Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il lavoro tramite piattaforma: genesi, modelli e criticità. – 3. La Direttiva (UE) 2024/2831. – 3.1. Ambito di applicazione e presunzione di subordinazione. – 3.2. La gestione algoritmica e la tutela dei dati personali. – 4. Considerazioni conclusive.
1. Introduzione
Parafrasando Sergio Ortino si può dire che la pervasività della digitalizzazione nelle società contemporanee ci pone innanzi a un’“appropriazione microcosmica delle nostre vite”[1]: la sfera privata degli individui viene trasferita e frammentata all’interno di piattaforme che raccolgono dati, condizionano le decisioni e, in ultima analisi, influenzano la formazione della volontà politica.
Dal punto di vista del diritto, questa transizione pone il problema della discrasia tra l’utilizzo quotidiano delle piattaforme digitali e una loro ancora scarna regolazione, che induce a riflettere sulla tenuta dei modelli di tutela dei diritti fondamentali. Nell’ambito di questo fenomeno, il presente studio intende concentrare l’attenzione sulla tutela del lavoratore digitale nel contesto del cosiddetto lavoro tramite piattaforma[2].
In particolare, obiettivo di questo contributo è analizzare la Direttiva (UE) 2024/2831 del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali, valutandone la portata innovativa e il suo potenziale armonizzatore rispetto ai diversi ordinamenti degli Stati membri. In questa prospettiva, si è scelto di non affrontare le più ampie e complesse questioni relative alle politiche sociali dell’Unione, che da sempre incontrano la resistenza degli Stati membri, in ragione della natura di competenza concorrente della materia ai sensi dell’articolo 4 TFUE[3]. Tale delimitazione metodologica risponde all’esigenza di focalizzare l’attenzione sulla costruzione giuridica e sistematica della direttiva[4], considerata come tappa significativa nel percorso di affermazione di un diritto europeo del lavoro digitale.
2. Il lavoro tramite piattaforma: genesi, modelli e criticità
Nel contesto dell’attuale rivoluzione digitale, il progressivo cambiamento del lavoro umano nell’interazione con la macchina esprime una domanda di tutela rinnovata, in un contesto storicamente assimilabile al passaggio alla società industriale nella seconda metà dell’Ottocento. Quella trasmigrazione dalle botteghe artigianali e dalle campagne al lavoro in fabbrica, che, offrendo una risposta più ampia alla domanda di occupazione, aveva visto costituirsi una classe operaia esposta a condizioni e rischi diversi da quelli conosciuti prima, è concettualmente assimilabile al peso che il lavoro digitale viene assumendo nel tempo presente[5], creando forme di impiego diverse rispetto a quelle tradizionali e conseguente incertezza sulla protezione sociale e i diritti dei lavoratori interessati.
Il punto di scansione storica fondamentale può considerarsi la crisi economico-finanziaria del 2008. È in risposta ad essa che invero è venuto consolidandosi il modello della c.d. gig economy, un sistema di libero mercato nato dall’intuizione di sfruttare le piattaforme digitali per mettere in comunicazione domanda e offerta di lavoro, così creando una nuova modalità di scambio di beni e servizi: il lavoro tramite piattaforma, mediante la quale un utente che richiede un bene o un servizio viene connesso in tempo reale con un altro in grado di fornirlo[6].
Il modello si declina principalmente in due forme: il crowdwork e il lavoro on-demand tramite app. Nel primo caso, reclutamento, gestione e prestazione lavorativa avvengono interamente online, attraverso piattaforme che connettono un numero indeterminato di committenti e prestatori. Nel secondo, invece, solo la fase di reclutamento e gestione si svolge digitalmente, mentre la prestazione è fisica e personale, come accade per i ciclofattorini del settore del food delivery[7].
