Sommario: 1. Introduzione - 2. Il diritto di sciopero nell’art. 40 Cost. - 3. La delibera della Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali - 4. L’ordinanza di precettazione ex art. 8 L. 146/1990.
1. Introduzione
Le recenti astensioni dei lavoratori del novembre e dicembre 2023 in ampi settori dei servizi pubblici essenziali hanno posto nuovamente al centro del dibattito il diritto di sciopero in tali servizi e, in particolare, la sua regolamentazione anche attraverso provvedimenti amministrativi emanati dalle competenti Autorità: Commissione di Garanzia per l’applicazione della L. 146/1990 e Pubbliche Amministrazione di riferimento per i singoli servizi.
L’attenzione si è, in particolare, concentrata sul servizio di trasporto pubblico, nazionale e locale, anche in ragione dei diversi interventi del Ministero competente con ordinanze di precettazione e regolamentazione in senso restrittivo rispetto alle proclamazioni comunicate dalle OO.SS., precedute da delibere regolatrici della Commissione di Garanzia, parimenti limitative.
Il numero[1] e il tenore dei recenti provvedimenti è, dunque, occasione per tornare a riflettere sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali e sul necessario contemperamento tra lo stesso e i diritti della persona su cui inevitabilmente incidono.
É noto, infatti, che il Legislatore ha disciplinato l’istituto con la L. 146/1990, integrata dalla L. 83/2000, che rappresenta - nel contesto europeo - una delle norme più restrittive. La legge del 1990, tuttavia, ha come incipit un articolo 1 che, dopo aver individuato i servizi pubblici essenziali in “quelli volti a garantire i diritti della persona costituzionalmente tutelati” (alla vita alla salute alla libertà e alla sicurezza, alla liberà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di comunicazione), esplicita al comma 2 la ratio dell’intera disciplina, individuandola nella necessità di “contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona …di cui al comma 1”.
2. Il diritto di sciopero nell’art. 40 Cost.
Nella materia che ci occupa, infatti, si fronteggiano posizioni giuridiche di pari rilievo costituzionale: da un lato il diritto di sciopero di cui all’art. 40 Cost., e dall’altro i diversi diritti inviolabili della persona, specificamente elencati nell’art. 1 c. 1 citato.
Su questi ultimi basti richiamare la parte prima della Costituzione e l’incontestabile rilievo agli stessi riconosciuto.
Quanto al primo, merita qui spendere qualche parola in più. L’art. 40 Cost. afferma, infatti, che “il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”, e, superando la precedente qualificazione corporativa dell’astensione dal lavoro come reato[2], fa assurgere lo sciopero - senza riserve - a “diritto” di rango costituzionale e introduce una riserva di legge per la disciplina dei limiti, che attengono non già al diritto in sé, ma esclusivamente al suo esercizio. L’art. 40, dunque, è norma immediatamente precettiva e vincolante: con esso il Legislatore costituente ha inteso dare dignità e rilevo al conflitto sociale, prendendo chiara posizione in merito ad uno degli strumenti cardine di tale conflitto: lo sciopero, appunto. Proprio al fine di sottolinearne il valore primario, i commentatori non hanno mancato di evidenziare la differente attenzione riservata, per contro, alla serrata, che – viceversa – non ha avuto ingresso nella Carta.
Ebbene, nella consapevolezza che il conflitto è l’essenza delle relazioni industriali nonchè imprescindibile meccanismo di tutela del lavoro, l’art. 40 Cost. mira a rafforzare la posizione delle parti deboli di tali relazioni e, in combinato disposto con il precedente art. 39, può quindi essere considerato necessaria espressione di eguaglianza sostanziale. Dai verbali della Prima Sottocommissione dell’Assemblea Costituente, si ricava una illuminante definizione: “il diritto di organizzazione sindacale, senza un connesso diritto di sciopero, non avrebbe importanza. Il lavoratore si organizza a scopo di difendersi. La difesa non può essere che lo sciopero”[3].
I limiti all’esercizio del diritto di sciopero, tuttavia e come noto, non sono stati regolati da alcuna legge ordinaria per quanto attiene al settore privato, con necessaria e prolifica attività di supplenza ad opera della giurisprudenza, sia costituzionale che ordinaria; mentre con riguardo al settore pubblico e, in specie, ai servizi pubblici essenziali è stata approvata, nel 1990 la L. 146, qui in commento.
