Gli effetti del lockdown su bambini e adolescenti
Intervista di Betta Pierazzi a Lino Nobili e a Sara Uccella
Quali sono gli effetti e breve e lungo termine del lockdown sulla costruzione dell’identità, e dell’identità sociale, dei ragazzi? Quanto e come i social media possono aiutare, e quali sono le strade da evitare? Come dovrà cambiare la scuola quando si tornerà, appena possibile, alla normalità?
Dieci risposte di due importanti neuropsichiatri infantili per orientarci nel groviglio di domande, preoccupazioni e incertezze sugli effetti della forzata limitazione dei contatti sociali dovuta alla pandemia.
I possibili rischi per i bambini e gli adolescenti, i segnali da tenere sotto controllo, le migliori strategie personali e familiari e le priorità da seguire come collettività per fare i conti con le conseguenze di quell’incredibile esperimento sociale che, tra le altre cose, è stato il lockdown.
1. Nel giugno scorso il Dipartimento di Neuropsichiatria infantile dell’Ospedale Gaslini di Genova da lei diretto, professor Nobili, ha svolto una ampia indagine sull’impatto psicologico e emotivo del lockdown sulle famiglie italiane. Cosa è emerso, quali sono stati e con quale incidenza i disturbi o comunque le conseguenze a breve termine del lockdown e della pandemia in generale per i bambini e gli adolescenti? E ci sono state differenze tra le varie fasce d’età?
L’indagine in realtà, pur essendo stata pubblicata sul sito del Ministero a giugno, è nata agli esordi del confinamento in Italia. Quando l’abbiamo lanciata nel web, il primo intento era cercare di capire che effetto stessero avendo la pandemia ed il confinamento, dettato dalle misure di contenimento del contagio, sulle famiglie. In particolare volevamo vedere se c’erano differenze tra famiglie con o senza minori in casa.
All’indagine hanno risposto in quasi settemila partecipanti adulti, chi con figli chi senza. Nella maggioranza della popolazione (più del 95%) sono stati dichiarati cambiamenti comportamentali, vale a dire maggiore difficoltà a concentrarsi, disturbi del sonno (come risvegli notturni, incubi, difficoltà ad addormentarsi), cambiamenti d’umore, esacerbazioni di malattie croniche o sensazioni corporee inspiegate (che afferiscono all’area delle reazioni che il corpo ha nei confronti di un evento stressante o traumatico). Nella popolazione dei genitori di bambini e ragazzi al di sotto dei 18 anni lo stress è stato in media maggiore, con picchi più elevati nella fascia dei genitori con figli in età prescolare (al di sotto dei 6 anni). Nelle risposte dei genitori poi, i cambiamenti comportamentali nei figli sono stati riportati da più della metà dei figli, con circa il 64% dei figli al di sotto dei sei anni e circa il 72% nei figli nella fascia di età 6-18. Per i più piccoli, i sintomi maggiormente osservati sono stati maggiore irritabilità, difficoltà ad andare a dormire da soli e risvegli notturni. Per la fascia 6-18 invece più frequentemente si sono osservate sensazioni corporee come sensazione di fame d’aria e disturbi del sonno a tipo “ritardo di fase” ovvero difficoltà ad addormentarsi e a svegliarsi la mattina. Il disagio dei figli correlava con il disagio dei genitori (che era maggiore se in casa erano presenti anche persone con più di 65 anni o se il genitore riferiva fragilità psicologiche pregresse).
2. Quali prevedete possano essere le conseguenze a medio e lungo termine?
E’ difficile prevedere le reali conseguenze a lungo temine di questo momento storico. Attualmente ci rendiamo conto, anche nella nostra attività clinica, che questa situazione di isolamento sociale e di paura ha esacerbato (soprattutto nelle famiglie meno fortunate da un punto di vista socioeconomico, dove gravano disagi psichici noti o misconosciuti, o pregresse problematiche relazionali interne) disturbi psicologici e comportamentali anche severi.
3. Quali “strategie di sopravvivenza” domestica si sono rivelate migliori durante il periodo del lockdown? Quali gli elementi di rischio e quali quelli di forza all’interno delle famiglie?
