Il problematico obbligo di green pass per lavoratori pubblici e privati (magistrati compresi)
di Marcello Basilico
Preceduto da spifferi e anticipazioni, è entrato in vigore il decreto legge che vincola i lavoratori pubblici e privati a dotarsi del certificato verde per accedere ai luoghi di lavoro. È una disciplina non del tutto consonante con quella dei lavoratori della scuola, che ha fatto da apripista in materia. Il legislatore dimostra così ancora una volta di procedere per approssimazioni progressive. In questo quadro le misure per gli uffici giudiziari e per i magistrati non si distinguono per chiarezza di contenuti e d’intenti.
Sommario: 1. Introduzione - 2. Il decreto legge - 3. L’obbligo di certificazione nei luoghi di lavoro - 4. L’obbligo di certificazione per i lavoratori della PA - 5. L’obbligo per i magistrati - 6. Obblighi ed esenzioni per il personale operante negli uffici giudiziari diverso dai magistrati.
1. Introduzione
È legge l’obbligo di green pass nel mondo del lavoro, nella pubblica amministrazione e, per potere accedere agli uffici giudiziari, per i magistrati. Sulla Gazzetta Ufficiale del 21 settembre è stato infatti pubblicato il decreto legge 127/2021 intitolato “Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l’estensione dell’ambito applicativo della certificazione verde Covid-19 e il rafforzamento del sistema di screening”.
2. Il decreto legge
Il testo del provvedimento abbraccia vari aspetti della battaglia pubblica anti Covid. La tecnica legislativa continua a essere quella della sovrapposizione normativa, attraverso interpolazioni di (o rinvii a) disposizioni precedenti. Fatti salvi il 6 e l’8 del d.l. 127/2021, tutti gli altri articoli contengono soltanto modifiche o integrazioni di discipline già vigenti[1]. Come sempre ne deriva il risultato di una lettura faticosa cui seguono operazioni d’interpretazione inevitabilmente complicate.
Oltre alle misure dettate per i luoghi di lavoro pubblici e privati, il decreto contiene alcune norme di rilievo generale: l’obbligo di somministrazione di test antigienici rapidi e a prezzo calmierato per farmacie e strutture sanitarie convenzionate, autorizzate o accreditate (art. 4); modifiche a validità e durata delle certificazioni verdi (art. 5); adozione di misure per sport e attività del tempo libero (artt. 6 e 8); potenziamento del servizio di contact center per le certificazioni verdi.
Traspare anche da queste disposizioni l’idea dell’estensione graduale del green pass, individuato come strumento primario di contrasto alla pandemia, sempre più a fianco del cittadino nelle sue occupazioni primarie e nel suo tempo extralavorativo .
Significative appaiono sotto questo profilo la nuova calibrazione dell’efficacia della certificazione rispetto alle previsioni del d.l. 52/2021, che già erano state riadattate in sede di conversione con la legge n. 87 del 17 giugno scorso, e le previsioni di nuove spese dedicate ai tamponi rapidi gratuiti.
Questi ultimi sono previsti sino al 31 dicembre prossimo per coloro che non possano vaccinarsi o completare la vaccinazione sulla base della certificazione medica idonea, prescritta dall’art. 3, terzo comma, d.l. 105/2021 (conv. nella legge 126/2021) e rilasciata secondo i criteri stabiliti dal Ministero della salute[2].
Pur se previsto dunque per casi ancora eccezionali, l’accesso gratuito ai test antigenici rappresenta una prima e probabilmente provvisoria risposta alla questione – posta con toni apparentemente vibranti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori – del “chi pagherà” i tamponi ai quali dovranno sottoporsi i dipendenti che dal 15 ottobre volessero accedere ai loro luoghi di lavoro senza essersi vaccinati. Va ricordato che, ai sensi dell’art. 9, secondo comma, d.l. 52/2021 (conv. in l. 87/2021), la certificazione verde Covid-19 attesta l’effettuazione con esito negativo al virus SARS-CoV-2, del test antigienico, rapido o molecolare, in alternativa al completamento del ciclo vaccinale e all’avvenuta guarigione da Covid con contestuale cessazione dell’isolamento prescritto.
