Termini custodiali invalicabili ed “emergenza giudiziaria” da covid-19: note a margine di una decisione del Tribunale di Palermo
di Lucia Parlato
Sommario: 1. Premessa – 2. L’intricato scenario normativo. – 3. La questione in esame. – 4. Le tematiche sottese. – 5. Una ratio trasversale rispetto a ogni situazione di permanenza carceraria.
1. Premessa
Nell’ambito di un generale connubio, di per sé complesso, tra giustizia penale ed emergenza sanitaria da covid-19, si è assistito negli ultimi mesi a un moltiplicarsi di incertezze su questioni eterogenee.
Se il versante del diritto sostanziale è stato interessato da numerosi interrogativi[1], il campo del diritto processuale ha visto un vero fiorire di problematiche. Tutte sono derivate essenzialmente dalla difficoltà di coniugare le esigenze dell’accertamento giudiziario – naturalmente esposte a continui bilanciamenti e compromessi – con quelle emerse all’improvviso dinanzi ad un’evenienza tanto imponente ed imprevista, quanto sconosciuta e di durata indefinita. La situazione eccezionale ha offerto spunti nuovi e inattesi, anche rispetto a temi fisiologicamente controversi[2].
Mentre il periodo più critico sembra volgere al termine, si è tuttora in cerca di soluzioni ermeneutiche che, per certi profili, non si sa se tarare sul “per ora” o sul “per sempre”. Generando “incertezza nell’incertezza”, dubbi accessori rispetto a quelli affacciatisi in maniera più esplicita impongono di stabilire, da un lato, se proiettare verso il futuro espedienti nati, nel frangente della pandemia, per un uso contingente; e, dall’altro lato, se affrontare le questioni emergenziali in base a istituti ed orientamenti interpretativi utilizzati “in tempo di pace”.
2. L’intricato scenario normativo
Il caso esaminato dal Tribunale di Palermo, in sede di appello de libertate, riguarda il secondo tra i contesti ora individuati, ponendo in discussione gli strumenti che governano la materia cautelare, al cospetto di un “caleidoscopio normativo” formatosi in tempi di coronavirus.
A raffrontarsi sono, da una parte, l’articolato sistema dei termini custodiali, regolato principalmente dagli artt. 303 e 304 c.p.p., la cui interpretazione poggia su un nucleo per certi versi consolidato di coordinate giurisprudenziali; dall’altra parte, un fitto succedersi di interventi legislativi che merita di essere ripercorso rapidamente.
Lo stratificarsi di provvedimenti emergenziali ha tendenzialmente seguito una triplice prospettiva, ravvisabile in via di sintesi nel rinvio dei procedimenti non strettamente necessari, nella conseguenziale sospensione di diverse tipologie di termini, nonché nello svolgimento delle restanti attività secondo modalità compatibili con il pericolo di contagio[3].
Il d.l. 8 marzo 2020, n. 11, prima[4], e il d.l. 17 marzo 2020, n. 18, c.d. cura Italia, poi[5], hanno contribuito a perseguire questi obiettivi riferendosi indistintamente ai procedimenti in corso, con una disciplina ritoccata in sede di conversione del secondo d.l., dalla l. 24 aprile 2020, n. 27, anche per adattarla al giudizio di legittimità.
Sono due i passaggi più rilevanti con riguardo alla fattispecie qui considerata.
Da un canto, l’art. 83 del d.l. n. 18 ha previsto il rinvio d’ufficio dei riti pendenti dal 9 marzo 2020 sino al 15 aprile – sulla falsariga dell’art. 1 del d.l. n. 11, meno “lungimirante” – facendo salve talune eccezioni. In particolare, quelle legate alla scadenza, “nel periodo di sospensione”, dei termini di cui all’art. 304 c.p.p.[6], nonché alla richiesta di trattazione ad opera dei soggetti interessati, tra cui i destinatari di misure cautelari e i loro difensori.
Dall’altro canto, le fonti governative si sono incrociate nel disporre che nei procedimenti così sospesi siano “altresì sospesi, per lo stesso periodo, il corso della prescrizione e i termini di cui agli articoli 303 e 308” c.p.p. (art. 83, comma 4, d.l. n. 18), non facendo invece – a questo proposito – alcun rimando ai termini di cui all’art. 304 c.p.p.
Al di là del menzionato “intervallo”, un ulteriore lasso di tempo – tra il 16 aprile e il 30 giugno 2020 – è stato affidato alla “gestione” dei capi degli uffici giudiziari, chiamati ad adottare le “misure organizzative” necessarie “per consentire il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dal Ministero della salute”, lungo una sorta di “rodaggio” verso la piena ripresa. Tra le modalità da seguire – in base all’art. 83 cit., commi 6 e 7 – è stato incluso il “rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020”[7].
Il panorama normativo è stato reso ancora più complicato dall’inserirsi – dopo il d.l. n. 18 – del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, che all’art. 36 ha esteso il periodo di sospensione dell’attività giudiziaria, prorogandone la fine all’11 maggio 2020, e ha fissato l’inizio della successiva fase di adattamento al 12 maggio 2020[8].