Non è questa la sede per richiamare il dettaglio della disciplina, come detto particolarmente dettagliata e stringente. É, tuttavia, utile ricordare che le regole e le procedure imposte per l’esercizio del diritto di sciopero hanno come dichiarata finalità quella di “assicurare l’effettività, nel loro contenuto essenziale, dei diritti medesimi”[4], (sia quello allo sciopero che quelli della persona). Tale contemperamento si estrinseca – sempre secondo il Legislatore del 1990 – nella previsione a) di “prestazioni indispensabili” da assicurarsi anche durante le astensioni dal lavoro, b) del preavviso minimo di proclamazione dell’astensione e c) della comunicazione scritta a parte delle OO.SS. proclamanti, circa la durata, le modalità e le motivazioni sottese allo sciopero. Le prestazioni indispensabili sono, poi, garantite altresì dalla previsione di un intervallo minimo tra la prima astensione e la proclamazione delle successive, al fine di non compromettere la continuità del servizio (c.d. rarefazione oggettiva) e dalla regolamentazione di modalità e procedure di erogazione ad opera di contratti e accordi collettivi[5].
L’individuazione delle prestazioni indispensabili, delle modalità e procedure della loro erogazione è, infatti, rimessa alle parti sociali, benché sottoposta al vaglio di idoneità della Commissione di Garanzia per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali; Commissione che interviene in funzione sostitutiva e temporanea solo quando manchi la regolamentazione pattizia o quando questa sia valutata non “idonea”.
L’intervento dell’organo di garanzia, dunque, si pone come verifica e controllo ‘terzo’ ed ‘ago della bilancia’ tra le diverse istanze delle parti e nonché dell’utenza interessata al servizio pubblico coinvolto. Inoltre, trattandosi di Autorità Amministrativa Indipendente, le delibere adottate sono provvedimenti amministrativi, in quanto tali immediatamente efficaci e frutto di valutazione discrezionale. Parimenti discrezionale è il potere riconosciuto - nell’ambito della medesima procedura di regolazione dello sciopero nei servizi pubblici essenziali - al Presidente del Consiglio o, come più spesso accade, al Ministro delegato, per l’adozione dell’ordinanza di cui all’art. 8 L. 146 cit., anch’essa di regolamentazione restrittiva dello sciopero, ove sussista un “fondato pericolo di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati”.
Ed è proprio questo il fulcro della riflessione qui proposta.
Nel quadro dei diritti costituzionalmente riconosciuti e tutelati, quando è legittimo e fin dove può spingersi l’intervento delle Autorità amministrative previsto dalla legge?
3. La delibera della Commissione di Garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali
I recenti provvedimenti della Commissione di Garanzia e del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, in relazione alla proclamazione dello sciopero generale del 17 e 24 novembre 2023 nonché 15 dicembre 2023, suggeriscono un esame meditato anche alla luce degli esiti che gli stessi hanno avuto: a fronte delle stringenti misure di rimodulazione dell’astensione - sia in termini di orari di durata che di calendarizzazione, che, addirittura, di ambito settoriale di operatività, con specifica esclusione di alcuni settori[6] – e delle conseguenze sanzionatorie previste dagli artt. 4 e 9 della L. 146/90 per i casi di inottemperanza a tali delibere e ordinanze, le OO.SS. proclamanti hanno deciso di adeguarsi a buona parte delle disposizioni ricevute, salva la facoltà di impugnazione dei provvedimenti anzi al Giudice Amministrativo.
Nel caso di specie a fronte di una proclamazione di sciopero generale nazionale da parte di due OO.SS. di indubbia rappresentatività a livello nazionale, la Commissione di Garanzia ha riqualificato l’astensione come plurisettoriale, ha valutato la regolamentazione della stessa riferendola ai singoli settori ed ha applicato a ciascun settore coinvolto le specifiche regole di raffreddamento, durata, e rarefazione oggettiva, per ritenerle violate nel caso concreto e disporre stringenti restrizioni.