La World Health Organization[1] e l’Unicef[2] (per i bambini) avevano stilato a inizio della pandemia dei suggerimenti per affrontare il confinamento forzato. Sicuramente cercare di stare assieme bene in famiglia, impiegando del tempo per intrattenersi, provando a distogliere l’attenzione da notizie sul virus è la prima cosa da fare. Cercare di scandire i ritmi della giornata, fare esercizio fisico regolarmente, mangiare sano e trovare delle abitudini regolari (anche nell’andare a dormire) sono le regole d’oro per la “sopravvivenza domestica”. Questo, è stato anche quanto emerso dalla nostra indagine, dove chi ha avuto meno tempo per mettere in atto queste strategie, sono stati proprio i genitori dei bambini più piccoli, che hanno dovuto lavorare, gestire i bimbi a casa ed occuparsi dei nonni (categorie a rischio), nello stesso tempo.
4. Pochi mesi dopo la vostra indagine, a novembre, uno studio pubblicato sulla rivista Psychiatry Advisor[3] ha evidenziato che i bambini e gli adolescenti che svolgono più ore di attività nella “vita reale” sono più soddisfatti della propria vita, più ottimisti e in sostanza più felici, mentre quelli che trascorrono più tempo davanti agli schermi hanno livelli superiori di ansia e depressione. Avete rilevato anche voi questa correlazione, anche nel periodo precedente la pandemia?
Abbiamo letto l’articolo non appena uscito, davvero interessante. Dice tante cose che sarebbero dovute essere ribadite anche prima e dovrebbero esserlo ancora di più ora.
Sicuramente, come già hanno mostrato anche studi su animali, l’attività fisica e ludica, svolta insieme ai propri pari, è in grado di far produrre “neurotrasmettitori” benefici per la nostra salute psico-fisica, in modo nettamente maggiore che se eseguita in solitudine.
Il nostro studio non prendeva strettamente in considerazione questi aspetti, anche se fondamentali, perché abbiamo cercato di avere informazioni a largo raggio su adulti e loro figli e non volevamo che il questionario durasse troppo tempo. Sicuramente il confinamento ha messo un freno a mano forzato a quelle attività della “vita reale” che colorano l’esistenza umana e fanno crescere, oltre a rendere più felice. Ci sarà da lavorare in questo senso (nel favorire gli incontri, quelli in carne ed ossa), cercando di rispettare comunque le norme di prevenzione pubblica di contenimento dei contagi.
5. In questo periodo quanto e come la socialità a distanza ha saputo supplire alla assenza della socializzazione in presenza? Ci sono differenze nell’utilizzo dei social da parte dei ragazzi rispetto a prima della pandemia?
Sicuramente le videochiamate via Zoom e Skype, gli eventi in streaming su piattaforma digitale (Facebook, Instragram, Youtube...) possono aver dato un certo grado di beneficio, che è stato osservato anche nel nostro studio. Dall’altro lato, un utilizzo improprio dei socials per restare iperconnessi ha dato l’effetto contrario, anche nel nostro campione (per quanto riguarda i ragazzi e adolescenti tra i 6 ed i 18 anni di cui i genitori hanno descritto i cambiamenti comportamentali nella nostra intervista). Questo è un po’ quello che sta raccontando anche la letteratura di questi mesi: se da una parte potersi connettere agli altri dà un senso di appartenenza, dall’altro può anche generare alienazione; così come l’utilizzo della tecnologia e dell’informazione può avvicinare chiunque alle recenti innovazioni, dall’altro può aumentare sentimenti di frustazione ed impotenza, portando anche a sviluppare sintomi ansioso-depressivi, anche nei più giovani.
6. Il lockdown ha imposto anche agli adolescenti che trascorrevano poco tempo in casa di “rimanere in famiglia”, e tutt’ora la socialità con i gruppi dei pari è fortemente limitata per le restrizioni agli incontri. A me pare che l’isolamento abbia un impatto diverso su un adulto, un bambino e un adolescente, perché le relazioni sociali degli adulti si sono costruite nel tempo e dunque possono meglio resistere ad un momentaneo allentamento dei rapporti; quelle dei bambini sono in fase di sperimentazione, anche se forse sono ancora legate in prevalenza alla famiglia, mentre per gli adolescenti questo è il momento in cui tutto succede. Vi domando, quindi, quali sono per i bambini e gli adolescenti gli effetti di un periodo così lungo di deprivazione sociale?
