L’ordinanza del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 14.11.2023, relativa all’astensione dal lavoro proclamata da CGIL e UIL per il giorno 17.11.2023, rappresenta un fattore di forte discontinuità nel quadro delle relazioni sindacali. L’esame degli elementi di antinomia del provvedimento rispetto alla tradizione giuridica fondata sull’elaborazione dottrinale e sulle decisioni della Corte costituzionale porta alla luce un risultato estremo: la messa in discussione, da parte dell’autorità governativa, della nozione stessa di sciopero all’interno del nostro ordinamento.
Sommario: 1. Premesse. 2. Il settore dei trasporti. 3. La precettazione prima dell’intervento legislativo. 4. La Commissione di Garanzia. 5. L’ordinanza di “precettazione” nella l. n. 146/1990. 6. Il caso concreto: l’ordinanza del Ministro dei Trasporti 7. Considerazioni conclusive.
1. Premesse
Come è noto, nei lavori dell’Assemblea costituente è stata sollevata la questione del riconoscimento o meno della titolarità del diritto di sciopero ai pubblici dipendenti. Il dubbio aveva la sua ragion d’essere, vista sia la natura giuridica della relazione di pubblico impiego, allora fondata sulla supremazia speciale della pubblica amministrazione nei confronti dei pubblici dipendenti, sia la ricostruzione teorica che giustificava tale supremazia.
L’interrogativo è stato risolto per mezzo della formula costituzionale che rinvia al legislatore ordinario il compito di disciplinare l’esercizio del diritto di sciopero.
Tuttavia, le complesse vicende che non consentirono l’attuazione dell’art. 39 Cost, commi 2, 3 e 4 hanno comportato anche il mancato intervento del legislatore rispetto all’art. 40 Cost.
Ulteriore conseguenza dello scarto fra il disegno costituzionale e il diritto sindacale di fatto è stato l’intervento della Consulta nel rendere compatibile le disposizioni del Codice penale Rocco che qualificano lo sciopero come reato e la Costituzione.
Infatti, la Corte costituzionale ha progressivamente modificato – sostanzialmente montando e smontando – le disposizioni penali con una serie di rilevanti decisioni. In particolare, nell’ambito che in questa sede ci interessa, essa ha avuto l’indubbio pregio di distinguere nettamente la titolarità del diritto di sciopero dal suo esercizio.
La titolarità è riconosciuta a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, salvo poche eccezioni, come nel caso dei corpi militari [[1]]. Opportunamente, l’asse della questione è stata spostata verso i c.d. limiti esterni, ovvero verso le esigenze di contemperamento fra l’esercizio del diritto di sciopero e la tutela dei diritti della persona costituzionalmente garantiti.
Come è stato osservato, la costruzione di un corpus giurisprudenziale in materia deve essere contestualizzato. Come è stato già ricordato, la Corte costituzionale si è mossa nell’ambito del diritto penale [[2]]. In questa prospettiva, essa ha elaborato alcune nozioni quali: il necessario contemperamento fra i diritti della persona costituzionalmente garantiti con l’esercizio del diritto di sciopero; i servizi essenziali e la garanzia delle prestazioni indispensabili. Tali nozioni sono rimaste fondamentali anche nell’impianto della legge n. 146/1990.
In particolare, è rimasta ferma la chiara distinzione fra i diritti tutelati dai servizi essenziali, ovvero quelle prestazioni che garantiscono «a regime» il godimento dei diritti della persona, dalle prestazioni indispensabili, cioè quelli che debbono essere garantiti in occasione di sciopero [[3]].
Tuttavia, poiché la conseguenza della scelta di legiferare in materia è stata quella di recidere il rapporto della disciplina normativa con il diritto penale, il Parlamento ha potuto essere meno rigoroso di quanto era stata la Consulta, includendo nell’ambito dei diritti tutelati non solo quelli di rango preminente rispetto al diritto di sciopero, ma un più ampio ventaglio.