Tale sistema presenta innegabili vantaggi. La tecnologia riduce drasticamente i costi di intermediazione tra datore e lavoratore, facilita la selezione e l’incontro tra domanda e offerta e consente ai consumatori di soddisfare più rapidamente i propri bisogni. La sua diffusione capillare è inoltre favorita da una marcata flessibilità, che permette di integrare tali attività con altri impieghi, offrendo nuove opportunità di guadagno, contribuendo, almeno in parte, alla riduzione della disoccupazione e incidendo altresì positivamente sul lavoro scoraggiato[8].
Queste nuove forme di lavoro, tuttavia, presentano il problema di impiegare i lavoratori solo su base saltuaria, come del resto indica la stessa locuzione gig economy, tradotta in italiano con “economia dei lavoretti”. Il termine “gig”, infatti, contrazione di “engagement”, richiama uno slang utilizzato nel mondo della musica, coniato dai jazzisti statunitensi nei primi decenni del secolo scorso, e traducibile in italiano col significato di “serata”, “esibizione”, “ingaggio”. Il riferimento è alle prestazioni occasionali che vedono i musicisti scritturati per eventi che non richiedono particolari competenze, essendo piuttosto basati sulla capacità di improvvisazione nell’eseguire i brani. Il musicista, quindi, ingaggiato senza molte formalità e con compensi esigui, potrebbe essere reimpiegato o meno senza poterlo predeterminare, proprio come avviene per i gig workers, impiegati e retribuiti per ogni singolo incarico, che viene loro assegnato senza bisogno di specifiche competenze per eseguirlo, trattandosi invero di mansioni mediamente comuni, come l’attività di consegna.
L’altro lato della medaglia del lavoro tramite piattaforma, quindi, è la sostanziale mancanza di protezione sociale[9], oltre all’aumento della precarizzazione che esso produce in ragione dell’instabilità dei contratti di lavoro[10].
A ciò si aggiunge il problema della gestione algoritmica del rapporto di impiego[11]. Sebbene le piattaforme facciano capo a grandi realtà industriali del calibro di Foodora, Uber, Glovo, Deliveroo, tutte le scelte inerenti alle carriere dei gig workers sono assunte dagli algoritmi alla base del funzionamento della piattaforma, che decidono processando dati.
Dati che, da un lato, vengono inseriti nei software in sede di programmazione a opera degli addetti incaricati dalle imprese. E questo pone elementi di criticità, poiché senza adeguati sistemi di controllo che verifichino l’obiettività e la non discriminatorietà di quanto inserito, le scelte dell’algoritmo rischiano di rivelarsi a loro volta discriminatorie e non obiettive[12].
Dall’altro, si tratta di dati ricavati da informazioni come la presenza del lavoratore sulla piattaforma, misurata dal tempo trascorso on-line collegato ad essa, o le recensioni espresse dai fruitori (il c.d. rating reputazionale). Senza una supervisione umana, tuttavia, l’algoritmo è chiaramente inabile a distinguere tra le diverse sfumature di queste informazioni[13]. Peraltro, siccome la decisione algoritmica gestisce il rapporto a cominciare dall’assegnazione degli impieghi fino alle sanzioni, incluso il licenziamento che avviene cancellando il profilo del lavoratore dalla piattaforma[14], il rischio di non individualizzare i dati a seconda delle singole situazioni è altresì quello di vanificare gli effetti positivi sull’occupazione, poiché la rigidità degli standard richiesti può tradursi in un’ulteriore barriera all’entrata[15].
Tale scenario pone in evidenza la necessità di un rinnovato sforzo regolativo volto a ricomprendere il lavoro tramite piattaforma entro una cornice giuridica capace di coniugare innovazione tecnologica e garanzie fondamentali, evitando che la flessibilità economica si traduca in deregolazione sociale.