Riteniamo che lei abbia toccato molti spunti interessanti. Da un lato, è vero che i bambini più piccoli potrebbero avere risentito meno dell’aspetto di deprivazione sociale, ma sicuramente hanno vissuto molto i sentimenti e le emozioni dei loro genitori (mai come in questo periodo i bambini hanno respirato “l’aria che tira” in casa). Pertanto, l’esperienza dei più piccoli è stata fortemente e inevitabilmente correlata con la modalità di reazione familiare al confinamento. Per quanto riguarda invece gli adolescenti, la traiettoria è stata sicuramente diversa. L’adolescenza è il momento di differenziazione di un individuo che, distaccandosi dalle idee di riferimento del gruppo parentale e familiare, intraprende il suo processo di individuazione. Sicuramente i vari socials (Whatsapp, Instagram, e tanti altri che adesso vanno di moda tra i preadolescenti e gli adolescenti e di cui nemmeno conosciamo il nome) possono aver aiutato a supplire una carenza di esperienze ed affettiva. Gli adolescenti infatti sembrano un mondo a parte, in grado di fare coesione e gruppo tra pari. Tuttavia, i ragazzi più isolati o provenienti da contesti familiari più sfavorevoli o che già prima dello scoppio della pandemia presentavano fragilità psicologiche sono stati sicuramente penalizzati da questo momento storico. C’è chi, tra questi ultimi, ha sofferto molto (i ricoveri per urgenze psicologiche nel nostro reparto sono raddoppiati, per non parlare del numero di accessi in pronto soccorso) e chi invece ha mantenuto una apparente condotta di comfort durante questo isolamento sociale. E’ possibile che in quest’ultima situazione abbia svolto un ruolo anche la paura dell’altro e del nuovo. Ne verificheremo gli effetti nel momento di normalizzazione della regolamentazione sociale.
Nel nostro campione, dove è possibile che abbiano riposto i genitori più in difficoltà, i cambiamenti comportamentali nella fascia 6-18 sono stati osservati, come menzionavamo prima, ad ampio raggio.
7. La fortissima pressione sui ragazzi in questo periodo per “restare a casa” e dunque con i genitori può avere avuto un effetto dannoso sulla loro capacità di acquisire e costruire la loro indipendenza? Quali possono essere le conseguenze? E quali spazi di intimità e autonomia è possibile e sano offrire ai bambini e a ai ragazzi anche in questa fase?
Siamo comunque fiduciosi nella forza dell’adolescenza e degli adolescenti. Sarà stato e sarà faticoso, ma pensiamo che i ragazzi sapranno cogliere da questa esperienza forze per il futuro. Certo, tutto ciò dipende anche dalla loro maturità e dall’ambiente familiare, nonchè dal substrato culturale. Anche pur restando in casa è comunque necessario mantenere un giusto compromesso tra indipendenza e osservanza delle regole; questo per tutti, grandi e piccini.
8. Questa domanda sono, in realtà, due domande. I genitori e chi si occupa di bambini e adolescenti si chiedono come ha influito sui ragazzi l’allontanamento dal luogo fisico della scuola e dalla vita comunitaria, e come influirà nel lungo periodo per quelli che ancora devono frequentare le lezioni a distanza. La prima domanda dunque è se ci saranno problemi a medio e lungo termine per l’apprendimento e l’educazione a stare insieme.
Sono consapevole però anche della complessità e varietà delle diverse possibili situazioni. Ad esempio, la stragrande maggioranza dei bambini e dei ragazzi chiede a gran voce di poter tornare in classe, ma una cara amica che insegna in un liceo mi ha raccontato che alcuni studenti, che a scuola rimanevano abitualmente in disparte, nel lockdown hanno inaspettatamente cominciato a partecipare alle lezioni e a interagire con i compagni e gli insegnanti molto vivacemente (lei ha detto che sono “rinati”).
In questo caso, quali sono i meccanismi che possono spiegare il cambiamento?