Tali premesse sono fondamentali per il corretto inquadramento delle regole contenute nella legge sullo sciopero nei servizi essenziali nel settore dei trasporti.
2. Il settore dei trasporti
Per inquadrare specificatamente questo settore, è necessario partire dalla sentenza Corte Cost. n. 123/1962. Era ivi sollevata la questione di legittimità di uno sciopero svoltosi nell’ambito del settore del trasporto pubblico di Livorno. In quell’occasione, la Consulta affermava che, anche nell’ipotesi in cui fosse ancora vigente l’art. 330 del c.p., esso sarebbe applicabile “solo condizionatamente al rispetto del principio già enunciato, e cioè entro i limiti in cui la perseguibilità penale dello sciopero appaia necessitata dal bisogno di salvaguardare dal danno dal medesimo derivante il nucleo degli interessi generali assolutamente preminenti rispetto agli altri collegati all'autotutela di categoria”. A seguito di tale enunciazione di principio, prosegue “[o]ra la Corte ritiene che i servizi pubblici del genere di quelli di cui è discussione (…) non rivestono il grado di importanza sufficiente a provocare, con la lesione degli interessi predetti, la perdita dell'esercizio del potere garantito dall'art. 40 della Costituzione. Dal che consegue che ai lavoratori addetti ai servizi medesimi, ove si mettano in sciopero, non possano venire inflitte le sanzioni previste dall'art. 330 del Codice penale”.
Quindi, come si diceva, per la Corte costituzionale la libertà di circolazione di cui l’art. 16 della Carta fondamentale non si configura come un diritto della persona tale da impedire l’esercizio del diritto di sciopero.
Tuttavia, in una società sempre più integrata dal punto di vista territoriale, la questione degli effetti sull’utenza dello sciopero nel settore dei trasporti si è presentata in maniera sempre più intensa. Non è un caso che, in questo settore, nel periodo precedente all’emanazione della l. n. 146/1990, siano anche maturate esperienze di autoregolamentazione [[4]].
In effetti, quando le tre grandi Confederazioni sindacali hanno istituito il gruppo di saggi nel 1987 [[5]], attribuendoli il compito di elaborare una proposta di regolazione legislativa dell’esercizio del diritto di sciopero nell’ambito dei servizi essenziali, uno dei settori sul quale la legge avrebbe dovuto incidere era proprio quello del trasporto.
3. La precettazione prima dell’intervento legislativo
L’ordinanza di precettazione rinviene la sua disciplina originaria nell’art. 2 TULPS del 1931: era dunque un prodotto dell’ordinamento corporativo fascista. Di conseguenza, anche essa è stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale. Con la sentenza n. 26/1961, da inquadrare oggi fra le decisioni interpretative di accoglimento, la Consulta ha ritenuto che non sia vietato che “una disposizione di legge ordinaria conferisca al Prefetto il potere di emettere ordinanze di necessità ed urgenza, ma occorre che risultino adeguati limiti all'esercizio di tale potere”. Tuttavia, dichiarando parzialmente incostituzionale l’art. 2, ha proseguito affermando che tale potere è limitato dal rispetto dell’ordinamento giuridico.
In effetti, in ambito giuslavoristico, si è sempre ritenuto che tale decisione fosse motivata dall’esigenza di aver uno strumentoamministrativo che, in situazioni particolarmente gravi, consentisse alla pubblica autorità di intervenire celermente. L’esempio classico, tramandato nelle aule universitarie, è quello di un terremoto o di un’inondazione che avvenga nell’eminenza o durante uno sciopero. Poiché tali circostanze esigono il regolare funzionamento di tutti i servizi, ove mai l’azione di autotutela non sia stata già sospesa, allora deve intervenire l’autorità competente.
In seguito alla manifestazione di disponibilità espressa dalle CGIL-CISL-UIL con la presentazione del citato documento dei saggi, sia l’Esecutivo che il Parlamento si attivavano, come anche la comunità scientifica [[6]]. Non va dimenticato che allora al Senato c’era Gino Giugni, e alla Camera dei deputati Giorgio Ghezzi.