Ad uno scenario già ricco all’epoca della decisione impugnata, dopo la pronuncia del Tribunale, del 27 aprile 2020, si è aggiunto un nuovo intervento riformatore, da richiamare per completezza. Il c.d. decreto rilancio – d.l. 19 maggio 2020, n. 34 – ha toccato parecchi profili rimasti bisognosi di regolamentazione, aggiungendo alle conseguenze della “pausa” obbligata dell’attività giudiziaria la sospensione dei termini per proporre la querela, nonché aggiornando le prospettive per una completa “ripresa”.
Non è fuor di luogo rammentare che, al contempo, una tra le più accese discussioni “in tempo di covid” si è sviluppata in ordine al pericolo di contagio all’interno degli istituti penitenziari e alle possibili soluzioni da adottare. Tema che, come si osserverà più avanti, presenta più che un semplice punto di contatto con quello direttamente oggetto di analisi.
3. La questione in esame
Un primo sguardo al procedimento in cui la pronuncia si inserisce consente di notare come, in vista dell’udienza fissata prima il 12 e poi il 30 marzo 2020, non si versasse né nell’una né nell’altra menzionata ipotesi di trattazione “in deroga” al rinvio obbligato. Da un lato, i termini custodiali di cui all’art. 304 c.p.p. sarebbero scaduti al di fuori del periodo “di fermo”, ossia il 21 maggio 2020; dall’altro, l’imputato sottoposto alla misura restrittiva e il suo difensore non avevano chiesto che si procedesse. Ne è derivata la sospensione del procedimento e dunque, ai sensi dell’art. 83 cit., comma 4, anche del decorso cautelare scandito dall’art. 303 c.p.p.
Con la decisione di cui ci si occupa, il Tribunale ha accolto l’impugnazione proposta dalla difesa dell’imputato, sottoposto alla custodia in carcere e condannato in esito a giudizio abbreviato per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. Il provvedimento ruota attorno all’interrogativo sulla possibilità – esclusa dal Tribunale medesimo – di sospendere i termini custodiali “finali” ex art. 304, comma 6, c.p.p., in coincidenza con il rinvio del procedimento, nel periodo connotato dal più elevato rischio virale.
La doglianza aveva ad oggetto l’ordinanza con cui la Corte di Assise di Appello di Palermo, il 30 marzo 2020 (nel cuore del periodo di “lockdown” da covid), nel rinviare il procedimento, aveva sospeso sino alla data fissata per la sua prosecuzione, 4 maggio 2020 – appunto – i termini di custodia in carcere ex art. 304, comma 6, c.p.p.
Qualche cenno consente di riassumere – andando ancora a ritroso – i principali passaggi che hanno preceduto la pronuncia impugnata. Un primo rinvio del procedimento, disposto su istanza dei difensori in occasione dell’udienza del 12 marzo 2020, si era inserito cronologicamente poco dopo il manifestarsi in Italia dell’emergenza sanitaria. Mentre, un secondo rinvio era stato poi richiesto da ciascuna delle parti tramite il proprio difensore, il 29 marzo 2020, in vista dell’udienza da celebrarsi l’indomani. Ad essa aveva partecipato il solo difensore di un collaboratore di giustizia, insistendo ai fini del rinvio (senza poter assumere la difesa d’ufficio di altri imputati, per ragioni di incompatibilità).
Dalla decisione in commento non è possibile risalire al tenore delle iniziative difensive, ma tenuto conto della loro collocazione temporale non è improprio immaginare che esse avessero fatto riferimento allo stato di cose verificatosi nel nostro Paese.
Le richieste di rinvio erano state ritenute legittime, senza che si presentasse alcuna delle situazioni eccezionali che, contro la regola della sospensione, avrebbero imposto la trattazione dell’udienza: in particolare, come sopra osservato, né quella relativa alla scadenza dei termini ex art. 304 c.p.p. durante lo “stop”, né quella legata alla richiesta delle parti, che univocamente sollecitavano anzi un rinvio.
Nel rinviare il processo secondo le istanze proposte, tuttavia, andando al di là della sospensione dei termini di cui all’art. 303 c.p.p., contemplata dai richiamati decreti legge, la Corte di Assise aveva disposto la sospensione di quelli di cui all’art. 304, comma 6, c.p.p. Per la Corte medesima, infatti, sarebbe stata “in ogni caso” ravvisabile l’ipotesi di cui all’art. 304, comma 1, lett. b), c.p.p., corrispondente alla mancata presentazione o partecipazione del difensore ed al suo allontanamento, tali da rendere privo di assistenza uno o più imputati. Ne è derivata la ritenuta operatività della deroga ai sensi dell’art. 304, comma 7, c.p.p. il quale, con riferimento a quell’ipotesi, dispone che – nel computo dei termini “finali” di cui al comma 6 dello stesso articolo – non si tenga conto dei correlati periodi di sospensione. Con la conseguenza del prolungamento dei detti termini, dal 9 marzo al 4 maggio 2020, fissandosi quest’ultima data ai fini del chiesto rinvio.
