Il dialogo Habermas-Günther riletto dalla cultura giuridica italiana, parte prima.
Intervista di Roberto Conti a Gaetano Silvestri
Giustizia insieme, dopo avere ospitato il confronto fra Habermas-Günther messo a disposizione dal settimanale tedesco Die Zeit, nella sua versione italiana - Jürgen Habermas e Klaus Günther Diritti fondamentali: “Nessun diritto fondamentale vale senza limiti”- ha deciso di promuove un dialogo a distanza fra i due pensatori tedeschi e la cultura giuridica italiana.
Questo ciclo di approfondimenti è oggi inaugurato dal presidente emerito della Corte costituzionale Gaetano Silvestri, che ha risposto ad alcune sollecitazioni rivolte a rendere chiari ed accessibili temi delicati e complessi, quali quelli del bilanciamento fra i diritti fondamentali, del rango e ruolo del diritto alla vita rispetto alla dignità e della posizione assunta dal giudice, costituzionale e comunale, nell’attività di protezione di tali principi, non già attribuiti dall’ordinamento che anzi li trova già nel sistema e si limita a garantirli ed a renderli effettivi, efficaci, non di carta.
Le risposte del presidente Silvestri costituiscono un efficace passepartout per la comprensione e soluzione dei casi che potranno porsi all’attenzione del giudice, offrendo altresì una visione d’insieme su tematiche che, pur destinate a riproporsi in contesti nazionali ed ordinamentali diversi, trovano poi possibilità di approfondimento e soluzioni spesso non dissimili, a volte in ragione della condivisione di massima di quegli stessi principi da parte di popoli, com'è il caso della Germania e dell'Italia.
Silvestri insiste sulla centralità delle tecniche del bilanciamento e della proporzionalità, essendo il nostro il tempo della continua ricerca di un punto di equilibrio fra principi e diritti fondamentali.
In questo contesto il conflitto fra vita e dignità si trasforma in un'operazione di inarrestabile ricerca di equilibrio rispetto al quale la dignità, secondo Silvestri, va intesa come "punto archimedico" del sistema che si alimenta di tutti i diritti, ma non può essere mai compressa o graduata per fare spazio ad altri principi. Dunque mai la dignità potrà subire una compressione rispetto agli altri principi fondamentali. Ritorna qui lo spunto offerto da Habermas e Günther rispetto al quale erano emerse differenze non marginali fra i due pensatori.
Come che sia, la ricerca dell’equilibrio fra i diritti fondamentali passa, dunque, attraverso l’uso e la sperimentazione dei canoni del bilanciamento "dinamico" e della proporzionalità – entrambi accomunati dal concetto di equilibrio che definisce il nucleo dello Stato costituzionale – sottolinea in modo lapidario Silvestri, mai potendo un diritto fondamentale totalmente soccombere in funzione di un altro.