La legge è entrata in vigore il 12 giugno 1990. Come è noto, si tratta di una normativa speciale, il cui titolo per esteso è Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge.
Gli interessi tutelati dalla legge in parola sono, da un lato, l’esercizio del diritto di sciopero e, dall’altro, “nel loro contenuto essenziale”, i diritti della persona costituzionalmente garantiti. Sebbene non sia questa la sede per una puntuale ricostruzione complessiva della legge, per inquadrare la precettazione nell’ambito della disciplina vigente, va rilevato che essa – perlomeno nella sua versione originaria – è stata concepita seguendo un disegno di pesi e contrappesi molto accurato.
In questo disegno, un ruolo importante assumeva la Commissione di garanzia.
4. La Commissione di Garanzia
Istituita dall’art. 12, la Commissione di garanzia dell'attuazione della legge, con il compito di valutare l'idoneità delle misure volte ad assicurare il contemperamento dell'esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati, si configurava come un’autorità amministrativa indipendente.
Era composta da nove membri, scelti, su designazione dei Presidenti della Camera dei deputati e del Senato, tra esperti in materia di diritto costituzionale, di diritto del lavoro e di relazioni industriali, nominati con decreto del Presidente della Repubblica.
Forse il lettore attento si starà domandando perché si sta qui utilizzando il preterito, visto che, se è vero che qualche modifica è stata apportato all’articolo in questione, come è il caso della riduzione del numero di componenti a cinque, sostanzialmente il suo impianto è rimasto immutato.
Tuttavia, quello che è mutato è il contesto istituzionale in cui si inserisce questa norma. Di conseguenza, anche se per sommi capi, alcuni elementi di questo cambiamento vanno sottolineati. Per comprenderli è necessario tener conto che la novella di cui la l. n. 83/2000 ha introdotto una serie di requisiti che hanno proceduralizzato la proclamazione e l’esercizio del diritto di sciopero, come l’obbligo di avviare un tentativo di conciliazione, le procedure di raffreddamento e di rarefazione soggettiva e oggettiva delle azioni di autotutela [[7]]. Il risultato è quello di sbilanciare la normativa a favore dell’utenza [[8]], rendendo giuridicamente lo sciopero una ultima ratio [[9]]. Al rispetto di questo nuovo impianto sorveglia la Commissione di garanzia.
Non solo. La novella ha anche attribuito alla Commissione il potere di individuare le prestazioni indispensabili che debbono essere garantite in occasione di sciopero in due ipotesi: la prima, è quella per cui l’accordo raggiunto fra le parti non sia stato valutato idoneo dalla stessa Commissione e le parti si siano rifiutate di adeguare il contenuto alle osservazioni sollevate. La seconda ipotesi è quella in cui le parti non abbiano raggiunto nessun accordo. In questi casi, la Commissione adotta un provvedimento amministrativo, ovvero una provvisoria regolamentazione vincolante.
Tali modifiche implicano dunque il passaggio dal disegno originario, per cui la Commissione di garanzia poteva essere inquadrata fra le autorità amministrative indipendenti, ad un nuovo assetto ordinamentale per cui è una autorità amministrativa [[10]].
Inoltre, vi è un altro profilo di carattere sistematico da non sottovalutare. Come già riportato, la nomina degli esperti è di competenza del Presidente della Repubblica su designazione dei Presidenti della Camera dei deputati e del Senato. Quando la legge 146 è stata elaborata, in Italia eravamo sotto la c.d. “prima Repubblica”. In quella fase, era prassi consolidata che i due rami del Parlamento fossero presieduti uno da un rappresentante della maggioranza parlamentare che esprimeva l’Esecutivo, l’altro, da un rappresentante dell’opposizione. In tale prospettiva, la designazione dei membri dell’autorità garante doveva essere necessariamente frutto di mediazione e compromesso. Ora che le prassi sono altre, c’è il rischio di uno sbilanciamento che rispecchi le contingenze politiche immediate. Circostanza questa che non giova all’autorevolezza di un organo con compiti così fondamentali per la salute della democrazia italiana.