3. La Direttiva (UE) 2024/2831
Con l’adozione della Direttiva (UE) 2024/2831, approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 23 ottobre 2024 ed entrata in vigore il primo dicembre dello stesso anno, l’Unione europea compie un passo di importante rilevanza sistemica nel tentativo, per la prima volta, di disciplinare il lavoro digitale[16]. L’atto, che sarà applicabile a partire dal 2 dicembre 2026 anche ai rapporti contrattuali già in corso, rappresenta il frutto di un lungo e complesso negoziato, durato oltre due anni e mezzo, che testimonia la difficoltà di coniugare le esigenze di tutela sociale con la flessibilità economica che costituisce la cifra del capitalismo digitale.
Il compromesso raggiunto, pur distanziandosi in più punti dalla proposta originaria della Commissione[17], segna un progresso normativo significativo. La direttiva, articolata in sei capi, affronta in modo sistematico i profili relativi alla qualificazione del rapporto di lavoro, alla gestione algoritmica e all’effettività delle tutele.
Gli obiettivi principali sono due: migliorare le condizioni di lavoro delle persone impiegate mediante piattaforme e garantire la protezione dei loro dati personali, nel rispetto dei principi di trasparenza, proporzionalità e non discriminazione, ponendo la questione della dignità del lavoratore non più solo in termini di garanzia sociale, ma come questione di potere informativo e di controllo dei processi decisionali automatizzati.
Tale articolazione teleologica trova espressione in due basi giuridiche distinte: da un lato, l’art. 153, par. 1, lett. b) e par. 2, lett. b) TFUE, che fondano la competenza dell’Unione in materia di politica sociale e condizioni di lavoro; dall’altro, l’art. 16, par. 2 TFUE, relativo alla protezione dei dati personali, segnalando così la propria natura ibrida, a cavallo tra diritto del lavoro e diritto della persona nella dimensione digitale.
3.1. Ambito di applicazione e presunzione di subordinazione
L’ambito di applicazione della direttiva è deliberatamente ampio. Essa include “tutte le persone che svolgono un lavoro mediante piattaforme digitali che hanno, o che sulla base di una valutazione dei fatti si ritiene abbiano, un contratto o un rapporto di lavoro” (art. 1), richiamando esplicitamente la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea[18]. L’art. 2, in particolare, supera la distinzione formale tra lavoratore subordinato e autonomo, facendo prevalere la sostanza del rapporto sul nomen iuris attribuito dalle parti o dalle prassi nazionali[19]. È un punto di svolta concettuale: la direttiva abbandona il paradigma dell’autonomia contrattuale come criterio esclusivo di qualificazione, riconoscendo che nel contesto digitale l’asimmetria di potere economico e informativo tra piattaforma e lavoratore può produrre situazioni di dipendenza di fatto, a prescindere dal titolo formale del rapporto.
In tale prospettiva, l’art. 5 introduce la presunzione iuris tantum di subordinazione: qualora emergano elementi fattuali indicativi di direzione o controllo – secondo il diritto nazionale, i contratti collettivi o le prassi in vigore – si presume che il rapporto sia di lavoro subordinato, salvo prova contraria da parte della piattaforma. Si determina così un’inversione dell’onere della prova che costituisce una delle innovazioni più significative dell’intero impianto normativo. Essa sposta il baricentro dell’accertamento giuridico dal dato formale al dato sostanziale, attuando il principio del “primato della realtà” già affermato dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) nella Raccomandazione n. 198 del 2006 sul rapporto di lavoro.
In chiave comparatistica, tale soluzione appare coerente con una tendenza che, pur con intensità diverse, attraversa gli ordinamenti nazionali: quella di valorizzare l’effettività delle condizioni lavorative rispetto alla forma giuridica del contratto. Tuttavia, la direttiva si spinge oltre, trasformando un orientamento giurisprudenziale in una regola generale di diritto positivo, comune a tutti gli Stati membri. È questo uno dei passaggi in cui la normativa europea mostra la sua vocazione di armonizzazione ascendente, orientata a garantire un livello minimo uniforme di tutela anche nei sistemi tradizionalmente più liberali o meno inclini all’intervento regolativo.