In questa prospettiva si inserisce il tema della interruzione volontaria della gravidanza - che ha visto per mera coincidenza pronunziarsi in un medesimo torno di tempo la Corte costituzionale tedesca e quella italiana- e, ancorra una volta, quello della centralità delle tecniche di bilanciamento, valorizzando peraltro i tratti comuni delle soluzioni offerte più che le differenze. Che vi sia, del resto, una ben profonda volontà di perseguire tecniche processuali collaborative fra dette Corti, del resto, non ha mancato di sottolineare la Presidente della Corte costituzionale Cartabia quando ha ricordato che la scelta di limitare gli effetti di consueta retrattività delle sentenze di incostituzionalità in ragione del bilanciamento con altri principi sia "affine" a quella maturata in Germania, ove le pronunce di «mera incompatibilità» si sono affermate nel caso in cui l’annullamento della legge produrrebbe una situazione ancora più in contrasto con la Costituzione, oppure nei casi in cui per rimediare al vizio di incostituzionalità non è sufficiente rimuovere la disposizione impugnata, ma occorre un intervento positivo del legislatore e si prospetta una pluralità di soluzioni per rimediare all’illegittimità costituzionale - cfr., Relazione sull’attività della Corte costituzionale nel 2019 -p.3.2.3-. Una prospettiva di complementarietà fra i due ordinamenti poliedrica rispetto ai vari settori del diritto e che anche di recente si è resa manifesta nel considerare con estrema attenzione alcune questioni esaminate dal Tribunale costituzionale tedesco- v., ad es., F. Viganò, La tutela dei diritti fondamentali della persona tra corti europee e giudici nazionali, in Quad.cost., 2, 2019, spec. 493 ss. e, di recente, su questa Rivista, G. Tesauro, Dove va l’Europa dei diritti dopo la sentenza del Tribunale costituzionale tedesco federale sul quantitative easing -
Un tempo dunque nel quale la "complessità" - sulla quale pure ritorna in modo efficace Salvatore Aleo nel saggio pubblicato da Giustizia insieme - Il modello dello Stato di diritto e l’epistemologia della complessità- può governarsi solo se si maneggiano con cura ed attenzione i materiali normativi e la giurisprudenza. Nel descrivere tale fenomeno Silvestri persuade quando insiste sulla necessità che i parametri utilizzati dai giudici comprendano oltre che la Costituzione anche le Carte dei diritti sovranazionali.
In questo senso, la prospettiva “universale” alla quale ha fatto cenno Silvestri merita particolare attenzione anche per il giurista, inevitabilmente orientandone l’attenzione e lo studio verso il fenomeno (ormai imprescindibile) della comparazione praticata non solo dalla scienza giuridica ma, altresì, dalla giurisprudenza. Prospettiva tutt'altro che in discesa, proprio in relazione alla possibile presenza di diversità di linguaggi giuridici per affrontare la quale occorrerà capacità di fertilizzazione e di integrazione da parte degli interpreti rispetto alle Carte dei diritti fondamentali. Qui l'invito di Silvestri a superare un approccio ed un metodo razionalistico non può essere lasciato cadere ma, anzi, va raccolto e compreso nel suo reale significato. Un approccio che reclama, ancora una volta, un giurista non chiuso nella torre eburnea, ma continuamente pronto a mettersi in discussione, lontano da un approccio di superiorità ed invece vicino ad una logica di ascolto vero, autentico della complessità crescente e di servizio verso la persona.
Malgrado i tempi appaiano oggi plumbei per l'immagine esterna della giurisdizione le risposte di Silvestri sembrano volere restituire il valore e la dignità alla funzione giudiziaria purchè essa riesca ad essere ed apparire autorevole, responsabile ed indipendente da quelle forze esterne ed interne che potrebberodi offuscarne il prestigio.
Da qui l’auspicio finale che Silvestri scolpisce nell'ultima risposta invitando i magistrati a non rifugiarsi nel rassicurante positivismo per sfuggure la complessità ma piuttosto a sperimentare l'interpretazione responsabile al servizio della protezione dei diritti fondamentali.
Qui il pensiero di Silvestri si incrocia, commendevolmente, con quello di un altro giurista e intellettuale del nostro tempo quando Renato Rordorf non ha mancato di sottolineare che le preoccupazioni e perplessità per un approccio “principialista”, dovute all’ampiezza del margine di discrezionalità entro il quale l’interpretazione giuridica si muove possono superarsi solo attraverso “...un elevato grado di consapevolezza e senso di responsabilità da parte dell’interprete, che deve pur sempre sapersi misurare con il limite oltre il quale si rischia di sconfinare nel soggettivismo e nell’arbitrio (e qui si potrebbe aprire un discorso sul valore dello stare decisis, che condurrebbe però troppo lontano) e deve motivare con onestà intellettuale le proprie scelte.- R.Rordorf in G. Canzio, G. Luccioli, E.Lupo, R.Rordorf, Diritti fondamentali e doveri del giudice di legittimità, in questa Rivista, 19 giugno 2019-.
