufficiali, debbono ritenersi doverose finanche in difetto di esplicita disposizione legislativa, ponendosi come «limite esterno» ad ogni potere giuridico, derivante direttamente dalla necessità giuridica di tutelare la dignità della persona altrui.
V. Volendo scegliere una frase o una espressione in cui condensare i contenuti dell’intero lavoro, mi verrebbe in mente quella che compare in apertura del lavoro, secondo la quale «Il diritto a volte è come un’arma carica. E’ necessaria ogni cautela quando la si impugna per farne uso. Non ogni modalità di utilizzo è consentita».
Il concetto ritorna ben esemplificato a metà dell’opera, quando afferma che «se ho due strade per esercitare il mio diritto e, seguendone una, ledo il diritto e la libertà altrui e con l’altra no, ho l’onere di scegliere la seconda strada» e mi pare ripreso anche nelle conclusioni, con la citazione del Presidente Mariano D’Amelio: «il diritto non è un concetto assoluto. Esso è proporzione e come tale ha un limite. Oltre questo limite non è più operante come forza protetta dall’autorità dello Stato e se agisce e cagiona danno ad altri, non merita più protezione».
Il principio di proporzionalità, in quanto funzionale al sindacato sull’esercizio di poteri discrezionali, di scelta tra condotte astrattamente possibili, può essere impiegato al di fuori dell’ambito elettivo del diritto pubblico e consentire la costruzione di una figura teorica generale al di là delle singole specificità settoriali?
Ritengo che il livello di complessità e di maturità del nostro sistema giuridico ponga il principio di proporzionalità in tutte le forme di potere, privato o pubblico, che vengono esercitate spesso in delicate situazioni di contrapposizione di interessi.
Il parametro della proporzionalità, sia quando deve essere valutato di volta in volta sia quando deve reputarsi esistente in base a precise circostanze legalmente previste, è immanente in tutto l’art. 52 cod. pen. sulla legittima difesa dei propri diritti, nel caso estremo dell’impossibilità di un tempestivo intervento delle autorità preposte.
Nel diritto pubblico il principio di proporzionalità è uno dei criteri più importanti per misurare la legittimità delle scelte del soggetto agente e trova le più evidenti declinazioni nelle forme di eccesso di potere riconosciute dalla giurisprudenza amministrativa e costituzionale.
L’abuso del diritto altrui è, pertanto, l’istituto nel quale, in modo ormai sempre più evidente, trova applicazione detto principio, che permea ogni modalità di esercizio di un potere.
A tale conclusione, si perviene non solo all’esito di un esame, con gli strumenti della dommatica, dei vari fenotipi posti dall’ordinamento nei vari settori (pensiamo all’artt. 2 e 3 Cost, all’art. 54 della Carta di Nizza, all’art. 833 cod. civ., agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., alla particolare disciplina dell’abuso in materia tributaria, ai casi di abuso riconosciuti in modo sempre più attento dalla giurisprudenza nell’ambito del processo civile e del processo penale), bensì guardando gli stessi con la lente del genotipo: la figura formale di qualificazione giuridica dell’abuso del diritto, la cui caratteristica specifica consiste proprio nella doppia qualificazione del contegno, come esercizio del diritto e, al tempo stesso, come violazione del dovere di solidarietà, che impone all’agente di tutelare l’interesse altrui. Due qualificazioni, quindi, che formalmente convivono e possono essere messe a fuoco con una doppia fattispecie, una parziale e l’altra completa.