Il principio di non discriminazione tra i sessi e norme e tutela della maternità e della prole nell’ambito dell’esecuzione penale.
Commento all’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Bologna del 9.4.2024
di Chiara Gallo
Sommario: 1. L’art. 47 quinquies OP e le norme a tutela del rapporto genitori figli. Brevi cenni - 2. La vicenda all’esame del Tribunale di Sorveglianza - 3. Le questioni prospettate e gli argomenti a sostegno - 4. Gli interventi della Corte Costituzionale riguardanti la questione dell’accesso del padre alle forme di detenzione domiciliare con finalità di cura dei figli - 5. Principio di non discriminazione e diritto alla bigenitorialità. Qualche considerazione.
Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 47 quinquies comma 7 OP (detenzione domiciliare speciale) che prevede la possibilità di accesso alla misura per il padre di figli di età inferiore a 10 anni solo in caso nel caso in cui la madre sia deceduta o impossibilitata e non vi sia modo di affidare la prole ad altri che al padre.
1. L’art. 47 quinquies OP e le norme a tutela del rapporto genitori figli. Brevi cenni.
L’art. 47 quinquies OP, rubricato detenzione domiciliare speciale, disciplina l’accesso ad una forma di detenzione domiciliare per le madri di figli di età inferiore a 10 anni e si inserisce nell’ambito di una serie di modifiche normative volte a garantire la maternità e la cura della prole delle persone detenute.
Introdotta con la legge 40\2001, intitolata Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori (nota come legge Finocchiaro), unitamente ad altre norme tese ad incentivare forme di esecuzione penale esterna nei confronti di detenute incinte e madri di figli in tenera età, ha realizzato l’obiettivo di un rafforzamento della tutela costituzionalmente garantita del diritto alla cura dei figli.
Le originarie disposizioni di cui agli articoli 146 e 147 c.p. che disciplinavano, rispettivamente, il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena per la donna incinta e con prole di età non superiore a sei mesi e il rinvio facoltativo per la madre di prole di età non superiore ad un anno sono state nel tempo affiancate da norme che hanno ampliato e strutturato tale diritto.
Con la legge 663\1986 (legge Gozzini) veniva introdotta nel sistema penitenziario la detenzione domiciliare umanitaria quale strumento di tutela di beni di rilevanza costituzionale come la salute, la maternità e l’infanzia attraverso le norme di cui all’articolo 47 ter OP che, nell’ipotesi di cui al comma I lett a), consente l’accesso a tale forma di espiazione della pena alla donna incinte o madre di prole di età inferiore a 10 anni con lei convivente (l’età originalmente fissata a tre anni è stata progressivamente innalzata a seguito di successivi interventi legislativi a cinque e infine a dieci anni) nei casi in cui la pena da espiare non sia superiore a quattro anni.
A seguito dell’intervento della Corte Costituzionale, con la pronuncia 215\1990, che dichiarava l’illegittimità dell’art. 47 ter primo comma lett a) OP nella parte in cui non prevedeva che la detenzione domiciliare, potesse essere concessa nelle stesse condizioni anche al padre detenuto qualora la madre fosse deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, interveniva la legge 165\1998 (legge Simeone) che modificava la norma, introducendo la lettera b) al comma I, consentendo l’accesso alla misura anche al padre di prole inferiore a 10 anni che non abbia perso la responsabilità genitoriale qualora i figli siano con lui conviventi e la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a crescerli.
La legge 40\2001 ha arricchito il quadro degli strumenti diretti a tutelare il rapporto genitori figli, sia modificando le norme sul rinvio dell’esecuzione della pena innalzando i limiti di età della prole - ad un anno per il rinvio obbligatorio e a tre anni per il rinvio facoltativo - sia introducendo nel sistema la norma di cui all’art. 47 quinquies OP con lo scopo di offrire in modo più incisivo quella protezione che l’art. 31 della Costituzione vuole assicurare alla maternità ed all’infanzia e di abolire la carcerazione dei minori, consentendo l’assistenza materna dei figli minori in modo continuato e in ambiente familiare. La norma appariva infatti rivolta principalmente a chi fosse divenuto genitore nel corso della detenzione ed aveva il compito di ricomporre l’unità familiare attraverso il ricongiungimento della madre detenuta con i figli minori.