5. L’ordinanza di “precettazione” nella l. n. 146/1990
In merito allo specifico profilo che qui ci interessa, è necessario esaminare l’art. 8 della l. n. 146/1990, così come modificato dalla l. n. 83/2000.
Infatti, l’articolo pone, come requisito per l’emanazione dell’ordinanza, la sussistenza di “fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati (…) conseguente all'esercizio dello sciopero o a forme di astensione collettiva di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori”.
In altre parole, la pubblica autorità può esercitare il potere se da uno sciopero, esercitato in un dato particolare contesto, ne deriva un rischio concreto di lesione di un diritto della persona costituzionalmente garantito. Non si tratta di uno strumento di fisiologica gestione del conflitto. Anche se, come segnalato dalla dottrina, la tendenza a interpretalo in questa chiave è ricorrente [[11]], in particolare nel settore dei trasporti.
Tutto ciò non concerne né il disagio che lo sciopero può provocare all’utenza, né i costi dell’azione di lotta, né il numero dei soggetti che subiscono il disagio. Sono queste circostanze che non giustificano l’intervento amministrativo. Anzi, ad essere ancora più puntuale, tali circostanze non giustificano alcuna limitazione all’esercizio del diritto di sciopero.
Inoltre, per completezza, va ricordato che la novella del 2000 ha introdotto un art. 20-bis che richiama “per gli aspetti ivi diversamente disciplinati, quanto già previsto in materia (…) dall'articolo 2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza”. A mio avviso, tale richiamo è un’ulteriore conferma che l’intervento legislativo è caratterizzato da uno sbilanciamento della legge verso la tutela degli utenti, con il sacrificio del diritto di sciopero. Tuttavia, nel caso che qui ci interessa, questa modifica non rileva visto che l’ordinanza di cui si dirà nel prossimo paragrafo è stata emessa sulla base dell’art. 8.
6. Il caso concreto: l’ordinanza del Ministro dei Trasporti
È in questa cornice che si inserisce l’ordinanza del Ministro del 14.11.2023 relativa allo sciopero proclamato da CGIL e UIL per il giorno 17.11.2023.
L’ordinanza in parola contiene un eterogeneo elenco di ragioni che giustificherebbe l’intervento dell’autorità governativa. Esso prende in considerazione gli effetti che lo svolgimento dello sciopero nell’arco temporale di 24 ore potrebbero produrre nei confronti dell’utenza, ma anche alcune conseguenze di carattere più generale.
In sintesi, l’ordinanza, sostiene di tenere conto del disagio per l’utenza che l’astensione provocherebbe; dell’esigenza di considerare “il grado di interconnessione tra le varie tipologie di traffico su strada ferrata, (…) comprendenti le direttrici internazionali, nonché gli assi di collegamento tra le principali città italiane, sia da linee minori che si collocano nell’ambito dei bacini regionali, ma che connettono tra loro anche le direttrici principali”; di considerare anche il “trend positivo del turismo, che torna ad essere un settore trainante per la nostra economia e che si caratterizza con una forte intensificazione dei flussi turistici in entrata e in uscita dal territorio nazionale, prevalentemente nei weekend, in aggiunta alla persistenza degli spostamenti dei lavoratori pendolari”; degli effetti che l’intensificazione del traffico stradale potrebbero produrre sulla sicurezza e sull’inquinamento atmosferico, “anche tenuto conto della sua fissazione nell’ultimo giorno lavorativo della settimana, connotata da maggiori flussi di traffico”.
A questi motivi, si aggiungono l’opinione dell’associazione datoriale ASSTRA, la quale osserva che “il comparto del trasporto pubblico locale muove circa 15 milioni di persone al giorno con inevitabili ripercussioni e danni per imprese e cittadini” e le stime di Trenitalia s.p.a., sulla cancellazione dei treni [[12]]. E dulcis in fondo, dato che lo sciopero è promosso “da Organizzazioni Sindacali altamente rappresentative nel settore dei trasporti, si prevede che la partecipazione ai richiamati scioperi sarà consistente”.