L’appello della difesa poggiava essenzialmente su due argomenti, basati rispettivamente sulla non applicabilità della sospensione dei termini cautelari prevista dal d.l. n. 18 del 2020, con riferimento alle cadenze di cui al comma 6 dell’art. 304 c.p.p., nonché sulla non applicabilità nel caso di specie del combinato disposto dei commi 1, lett. b), e 7 di detto articolo.
La decisione del Tribunale, facendo propri entrambi i rilievi, si è incentrata tanto sulla normativa dell’emergenza, quanto sulle disposizioni codicistiche in materia. Esclusa l’incidenza delle eccezioni alla generalizzata “pausa” delle attività giudiziarie, ha rimarcato come i termini di cui all’art. 304, comma 6, c.p.p. debbano considerarsi comunque “invalicabili”, anche alla luce di una condivisa interpretazione giurisprudenziale.
4. Le tematiche sottese
La questione affrontata nel provvedimento – pur essendo circoscritta rispetto al complessivo disorientamento provocato dall’emergenza da coronavirus, quanto all’attività giudiziaria penale – apre la via a riflessioni di più ampio respiro. Alcuni snodi della pronuncia, che condivisibilmente accoglie l’appello della difesa, svelano profili rimasti inevitabilmente marginali nella necessaria economia del tracciato motivazionale.
Sullo sfondo della decisione, in particolare, possono essere individuati almeno tre fili conduttori.
Il primo riguarda le scelte delle parti rispetto alla trattazione del procedimento, il secondo la necessità di un termine ultimo e insuperabile rispetto alla carcerazione preventiva, il terzo la resistenza del nostro ordinamento rispetto ad automatismi in materia cautelare.
Anzitutto, all’interno del provvedimento esaminato emerge più volte il riferimento alla “volontà delle parti interessate”. In effetti, nelle dinamiche tracciate dai decreti governativi, essa riveste un singolare ruolo. Dinanzi ad una comprensibile propensione a limitare le attività da svolgersi nelle aule giudiziarie, le si affida un compito selettivo per bilanciare le esigenze dell’emergenza, di evitare la celebrazione di udienze, con la tutela della libertà individuale, a fronte della sospensione dei termini cautelari collegata al rinvio[9].
Non si può negare, in generale, che desti perplessità una disciplina tendente a “premiare” chi richieda la trattazione del procedimento evitando così – tra le altre conseguenze – una maggiore durata della misura cautelare personale, ma accettando al contempo forti restrizioni nell’esercizio del proprio diritto di difesa e sul piano delle garanzie processuali, in ragione della partecipazione a distanza[10].
Il punto che qui più interessa concerne, però, il rapporto tra le iniziative di rinvio avanzate dalla persona sottoposta alla cautela o dal suo difensore, in un momento di alto rischio di contagio, ed i periodi di sospensione ex art. 304, comma 1, lett. b), c.p.p. A mente del comma 7 dello stesso articolo, infatti, tali periodi sono irrilevanti ai fini del calcolo dei termini “ultimi” di cui al comma 6, sempre dell’art. 304 c.p.p.[11], salvo che per il limite relativo alla durata complessiva della custodia.
Ѐ vero che può riconoscersi un comun denominatore tra le fattispecie comparate, in quanto l’orizzonte di cui al comma 1, lett. b), ora menzionato, e quello di cui all’art. 83 del d.l. n. 18 risentono entrambi di comportamenti o situazioni riconducibili in vario modo al difensore e alla persona sottoposta al procedimento. Tuttavia, l’eventuale impulso difensivo, come previsto dai decreti governativi, reca chiari tratti di specificità che ne impediscono l’inclusione entro l’area operativa della norma codicistica.
Basata su una propria ratio, insita nella contingenza dei pericoli in corso, la sospensione “da coronavirus” non può che rimanere estranea ad applicazioni estensive del comma 1, lett. b), dell’art. 304 c.p.p., esso stesso peraltro norma eccezionale e non riferibile che ai casi tassativamente indicati[12]. La prevista richiesta della difesa, inoltre, ha evidentemente segno contrario rispetto all’iniziativa descritta dalla citata lett. b): muove, infatti, da una situazione di partenza diametralmente opposta, perseguendo il risultato inverso. In altri termini, l’attività difensiva a norma dell’art. 304, comma 1, lett. b), c.p.p. mira a neutralizzare la fisiologica trattazione del caso, mentre il d.l. n. 18 contempla un’istanza volta a mantenere attiva la macchina della giustizia, altrimenti “in pausa”.
Tutto ciò può servire ad evidenziare che, di converso, se per il disposto codicistico un’inerzia del privato implica l’automatico svolgersi del procedimento, qui da essa deriva di default uno stop del rito con un correlato allargamento dei tempi cautelari. Il rinvio dell’udienza “in periodo di covid”, ex art. 83, comma 3, lett. b), del d.l. n. 18 del 2020, corrisponde, infatti, ad un atto giurisdizionale doveroso. Con la conseguenza che, nel caso di specie, l’impulso del difensore – diretto a posticipare l’udienza – era persino superfluo, scemando a mera sollecitazione dell’esercizio di un potere da esercitare d’ufficio, in base alla normativa “speciale”[13].