Sarà probabilmente questo il futuro terreno di confronto fra diritto vivente e comunità scientifica, rispetto al quale occorre ben attrezzarsi.
Grazie Presidente Silvestri.
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1. Presidente Silvestri, nel dialogo fra Habermas e Günther, che si inserisce nel contesto dei problemi che hanno sconvolto anche la Germania nel secondo conflitto mondiale, ritorna più volte il tema del bilanciamento fra il diritto alla vita e altre libertà fondamentali che, in nome della dignità umana, potrebbero giustificare un sacrificio della prima, purché ciò avvenga nel rispetto del principio di proporzionalità. Nel nostro ordinamento possiamo dire che i termini del dibattito sono sovrapponibili a quello tedesco ovvero assumono connotati in parte diversi?
Credo che la problematica sia universale, almeno tra i popoli che si riconoscono nei valori che stanno alla base dei princìpi dello Stato costituzionale – che ormai tende ad espandersi, anche se in modo irregolare, in tutto il mondo – contrassegnato dalla priorità della persona sull’autorità. Vi possono essere poi accentuazioni diverse, come dimostra l’art. 1 della Costituzione tedesca. Le ragioni storiche sono troppo evidenti per doverle ancora ribadire.
2.Habermas e Günther discorrono in modo animato sulle dichiarazioni rilasciate dal Presidente Wolfgang Schäuble, secondo il quale Se c'è un valore assoluto ancorato nella nostra Costituzione, è la dignità delle persone, che è intoccabile. Ma questo non esclude che dobbiamo morire”. Sullo sfondo, ancora una volta, il tema della congruità e proporzionalità di misure restrittive delle libertà o rivolte a creare presidi sanitari che potessero garantire chances di guarigione ai malati. La tutela della vita nel nostro sistema è collegata ad un mero riconoscimento della sua esistenza o merita, invece, condotte attive dello Stato tese a garantirne in maniera effettiva la protezione. E se sì, in che misura e grado?
La dignità è, per così dire, il “punto archimedico” dell’ordinamento costituzionale delle democrazie pluralistiche contemporanee. Rappresenta la sintesi dei valori fondamentali intangibili, anche se bilanciabili. Per questo motivo la dignità non è, a sua volta, bilanciabile, giacché ogni bilanciamento tra diritti fondamentali dovrebbe tendere alla somma zero, se operato in modo rigoroso secondo un criterio di proporzionalità. Naturalmente, poiché non parliamo di entità corrispondenti a numeri, i risultati presentano sempre margini di opinabilità. Non mi sembra corretto contrapporre, in funzione di bilanciamento, vita e dignità. La vita è presupposto di tutti i diritti; poiché la dignità è sintesi dei diritti, la vita è presupposto anche della dignità. Tuttavia anche il diritto alla vita è bilanciabile, ma, poiché nelle operazioni di bilanciamento non trova posto il sacrificio totale di uno dei diritti messi a confronto, nessuna autorità ha il potere di decidere la soppressione di un essere umano. Il bilanciamento può portare, al massimo, a gradi diversi di esposizione al rischio di perdere la vita (poliziotti, cittadini in armi per la “difesa della Patria”, ex art. 52 Cost., etc.). Nessuna legge invece, neppure di rango costituzionale, potrebbe imporre il sacrificio, anche parziale, della dignità. Non avrebbe alcun senso una “graduazione di dignità” tra le persone umane. Ovviamente lo Stato ha il dovere di porre in essere tutte le “condotte attive” possibili per proteggere sia la vita che la dignità. Se queste condotte implicano la limitazione di qualche diritto fondamentale, vale, come ho detto prima, il criterio di proporzionalità, nel rispetto, ben s’intende, della riserva di legge.
3.Ed il bilanciamento è davvero la chiave di soluzione dei conflitti fra i diritti fondamentali o ci sono altri percorsi, altre vie, che muovono dalla conformazione dei singoli diritti fondamentali, per risolvere i casi di ipotetico conflitto?