Rimane da chiedersi se rientri tra i poteri della Commissione quello di qualificazione dello sciopero come generale o settoriale e, in caso affermativo, sulla scorta di quali criteri normativi tale potere debba essere esercitato. Nulla si rinviene sul punto nella L. 146/1990, che all’art. 2 c. 2 circoscrive i (pur ampi) poteri della Commissione alla valutazione di idoneità della regolamentazione pattizia eventualmente raggiunta dalle Parti Sociali e alla elaborazione di una regolamentazione sostitutiva e temporanea per il caso di mancanza o inidoneità della prima e, comunque, tutto ciò sempre e solo con riguardo alla previsione e alla disciplina delle “prestazioni indispensabili” che devono essere garantite. Difetta, viceversa, nel dato normativo, un richiamo al potere qualificatorio dello sciopero, vieppiù in difformità rispetto a quanto contenuto nella comunicazione di proclamazione. Non è di aiuto, invero, neppure la delibera del caso specifico, in quanto sprovvista di motivazione sul punto così come di indicazione delle ragioni sottese alla mancata valutazione di elementi pur essenziali ai fini della qualificazione dello sciopero, quali ad esempio le ragioni dell’astensione[7].
In presenza di rivendicazioni che coinvolgono indistintamente tutti i settori produttivi e che possono riguardare lavoratori attivi su tutto il territorio nazionale, non vi è ragione per escludere il carattere generale dello sciopero e costringere l’astensione nelle strette maglie delle svariate e difformi regolamentazioni di settore.
Dal momento che, proprio nel caso vagliato dalla Commissione nel novembre 2023, la qualificazione dello sciopero come generale avrebbe consentito l’applicazione di limiti al relativo esercizio meno stringenti, con il superamento dell’applicazione della disciplina regolatrice di questo o quello specifico settore (ad esempio in tema di procedure di conciliazione, raffreddamento, rarefazione oggettiva, ecc.), la stessa avrebbe meritato ben più ampia motivazione; rectius, avrebbe meritato una motivazione, invero del tutto assente.
Sembra, dunque, potersi affermare che i poteri di intervento e regolazione della Commissione di Garanzia, sono sorretti da due ordini di limiti, interni ed esterni: da un lato, infatti, essi sono circoscritti alle materie indicate nell’art. 2 c. 2, più volte citato[8], e dall’altro – nell’ambito di dette materie – sono il frutto della discrezionalità amministrativa cui si è fatto riferimento sopra, e proprio per tale ragione non possono prescindere da adeguata preliminare attività istruttoria né da una puntuale motivazione, escludendosi qualsiasi profilo di arbitrarietà, illogicità o irragionevolezza delle decisioni adottate.
Anche i poteri regolamentari in commento, infatti, devono essere esercitati nel rispetto del quadro generale disegnato dall’art. 1 della legge regolatrice dello sciopero nei servizi pubblici essenziali, di talché essi devono conformarsi e rispondere alla ratio di tale disciplina. Non si tratta, in altre parole, di un potere ispettivo e/o di vigilanza sbilanciato sulle modalità di esercizio dello sciopero e sulla tutela dell’utenza, ma è esso stesso espressione di quel bilanciamento di diritti costituzionalmente rilevanti e pari-ordinati cui si è fatto riferimento in apertura.
L’assunto, sembra trovare conforto in un recente arresto della giurisprudenza amministrativa, chiamata a pronunciarsi su una delibera della Commissione di Garanzia modificativa della disciplina della c.d. rarefazione oggettiva, con ampliamento dell’intervallo minimo tra la prima astensione e la proclamazione di un successivo sciopero da 10 a 20 giorni. Nel ritenere illegittimo il provvedimento amministrativo, nel 2023 il Consiglio di Stato, con argomenti che è utile ritrascrivere, ha chiarito come “l’ampia discrezionalità decisionale della Commissione, nello specifico con riguardo alla individuazione del periodo di rarefazione oggettiva tra gli scioperi, proprio perché involge e coinvolge diritti costituzionalmente garantiti, merita di essere esercitata con particolare cautela ed attenzione, assumendo decisioni che siano il frutto di una accurata istruttoria e che siano caratterizzate, nell’individuazione della misura più opportuna da mettere in campo, da una motivazione puntuale dalla quale sia possibile poter ricostruire nella sua interessa e completezza il corredo informativo che ha consentito di indirizzare la manifestazione di volontà della Commissione verso scelte proporzionate all’interesse pubblico che si intende salvaguardare”[9].