L’art. 47 quinquies OP consente l’accesso alla detenzione domiciliare alla madre di prole di età inferiore a 10 anni laddove, indipendentemente dal quantum di pena da espiare, sia possibile ripristinare la convivenza con i figli e non sussista il pericolo di commissione di ulteriori delitti. L’ammissione al beneficio è condizionata all’espiazione di un terzo di pena - o di quindici anni in caso di condanna all’ergastolo - che nella formulazione originaria della norma, doveva avvenire in ambito intramurario. Attraverso l’introduzione del comma I bis ad opera della legge 62\2011 la misura ha mutato la propria fisionomia, attraverso un’anticipazione della tutela dell’interesse al ripristino dell’unità familiare con lo scopo di evitare del tutto la permanenza dei bambini negli istituti penitenziari, prevedendo che la soglia di pena necessaria all’accesso alla misura possa anche essere espiata presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri ma anche, ove non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, in forme extramurarie, quali l’abitazione o in altro luogo di privata dimora o in luoghi di cura assistenza o accoglienza e, da ultimo, in caso di caso di impossibilità di espiare la pena in tali luoghi anche in case famiglia protette. Dopo il compimento di 10 anni di età del figlio il Tribunale di Sorveglianza ha la possibilità di prorogare il beneficio se sussistono i presupposti per l’accesso alla misura alternativa della semilibertà o disporre l’assistenza all’esterno dei figli minori.
Analogamente a quanto previsto dall’art. 47 ter OP anche per la detenzione domiciliare speciale è prevista la possibilità di accesso al beneficio da parte del padre, sia pure a differenti condizioni rispetto alla norma ordinaria. Il comma 7 dell’art. 47 quinquies prevede infatti che la detenzione domiciliare speciale possa essere concessa alle stesse condizioni previste per la madre, anche al padre detenuto se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre. A differenza dell’art. 47 ter OP la norma non impone che il padre sia convivente o che abbia la responsabilità genitoriale del minore, ma prevede un intervento dello stesso in via ulteriormente sussidiaria rispetto a quanto previsto dalla norma ordinaria consentendo l’accesso alla misura solo ove la prole, priva della madre perché deceduta o impossibilitata, non possa essere affidata a terzi.
L’importanza riconosciuta nel nostro ordinamento al diritto dovere di cura dei figli ha condotto ad ulteriori interventi della Corte Costituzionale volti ad ampliare l’ambito di operatività della norma sulla detenzione domiciliare speciale e renderne più agevole l’iter applicativo.
Con la sentenza 239\2014 la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'articolo 4 bis OP nella parte in cui non esclude dal divieto di concessione di benefici penitenziari da esso stabilito la misura della detenzione domiciliare speciale prevista dall'articolo 47quinquies OP (estendendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale alla medesima disposizione contenuta nell’art. 47 ter comma I lett. a) e b) OP e con sentenza 76\2017 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell'articolo 47 quinquies comma I bis OP nella parte in cui esclude dalla possibilità dell'espiazione della soglia di pena in ambito extramurario le madri condannate per taluno dei delitti indicati nell'articolo 4 bis OP.
Da ultimo, con sentenza n. 30\2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell'articolo 47 quinquies commi 1, 3 e 7 OP nella parte in cui non prevede che, ove vi sia un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato di detenzione del genitore, l’istanza di detenzione domiciliare possa essere proposta al magistrato di sorveglianza che può disporne l'applicazione provvisoria, estendendo a tale misura alternative la disciplina prevista per le misure ordinarie.
L'attuale assetto della norma presenta, dunque, un deciso favor verso l'espiazione della pena nelle forme della detenzione domiciliare per le madri di figli in tenera età.