3. L’obbligo di certificazione nei luoghi di lavoro
La novità di maggiore impatto nel d.l. 127 è costituita dall’introduzione dell’obbligo di green pass per chi svolga un’attività lavorativa presso la pubblica amministrazione o in settori privati.
Per i lavoratori pubblici l’osservanza della prescrizione (art. 1, primo comma) condiziona l’accesso “ai luoghi di lavoro, nell’ambito del territorio nazionale, in cui il predetto personale svolge l’attività lavorativa”; per quelli privati (art. 3, primo comma) l’obbligo è posto per accedere “ai luoghi in cui la predetta attività è svolta”. La differenza testuale nelle due norme è solo apparente. In entrambe non sembra tenersi conto del lavoro a domicilio, in modalità agile o smart working. Si direbbe che l’obbligo possa essere escluso per chi renda la prestazione nell’abitazione e comunque non in presenza di altri lavoratori, risultando ingiustificato sulla base della finalità che si vede enunciata in premessa di ambedue le disposizioni.
Sono tenuti a possedere e, a richiesta, esibire il green pass non solo i lavoratori subordinati, ma tutti i soggetti che negli ambienti predetti svolgano un’attività di lavoro, di formazione o di volontariato, “anche sulla base di contratti esterni” (secondo comma degli artt. 1 e 3).
Quest’ultima, atecnica, espressione evoca il lavoro reso a vantaggio di terzi soggetti. Essa consente dunque di ritenere compresi tra i destinatari del precetto anche i lavoratori impiegati in somministrazione o in esecuzione di appalto che operino comunque nei luoghi individuati dal primo comma degli artt. 1 e 3. Il riferimento alla casistica contrattuale in cui si registra la scissione tra datore e utilizzatore della prestazione è confermato dal quarto comma dei due articoli, che obbliga i “rispettivi datori di lavoro” – diversi da quelli del primo comma – a esercitare verifiche autonome sul possesso della certificazione da parte dei propri dipendenti.
L’estensione colma una lacuna, avvertita dalla gran parte dei commentatori, presente nella disciplina relativa agli ambienti sanitari, giacché all’obbligo di vaccinazione introdotto per i professionisti e gli operatori del settore non corrispondevano obblighi o oneri di sicurezza in capo a quanti, pur non rientrando nelle categorie individuate, frequentavano stabilmente gli stessi luoghi di lavoro. Il pensiero correva ai lavoratori delle mense ospedaliere o delle imprese di pulizia in appalto.
Le disposizioni dell’art. 4 d.l. 44/2021 (conv. 77/2021) erano tese, del resto, a individuare le categorie di lavoratori obbligati; gli interventi normativi successivi, a cominciare dalla disciplina scolastica[3], identificano invece la platea dei soggetti obbligati (al green pass) per settori di attività: ecco un altro, ennesimo, indice dell’avanzamento progressivo del legislatore nella predisposizione delle misure emergenziali all’interno del mondo del lavoro.
Il d.l. 127/2021 ripropone l’esenzione dall’obbligo per i soggetti ai quali sia preclusa, per apposita certificazione medica, la facoltà di vaccinarsi (terzo comma degli artt. 1 e 3). Ripropone altresì l’apparato di disposizioni inaugurato per il settore scolastico, in punto di obblighi di verifica in capo ai datori di lavoro (quarto comma degli artt. 1 e 3) e di sanzioni amministrative a carico di coloro – lavoratori e datori – che abbiano violato le prescrizioni loro rispettivamente imposte (art. 1, settimo e ottavo comma; art. 3, ottavo e nono comma).
Vengono inoltre replicate, sul fronte del rapporto lavorativo, l’equivalenza tra assenza ingiustificata e difetto del green pass nonché la scelta di neutralità di tale condotta sul piano disciplinare (sesto comma degli artt. 1 e 3).