Il secondo aspetto, come anticipato, inerisce alla necessità di un limite temporale estremo e invalicabile rispetto all’applicazione di misure custodiali, che nel nostro ordinamento trova espressione nel disposto dell’art. 304, comma 6, c.p.p. Quest’ultimo individua i termini c.d. finali sia intermedi che complessivi, con una specificazione, per i termini c.d. finali di fase – corrispondenti al doppio dei termini interfase di cui all’art. 303, commi 1, 2 e 3, c.p.p. – per cui se si procede per reati ex art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p., non deve tenersi conto dell’aumento temporale di sei mesi consentito dall’art. 303, comma 1, lett. b), n. 3 bis, c.p.p.
Come riconosciuto dal Tribunale, in base alla normativa “anticovid-19” risultano sospesi i termini massimi di custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p. e, precisamente, i termini di fase e i termini complessivi, non invece i termini “ultimi” – garanzia supplementare rispetto ai limiti di cui all’art. 303 c.p.p.[14] – ai sensi dell’art. 304, comma 6, c.p.p., il quale non è fatto oggetto di richiamo[15].
Ѐ, d’altronde, un “meccanismo di chiusura” quello regolato da quest’ultima norma, secondo una vocazione rintracciabile già nei lavori che hanno preceduto ed accompagnato la formulazione del vigente codice di rito[16]. Considerato che, in ragione delle previste cause di sospensione, la custodia cautelare potrebbe prolungarsi sine die, tale meccanismo serve a creare sbarramenti cronologici invalicabili[17], la cui scadenza provoca la perdita di efficacia della misura.
Il necessario riconoscimento di un tetto temporale massimo ed insuperabile, per l’applicazione di misure custodiali, trova riscontro in una serie di spunti normativi e giurisprudenziali di diversa provenienza, che possono essere in parte ricordati.
Il più significativo riferimento è ricavabile dalla giurisprudenza costituzionale, specialmente in proposito ad ipotesi di regressione del procedimento. Rilevano in particolare, mutatis mutandis, le argomentazioni esposte dalla Consulta nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 303, comma 2, c.p.p., ove non consentiva di computare – nel calcolo dei termini stabiliti dall’art. 304, comma 6, c.p.p. – i periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi da quelli in cui il procedimento fosse regredito. L’impostazione per cui i limiti massimi restano insuperabili pure a fronte di particolari e contingenti vicende processuali – supportata dalla formulazione letterale dell’art. 304, comma 6, c.p.p., che contiene l’avverbio «comunque» – è stata riconosciuta come “l’unica conforme a Costituzione”[18], anche sulla scorta di decisioni precedenti. Il carattere “di chiusura” della disposizione, infatti, era già stato evidenziato, riportandolo alle logiche sottese all’art. 13 Cost., che impongono “di individuare, fra più interpretazioni, quella che riduca al minimo il sacrificio della libertà personale”. Sottolineando che proprio detta norma costituzionale, al comma 5, richiede il riconoscimento di un “limite estremo, superato il quale il permanere dello stato coercitivo si presuppone essere sproporzionato in quanto eccedente gli stessi limiti di tollerabilità del sistema” [19].
Ed emblematici sono, altresì, ulteriori interventi del giudice delle leggi, tendenti ad omologare la custodia cautelare sofferta all’estero rispetto a quella subita nello Stato, quanto alla durata massima della restrizione: prima in relazione all’art. 722 c.p.p., poi rispetto all’art. 33 l. 22 aprile 2005, n. 69[20].
Il tema riguardante la durata della misura custodiale, d’altronde, si rivela talmente delicato da costituire il fulcro attorno al quale il giudice delle leggi ha espresso con maggiore fermezza, ancor prima che in altri ambiti, un riconoscimento del principio di proporzione: presentando il requisito del “minore sacrificio necessario” come indefettibile corollario dei principi dettati dagli artt. 3, 13 e 27 Cost., o persino senza far ricorso ad “altri parametri di supporto”[21].
Le conferme, rispetto al necessario contenimento della durata custodiale entro limiti temporali insuperabili, giungono anche dalla giurisprudenza di legittimità che, attestandosi sulle scelte adottate dalla Corte costituzionale, ne ha riproposto il tenore in svariate ipotesi[22]: anche per la durata della custodia cautelare nei procedimenti per delitti di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p., in ordine all’aumento di sei mesi del termine, ai sensi dell'art. 303, comma 1, lett. b), n. 3 bis, c.p.p.[23].