3.2. La gestione algoritmica e la tutela dei dati personali
Il secondo asse portante della direttiva è rappresentato dal Capo III, dedicato alla “gestione algoritmica”. Qui l’Unione affronta la questione del rapporto tra automazione decisionale e diritti fondamentali della persona. L’algoritmo, che governa il reclutamento, la valutazione delle performance e la cessazione dei rapporti di lavoro, assume le vesti di un nuovo soggetto regolatore, un potere che, pur non umano, incide sulla libertà e sull’eguaglianza dei lavoratori.
La direttiva interviene per ricondurre tale potere entro i confini della trasparenza e della responsabilità giuridica, imponendo ai datori di lavoro – e dunque alle piattaforme – obblighi specifici di informazione, valutazione e supervisione umana[20]. Viene anzitutto previsto l’obbligo di informare in modo chiaro e comprensibile i lavoratori circa l’utilizzo di sistemi automatizzati di monitoraggio e di decisione (art. 9). Inoltre, il datore deve condurre regolarmente, e in ogni caso ogni due anni, una valutazione d’impatto sul trattamento dei dati personali e sugli effetti che tali sistemi producono sulle condizioni di lavoro (art. 10). Tale valutazione, ispirata al modello della data protection impact assessment del Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), assume però qui una funzione più ampia: non solo prevenire abusi, ma garantire la parità di trattamento e impedire che l’algoritmo divenga strumento di discriminazione indiretta.
Particolarmente significativa è l’introduzione del principio della supervisione umana sulle decisioni algoritmiche, che segna il tentativo di riaffermare la centralità della persona in un contesto produttivo dominato dall’automazione (art. 11)[21]. L’idea che la decisione – in particolare quella che incide sulla posizione lavorativa di un individuo – non possa essere interamente delegata a un sistema automatizzato, costituisce una riaffermazione del principio personalistico e del nucleo etico del diritto del lavoro europeo.
In tal senso, la direttiva 2024/2831 dialoga con il GDPR ma ne supera i limiti, ponendo la tutela dei dati personali non come fine in sé, ma come strumento di garanzia di diritti sociali e di dignità professionale. Il dato personale, qui, non è più solo elemento di privacy, ma componente costitutiva della soggettività lavorativa: la gestione del dato diventa parte integrante della gestione del lavoro[22].
4. Considerazioni conclusive
La Direttiva (UE) 2024/2831 rappresenta, nel quadro del diritto dell’Unione, un passo significativo verso la costruzione di un ordinamento del lavoro capace di misurarsi con le trasformazioni strutturali introdotte dalla digitalizzazione dei processi produttivi. Essa traduce in termini giuridici l’esigenza, ormai matura, di ricondurre entro il perimetro del diritto del lavoro fenomeni che, per anni, si sono collocati in una zona grigia tra autonomia e subordinazione, tra libertà contrattuale e dipendenza economica.
L’innovazione principale della direttiva consiste nel riconoscimento del ruolo ordinante del diritto anche nei confronti di forme di organizzazione del lavoro fondate sull’intermediazione tecnologica. In tal senso, la presunzione iuris tantum di subordinazione segna un punto di svolta concettuale: essa ricolloca l’attenzione sul dato sostanziale del rapporto, riaffermando che il criterio di qualificazione giuridica deve fondarsi non sull’etichetta formale, ma sulla concreta modalità di svolgimento della prestazione.
Non meno rilevante è la parte della direttiva dedicata alla gestione algoritmica. L’introduzione di obblighi specifici in materia di trasparenza, valutazione d’impatto e supervisione umana mira a ricomporre il nesso tra efficienza tecnologica e garanzia dei diritti fondamentali. L’approccio seguito dal legislatore europeo riflette una concezione del potere datoriale che si evolve, ma non si dissolve: il potere si sposta dal comando diretto alla mediazione algoritmica, ma resta giuridicamente imputabile e, dunque, suscettibile di controllo.