Ha invece rilievo disciplinare – oltre a essere sanzionato in via amministrativa, come detto – la differente condotta di accesso al luogo di lavoro in assenza di certificazione (art. 1, settimo comma; art. 3, ottavo comma).
Questo comportamento avrebbe trovato una sanzione già in base alle norme comuni, realizzando la violazione dei doveri di diligenza enucleati dall’art. 2104 c.c. e dei più generali doveri di collaborazione connessi alle modalità della prestazione. Pur tuttavia la precisazione pare opportuna al fine di sgombrare il campo da equivoci rispetto al trattamento della (diversa) fattispecie della mancata titolarità della certificazione.
Soltanto per i dipendenti d’imprese con meno di quindici dipendenti, però, scatta dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata la sospensione dal servizio (e dalla retribuzione). L’art. 3, settimo comma, con l’espressione “può sospendere”, sembra rimettere alla facoltà del datore un intervento che invece nell’ambito scolastico e universitario l’art. 9-ter, secondo comma, d.l. 52/2021 rende automatico.
Per tutti gli altri lavoratori privati e per quelli pubblici non è invece previsto un provvedimento di sospensione. A livello retributivo l’effetto non è diverso, giacché per ogni giorno di assenza conseguente alla mancanza di green pass non spetta comunque il compenso.
4. L’obbligo di certificazione per i lavoratori della PA
L’art. 1 d.l. 127/2021 ha cura di precisare – principalmente mediante il richiamo agli artt. 1, secondo comma, e 3 del d. lgs. 165/2001 – che il nuovo obbligo vale per tutti gli enti pubblici e per tutto il personale pubblico, sia esso contrattualizzato o meno. Si cerca d’includere in un regime analogo persino i soggetti titolari di cariche elettive o istituzionali di vertice nonché gli organi costituzionali (art. 1, undicesimo e dodicesimo comma).
La portata totalizzante di queste misure rende ancora più sintomatico il fatto che si sia voluta inserire una disciplina speciale per i magistrati negli uffici giudiziari (art. 2), tanto più se si considera che, altrimenti, essi sarebbero stati indubitabilmente assoggettati al regime pubblicistico generale.
Quest’ultimo merita ancora qualche annotazione, prima di soffermarsi sulla posizione del personale di magistratura.
Va innanzi tutto rimarcata, tenuto conto della tempistica che generalmente connota l’attività in molte Amministrazioni, l’imminenza del termine del 15 ottobre, entro cui ogni ente dovrà approntare l’organizzazione delle verifiche, prevedendo se possibile controlli “al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro” e individuando con atto formale i soggetti incaricati dell’accertamento e della contestazione delle violazioni di rilievo amministrativo. La scadenza appare ancora più ravvicinata se si considerano la tendenziale omogeneità delle modalità organizzative (art. 1, quinto comma, seconda parte) e l’invarianza finanziaria prevista per gli interventi organizzativi che si renderanno necessari (art. 1, tredicesimo comma).
Per espressa previsione (art. 1, decimo comma), nei confronti dei magistrati collocati fuori ruolo presso altre amministrazioni pubbliche si applicano le disposizioni dettate per la magistratura dall’art. 2. Ciò denota in primo luogo l’attenzione riservata dal legislatore alla categoria indipendentemente dal luogo di prestazione effettiva dell’attività. Quand’anche l’assimilazione dei fuori ruolo fosse dettata da preoccupazioni di parità di trattamento, si potrebbe dubitare della sua ragionevolezza, poiché, in materia di sicurezza e prevenzione del pericolo di diffusione del contagio, la loro situazione non è automaticamente assimilabile a quella dei magistrati in servizio negli uffici giudiziari.
La medesima norma del decimo comma consente inoltre di escludere, per ragionamento a contrario, che nei confronti del personale alle dipendenze di altre Amministrazioni e collocato fuori ruolo valgano disposizioni diverse da quelle generali.