Non mancano elementi ulteriori, a riprova della centralità di questo aspetto per il nostro ordinamento. Non si può trascurare come, dando riscontro alla decisione quadro 2002/584/GAI in materia di mandato di arresto europeo, il legislatore abbia tenuto ad assegnare importanza, ai fini del rifiuto della consegna, proprio alla circostanza che lo Stato di emissione non contempli “limiti massimi di carcerazione preventiva” (art. 18, lett. e), l. 22 aprile 2005, n. 69). La condizione, che è stata così aggiunta ai casi di non esecuzione del MAE elencati nella decisione quadro, in chiave di fiducia reciproca tra gli Stati membri, ha peraltro rischiato di ostacolare l’operatività dello strumento di cooperazione giudiziaria rispetto a diversi Paesi. Pur essendo stata mitigata da una pronuncia delle Sezioni unite[24], la stessa previsione del requisito contribuisce a rafforzare le resistenze rispetto a ogni risultato ermeneutico volto a valicare quel termine massimo che il nostro sistema prevede, all’art. 304, comma 6, c.p.p.[25]. E riferimenti convergenti possono essere ricavati altrove: ad esempio, dall’art. 11 d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 29, e dall’art. 15, lett. d), d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, che hanno fatto seguito rispettivamente alla decisione quadro 2009/948/GAI in materia di prevenzione e risoluzione di conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali, nonché alla decisione quadro 2009/829/GAI, in tema di reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare.
Il terzo profilo da considerare si rivela strettamente legato a quello appena affrontato. La necessità di assicurare scadenze “finali” nell’ambito cautelare si accompagna, infatti, al più generale bisogno di sottrarlo ad automatismi. Il sistema di predeterminazione legale dei termini massimi, che ha consentito di superare un’aleatorietà lasciata dal “vecchio codice”[26], non esclude infatti l’esigenza di verifiche concrete sul persistere dei presupposti cautelari, senza le quali il criterio di proporzione – durante l’esecuzione delle misure restrittive – mancherebbe di effettiva rispondenza[27]. Ѐ in quest’ottica che la giurisprudenza della Corte europea – quanto al contenimento della durata della carcerazione preventiva entro "tempi ragionevoli", in ordine all’art. 5 par. 3 Cedu – richiede un controllo giurisdizionale “caso per caso”, funzionale alla legittima prosecuzione della custodia cautelare (o, in alternativa, alla sua estinzione), oltre all’osservanza dei limiti massimi previsti dalla disciplina nazionale. Non implicando tale osservanza, di per sé, la garanzia di conformità alle norme pattizie[28].
Una lettura dei recenti testi normativi volta a rendere superabile il termine “ultimo” contemplato dal sistema, peraltro in base ad un semplice automatismo, risulterebbe dunque doppiamente criticabile.
Il profilo ora considerato, naturalmente, si spinge oltre il tema in esame e assume rilievo anche a prescindere dalle specifiche problematiche sui termini “finali” custodiali. Che gli automatismi debbano restare ai margini della materia cautelare corrisponde, d’altra parte, a un leit motiv nella giurisprudenza costituzionale, che ha pure ispirato il legislatore. Basti ricordare come, negli ultimi anni, siano progressivamente venuti meno molti dei meccanismi presuntivi che presiedevano la scelta della custodia in carcere tra le diverse misure[29]. In campo cautelare, d’altronde, come già detto il principio di proporzione – nell’imporre il “minor sacrificio” – assume un particolare peso.
Nel concludere questa ricognizione di riferimenti, occorre rammentare come questo terreno sia governato, a livello costituzionale, dalla presunzione di non colpevolezza, deputata a colmare il “vuoto di fini” lasciato dall’art. 13 Cost. in merito agli obiettivi, di carattere processuale, da perseguire tramite lo strumento cautelare[30]. In quest’ottica – anche al di là degli aspetti inerenti all’art. 304, comma 6, c.p.p. – la legislazione emergenziale suscita di per sé obiezioni. Pone a carico dei “presunti non colpevoli” una combinazione “sospensione del procedimento-sospensione del decorso cautelare”, da disinnescare solo tramite una loro opzione per la trattazione del rito secondo modalità compatibili con la situazione in corso, di totale lockdown. Nel bilanciamento tra tutela della salute e della libertà individuale, vengono addossate all’indagato/imputato, in maniera aprioristica, le conseguenze della sopraggiunta emergenza, facendo discendere dal dovuto e imprevedibile “fermo” nell’attività giudiziaria – direttamente e senza alcuna valutazione rispetto al caso concreto – una sospensione dei termini cautelari.
Nel suo insieme, l’opzione prescelta dal legislatore in ambito cautelare avrebbe potuto trovare qualche correttivo nella previsione di un controllo sul perdurare delle esigenze cautelari giustificative della restrizione in carcere, la quale è peraltro trattata, nel sistema di cui all’art. 275 c.p.p., quale extrema ratio. Considerata l’estensione del periodo interessato, una verifica “in corso d’opera” avrebbe potuto pure essere dedicata al protrarsi, o meno, dello status giustificativo dello “stallo” dell’attività giudiziaria, con conseguenti determinazioni “ora per allora”.
Se il dato positivo così introdotto si rivela nel complesso criticabile – anche in vista di diversi parametri costituzionali, tra cui quelli facenti capo agli artt. 13 e 27 Cost. – a maggior ragione la sua lettura non può che essere restrittiva, dovendosene escludere un’applicazione al di fuori dei casi espressamente indicati che coinvolga i termini di cui all’art. 304, comma 6, c.p.p., non richiamati. D’altronde, l’estremo rigore dell’interprete si impone per la delicatezza della garanzia individuale in gioco, protetta dall’art. 13 Cost. in base ad una riserva di legge.