In questa prospettiva, la direttiva non istituisce un sistema normativo autonomo, bensì integra il diritto del lavoro tradizionale, adattandone categorie e strumenti all’ambiente digitale. La disciplina delle piattaforme non è, in tal senso, un corpo estraneo, ma un banco di prova per la capacità del diritto del lavoro europeo di conservare la propria funzione di tutela anche in contesti radicalmente mutati.
Un segnale concreto di tale progresso è offerto dal Capo V della direttiva, dedicato all’effettività delle tutele. Esso impone agli Stati membri di garantire ai lavoratori, anche dopo la cessazione del rapporto, l’accesso a procedure di risoluzione delle controversie tempestive, efficaci e imparziali, nonché il diritto di ricorso con risarcimento adeguato in caso di violazione dei diritti derivanti dalla direttiva, mostrando la consapevolezza che la costruzione di un diritto europeo del lavoro non si realizza solo attraverso l’affermazione di principi, ma anche attraverso la creazione di meccanismi effettivi di enforcement, capaci di tradurre la tutela formale in protezione sostanziale.
Resta aperta, tuttavia, la questione dell’armonizzazione reale tra gli ordinamenti nazionali. È invero la qualità del recepimento nazionale che determinerà in larga misura l’effettività delle tutele introdotte. Sotto il profilo comparato, alcuni ordinamenti hanno già avviato percorsi di recepimento che confermano la funzione armonizzatrice dell’intervento europeo. In Italia, ad esempio, la Legge di delegazione europea 2024[23], entrata in vigore il 10 luglio 2025, recepisce la direttiva 2024/2831 e persegue due obiettivi principali: da un lato, migliorare le condizioni di lavoro introducendo la presunzione di subordinazione quale criterio di qualificazione del rapporto; dall’altro, rafforzare la protezione dei dati personali dei lavoratori, estendendo le garanzie previste dal GDPR al contesto dell’occupazione digitale.
In questo senso, la direttiva 2024/2831 segna una tappa fondamentale nella costruzione del diritto europeo del lavoro digitale, delineando un equilibrio possibile tra innovazione e tutela, mercato e persona. Essa non chiude il dibattito, ma lo inaugura, collocandosi in una posizione intermedia tra uniformazione e coordinamento, tra hard e soft law: la sua forza non risiede soltanto nella normazione, ma nella funzione di orientamento, imponendo agli Stati di confrontarsi con un nuovo paradigma del lavoro e di ripensare i confini tra impresa e persona, tra decisione tecnica e responsabilità umana.
[1] S. Ortino, Il nomos della Terra, il Mulino, 2000, p. 25.
[2] Sul legame tra storia e diritto al lavoro si v. M. D’Antona, Il diritto al lavoro nella Costituzione e nell’ordinamento comunitario [1999], in Id., Opere, vol. I, Scritti sul metodo e sulla evoluzione del diritto del lavoro. Scritti sul diritto del lavoro comparato e comunitario, a cura di B. Caruso, S. Sciarra, Milano, 2000, p. 265; S. Sciarra, Lavoro, ad vocem, in Enciclopedia italiana. X Appendice – Parole del XXI secolo, vol. II, Treccani, 2021. Più in generale, sulla storicità dei diritti sociali “connessi allo sviluppo storico dei singoli Paesi” si v. S. Cassese, La cittadinanza europea e le prospettive di sviluppo nell’Europa, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 1996, p. 872.
[3] Su cui si v., almeno, G. Amato, La Convenzione sul futuro dell’Europa e la Carta di Nizza, in Quaderni costituzionali, n. 3/2020, pp. 629 e ss.; P. Bilancia, La dimensione europea dei diritti sociali, in Federalismi.it, n. 4/2018; S. Giubboni, Modelli sociali nazionali, mercato unico europeo e governo delle differenze. Appunti sulle trasformazioni della costituzione economica comunitaria, in https://www.astrid-online.it/static/upload/protected/Giub/Giubboni-S_Governare-le-differenze_28_08_09.pdf; C. Pinelli, Diritti e politiche sociali nel progetto di trattato costituzionale europeo, in Id., Lavoro e Costituzione, Editoriale Scientifica, 2021, p. 166.