I diritti fondamentali non nascono limitati dal legislatore, che non li “concede” secondo misure prefissate, ma li “trova” nel bagaglio storico-culturale di un popolo e li bilancia nel contesto del pluralismo e delle risorse disponibili. Per questo motivo, il bilanciamento non è statico, ma dinamico; esso muta nel tempo, con l’evoluzione della coscienza sociale e le variazioni della ricchezza collettiva. Pur consapevole che non conduce a risultati indiscutibili, non conosco metodi migliori del bilanciamento per risolvere i casi difficili.
4. Il bilanciamento e la proporzionalità sono tornati ormai di frequente nel linguaggio dei decisori politici e dei giuristi per valutare le misure via via adottate per contenere la diffusione del coronavirus. Si tratta di canoni che attengono soltanto alle scelte del legislatore ovvero appartengono anche al giudice costituzionale ed al giudice comune nell’esercizio delle funzioni ad essi riservati ed in che misura?
Bilanciamento e proporzionalità sono tecniche comuni – ciascuno nel proprio ambito di competenza – a legislatore e giudice costituzionale. Entrambi si riallacciano al concetto di “equilibrio”, fondamentale in una democrazia pluralista retta da istituzioni improntate alla separazione dei poteri. La finalità è quella di evitare la “tirannia dei valori”. In questo quadro, l’indirizzo politico nasce dalla combinazione e dal dosaggio di valori e princìpi tutti iscritti nell’orizzonte costituzionale.
5. Quando entrano in competizione diritti fondamentali dello stesso tipo – si pensi al diritto alla vita di malato che non viene ammesso alla terapia intensiva per la scarsità dei presidi ospedalieri che inducono a preferirgli altro malato in base a criteri di natura etica o scientifica – la scelta del decisore si basa sul bilanciamento o su cosa altro?
Il bilanciamento non può mai giungere – come dicevo prima – sino alla soppressione radicale di un diritto fondamentale, né mai può intaccare la dignità umana. Il bilanciamento non esclude tuttavia, a mio avviso, che si possano “pesare” valori e princìpi, con decisioni di cui si porta, quanto ai criteri prescelti, la responsabilità, altro concetto che, assieme ad equilibrio, definisce il nucleo dello Stato costituzionale. Se ogni volta che si confrontano diritti in potenziale o attuale collisione, si dovesse necessariamente arrivare alla conclusione della radicale esclusione di uno di essi, la democrazia pluralista durerebbe ben poco. Un bilanciamento con esito finale di arretramento puro e semplice di uno dei diritti in confronto, sarebbe una ricerca dell’assoluto rinviata. Non appartiene alla mia cultura.
6. Costituzione italiana, Costituzione tedesca e Carta dei diritti UE parlano allo stesso modo di dignità umana?
Tendenzialmente sì, anche se i linguaggi possono essere diversi. Occorre esercitarsi nella “traduzione” da un linguaggio ad un altro. Se si individuassero delle discordanze, politica e giurisdizione dovrebbero impegnarsi a trovare le vie dell’integrazione, anche attraverso una incessante “fertilizzazione” reciproca. Cosa che avviene nella realtà, anche se in modo irregolare e, ovviamente, non programmato. Sarebbe bene – specie per il giurista, ma non solo per lui - guardarsi dalla tentazione di ingabbiare la storia in linee di sviluppo costruite in astratto con metodi razionalistici.
7. Bundesverfassungsgericht, 25 febbraio 1975 -sulla quale si confrontano Habermas e Günther-, e Corte cost.n.27/1975: quali affinità e quali differenze fra Italia e Germania sulla tutela della vita del nascituro?