Gli interventi del legislatore e del Giudice delle Leggi hanno progressivamente spostato il baricentro del bilanciamento tra il diritto alla cura della prole e le esigenze di sicurezza verso il primo dei due termini, costruendo una norma che consente l'accesso ad una misura alternativa senza limiti di pena e con possibilità di evitare completamente la detenzione carceraria (grazie alle previsioni che consentono di usufruire dell'applicazione provvisoria della misura senza attendere la decisione del Tribunale, di espiare la soglia di pena per l’accesso alla misura anche in forma extramuraria e della possibilità di proseguire l’espiazione inframuraria anche dopo il compimento di 10 anni dei figli) anche in relazione a condanne a pene molto elevate, per reati molto gravi, anche in materia di criminalità organizzata.
2. La vicenda all’esame del Tribunale di Sorveglianza
Il caso all’attenzione del Tribunale di Sorveglianza di Bologna riguarda un’istanza di ammissione alla detenzione domiciliare speciale avanzata da un detenuto padre di figli di età inferiore a dieci anni. La situazione prospettata vede la madre non presente nel nucleo familiare - dalla stessa abbandonato da tempo - e il padre richiedente quale unico affidatario dei figli minori sulla base di un provvedimento del Tribunale per i Minorenni. L’assistenza dei minori è assicurata dalla sorella maggiore, figlia di primo letto dell’istante e dal compagno di quest’ultima, i quali convivono con i bambini nel medesimo nucleo familiare esistente prima della carcerazione del padre.
3. Le questioni prospettate e gli argomenti a sostegno.
Il Tribunale di Sorveglianza, dopo aver escluso, nel caso in esame, la possibilità di un’interpretazione della norma che consenta di accogliere la richiesta di detenzione domiciliare da parte del richiedente valorizzando l’assoluto impedimento della madre, stante l’esplicito tenore della disposizione della stessa che limita l’intervento del padre alle situazioni in cui né la madre né terzi possano curare i figli, ne prospetta l’illegittimità costituzionale sotto un duplice profilo.
Il primo profilo è quello che attiene alla scelta del legislatore di operare a monte una differenziazione tra le due figure genitoriali nella cura dei figli minori, stabilendo una cornice più favorevole per le detenute di sesso femminile, ancorando tale scelta esclusivamente al sesso del genitore. Tale scelta contrasterebbe con gli artt. 3 comma 2 , 29,30 e 31 della Costituzione e con l’art.11 della Costituzione quale parametro interposto rispetto all’art. 14 CEDU, espressivo in ambito convenzionale del principio di non discriminazione, in relazione all’art. 8 CEDU , che tutela la vita privata e familiare.
Si tratterebbe di un’opzione irragionevole e foriera di ingiusta disparità di trattamento, posto che la norma in esame non ha come primario interesse la tutela della maternità, cui invece presiedono le norme sul differimento dell’esecuzione della pena, bensì quello di garantire l’assistenza ai figli e non pregiudicarne lo sviluppo psico-affettivo.
Il rimettente perviene a tale conclusione sulla base di un’analisi dell’evoluzione della normativa sulle detenute madri e sui rapporti tra genitori detenuti e figli, osservando che, attraverso aggiustamenti progressivi, quali l’innalzamento dell’età dei figli, l’eliminazione del riferimento all’allattamento della prole e l’intervento della Corte Costituzionale 215\1990, la norma sulla detenzione domiciliare di cui all’art. 47 ter comma I OP è stata ridisegnata quale misura prevalentemente tesa alla tutela del minore. Sulla stessa linea, si pone l’art. 47 quinquies OP, pensato specificamente in un’ottica di rafforzamento delle esigenze di tutela della prole.
Se tale è l’interesse primario tutelato dalla norma in esame la scelta di privilegiare la madre nell’accesso alla misura, basata su dati empirici e tradizioni culturali che assegnano alla donna e alla madre un ruolo prioritario di cura e tutela dei figli, non risulta più attuale rispetto ai mutamenti che hanno interessato l’ambito familiare.