[4] Dal punto di vista del metodo, cfr. A. Pegoraro, A. Rinella, Introduzione al diritto pubblico comparato. Metodologie di ricerca, Padova, Cedam, 2002, p. 3, che sottolineano l’importanza, per un’analisi giuridica, di fissare in primo luogo la domanda cui la ricerca intende dare risposta, o il problema che si intende studiare.
[5] Per i dati, si v. Inps, XXIV Rapporto annuale, 16 luglio 2025, consultabile on line al seguente indirizzo https://www.inps.it/it/it/dati-e-bilanci/rapporti-annuali/xxiv-rapporto-annuale.html; T. Boeri, G. Giupponi, A. B. Krueger, S. J. Machin, Social protection for independent workers in the digital age, XX Conferenza europea della fondazione Rodolfo Debenedetti, 2018.
Come peraltro evidenziato nel rapporto INPS, è bene tuttavia sottolineare l’approssimazione di questi dati, che mostrano una tendenza crescente, ma che incontrano importanti difficoltà nel “realizzare una mappatura attendibile (…) in ragione della discontinuità di molti profili, ma anche e soprattutto per via della scarsa rendicontazione e della totale assenza di trasparenza”, cfr. A. Aloisi, V. De Stefano, Il tuo capo è un algoritmo. Contro il lavoro disumano, Laterza, 2020, p. 100.
[6] Sul punto si v. S. Kessler, Gigged: the gig economy, the end of the job and the future of the work, Random House, 2018.
[7] Per approfondire si v., ex aliis, V. De Stefano, The rise of the “just-in-time workforce”: On-demand work, crowdwork and labour protection, in ILO C.W.E.S., 2016; Id., Lavoro “su piattaforma” e lavoro non-standard in prospettiva internazionale e comparata, reperibile al seguente indirizzo web https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---europe/---ro-geneva/---ilo-rome/documents/publication/wcms_552802.pdf; M. Faioli (a cura di), Il lavoro nella gig-economy, Quaderni del Cnel, 2018, 3. Sul crowdwork, cfr. in part. A. Consiglio, L’assorbimento dei rapporti di lavoro della gig economy nel diritto privato, in Lavoro Diritti Europa, n. 2/2018; R. Krause, “Always-on” – The collapse of the work-life separation, in www.fmb.unimore.it, 2017. Sul lavoro on-demand tramite app, M. Biasi, L’inquadramento giuridico dei riders alla prova della giurisprudenza, in Lavoro Diritti Europa, n. 2/2018, pp. 5 e ss.; C. Lazzari, Gig economy, tutela della salute e sicurezza sul lavoro, in Riv. dir. sic. Soc., n. 3/2018, p. 456.
Per completezza, anche se non tutti concordano circa la sua inerenza al lavoro tramite piattaforma, è opportuno menzionare il cd. asset rental, che consiste nell’affitto o noleggio di beni e proprietà, secondo i principi della sharing economy. In questi casi la prestazione lavorativa, se c’è, è accessoria, si pensi ad esempio al proprietario di un appartamento in affitto su AirBnb che cura anche l’accoglienza e le pulizie finali.
[8] B. Fabo, J. Karanovic, K. Dukova, In search of an adequate European policy response to the platform economy, in Transfer: European Review of Labour and Research, 2017.
[9] Cfr. M. Faioli, Jobs “app”, gig economy e sindacato, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, n. 2/2017, pp. 291 e ss.; nonché lo studio del Parlamento europeo “The platform economy and precarious work”, reperibile online in https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2020/652734/IPOL_STU(2020)652734_EN.pdf.