5. L’obbligo per i magistrati
Tutti i magistrati, non solo quelli ordinari e non solo quelli professionali, sono tenuti a possedere la certificazione verde per accedere agli uffici giudiziari (art. 2, primo e quarto comma).
Come per gli altri lavoratori, l’assenza dall’ufficio per difetto di certificazione configura assenza ingiustificata, con perdita della retribuzione (secondo comma). La norma merita due rilievi.
Il primo – estensibile a ogni lavoratore di categoria dirigenziale e comunque non tenuto all’osservanza di un orario di lavoro o a obblighi di presenza – attiene all’accertamento dei casi di “assenza dall’ufficio conseguente alla carenza ..” del green pass: è evidente infatti che tale verifica sarà difficile quando il lavoratore non sia chiamato da impegni cogenti in ufficio; la violazione sarà più facilmente accertabile quando tali impegni siano previsti. Il caso più eclatante è rappresentato per il magistrato dalla presenza in udienza. Potrebbero rivelarsi fonte d’incertezza i turni di reperibilità, quando in concreto egli non venga chiamato ad accedere all’ufficio.
Può non essere superfluo sottolineare che siffatte considerazioni hanno lo scopo di testare la tenuta d’una disposizione nel quadro normativo o rilevarne profili di controvertibilità interpretativa o applicativa. Hanno dunque l’ambizione di fornire un contributo schiettamente giuridico, senza con ciò assecondare e, tanto meno, suggerire possibili comportamenti speculativi. Riteniamo al contrario che l’emergenza pandemica, prima ancora che la disciplina e l’onore che si richiedono a quanti esercitano pubbliche funzioni, ci richiami tutti ad atteggiamenti improntati alla massima solidarietà ed al più rigoroso senso di responsabilità
Il secondo rilievo deriva dalla mancata riproposizione, nella norma dell’art. 2, secondo comma, che qualifica l’assenza come “ingiustificata”, della puntualizzazione “senza conseguenze disciplinari”, presente invece nelle omologhe disposizioni degli artt. 1 e 3, rispettivamente per gli altri dipendenti pubblici e per i lavoratori privati.
Si potrebbe ipotizzare che l’omissione sia collegata alla tipicità degli illeciti disciplinari del magistrato. Nel catalogo dettato dal d. lgs. 109/2006, non c’è la fattispecie dell’assenza ingiustificata, che invece è sistematicamente contemplata nei codici disciplinari delle altre categorie di lavoratori. Ciò renderebbe superflua la precisazione che il legislatore ha viceversa ritenuto di dovere inserire negli altri articoli del decreto.
Questa possibile spiegazione non è tuttavia rassicurante, poiché la mancanza del certificato verde potrebbe pur sempre configurare per il magistrato, in presenza d’un precetto positivo che lo renda obbligatorio, “grave violazione di legge determinata da .. negligenza inescusabile” (lett. g) o “grave inosservanza delle .. disposizioni sul servizio giudiziario” (lett. n) o sottrazione ingiustificata all’attività di servizio (lett. r), a seconda delle situazioni in cui venga accertata[4].
È noto peraltro che il legislatore non ha voluto attribuire rilevanza disciplinare alla violazione dell’obbligo di certificazione – al pari, secondo la gran parte dei commentatori[5], di quello di vaccinazione, laddove prescritto – per la considerazione attribuita alle ragioni personalissime che possono indurre taluni a sottrarvisi; tali ragioni a oggi sono state ritenute meritevoli di qualche tutela, sebbene soccombenti nel bilanciamento con le esigenze di salute pubblica espressamente salvaguardate dalla legge.
In questo quadro normativo, l’attribuzione di rilevanza disciplinare solo all’omissione del magistrato appare irragionevole, poiché risulta difficile giustificarla in base a ragioni oggettive – quali il rilievo costituzionale della sua funzione e l’essenzialità del servizio giudiziario – quando l’identico comportamento di ogni altro funzionario pubblico ne risulti esentato.
