I VIAGGI IN MARE NELLA ROTTA DEL MEDITERRANEO CENTRALE di Salvatore Vella
“Information-sharing on the smuggling of migrants as a form of transnational organized crime, consistent with article 10 of the Protocol against the Smuggling of Migrants by Land, Sea and Air, supplementing the United Nations Convention against Transnational Organized Crime, and article 28 of the United Nations Convention against Transnational Organized Crime”
di Salvatore Vella
Sono in servizio come Pubblico Ministero in Italia. Il mio Ufficio ha la competenza territoriale sull’isola di Lampedusa, un’isola di 6.000 abitanti che si trova tra l’Europa e il continente africano, sul 35 esimo parallelo Nord, cioè più a sud di Tunisi e di Algeri.
Negli ultimi decenni l’Italia è diventata un Paese di destinazione di migranti. Nel 2014 sono arrivati via mare in Italia poco più di 170.000 migranti, nel 2019 sono arrivati poco più di 5.600 migranti, di questi il 42% sono sbarcati a Lampedusa.
L’Italia ha conosciuto sia il fenomeno dell’immigrazione che quello dell’emigrazione. Oggi i cittadini italiani residenti all’estero sono circa 4 milioni e 500.000, gli stranieri residenti in Italia sono invece poco più di 5 milioni, circa il 9% della popolazione.
L’Italia è un esempio di come la Storia sia caratterizzata dalla ciclicità: vi sono Paesi che in un certo periodo sono luoghi di partenza di migranti e in altre stagioni diventano luogo di destinazione e di arrivo.
Posso affermare che non esiste un “viaggio in mare standard”, una modalità standard di trasporto illegale di migranti nella rotta del Mediterraneo centrale. Per semplificare descriverò i 4 metodi principali utilizzati da trafficanti, consapevole però che ve ne possono essere altri.
Sommario: 1. I “barconi”, vecchi pescherecci trasformati - 2. I gommoni, i “rubber boat” - 3. Il sistema della “mother boat” - 4. I “viaggi in business class”, con imbarcazioni veloci 5. Conclusioni 6. Recommendations
1. I barconi
Fino a qualche anno fa, fino al 2016 circa, i viaggi illegali più diffusi erano quelli fatti con vecchi motopesca carichi di migranti fino al tetto della cabina di guida. Era il metodo con il quale i trafficanti di esseri umani facevano i numeri maggiori nella rotta del Mediterraneo centrale.
Un caso di cui mi sono occupato fu quello che si concluse con l’affondamento di uno di questi motopesca avvenuto il 25 maggio 2016 e l’arresto due trafficanti, 2 marinai egiziani. Un viaggio da Sabratha (Libia) verso Lampedusa, su un vecchio peschereccio di 21 metri, modificato per l’occasione nel porto libico di Zuara. Un viaggio che terminò appena 6 ore dopo la partenza. Morirono circa 283 migranti, tutti quelli che erano stati rinchiusi sotto bordo. Morirono annegati nei 40 minuti che ci mise lo scafo ribaltato ad andare a fondo.
Le modalità del viaggio, accertate attraverso le testimonianze dei migranti, erano simile a quelle accertate in decine e decine di altri casi, ed erano le seguenti:
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L’organizzazione criminale utilizza un vecchio peschereccio in legno, barche a fine carriera acquistate dai trafficanti nei porti della Libia, della Tunisia o dell’Egitto;
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L’organizzazione prepara il motopesca in un cantiere navale, trasformandolo in una specie grosso pullman galleggiante. Toglie di bordo tutte le attrezzature da pesca (che diventavano inutili per la nuova funzione della barca); crea dei ponti sotto coperta (lì dove normalmente vi erano depositi per le reti e il frigo per il pescato), per ospitare più gente possibile; fa dei buchi sullo scafo per permettere di respirare alle gran massa di gente che viaggia sotto coperta.
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Il viaggio viene pagato dai migranti interamente prima della partenza.
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L’imbarco avviene con piccoli gommoni da una spiaggia, ove vengono radunati i migranti, sotto il controllo di uomini armati, fino al motopesca ormeggiato in mare, poco lontano;
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I trafficanti mettono alla guida della barca due loro marinai esperti e prevedono un servizio d’ordine a bordo, 4 o 5 dei loro uomini, armati di bastoni o di tubi di gomma rigida, che picchiano i migranti se creano problemi durante il viaggio. A volte queste persone del servizio d’ordine lanciano in mare i migranti che si lamentano durante il viaggio, che annegano.
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In acque internazionali, nei pressi delle coste italiane, lo skipper fa una chiamata alle Guardia Costiera Italiana con un telefono satellitare “thuraya”, chiedendo soccorso e fornendo le propria posizione tramite i dati GPS.
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All’arrivo delle navi di soccorso, i membri dell’organizzazione tentano di mimetizzarsi tra i migranti, per non essere arrestati. A volte ci riescono e ritornano in Nord Africa per incassare il resto del loro compenso e magari per fare altri viaggi, altre volte no. Ne abbiamo arrestati a centinaia, aiutati dalle testimonianze dei migranti trasportati a bordo.