[10] Su tali condizioni lavorative si v. EU-OSHA, Digital platform work and occupational safety and health: overview of regulation, policies, practices and research, report disponibile online al seguente indirizzo https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/49a265d4-b0a3-11ec-83e1-01aa75ed71a1/language-en.
[11] Sul punto si v. J. Prassl, Humans as a service. The promise and perils of work in the gig economy, Oxford, 2018.
[12] Sul punto si v. C. O’Neil, Weapons of math destruction: how big data increases inequality and threatens democracy, Crown, 2016; B. Saetta, Il potere degli algoritmi sulle nostre vite, in Valigia Blu, 9 marzo 2019.
[13] Cfr. A. Aloisi, V. De Stefano, Il tuo capo, cit., p. 52.
[14] Per approfondire si v. A. Aloisi, V. De Stefano, Testa bassa e pedalare? No, i lavoratori di Foodora meritano rispetto, in Linkiesta, 11 ottobre 2016; G. Pacella, Il lavoro nella gig economy e le recensioni on line: come si ripercuote sui e sulle dipendenti il gradimento dell’utenza?, in Labour & Law Issues, vol. 3, n. 1/2017, pp. 3 e ss.
[15] J. Healy, D. Nicholson, A. Pekarek, Should we take the gig economy seriously?, in Labour & Industry: a journal of the social and economic relations of work, vol. 27, n. 3/2017.
[16] Cfr. F. Zorzi Giustiniani, La direttiva (UE) 2024/2831 relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro mediante piattaforme digitali e la dichiarazione dell’unione europea relativa a un’intesa comune sull’applicazione del diritto internazionale nel cyberspazio, in Nomos. Le attualità nel diritto, n. 3/2024, p. 1.
[17] Cfr. la proposta della Commissione del 9 dicembre 2021, COM(2021) 762 final 2021/0414(COD), su cui si v. T. Orrù, Brevi osservazioni sulla proposta di direttiva relativa al miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali, in Giustizia Insieme, 8 febbraio 2022.
[18] Sul punto, I. Cendret, Progetto di Direttiva Ue per la tutela dei lavoratori tramite piattaforma digitale: la necessaria revisione per raggiungere un compromesso tra gli Stati membri, in ius.giuffrefl.it, 2 maggio 2024. Amplius, sulla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, si v. da ultimo C. Hießl, Case Law on Algorithmic Management at the Workplace: Cross-European Comparative Analysis and Tentative Conclusions, in SSRN, 16 aprile 2025, disponibile online al seguente indirizzo https://ssrn.com/abstract=3982735 or http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3982735.
[19] Si v. G. Bergamaschi, H. Bisonni, Rider: primo sguardo alla Direttiva europea di prossima pubblicazione e stato dell’arte, in Lavoro Diritti Europa, n.4/2024, p. 5.
[20] Cfr. F. Zorzi Giustiniani, La direttiva…, cit., p. 3.
[21] Si v. D.T. Kahale Carrillo, La mejora de las condiciones de trabajo sobre las plataformas en la Uniòn Europea: consideraciones a la gestion algoritmica (salud y prevencion), in Revista de Investigacion de la Catedra Internacional Conjunta Inocencio III, n. 17/2023, p. 38.
[22] Cfr. EU-OSHA, The EU Directive on platform work: improvements and remaining challenges related to occupational safety and health, 24 ottobre 2024, disponibile online al seguente indirizzo https://healthy-workplaces.osha.europa.eu/en/publications/eu-directive-platform-work-improvements-and-remaining-challenges-related-occupational-safety-and-health.
[23] Legge 13 giugno 2025, n. 91 “Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti normativi dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2024”, che ha delineato i principi e i criteri per il recepimento della direttiva (UE) 2024/2831.
Foto di Javier Perez Montes via Wikimedia Commons.