In definitiva, il provvedimento assume che siano rispettati i presupposti di legge, e quindi determina la riduzione – articolata per sottosettore: trasporto locale, marittimo, merci su rotaia, ecc. – dello sciopero indetto da CGIL e UIL.
Tale impostazione, invero un po’ logorroica, è tesa a dimostrare quello che non solo non è dimostrabile, ma neanche verosimile, ovvero che lo sciopero indetto da CGIL e UIL si sarebbe inserito in un contesto tale da provocare o aggravare una situazione dove si potesse verificare un grave e imminente pericolo ai diritti della persona costituzionalmente garantiti.
Infatti, lo sciopero provoca disagio. Esso è una sua naturale conseguenza. È intrinseco al suo essere un mezzo di autotutela. Altrimenti, dovremmo affermare – con grande sprezzo del ridicolo – che le madri e i padri costituenti non sapessero che lo sciopero possa provocare fastidi a chi lo subisce sia come controparte, ma anche come utente. Forse ritenevano che fosse in gioco qualcosa di più, qualcosa chiamata democrazia.
Analogo discorso vale per eventuali danni economici derivanti dallo sciopero. Su questo profili, è d’obbligo citare Cass. 711/1980 [[13]] e la nota distinzione fra danno alla produttività e danno alla produzione: solo la prima tipologia di pregiudizio può condurre alla qualificazione di uno sciopero – qualsiasi sciopero, e quindi non solo quello nell’ambito dei servizi essenziali – come illegittimo. Anche il danno economico è una conseguenza normale dello sciopero. Anzi, per definizione, è il potenziale danno che lo rende uno strumento atto a costringere la controparte a tener conto delle rivendicazioni dei lavoratori e delle lavoratrici.
Inoltre, si dovrebbe anche tenere presente Corte Cost. n. 317/1992, laddove la Consulta rigetta la questione di incostituzionalità sollevata in relazione alla l. n. 146/1990. La Corte, infatti, ribadisce che quest’ultima si riferisce “esclusivamente ai rapporti tra l'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici ed i diritti della persona propri degli utenti di tali servizi o dei cittadini in generale. Esula invece dagli scopi e dal contenuto della legge in esame la disciplina dei rapporti tra l'esercizio del diritto di sciopero e gli interessi dell'impresa in quanto tale, pur se costituzionalmente tutelati”.
Se non sono tutelati dalla legge nemmeno gli interessi economici-patrimoniali delle imprese che operano nel settore dei servizi essenziali, come si può conferire un valore giuridico al “trend positivo del turismo”, tale da limitare l’esercizio del diritto di sciopero costituzionalmente garantito? Lo sciopero è uno strumento di parte. La Costituzione, come è noto, è stata elaborata da un’eterogenea Assemblea ove, però, alcuni elementi comuni hanno costituito una solida base per recidere i legami con l’ideologia corporativo-fascista che espressamente disprezzava l’ordine democratico. Fra questi, il netto superamento di assiomi come quello dell’esigenza di tutelare l’interesse superiore della nazione, in conseguenza del quale – coerentemente – lo sciopero era penalmente punito.
Ancora, quando negli anni 2007-2008, la CGUE con le note sentenze Laval, Viking e Rüffert ha affermato l’equivalenza, se non la primazia, delle libertà economiche nei confronti del diritto di sciopero, le critiche della dottrina sono state particolarmente severe, richiamando il valore costituzionale del riconoscimento del diritto al conflitto [[14]].