Il giudice rimettente osserva che, da tempo, la letteratura scientifica ha messo in discussione l’assunto per cui le funzioni dei genitori siano biologicamente determinate in ragione del genere del soggetto accudente e che, sebbene in una prima fase dello sviluppo non possa negarsi un ruolo di cura primario della madre, legato prevalentemente all’allattamento, successivamente le differenze nel rapporto tra genitori e figli non sono collegate al sesso del genitore. L’ambiente più idoneo allo sviluppo armonico della personalità del minore è quello del c.d. coparenting, ovvero la cooperazione tra i ruoli genitoriali fondata sulla intercambiabilità e condivisione del ruolo di cura. Rileva inoltre che plurime fonti normative, tra cui la Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 e le norme sul diritto di famiglia, hanno riconosciuto un generale diritto del minore alla bigenitorialità, inteso quale necessità del mantenimento del rapporto tra il minore ed entrambe le figure genitoriali senza distinzioni legate al sesso.
La scelta del legislatore, basata su una presunzione non più attuale, senza alcuna valutazione in ordine alla capacità del genitore di sesso maschile di adempiere al ruolo di cura, non soltanto non appare adeguata alle evoluzioni della società e del fenomeno familiare, ma conduce ad effetti distorsivi in danno dei figli minori e a disparità di trattamento tra figli di coppie “madre libera -padre detenuto” e “madre detenuta -padre libero” posto che nel primo caso i figli avranno meno chances di ricostituire il nucleo familiare. Ritenere che il genitore beneficiario possa essere il padre solo in assenza della madre comporta che lo stesso dovrà sempre sobbarcarsi da solo l’onere della cura della prole accanto a quello lavorativo. Ancora più evidenti risultano le disparità di trattamento dei figli in caso di famiglie omosessuali o famiglie di fatto omogenitoriali.
È, dunque, la differenziazione del ruolo sulla base del sesso del genitore ad introdurre un trattamento disomogeneo e irragionevole di condizioni materialmente sovrapponibili ed in cui sussiste un’istanza di tutela costituzionale egualmente intensa della prole bisognosa di cure.
Nell’ordinanza si prospettano due possibili soluzioni modificative della norma volte a sanare il contrasto con le norme costituzionali, optando per l’eliminazione, al comma 7, della locuzione “se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri” al fine di garantire un accesso paritario alla misura alternativa ai genitori dei due sessi. Tale soluzione, oltre a garantire il principio di parità tra i sessi, consentirebbe il mantenimento del rapporto di cura con entrambi i genitori laddove non sussistano pericoli per la collettività, andando quindi ad offrire maggiore tutela all'interesse della cura della prole oggetto degli artt. 30 e 31 comma II della Costituzione.
La diversa opzione, ovvero quella di omologare la condizione della madre a quella del padre valutando se l'assenza del “genitore donna” pregiudichi in concreto lo sviluppo dei figli a fronte della presenza dell'altro partner uomo o di terzi in grado di assicurare assistenza, sebbene rispettosa del principio di non discriminazione tra i sessi condurrebbe ad una modifica in malam partem della norma restringendo la possibilità per la madre di accedere alla misura alternativa, ad oggi non preclusa dalla presenza del padre convivente o comunque dedito alla cura dei figli. Si tratterebbe dunque di una strada non percorribile attraverso una pronuncia additiva della Corte Costituzionale.
Il Tribunale affronta anche il tema, non peregrino, della rilevanza, della questione prospettata, osservando che, ove ritenuta fondata il giudice, nella valutazione dell’istanza non dovrebbe confrontarsi con i temi dell’impedimento della madre e dell’assenza di terzi, richiamando la nozione di “rilevanza giuridica” più volte affermata dalla Corte Costituzionale che prescinde da una diretta incidenza sull'esito del giudizio ma è comunque idonea a incidere anche solo nel senso di imporre a un giudice un diverso percorso logico giuridico argomentativo pur rimanendo in ipotesi identico l’esito del giudizio.