4. L’ordinanza di precettazione ex art. 8 L. 146/1990
Riflessioni non dissimili possono essere fatte con riferimento all’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro delegato (o ancora, per gli scioperi locali, del Prefetto) di cui all’art. 8 L. 146/1990. Anche tale provvedimento è un atto amministrativo discrezionale, con tutte le caratteristiche sopra riferite alla delibera della Commissione di Garanzia, ma presenta un limite ulteriore, peraltro, particolarmente stringente.
L’ordinanza, infatti, per espressa previsione dell’art. 8 cit., potendo disporre autoritativamente il differimento dell’astensione, la riduzione della durata o altre misure idonee ad assicurare il funzionamento del servizio pubblico interessato, trova la sua giustificazione unicamente in presenza di un “fondato pericolo di un pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati”.
La lettera della norma, induce a ritenere che il potere de quo incontri non soltanto i limiti propri dell’agire amministrativo sopra esaminati, ma necessiti di una motivazione rafforzata e relativa a) all’esistenza di un pericolo di pregiudizio grave e imminente, dunque qualificato, b) ad elementi fattuali che facciano ritenere tale pericolo non semplicemente possibile o probabile ma, addirittura, “fondato”. Tale termine richiama profili di concretezza della situazione di rischio e consente di qualificare come eccezionale l’intervento amministrativo.
Ebbene, a fronte di ciò, e prendendo spunto proprio dalle recenti ordinanze del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti[10], sembra potersi affermare che provvedimenti non adeguatamente motivati o che riconducano le ragioni delle direttive impartite a necessità avulse dal bilanciamento di diritti paritari o dall’esistenza di concrete necessità di fronteggiare un pericolo “grave ed imminente” per uno o più di essi, non possano dirsi conformi al dettato normativo e si traducano in una indebita ingerenza degli organi amministrativi nel conflitto sociale e nella regolazione delle relazioni industriali.
Le ordinanze in commento, infatti, sono - per loro stessa natura - provvedimenti invasivi, che si risolvono necessariamente in uno svantaggio per una delle parti interessate; per tali ragioni, il ricorso alle stesse deve essere vagliato con particolare rigore, e parimenti attenta deve essere la verifica della loro rispondenza al dettato normativo o, per contro, la eventuale frustrazione delle finalità perseguite dalla legge. Ordinanze precettive emanate oltre i limiti legali (formali e sostanziali) sopra descritti, infatti, si traducono in strumenti deflattivi dell’azione sindacale e, dunque, della tutela del lavoro o, comunque, un indebito contenimento del conflitto in misura non proporzionale alle necessità di tutela dei diritti dei fruitori del servizio interessato.
Non va dimenticato, a tal proposito, che il disagio per l’utenza coinvolta nei servizi pubblici essenziali interessati è connaturale all’esercizio stesso del diritto di sciopero. Ciò che le Autorità Amministrative coinvolte sono chiamate a vagliare e a garantire non è, dunque, la mera esistenza di un qualche disagio, se del caso anche di un certo rilievo, ma l’entità non equilibrata dello stesso e l’insufficienza delle misure volte ad assicurare le prestazioni indispensabili. Il Legislatore, in altre parole, ha già compiuto valutazioni generali sul contemperamento degli interessi in gioco, fornendo alle Autorità Amministrative competenti i parametri per il corretto esercizio del potere autoritativo.
Riprendendo, ancora come spunto comparativo, il contenuto delle ordinanze recentemente adottate dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti[11] pare non potersi ritenere, ad esempio, adeguata motivazione ex art. 8 L. 146/1990, quella che fa riferimento a possibili danni per un preteso “trend positivo del turismo” o al probabile aumento del “traffico veicolare con ripercussioni sulla sicurezza stradale e sulle emissioni ambientali”, o addirittura ad una paventata “partecipazione consistente” all’astensione dal lavoro da parte dei lavoratori.