7. Considerazioni conclusive
La concezione che l’attuale Ministro sembra avere dello sciopero non corrisponde all’ordinamento giuridico fondato sulla Costituzione. In essa l’Assemblea costituente ha incluso il diritto al conflitto, consapevole che la sfida per una società complessa, necessariamente attraversata da interessi parziali, è quello di trovare principi e regole comuni che garantiscano il pluralismo sociale, politico, economico e ideologico. Tali regole comportano una mediazione fra le parti, e non è detto che essa non comporti disagi e sacrifici ai diversi componenti della società.
Certamente, si potrebbe obiettare che, sebbene il conflitto abbia un valore positivo, andrebbe comunque fatto ogni sforzo per evitare lo sciopero, che rappresenta indubbiamente un danno per tutti, in primo luogo per le stesse lavoratrici e gli stessi lavoratori che lo praticano. Tuttavia, quello che va criticato è l’azione repressiva, non certamente la creazione di canali che riescano a governare il conflitto.
In altri tempi, quando la concertazione sociale spiegava tutte le sue potenzialità – ben inteso, all’interno del sistema di relazioni industriali italiano – chi scrive aveva attribuito la scarsa attenzione del sindacalismo confederale alla difesa del valore positivo del conflitto proprio all’opzione per il metodo concertativo [[15]].
A questi rilievi aggiungo oggi che, nonostante la critica mi sembri ancora fondata, quel periodo, in relazione ai giorni nostri, era comunque caratterizzato da una disponibilità governativa a negoziare con le organizzazioni sindacali. Si formavano tavoli trilaterali e tutte le parti erano impegnate a trattare.
Una dimensione operativa-istituzionale molto diversa da quanto praticato oggi. Quest’affermazione è meramente descrittiva. È perfettamente legittima la scelta dell’attuale Governo di non dare seguito a percorsi analoghi. Quello che non è legittimo è la reazione autoritaria alla posizione assunta da parte di CGIL e UIL come risposta alla politica sindacale/lavoristica praticata dall’Esecutivo. Non è legittimo pretendere di piegare uno strumento concepito come garanzia di diritti fondamentali all’ordinaria gestione del conflitto. Tanto più che lo sciopero in questione era stato proclamato per protestare contro le scelte politico-economico dello stesso Governo.
[1] Art. n. 1475, comma 4 d.lgs. n. 66/2010; v. anche C. Cost. n. 449/1999.
[2] v. P. Curzio, Autonomia collettiva e sciopero nei servizi essenziali, Bari, Cacucci, 1992, 27 ss.
[3] Nelle parole della sentenza n. 222/1976: “La interdipendenza e la correlazione tra i servizi costituiscono l’espressione di un fatto organizzatorio caratteristico di ogni tipo di comunità, da cui, tuttavia, non può trarsi la conclusione che tutti i servizi abbiano uguale grado di importanza e di indispensabilità. Certo, tutti sono necessari e tra loro in qualche modo complementari, quando la complessa attività cui dà luogo la vita della comunità si svolge in regime di normalità.
Ma, quando ragioni di necessità, impongono di ridurre, eventualmente anche al minimo, l'appagamento delle esigenze della collettività o di una più ristretta comunità sociale, è sempre possibile individuare tra i servizi quelli che debbono conservare la necessaria efficienza - e che sono poi quelli essenziali - e quelli suscettibili di essere sospesi o ridotti”.
[4] P. Curzio, op. cit., 34 ss.
[5] Per una ricostruzione dell’iter si v., fra tanti, M. Rusciano – G. Santoro Passarelli (a cura di), Lo sciopero nei servizi essenziali, Giuffrè, Milano, 1991; U. Romagnoli – M. V. Ballestrero, Norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servi pubblici essenziali,Zanichelli – Foro It., Bologna – Roma, 1994.
[6] Basti ricordare, il IX Congresso AIDLLASS, tenutosi a Fiuggi, 8-10 aprile 1988: gli atti sono raccolti in Lo sciopero: disciplina convenzionale e autoregolamentazione nel settore privato e pubblico, Giuffrè, Milano, 1989.