Va aggiunto che invece l’accesso del magistrato privo di green pass all’ufficio giudiziario configura illecito disciplinare, punito con la sanzione non inferiore alla censura. Si tratta al contempo di una violazione sanzionata anche in via amministrativa. Salvo che per il diretto richiamo all’art. 12 d. lgs. 109/2016, queste specifiche norme dettate per i magistrati (art. 2, terzo e sesto comma) non si discostano sostanzialmente da quelle dettate in generale per il personale pubblico.
Ai magistrati onorari si applica, in quanto compatibile, il medesimo regime sanzionatorio (art. 2, quarto comma). In tal modo il legislatore finisce per accomunarli al regime, espressamente qualificato come “disciplinare”, dei magistrati togati. Il criterio di compatibilità non è idoneo a segnare una demarcazione chiara tra le due categorie. Pertanto è verosimile che in questo passaggio normativo si rinvenga un altro tassello nella costruzione giuridica che vedrebbe attribuita agli onorari, per comparazione con l’attività e la disciplina dei magistrati ordinari, la qualità di lavoratori professionali, se non addirittura subordinati.
Il procuratore generale presso la corte d’appello è individuato come responsabile della sicurezza tenuto a verificare il possesso della certificazione da parte di tutti i magistrati ordinari del distretto. Perché tale previsione abbia una sua effettività il quinto comma dell’art. 2 prevede che egli possa avvalersi di propri delegati. Si può immaginare che nei circondari diversi da quello in cui ha sede la corte d’appello il PG si affiderà soprattutto ai procuratori della Repubblica i quali si troveranno dunque ad organizzare sul territorio, a loro volta, i controlli e a individuare le figure titolate alla contestazione degli illeciti.
Per i magistrati onorari, così come per il personale amministrativo, il responsabile della sicurezza coinciderà invece con quello già presente nei rispettivi uffici giudiziari.
6. Obblighi ed esenzioni per il personale operante negli uffici giudiziari diverso dai magistrati
Il personale amministrativo non è più inserito espressamente dal decreto legge, diversamente da quanto riportava il testo circolante in bozza alla vigilia, tra i lavoratori tenuti al green pass per accedere agli uffici giudiziari. L’obbligo gli deriva dunque dalla norma generale relativa a tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
In realtà, se preso alla lettera, l’ultimo comma dell’art. 2 parrebbe esentare pure gli addetti alle cancellerie (“Le disposizioni del presente articolo non si applicano ai soggetti diversi da quelli di cui ai commi 1 e 4 – rispettivamente magistrati professionali e magistrati onorari - n.d.r. – ivi inclusi ..”). La norma va però necessariamente coordinata con quella dell’art. 1, primo comma, anche perché non vi sarebbe ragione per ritenere dispensato il solo personale amministrativo del comparto giustizia da un obbligo altrimenti generalizzato nella P.A.; per converso il carattere apparentemente drastico dell’ultimo comma dell’art. 2 si spiega con la finalità di escludere tutte le categorie elencate nella sua parte terminale.
Per il personale di cancelleria è dunque nell’art. 1 che si rinviene la disciplina attinente i poteri e le responsabilità datoriali nonché le conseguenze delle violazioni in materia.
In virtù dell’esplicita previsione dell’art. 2, quinto comma, il Ministero della giustizia è l’unico dicastero cui sia affidato il potere di adottare modalità ad hoc. Per tutte le altre Amministrazioni, in base al quinto comma dell’art. 1, spetta invece alla Presidenza del Consiglio provvedervi.
Si auspica che il Ministro della giustizia assolva al compito, non agevole, con l’attenzione richiesta dalla parcellizzazione delle strutture giudiziarie sul territorio e dalla storica inadeguatezza del patrimonio immobiliare che vi è dedicato.
La delicatezza di questo compito rischia di essere incrementata dal vero punto dolente della disciplina concernente gli uffici giudiziari: l’esenzione dall’obbligo di green pass per tutti i professionisti che giornalmente praticano Tribunali, Corti e Procure e, tra costoro, soprattutto degli avvocati.