Si tratta, infatti, di valutazioni, da un lato meramente ipotetiche perché non adeguatamente supportate da elementi istruttori, e comunque prive del carattere della concretezza preteso dalla norma; dall’altro, riferite a (possibili lesioni di) diritti privi del rilievo costituzionale imposto dal Legislatore del 1990 (così, per non fare che gli esempi sopra riportati, il turismo o il traffico veicolare), quando non addirittura in contrasto con il dettato costituzionale: la prevedibile massiccia partecipazione all’astensione (sempre nel rispetto dell’obbligo di fornire le prestazioni indispensabili) è l’essenza stessa dell’esercizio del diritto di sciopero e non certo un suo possibile limite.
La specificità e completezza della motivazione appare, in quest’ottica, strumento indefettibile di scrutinio della legittimità dell’esercizio del potere autoritativo e sanzionatorio dell’organo amministrativo. In difetto di un concreto e attuale rischio per posizioni giuridiche di rilievo costituzionale, non si giustifica il sacrificio di un diritto (questo sì, attuale e concreto) di indubbio rango costituzionale quale è quello di sciopero; ciò a meno di voler accettare il rischio di introdurre – per via amministrativa – ulteriori ed inedite derive regolatorie e i limiti del tutto nuovi rispetto a quelli contenuti in una normativa che già allo stato attuale risulta particolarmente vincolante.
[1] Le ordinanze del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti riferite ad un’unica tornata di astensioni generale dal lavoro proclamato il 27/10/2023 sono la n. 196T del 15/11/2023 e la n. 198T del 12/12/2023. Nel precedente mese di settembre era stata, peraltro, emanata l’ordinanza n. 194T del 26/9/2023 in relazione ad uno sciopero proclamato in data 24/8/2023 di tenore e contenuto sostanzialmente simile.
[2] Il Codice penale Rocco prevedeva infatti agli artt. 502-506 svariate ipotesi di reato legate all’astensione dal lavoro (sciopero e serrata) per motivi contrattuali, non contrattuali, per solidarietà o per protesta.
[3] Verbale del 15/10/1946, intervento del costituente Pietro Mancini.
[4] Così recita testualmente l’art. 1 c.2 L. 146/1990.
[5] Così dispone l’art. 2 c. 2 L. 146/1990.
[6] Il riferimento è fatto alla delibera Commissione di Garanzia 1314/23 del 9/11/2023 nonché alle ordinanze n. 196T e 198T Min. Infrastrutture e Trasporti cit..
[7] Nel caso esaminato le rivendicazioni delle OO.SS. erano legate alla legge di bilancio, alle politiche economiche e sociali del Governo, alle piattaforme sindacali unitarie, a provvedimenti in materia di lavoro, politiche industriali, fisco, pensioni, istruzioni, sanità, ecc.
[8] Il riferimento è alle prestazioni indispensabili, alle modalità e alle procedure di erogazione, nonché gli intervalli minimi da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo e le procedure di raffreddamento e di conciliazione.
[9] Cfr. Cons. Stato, sent. n. 2116 del 1/3/2023.
[10] Le già citate ordinanze nn.- 194T/2023, 196T/2023 e 198T/2023. Nell’ordinanza n. 196T, in particolare, si legge: “CONSIDERATO il trend positivo del turismo, che torna ad essere un settore trainante per la nostra economia e che si caratterizza con una forte intensificazione dei flussi turistici in entra e in uscita dal territorio nazionale, prevalentemente nei weekend, in aggiunta alla persistenza degli spostamenti dei lavoratori pendolari; CONSIDERATO che gli effetti dello sciopero si riverberano anche sul traffico veicolare con ripercussioni sulla sicurezza stradale e sulle emissioni ambientali, anche tenuto conto della sua fissazione nell’ultimo giorno lavorativo della settimana, connotata da maggiori flussi di traffico; (…) TENUTO CONTO che, alla luce di quanto verificatosi in occasione di precedenti astensioni dal lavoro promosse da Organizzazioni Sindacali altamente rappresentative nel settore dei trasporti, si prevede che la partecipazione ai richiamati scioperi sarà consistente”.
[11] Le già citate ordinanze nn. 194T, 196T e 198T del 2023.
(Immagine: foto di repertorio fonte)