[7] La l. n.146/1990 è stata novellata nel 2000, sia a causa delle sentenze della Corte costituzionale nn. 114/1994 e 171/1996 concernenti l’astensione collettiva dei lavoratori autonomi operanti nell’ambito dei servizi essenziali, sia perché i primi 10 anni di vigenza avevano messo in luce alcune questioni irrisolte, come quid iuris nel caso in cui non ci fosse un accordo sulle prestazioni essenziali. Comunque, per il profilo che stiamo trattando, le modifiche sono marginali e non attengono ai nodi che qui ci interessano. Per un approfondimento v. M. D’Onghia – M. Ricci (a cura di), Lo sciopero nei servizi essenziali, Giuffrè, Milano, 2003
[8] La novella si caratterizza per un maggiore tasso di eteronomia: G. Ghezzi, La Commissione di garanzia nella legge di riforma tra profili funzionali e dinamica delle istituzioni, in ADL 1, 2001, p.2. V. anche G. Orlandini, Sciopero e servizi pubblici essenziali nel processo di integrazione europea, Giappichelli, Torino, 2003, p. 102; E. Ales, Sciopero ultima ratio e principio di libertà sindacale: spunti di riflessioni sulle conseguenze dell’introduzione delle procedure obbligatorie di raffreddamento e conciliazione nei servizi essenziali in Rappresentanza, rappresentatività, sindacato in azienda e altri studi. Studi in onore di Mario Grandi, Cedam, Padova, 2005, p.3.
[9] Sebbene possa sembrare superfluo ribadirlo, è opportuno tener presente che, dal punto di vista materiale, per ogni singola lavoratrice o singolo lavoratore, lo sciopero è sempre ultima ratio, poiché comporta il sacrificio della perdita della retribuzione.
[10] Sulle difficoltà di inquadrare la Commissione di garanzia, v. in una prospettiva giuslavoristica V. Pasquarella, La regolazione amministrativa nel diritto del lavoro tra Authorities e Agencies, Cacucci, Bari, 2018; per una valutazione dell’originario operato della Commissione, si v., volendo, M. McBritton, Sciopero e diritti degli utenti, F. Angeli, Milano, 1995.
[11] M. D’Onghia, Precettazione e sciopero: il rapporto con le tradizionali ordinanze di necessità e urgenze in M. D’Onghia – M. Ricci (a cura di), Lo sciopero nei servizi essenziali, cit. p. 253 ss., a cui si rinvia anche per l’ulteriore bibliografia.
[12] La stima è che “lo sciopero può determinare fino al 25% delle cancellazioni per i treni Freccia, 20% intercity e 15% per i treni internazionali, nonché tra il 20% ed il 40% dei treni regionali, e che sono presumibili effetti anche per il giorno seguente lo sciopero, visti i turni degli equipaggi e del materiale rotabile, con possibili cancellazioni e forti ritardi di circa il 15% dell’offerta in fascia mattutina fino alle ore 12.00.”
[13] V. M. G. Garofalo, Forme anomale di sciopero, in digesto disc. Priv. – sez. comm. V.VI, p. 278. Ora anche in M. Barbieri – R. Voza (a cura di), Gianni Garofalo. Il pane del sapere, Ediesse, Roma, 2013.
[14] V. U. Carabelli, Europa dei mercati e conflitto sociale, Cacucci, Bari, 2009; A. Vimercati (a cura di), Il conflitto sbilanciato: libertà economiche e autonomia collettiva tra ordinamento comunitario e ordinamenti nazionali, Cacucci, Bari, 2009; M. Rusciano, Diritto di sciopero e assetto costituzionale, in RIDL,2009, I, p. 49 ss.
[15] V. M. McBritton, Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali: tendenze giurisprudenziali, in Serta iuridica – Scritti dedicati dalla Facoltà di Giurisprudenza a Francesco Grelle, ESI, 2011, I, p. 365 ss. Sul metodo concertativo v. L. Bellardi, Concertazione e contrattazione. Soggetti, poteri e dinamiche regolatrici, Cacucci, Bari, 1999.
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