5. Una ratio trasversale rispetto a ogni situazione di permanenza carceraria
Le considerazioni appena svolte rimandano a un’ulteriore prospettiva, suggerita dall’inevitabile raffronto con le soluzioni normative che hanno animato il dibattito in relazione ai diritti dei “detenuti definitivi”. Dalla presa d’atto dei rischi ritenuti insiti nella permanenza in carcere, durante il “lockdown”, è derivato l’inserimento, nelle fonti governative, di disposizioni rispondenti al favor libertatis in vista di una concessione della detenzione domiciliare[31].
Ѐ vero che la materia cautelare sottende finalità del tutto differenti rispetto a quelle dell’espiazione della pena. Una sovrapposizione tra i due contesti, infatti, stride con la stessa presunzione di non colpevolezza, la cui operatività funge da netto spartiacque.
Eppure – avendo riguardo alla restrizione cautelare in carcere – le due realtà, dinanzi all’evenienza covid-19, rivelano un loro nucleo condiviso, “fattuale”, inerente all’esposizione al virus nel corso del soggiorno carcerario. La limitazione della libertà personale emerge allora come dato di fondo, che attraversa categorie ed istituti giuridici, superando anche i distinguo imposti dall’esistenza di una condanna irrevocabile.
Il problema della tutela della salute si pone infatti, in maniera non dissimile, in ragione del semplice “stare in carcere”. Le due situazioni meriterebbero allora, in quest’ottica, di essere trattate in maniera omologa, aprendosi altrimenti possibili margini di irragionevolezza. Tuttavia, la questione è venuta in risalto, nella discussione attuale, rispetto alle sole persone ristrette in virtù di condanna esecutiva. Mentre, la posizione dei “non definitivi” – peraltro presunti non colpevoli – è stata incomprensibilmente oggetto, al contrario, di singolare rigore, protraendosi la loro presenza in carcere[32].
Invero, rispetto alle criticità delle condizioni carcerarie, il nostro legislatore si è già trovato a dover intervenire con una strategia complessiva. A fronte del “sovraffollamento carcerario” – in seguito al monito della Corte europea, tramite la sentenza pilota relativa al caso “Torreggiani c. Italia” – si è sperimentata una sinergia nelle riforme avvicendatesi, che ha unito da un canto il versante del diritto sostanziale a quello del diritto processuale, dall’altro canto il settore cautelare a quello dell’esecuzione della pena. Ciascuno di questi ambiti ha richiesto una rivisitazione, in vista dell’obiettivo finale imposto dalla “messa in mora” ad opera del giudice di Strasburgo. Gli interventi sono stati tanti e tali da non poter essere tutti ricordati in questa sede. Basti rammentare come siano stati attivati espedienti di varia natura, grazie a numerose modifiche legislative volte a limitare l’ingresso in carcere[33].
Le esigenze emerse negli ultimi anni hanno spesso sollecitato una visione d’insieme, incoraggiando una considerazione unitaria della “materia penale”[34]. Questa prospettiva si presta a essere valorizzata dinanzi ad un fenomeno di così ampia portata, come quello che ci si è trovati ora a fronteggiare, pur nella consapevolezza delle difficoltà di carattere ermeneutico – dovute anche alla successione di leggi nel tempo[35] – per le quali, ad esempio, occorre osservare distintamente le varie “sospensioni” introdotte dalla legislazione anticovid-19, della prescrizione[36], dei termini cautelari e da ultimo della querela[37].
[1] Per tutti, A Bernardi, Il diritto penale alla prova della COVID-19, in Dir. pen. proc., 2020, p. 441 ss.
[2] Tra i molti, G. Castiglia, Udienze e termini processuali penali in regime di pandemia da COVID-19, in www.sistemapenale.it, 26 maggio 2020; P. Gentilucci, La longa manus del coronavirus sulla giustizia penale e sulle carceri, in www.giurisprudenzapenale.com, 20 marzo 2020, p. 3; M. Gialuz, L’emergenza nell’emergenza: il decreto-legge n. 28 del 2020, tra ennesima proroga delle intercettazioni, norme manifesto e “terzo tempo” parlamentare, in www.sistemapenale.it, 1 maggio 2020; A. Scalfati, La custodia cautelare durante l’emergenza sanitaria: leggi confuse e illiberali, in www.archiviopenale.it, 6 maggio 2020; A. Scalfati, F. Lombardi, Termini processuali sospesi nell’emergenza sanitaria: successione di leggi nel tempo e l’enigma del dies ad quem, in www.giurisprudenzapenale.com, 8 maggio 2020; sui temi principali, di diritto sostanziale e processuale, Emergenza Covid-19 fra diritto e processo penale, Webseminar organizzato da Laboratorio Permanente di Diritto e Procedura Penale (DiPLaP), 29-30 aprile 2020, in https://labdirpen.wixsite.com/diplap, i cui atti sono in corso di pubblicazione.
[3] Cass., Uff. del Massimario e del Ruolo, La legge n.27 del 2020 (di conversione del d.l. 17 marzo 2020, n.18) e il d.l. n. 28 del 2020. Il giudizio penale di Cassazione, Rel. 46/20, 6 maggio 2020; cfr. G. Castiglia, Udienze e termini processuali penali, cit., p. 325 ss.