Il secondo profilo di illegittimità costituzionale, preso in esame in via gradata, riguarda il comma 7 della norma che prevede che la misura possa essere concessa al padre non solo in condizioni di assenza per decesso o impedimento della madre ma anche “se non vi è possibilità di affidare la prole ad altri che al padre”. Il rimettente osserva che il ruolo del padre non soltanto viene discriminato rispetto a quello della madre, ma viene addirittura ritenuto subvalente anche in caso rappresenti l’unico riferimento genitoriale rispetto a situazioni di accudimento della prole da parte di soggetti diversi dai genitori. L’illegittimità costituzionale della norma oltre che su un profilo intrinseco di irragionevolezza rispetto alla tutela degli interessi sottesi, si misura rispetto al tertium comparationisrappresentato dalle norme di cui all’art. 47 ter comma I lett b) OP e dall’art. 275 comma IV c.p.p. in materia di misure cautelari, norme che consentono l’accesso alle misure domiciliari al padre convivente esercente la potestà genitoriale laddove la madre sia deceduta o altrimenti impossibilitata a dare assistenza alla prole, senza prevedere l’ulteriore condizione dell’assenza di terzi possibili affidatari.
Con rifermento al rapporto con l’art. 47 ter OP si sottolinea che, pur trattandosi di norme in astratto non del tutto sovrapponibili, la casistica ne dimostra la concreta frequente sovrapponibilità e la Corte Costituzionale, con la richiamata sentenza 30\22 ha sottolineato che nonostante la diversità delle fattispecie regolate connesse alla diversa entità della pena da espiare, le due misure alternative perseguono la medesima finalità, cioè quella di evitare, fin dove possibile, che l’interesse del bambino sia compromesso dalla perdita delle cure parentali determinata dalla permanenza in carcere del genitore.
Rispetto all’articolo 275 comma IV c.p.p. viene richiamata la sentenza della Corte di Cassazione 29355\2014, che ha ritenuto che, una volta che sia stata accertata l'impossibilità assoluta della madre di dare assistenza alla prole e in assenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, il giudice non può giustificare il mantenimento di una misura intramuraria del padre prendendo in esame l'eventuale presenza di altri familiari in quanto ad essi il legislatore non riconosce alcuna funzione sostitutiva considerato che la formazione del bambino può essere gravemente pregiudicata dall'assenza di una figura genitoriale, la cui fungibilità deve pertanto, fin dove possibile, essere assicurata trovando fondamento nella garanzia che l'articolo 31 Cost. accorda all'infanzia.
4. Gli interventi della Corte Costituzionale riguardanti la questione dell’accesso del padre alle forme di detenzione domiciliare con finalità di cura dei figli.
Si è già fatto riferimento alla pronuncia della Corte Costituzionale n.215 del 1990 che dichiarava illegittima la norma di cui all'articolo 47 ter comma primo numero 1 OP nella parte in cui non prevedeva che la detenzione domiciliare potesse essere concessa alle medesime condizioni della madre al padre, qualora la madre fosse deceduta o altrimenti assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole. La questione che veniva prospettata riguardava un caso in cui il padre di minori di dieci anni chiedeva l'accesso alla misura alternativa prospettando una condizione di invalidità della madre a causa di una psicosi. La Corte riteneva la disposizione in contrasto con i parametri di cui agli articoli 3,29,30 e 31 della Costituzione osservando che la previsione secondo cui solo alla madre viene riconosciuto il diritto di assistere la prole nega implicitamente al genitore l'esercizio dello stesso diritto-dovere che la Costituzione affida alla pari responsabilità dei genitori. La sentenza ripercorreva altre pronunce della Corte che avevano più volte affermato che i compiti di mantenimento educazione e istruzione della prole gravano su entrambi i genitori, osservando che tali valori costituzionali risultavano già trasfusi nella legge del lavoro e in particolare nella legge 903\77 che estendeva al padre la facoltà di astensione facoltativa dal lavoro previsto dalla legge del 1971 solo per la madre durante il primo anno del bambino.
Recentissima è la sentenza della Corte Costituzionale 219\2023 su una questione di legittimità analoga a quella oggetto dell’ordinanza del TdS di Bologna, sollevata in relazione alla diversa norma di cui all’art. 47 ter comma 1 lettere a) e b) OP nella parte in cui non prevede la possibilità di accesso al beneficio anche al padre indipendentemente dalla situazione di impossibilità di cure da parte della madre, per contrasto con gli artt. 3 comma II e 31 della Costituzione.