Le sentenze delle Corti costituzionali italiana e tedesca citate nella domanda sono dimostrazioni pratiche della natura dinamica e relativa del bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali posto a base della maggior parte dei giudizi di costituzionalità. Le motivazioni delle due sentenze del 1975 (tedesca e italiana) escludono che si possa parlare di mero “arretramento” di un diritto di fronte ad un altro. Nella sentenza tedesca del 1975 (BVerfGE 39, 1) si parte dal riconoscimento del diritto alla vita del nascituro e dal rigetto della graduabilità in base al decorso del tempo, per giungere però al suo bilanciamento con il pericolo di vita per la madre o di seria menomazione della sua salute. La soccombenza rispetto al diritto alla vita del nascituro è stata dichiarata dalla Corte germanica soltanto in comparazione con il solo diritto all’autodeterminazione della madre, il cui illimitato riconoscimento avrebbe determinato il sacrificio radicale del diritto alla vita del nascituro. Un percorso analogo ha seguito la Corte italiana (sentenza n. 27/1975), che non ha riconosciuto un indiscriminato diritto all’aborto, ma ha inteso operare, a sua volta, un bilanciamento tra il diritto alla vita del nascituro e la salute, fisica e psichica, della donna. Sul merito delle decisioni citate non mi pronuncio, trattandosi di materia complessa, che richiederebbe un’ampia trattazione apposita, fuor di luogo in questa sede. Peraltro il Tribunale costituzionale tedesco ha emesso un’altra pronuncia, nel 1993, in cui ha variato in parte i criteri di bilanciamento, che sarebbe troppo lungo commentare in questa sede. Mi basta dire che nessuna di esse ha proclamato la completa prevalenza di un diritto su un altro. Vi sarebbe stato o il divieto senza eccezioni o la completa libertà di abortire, soluzioni entrambe, a mio modesto avviso, in contrasto con le rispettive Costituzioni nazionali, nonché con le Carte dei diritti europee.
8. La dignità approda nella legge n.217/2019 quando proclama che essa tutela “il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona”. Una tecnica che sembra enunciare diritti fondamentali posti sullo stesso piano e dunque tutti bilanciabili. Ma è davvero così?
Ripeto: i diritti sono tutti bilanciabili, anche se, per poterlo fare, occorre pesarli. Non si tratta di una “pesatura” astratta e assoluta, ma concreta e relativa; un diritto pesa più o meno, a seconda del concreto rapporto in cui si trova, in una situazione data, con uno o più altri diritti. La discrezionalità, scacciata dalla porta, rientra dalla finestra. L’illusione di trovare la “verità oggettiva” o è frutto di ideologia (nel senso marxiano di “falsa coscienza”) oppure è effetto di una tendenza alla semplificazione, che confina con l’irrazionalismo. Non si tratta di questioni che possano essere risolte con un “tutto o niente”. Si aprirebbe la strada a lacerazioni etiche e sociali molto gravi. Le verità assolute le lascerei agli orrori del XX secolo. Anche le religioni che, per loro natura, si nutrono di assoluto, devono accettare il principio della tolleranza, di volterriana memoria.
9. La dignità ha mille volti e si sente un bisogno estremo di dignità, una fame di dignità. Ma cos’è per il giudice, costituzionale e non, la dignità: un’ancora, una scialuppa, un salvacondotto per intraprendere una scelta interpretativa ardua, un falso amico o cos’altro?
La dignità è la bussola che orienta la difficile navigazione nell’arcipelago irregolare e irto di insidie del pluralismo e dell’inevitabile bilanciamento dei princìpi e dei diritti. Di fronte alla tremenda responsabilità che ricade, oltre che sui legislatori, anche sui giudici, per effetto delle scelte riguardanti punti di equilibrio in continuo cambiamento, a poco varrebbe, per i giudici, la fuga in un rassicurante positivismo, che solo in apparenza esclude la discrezionalità, ma in realtà la nasconde dietro formule rituali difficilmente decifrabili dai “profani”. Spesso quanto è negato al bilanciamento è concesso all’interpretazione.