[4] G. Santalucia, La giustizia penale di fronte all’emergenza da epidemia da COVID-19 (Brevi note sul d. l. n. 11 del 2020), in www.giustiziainsieme.it, 9 marzo 2020.
[5] G. Santalucia, L’impatto sulla giustizia penale dell’emergenza da COVID-19: affinamenti delle contromisure legislative, in www.giustiziainsieme.it, 18 marzo 2020.
[6] G. Santalucia, L’impatto sulla giustizia penale, cit., specificando che i termini di cui all’art. 304 c.p.p. sono gli unici capaci di spirare nell’indicato intervallo, essendo gli altri, appunto, sospesi.
[7] Cfr. B. Petralia, Emergenza covid-19, processo penale e proroga dei termini all’11 maggio 2020: note sparse sull’art. 36 del d.l. n. 23 dell’8 aprile 2020, in www.sistemapenale.com, 15 aprile 2020.
[8] In proposito, O. Mazza, Sospensioni di primavera: prescrizione e custodia cautelare al tempo della pandemia, in www.archiviopenale.it, 16 aprile 2020.
[9] B. Petralia, Emergenza covid-19, cit.; O. Mazza, Sospensioni di primavera, cit., p. 7; A. Scalfati, La custodia cautelare durante l’emergenza sanitaria, cit., p. 7 ss.
[10] Sul punto, Le osservazioni dell’Associazione tra gli studiosi del processo penale “G. D. Pisapia” sulle disposizioni eccezionali per la giustizia penale nell’emergenza covid-19, in www.sistemapenale.it, 14 aprile 2020. Cfr. art. 83, comma 12, d.l. 17 marzo 2020, n. 18; art. 83, commi 12, 12 bis, 12 ter, 12 quater e 12 quinquies, l. 24 marzo 2020, n. 27 (che ha convertito modificandolo il citato d.l.); al riguardo, E. M. Mancuso, La dematerializzazione del processo al tempo del CODIV-19, in www.giurisprudenzapenale.com, 10 maggio 2020.
[11] Al riguardo, a fronte delle prese di posizione assunte dalla Corte costituzionale rispetto ad altre fattispecie, Cass., Sez. I, 14 aprile 2000, n. 1623, in C.e.d. Cass., n. 216094.
[12] V. Corte cost., 4 luglio 1994, n. 294, in ordine alla non riferibilità della sospensione dei termini al di là del contesto dibattimentale e, più precisamente, ai casi in cui si proceda con giudizio abbreviato; cfr. G. Di Chiara, Processo penale e giurisprudenza costituzionale, Roma, 1996, p. 196.
[13] B. Petralia, Emergenza covid-19, cit.
[14] In questi termini, Corte cost., 13 luglio 2000, n. 397.
[15] G. Santalucia, L’impatto sulla giustizia penale, cit.; cfr. Cass., Uff. del Massimario e del Ruolo, Ricadute del d.l. 17 marzo 2020, n.18 sui giudizi penali in Cassazione, Rel. 34/20, 23 marzo 2020.
[16] Cfr. Direttiva n. 61 “legge delega” (l. 16 febbraio 1987, n. 81); Rel. Prog. prel. c.p.p., p. 71 ss.
[17] Corte cost., 13 luglio 2000, n. 397, cit.
[18] Corte cost., 22 luglio 2005, n. 299; sulla decisione, M. Ceresa Gastaldo, Sull’operatività del termine «massimo di fase» ex art. 304, comma, 6, c.p.p. in caso di regressione del procedimento: è costituzionalmente illegittimo l’art. 303, comma 2, c.p.p. nella parte in cui non consente il computo della custodia cautelare sofferta nelle fasi diverse, in Giur. cost., 2005, p. 2940.
[19] Corte cost., 7 luglio 1998, n. 292.
[20] Corte cost., 21 luglio 2004, n. 253; Corte cost., 16 maggio 2008, n. 143.
[21] Facendo richiamo a Corte cost., 22 luglio 2005, n. 299, D. Negri, Compressione dei diritti di libertà e principio di proporzionalità, in Aa.Vv., Diritti della persona e nuove sfide del processo penale. Atti del XXXII convegno nazionale (Salerno, 25-27 ottobre 2018), Milano, 2020, pp. 62, 70; in tema, M. Caianiello, Il principio di proporzionalità nel procedimento penale, in www.penalecontemporaneo.it, 18 giugno 2014.
[22] Tra le altre, Cass., Sez. I, 18 settembre 2001, n. 34119, in C.e.d. Cass., n. 219914; Cass., Sez. I, 27 febbraio 2002, n. 8094, ivi, n. 221326.
[23] Cass., Sez. un., 29 maggio 2014, n. 29556, in C.e.d. Cass., n. 259176; precedentemente, Cass., Sez. VI, 30 ottobre 2013, n. 46482, ivi, n. 257710.