Il rimettente osservava che la più severa disciplina per l’accesso alla detezione domiciliare rispetto alla madre prevista per il padre contrasta con l'interesse del minore, fondato e tutelato dall'articolo 31 II comma della Costituzione, a mantenere un rapporto continuativo con entrambi genitori, ritenendo che la Costituzione e le fonti sovranazionali riconoscano in capo ai minori un vero e proprio diritto alla bigenitorialità. Rilevava, inoltre, l’intrinseca irragionevolezza della norma che, in assenza di plausibili e giustificate ragioni, pone nel campo delle misure alternative alla detenzione intramurarie una disciplina che privilegia in via primaria la conservazione del rapporto genitoriale materno anche a fronte di condotte illecite che abbiano giustificato la limitazione della libertà personale della madre.
La Corte Costituzionale ha ritenuto entrambi i profili di incostituzionalità non fondati, partendo dalla premessa che entrambe le censure fossero state costruite attorno alla prospettiva dell’interesse del minore ad una relazione continuativa con entrambi i genitori e ritenendo, invece, escluse dal devolutum le questioni della diversa considerazione dei diritti doveri che fanno capo al padre rispetto a quelli che fanno capo alla madre e la questione di discriminazione, in base al sesso tra le due figure genitoriali, nell’accesso alle misure alternative.
Non ha tuttavia risparmiato un avvertimento per il futuro, osservando che per affrontare la tematica della disparità di trattamento sarebbe stato necessario confrontarsi in modo approfondito tanto con il significato della portata della protezione offerta alla maternità dall'articolo 31 II comma Costituzione, quanto con le fonti internazionali in materia, tra cui l'articolo 4 paragrafo 2 della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna adottata a New York il 18 dicembre 1979 -ratificata e resa esecutiva con legge 132 del 14 marzo 1985 - a tenore del quale ‘l'adozione da parte degli Stati di misure speciali comprese le misure previste dalla presente convenzione tendenti a proteggere la maternità non è considerato un atto discriminatorio’, e altresì con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di discriminazioni nel trattamento sanzionatorio e nel trattamento penitenziario di donne e uomini.
Nel merito, la Corte ha osservato che il nostro ordinamento, pur riconoscendo il principio dell’interesse preminente del minore come faro che deve guidare le decisioni delle Autorità Pubbliche, non assicura l’automatica prevalenza del diritto del minore a mantenere un rapporto con entrambi genitori su ogni altro interesse individuale o collettivo, aggiungendo che, con riferimento alle relazioni tra genitori condannati a pena detentiva e figli minori, numerose pronunce della Corte Costituzionale hanno affermato che l’interesse del minore non forma oggetto di una protezione assoluta, insuscettibile di bilanciamento con contrapposte esigenze pure di rilievo costituzionale, tra cui quella di difesa sociale sottese all’esecuzione della pena, quella di assicurare un percorso rieducativo al condannato, e quella di riaffermare la vigenza della norma violata e la sua efficacia deterrente nei confronti della collettività, trattandosi di esigenze funzionali alla tutela effettiva di beni giuridici spesso pure di rilievo costituzionale, sottesi alle norme penali.
Peraltro, osserva la Corte, la speciale importanza dal punto di vista costituzionale delle esigenze del minore esige che i pur rilevanti interessi sottesi all’esecuzione della pena debbano, di regola, cedere, di fronte all’esigenza di assicurare ai minori in tenera età la possibilità di godere di una relazione diretta con almeno uno dei due genitori.
Il punto di equilibrio tra tali opposte esigenze si rinviene nelle norme dell’ordinamento penitenziario a tutela del diritto alla cura dei figli, che hanno consentito la possibilità di accesso alla detenzione domiciliare da parte della madre o da parte del padre in caso di impossibilità della madre.
La Corte ha anche aggiunto che l’impianto normativo tutela l’interesse dei minori a mantenere le relazioni con i genitori, anche laddove non sussistano i presupposti per l’accesso degli stessi alle misure alternative, tramite gli istituti dei permessi premio, ma anche delle visite di cui all’art. 21 ter OP, dei colloqui e della corrispondenza telefonica.