La mancanza della scuola in questi mesi è sicuramente un costo che stiamo pagando e pagheremo tutti come società. Non è pensabile che un anno tra le mura di casa sia paragonabile a quello che accade tra i banchi di scuola, non solo a livello di apprendimento ma soprattutto per quel che riguarda la quantità di esperienze che la scuola porta con sé (il rapporto con i pari, quello con altri adulti differenti da quelli circolanti attorno al proprio nucleo familiare, la varietà di culture e la crescita stessa delle autonomie individuali). Ora la scuola deve adattarsi a questi tempi e trovare una didattica alternativa, che non sia solo frontale (così come spesso avviene anche in modalità “didattica a distanza”) ma che consenta di sviluppare il più possibile l’interazione, la discussione e che, ancor più di prima, cerchi di infondere nei ragazzi il piacere del sapere, della ricerca, anche autonoma, del sapere. In questo modo, quando potremo ritornare a una situazione “normale”, i nostri ragazzi potranno avere anche forse risorse in più.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, riguardante i ragazzi più “isolati”, questi probabilmente messi in una condizione di comfort come quella delle mura domestiche (dove sono meno giudicati per l’aspetto fisico, il loro modo di essere o di vestire) potrebbero in effetti essere stati avvantaggiati da una didattica a distanza. Si tratta comunque di un risultato, di cui però non bisogna accontentarsi: bisognerà controllare che questi ragazzi restino agganciati all’interno del gruppo, pur mantenendo la propria individualità ed unicità.
9. Secondo voi, ci sono state differenze nell’utilizzo dei social da parte dei ragazzi rispetto a prima della pandemia? E la socialità a distanza ha saputo supplire alla mancata socializzazione in presenza? Lo domando anche perché mi è stato suggerito che forse le maxirisse dei ragazzi delle settimane scorse potrebbero essere in qualche modo correlate con le limitazioni sociali dovute alla pandemia. È possibile che l’assuefazione ad una socialità virtuale renda meno empatici i bambini e gli adolescenti? E in questo caso, quali sarebbero i rischi per i singoli e per la collettività?
Come spiegavamo prima, sicuramente in parte i social hanno supplito. Ma non potrà essere così per sempre. Sicuramente i ragazzi ora sono abituati, si sono organizzati quindi in media potrebbe esserci un utilizzo più consapevole; dall’altro lato però sono anche stanchi e questo ha generato molto più malumore ed apatia, anche nel cercare l’altro a distanza.
Quanto alle vicende di cronaca legate alle maxirisse, crediamo più che altro che le persone non siano abituate a sentire la propria libertà limitata. Siamo tutti figli di una società che non ci ha insegnato il diniego ed il sacrificio e culturalmente siamo abituati, noi occidentali, ad avere un sufficiente margine di scelta. Ciò può aver aumentato i livelli di rabbia ed esplosività in alcuni gruppi di adolescenti. È sottile comunque parlare di assuefazione alla socialità virtuale e di riduzione dell’empatia. Uno studio interessante di Tomova ed altri[4], uscito in parallelo con l’inizio del confinamento, spiegava che l’isolamento porta a dei meccanismi simili alla fame, attivando circuiti molto ancestrali. Senza dilungarci oltre sulla biologia e le neuroscienze di questo tipo di fenomeni, è possibile che questo periodo di isolamento del primo “lockdown” abbia avuto i suoi effetti.
10. Infine, una domanda specifica sui bambini: la rappresentazione della vicinanza fisica come fonte di pericolo dal quale guardarsi, in una fase evolutiva nella quale si sperimenta e si incontra il mondo, rischia di avere delle conseguenze sulla loro capacità di avvicinarsi e fidarsi dell’altro? Quali sono le strategie per evitare che questo accada?
I bambini fanno tendenzialmente quello che i genitori insegnano loro. La rappresentazione della vicinanza fisica come fonte di pericolo è un problema che andrà affrontato, ma crediamo non per tutti. Ci sarà da rinsegnare ad alcuni bambini a non avere paura dell’altro. E come società dovremo essere pronti a questo passo.
Grazie!
Grazie a voi. Speriamo che questo possa essere spunto per nuove strategie di intervento anche ad alti ranghi!
Lino Nobili (professore ordinario di neuropsichiatria infantile presso l'Università di Genova)
Sara Uccella (dottoranda presso l’Università degli Studi di Genova su un progetto di ricerca su sonno, prematurità e sviluppo psichico)
[1] https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/mental-health-considerations.pdf
[2] https://www.unicef.org/serbia/en/how-cope-new-situation-during-COVID-19-epidemic
[3] https://www.psychiatryadvisor.com/home/topics/child-adolescent-psychiatry/real-life-activities-lead-to-happier-teens/
[4] https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2020.03.25.006643v1