[24] Uno tra i più rilevanti arresti giurisprudenziali, nei primi anni di sperimentazione dello strumento del mandato di arresto europeo, ha valorizzato come equipollente – rispetto alla previsione di confini temporali invalicabili – un sistema di controlli giurisdizionali, obbligatori e con cadenze predeterminate, sulla legittima prosecuzione della cautela: v. Cass., Sez. un., 30 gennaio 2007, n. 4614, Ramoci, in C.E.D. Cass., n. 235351, con riferimento al sistema tedesco. La decisione, espressione di un singolare sforzo ermeneutico, ha contribuito a superare posizioni più restrittive (Cass., sez. VI, 15 maggio 2006, n. 16542, Cusini, in C.e.d. Cass., n. 233546) ed ha avuto un peso considerevole anche nella soluzione di casi successivi: v. Cass., Uff. del Massimario, Rapporti Giurisdizionali con Autorità Straniere, Mandato arresto europeo (M.A.E.), Legge n. 69 del 2005, Rel. N. 28/08/quinquies, in www.cortedicassazione.it.
[25] Cfr. Corte cost., ord. 14 aprile 2008, n. 109, che – rifacendosi all’ interpretazione “adeguatrice” adottata da Cass., Sez. un., 30 gennaio 2007, n. 4614, Ramoci, cit. – ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità dell’art. 18, lett. e) della legge n. 69/2005.
[26] M. Ceresa Gastaldo, I “limiti massimi della carcerazione preventiva”, in Aa.Vv., Il diritto processuale penale nella giurisprudenza costituzionale, a cura di G. Conso, Napoli, 2006, p. 466.
[27] C. Conti, La sospensione dei termini di custodia cautelare, modelli rigidi e flessibili a confronto, Padova, 2001, p. 267; cfr. E. Valentini, Principio di proporzionalità e durata della cautela, in Giur. mer., 2010, p. 446 ss.
[28] G. Ubertis, I limiti della custodia cautelare, in Id., Argomenti di procedura penale, Milano, 2002, p. 197; M. Chiavario, La Convenzione europea dei diritti dell’uomo nel sistema delle fonti normative in materia penale, Milano, 1969, p. 236. Tra le altre, v. Corte EDU, Grande Camera, Labita c. Italia, 6 aprile 2020; in seguito, Ereren c. Germania, 6 novembre 2014; Dogru c. Turchia, 16 dicembre 2014.
[29] Tra i tanti, in tema, G. Leo, Cade la presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere anche per il concorso esterno nell’associazione mafiosa, in www.penalecontemporaneo.it, 30 marzo 2015; sulla l. 16 aprile 2015, n. 47, Cass., Uff. Mass., Le nuove disposizioni in tema di misure cautelari, Rel. n. III/03/2015, 6 maggio 2015; v. D. Negri, Compressione dei diritti di libertà, cit., p. 70.
[30] Cfr. V. Zappalà, V. Patanè, Le misure cautelari, in G. Di Chiara, A. Galati, V. Patanè, F. Siracusano, D. Siracusano, G. Tranchina, V. Zappalà, Diritto processuale penale, Milano, 2018, p. 331.
[31] Così, secondo l’art. 123, comma 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, previa la verifica sull’assenza di “gravi motivi ostativi”. V. poi l’art. 2 d.l. 10 maggio 2020, n. 29, oggetto di una censura di costituzionalità recentemente sollevata (Mag. Sorv. Spoleto, 26 maggio 2020, ord. n. 1380/2020, in www.giurisprudenzapenale.com, 30 maggio 2020).
[32] Cfr. G. Flora, “COVID REGIT ACTUM”. Emergenza sanitaria, norme eccezionali e deroghe (“ragionevoli”?) ai principi costituzionali, in www.penaledp.it, 12 maggio 2020.
[33] Corte EDU, Torreggiani e altri c. Italia, 8 gennaio 2013; per una panoramica sulle diverse ed eterogenee misure adottate per arginare il problema del sovraffollamento carcerario e della sistematica violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti imposto dall’art. 3 Cedu, tra i molti, R. Moltaldo, Emergenza carceri: a tre anni dalla sentenza Torreggiani, gli esiti e l’effettività delle riforme, in www.forumcostituzionale.it, 3 febbraio 2016.
[34] Al riguardo, O. Mazza, Sospensioni di primavera, cit., p. 8; v. le riflessioni di M. Nobili, Principio di legalità e processo penale, in Aa.Vv., Il diritto penale alla svolta di fine millennio, a cura di S. Canestrari, Torino, 1998, p. 310.
[35] V. Corte cost., 12 febbraio 2020, n. 32, in ordine all’art. 1, comma 6, lett. b), l. 9 gennaio 2019, n. 3, modificativo dell’art. 4 bis ord. pen.
[36] In proposito, Trib. Siena, 21 maggio 2020, nn. 1034/2018 e 704/2019 R.G. Dib., in www.giurisprudenzapenale.it, 26 maggio 2020.
[37] L. Fidelio, A. Natale, Emergenza COVID-19 e giudizio penale di merito: un catalogo (incompleto) dei problemi, in www.questionegiustizia.it, 16 aprile 2020; A. Cisterna, DL Rilancio: problemi interpretativi sulla sospensione del termine per proporre querela, in www.quotidianogiuridico.it, 26 maggio 2020.