Ha poi affrontato il tema della scelta del legislatore di dare prevalenza al rapporto del minore con la madre, scelta che ha le proprie radici nella genesi di tali istituti, pensati proprio per assicurare quella relazione specialissima della madre con il figlio durante l'allattamento comunque nei primi mesi di vita, e via via estesi fino al raggiungimento di un'età più avanzata del bambino, al fine di evitare un'interruzione brusca del rapporto con la madre, in una fase di vita in cui il minore ancora necessita della presenza di tale genitore, e ciò in consonanza con gli strumenti internazionali relativi al trattamento penitenziario delle condannate madri.
Ha inoltre osservato che la scelta del legislatore di introdurre opzioni di esecuzione extramuraria in favore delle donne madri, indipendentemente dalla prova dell'indisponibilità del padre a prendersi cura del bambino, trova verosimile giustificazione nella considerazione di un impatto complessivamente contenuto di simili di misure rispetto agli interessi dell'esecuzione penale tenuto conto del numero ridotto di donne detenute in proporzione all'intera popolazione carceraria ( circa il 4%, dell’intera popolazione; vengono riportate le statistiche al 30 novembre 23 che vedevano 2549 donne detenute rispetto a un totale di 60.166 detenuti).
Ha poi concluso ritenendo che l'estensione delle medesime regole vigenti per le detenute madri anche per i detenuti padri è un'opzione che il legislatore potrebbe valutare, ma che non può essere ritenuta costituzionalmente necessitata dal punto di vista della tutela degli interessi del minore, tutela che richiede che di regola sia assicurato al bambino stesso un rapporto continuativo con almeno uno dei due genitori.
5. Principio di non discriminazione e diritto alla bigenitorialità. Qualche considerazione.
La questione di costituzionalità sollevata in via principale dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna riprende, nel contenuto, quella già esaminata dalla Corte Costituzionale nella sentenza 219\2023, ma pone, in modo più franco, anche in ragione dei parametri di costituzionalità invocati - tra cui l’art. 117, quale parametro interposto agli art. 14 CEDU in relazione all’art. 8 CEDU- la questione della discriminazione in base al sesso tra le due figure genitoriali, rispetto all’accesso alle misure alternative, questione che la Corte, nella sentenza 219\2023, aveva ritenuto esclusa dal focus della valutazione. Discriminazione ritenuta dal rimettente non più in linea con l’evoluzione normativa e sociale del fenomeno familiare e con i più recenti studi scientifici - che hanno messo in discussione l’assunto per cui vi siano funzioni genitoriali biologicamente determinate - e foriera di irragionevoli disparità di trattamento, anche (ma non solo) nei casi di famiglie omosessuali o monogenitoriali, da cui derivano danni per i minori e, più in generale, per il nucleo familiare.
A sostegno del percorso argomentativo viene prospettata una sostanziale differenza tra le norme a tutela della maternità in senso stretto quali quelle che disciplinano il differimento dell’esecuzione della pena (art. 146 e 147 c.p.) e l’art. 47 quinquies OP da leggersi invece come istituto primariamente teso alla cura della prole.
Il tema principale da affrontare è dunque se sia corretto ritenere che l’art. 47 quinques OP abbia perduto i connotati originari di norma che estendeva la tutela della maternità, in favore di una finalità proiettata, in via principale, sull’esigenza della cura dei figli e se sia possibile scindere i due aspetti, superando la lettura tradizionale fatta propria dai commentatori della legge 40\01 e ribadita dalla Corte Costituzionale 219\2023 che giustificava la discriminazione a favore della madre nell’accesso al beneficio con l’interesse del minore a mantenere quello specialissimo rapporto con la madre creatosi nelle prime fasi di vita consentito, per le madri condannate, dalle norme sul differimento dell’esecuzione della pena ed esteso grazie alle norme sulla detenzione domiciliare.
Non può non evidenziarsi che l’esperienza dei casi concreti dimostra la frequente progressione, sul piano logico e cronologico, dei diversi istituti del differimento e della detenzione domiciliare per la cura dei figli e che, proprio in ragione di tale continuità e della tutela rafforzata che la maternità riceve dalla Costituzione e dalle norme sovranazionali, potrebbe non ritenersi ingiustificato un accesso privilegiato della madre alla misura in esame, ritenendo che si tratti di un’opzione a garanzia del diritto alla cura dei figli invocato dallo stesso rimettente.