Le ragioni dell’esclusione possono ricercarsi nella loro qualità professionale, che li distingue rispetto ad un contesto normativo tutto impostato sulla relazione tra datore e lavoratore subordinato. La portata persuasiva dell’argomento si affievolisce al cospetto dell’inclusione tra i soggetti obbligati dei magistrati onorari, che – al netto delle rivendicazioni di categoria e di alcuni riconoscimenti giudiziari allo stato non definitivi – operano in presenza di vincoli contrattuali ancor meno stringenti.
Senza inseguire l’ipotesi, malignamente sussurrata, che con l’esonero si sia inteso eliminare possibili pretesti per istanze di rinvio basate sull’indisponibilità della vaccinazione, è più verosimile ritenere che la scelta legislativa sia dipesa dal fatto che l’avvocatura, al pari degli ausiliari del magistrato, non è incardinata in seno all’organizzazione dell’apparato amministrativo che presiede alle verifiche e alle contestazioni degli illeciti.
Questa spiegazione, pur se credibile, rappresenta tuttavia un vulnus per quanti – non solo all’interno dell’avvocatura – vedono nella figura del difensore una componente ineliminabile non del solo momento processuale, ma dell’intero assetto giudiziario.
In ogni caso, più che indagare le ragioni di una siffatta soluzione normativa, importa qui valutarne gli effetti. Il numero degli avvocati che hanno motivo di accedere agli uffici giudiziari rimane, anche dopo l’informatizzazione di molte attività, elevatissimo; in molti processi esso è preponderante rispetto a quello del personale di magistratura e amministrativo.
È quindi evidente che gli obiettivi di tutela della salute pubblica e di mantenimento di condizioni di sicurezza adeguate sarebbero molto più facilmente perseguibili vincolando la componente forense agli stessi o ad obblighi analoghi a quelli prescritti per i pubblici dipendenti. L’immagine di un’aula affollata da pochi giudici e cancellieri muniti di certificazione verde e di una moltitudine di avvocati e parti che ne siano potenzialmente sprovvisti contrasta in modo lampante con le finalità enunciate nella norma.
Allo stato attuale, non resta che confidare nella capacità dell’Amministrazione giudiziaria di allestire spazi convenienti per garantire le migliori misure di prevenzione dei pericoli di contagio, nel breve periodo fino alla conclusione del periodo emergenziale (15 dicembre). Inevitabile sarà il ricorso ancora massiccio, laddove possibile, ai meccanismi alternativi di trattazione, la cui utilizzabilità è stata ancora prorogata dell’art. 7, primo comma, d.l. 105/2021, e che peraltro sono stati concepiti soprattutto per le udienze meno affollate.
Le incertezze legate all’evoluzione del quadro pandemico e le difficoltà applicative della nuova disciplina rendono tutt’altro che improbabile l’introduzione di modifiche rilevanti e nuove misure in sede di conversione. Non è peraltro marginale il rilievo per cui la conversione avverrà a meno di un mese dalla scadenza attuale del periodo emergenziale.
[1] In particolare gli artt. da 1 a 3 del d.l. 127/2021 introducono altrettanti articoli (da 9-quinquies a 9-septies) al d.l. 52/2021, conv. nella legge 87/2021, secondo la tecnica già adottata nel 10 settembre 2021, n. 122, per il settore scolastico. Nel presente scritto si preferisce comunque riferire della disciplina in commento citando gli articoli dell’ultimo d.l., menzionando espressamente gl’innesti nel d.l. 52 quando opportuno.
[2] Allo stato è la circolare del Ministero della Salute del 4 agosto 2021 sulle certificazioni di esenzione alla vaccinazione anti Covid-19, aventi validità sino al 30 settembre.
[3] D.l. 122/2021, già menzionato nella nota 1.
[4] Cfr. art. 2 d. lgs. 109/2006.
[5] Per una rassegna della dottrina sul punto mi permetto di rinviare al mio precedente intervento Il punto sulla disciplina dell’obbligo vaccinale, in questa rivista, pubblicato il 15 giugno 2021.