Se si accede all’impostazione secondo cui tale favor non ha una giustificazione razionale rispetto alla tutela del diritto alla cura dei figli, si prospettano comunque due possibili soluzioni per rimuovere tale discriminazione, ovvero mediante l’eliminazione del trattamento più favorevole per le madri oppure attraverso l’estensione del beneficio al padre alle stesse condizioni previste per la madre.
Soluzione quest’ultima che il rimettente ritiene costituzionalmente vincolata riproponendo, in sostanza, il tema dell’inviolabilità del diritto alla bigenitorialità quale necessaria conseguenza del principio di non discriminazione dei genitori in base al sesso. Questo è certamente un passaggio delicato, poiché sulla non prevalenza assoluta del diritto alla bigenitorialità rispetto alle esigenze dell’esecuzione penale si è già pronunciata la Corte Costituzionale indicando quale soluzione rispettosa dei principi quella che assicura al minore il rapporto continuativo con almeno uno dei due genitori.
Diversamente, si dovrebbe affrontare il tema della modifica in peius della norma limitando l’accesso alla madre ai casi in cui il padre sia impossibilitato. Soluzione questa che, pur formalmente rispettosa dei principi affermati dal rimettente, di fatto porterebbe ad un arretramento della tutela della maternità e che avrebbe comunque gravi conseguenze negative anche sui figli minori che potrebbero vedersi privati della presenza della madre dopo un periodo continuativo assicurato dalle norme sul differimento dell’esecuzione della pena.
La diversa questione relativa all’irragionevolezza della scelta del legislatore di posporre l’intervento del padre nella cura dei figli rispetto a figure non genitoriali cui sono affidati i figli rispetto alla disciplina prevista da altre norme, in particolare a quella di cui all’ 47 ter OP, è posta in relazione a due profili.
Quanto al profilo costituito dall’intrinseca irragionevolezza della norma rispetto alla tutela degli interessi sottesi va osservato che il principio affermato dalla Corte Costituzionale 219\2023, secondo cui gli interessi sottesi all’esecuzione penale debbano, di regola, cedere di fronte all’esigenza di assicurare che i minori possano godere della presenza di almeno uno dei genitori, sembra offrire conforto alla censura, posto che l’attuale meccanismo dell’art. 47 quinquies OP rende non sempre possibile realizzare tale situazione, privilegiando rispetto al padre, in assenza della madre, la presenza di terzi a tutela dei minori.
Sotto il profilo della disparità di trattamento rispetto a norme che disciplinano istituti analoghi, quanto meno sotto il profilo finalistico, come l’art. 47 ter OP, si osserva che l’art. 47 quinquies OP disciplina una forma di detenzione domiciliare particolarmente ampia sotto il profilo quantitativo della possibile platea dei destinatari e qualitativo dei reati oggetto delle condanne ma anche per la possibilità di concludere l’espiazione della pena in forma extramuraria anche dopo il compimento dell’età di 10 anni dei figli minori, pur in presenza di un residuo pena superiore a quello previsto per l’accesso alle misure alternative.
È dunque evidente il differente impatto di tale norma sulle esigenze di tutela degli interessi sottesi all’esecuzione penale, rispetto a quella messa in comparazione.
L’esame della questione richiederà, quindi, alla Corte di ritornare sul tema del bilanciamento tra contrapposte esigenze e di verificare la possibilità, eventualmente anche attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata, di un ampliamento dello spazio concesso alla tutela del diritto alla cura dei figli rispetto a quello riconosciuto agli interessi sottesi all’esecuzione penale. Si potrebbe ad esempio attribuire al giudice una più ampia discrezionalità nella valutazione in concreto della realtà familiare nella quale è inserito il minore e della sua relazione con il genitore e nel bilanciamento tra gli interessi in gioco.
Immagine: Mario Madiai, Scorcio di paesaggio con cancello, olio su tavoletta.