Sono viaggi pericolosi, vi è sempre il rischio che i barconi si ribaltano per il pesante carico. Il pericolo è dato soprattutto dalla “mobilità” del carico. I migranti sono impauriti, stanchi, nervosi, basta che la maggior parte dei passeggeri si sposti su un lato della barca, magari felici alla vista della nave dei soccorsi, per far ribaltare l’imbarcazione e causarne l’affondamento.
Ricordo il racconto di un migrante siriano Rashid, sopravvissuto all’affondamento del 25 maggio 2016, che aveva fatto quel viaggio con la moglie, la figlioletta piccola e i suoi due figli maschi. Rashid aveva pagato 7.500 dinari libici ai trafficanti per far viaggiare la sua famiglia. In quel viaggio Rashid ha perso Mohamed, uno dei suoi due figli, morto annegato.
Rashid mi ha raccontato che sulla spiaggia in Libia di notte, sei ore prima dell’affondamento, ha ascoltato un trafficante libico che diceva all’altro “dobbiamo imbarcare ancora merce”, “merce” non “uomini”. Il peschereccio era già pieno oltre il consentito, poteva trasportare 20 persone in sicurezza, i trafficanti riuscirono a imbarcarne 725.
E’ successo qualcosa di simile nella strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013. In quel caso il motopesca partito da Misurata (Libia) con a bordo almeno 545 migranti, per la maggior parte eritrei, era giunto a meno di un miglio da Lampedusa quando ebbe un avaria al motore. I migranti a bordo nel motopesca diedero fuoco a una coperta, per attirare l’attenzione di altre barche, che al buio della notte non li vedevano. Ciò causò un incendio a bordo, il panico dei migranti e infine il ribaltamento dell’imbarcazione. Morirono in 366, tra cui almeno 9 bambini.
In quel caso arrestammo subito lo “skipper”, un tunisino accusato da alcuni sopravvissuti. Le indagini successive, grazie anche all’uso di intercettazioni telefoniche, portarono all’arresto di altri trafficanti di esseri umani.
2. I gommoni, i “rubber boat”
I Gruppi criminali tendono naturalmente a incrementare i guadagni, riducendo il più possibile i costi e i rischi della loro attività criminale.
Da qualche anno i vecchi pescherecci da utilizzare per i viaggi sono diventati sempre più rari in Nord Africa e, quindi, più costosi. Inoltre sono imbarcazioni che richiedono marinai esperti e uomini a bordo per tenere l’ordine, uomini che sono un costo per l’organizzazione. Per questo motivo i trafficanti hanno scelto, sempre di più, di utilizzare altri metodi di trasporto in mare, metodi che consentono di abbattere i costi e di incrementare i guadagni.
Un carico di droga o di armi non può condurre da solo l’imbarcazione su cui viaggia, ha bisogno di uomini dell’organizzazione criminale che conducano la nave. La “merce” ha bisogno degli “uomini” per spostarsi in mare. I trafficanti di esseri umani hanno scoperto che il loro carico illegale poteva, invece, condurre da solo l’imbarcazione su cui viaggiava, che non avevano bisogno di mettere uomini della loro organizzazione sulle barche, uomini che andavano pagati e che rischiavano di essere arrestati o di morire in un naufragio; hanno addossato questi rischi sulle spalle delle loro vittime.
Per questi motivi i trafficanti di migranti sulla rotta del mediterraneo centrale hanno cominciato a usare i rubber boat. Oggi, sempre più spesso, sono gli stessi migranti a condurre le imbarcazioni su cui attraversano il canale di Sicilia.
I gommoni costano molto meno rispetto a un motopesca; possono essere condotti da due uomini inesperti scelti tra gli stessi migranti: uno “skipper” che regge il timone e un “compass man” che indica la rotta. I rischi per l’organizzazione si azzerano, non vi sono più loro uomini a bordo e le imbarcazioni sono destinate in partenza ad essere perse nel viaggio. I costi si abbassano e i profitti crescono.
Cresce purtroppo il rischio per i migranti, aumentano le morti in mare, perché difficilmente queste imbarcazioni raggiungono autonomamente la costa italiana, senza essere soccorse.
Le modalità di questo tipo di viaggio si possono schematicamente riassumere nelle seguenti:
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I gommoni di circa 11 metri vengono acquistati dai trafficanti a poco prezzo, dai 500 ai 2000 dollari americani, attraverso transazioni internazionali, spesso in mercati asiatici, trasportati in Libia tramite container su navi cargo, che a volte transitano anche da Paesi Europei. Questo tipo di imbarcazioni vengono vendute su internet a volte col nome di “refugee boat”, che lascia poco spazio all’immaginazione.
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I gommoni potrebbero trasportare circa 15 passeggeri in sicurezza, i trafficanti riescono a imbarcare fino a un centinaio di migranti, senza giubbotti di salvataggio, per non rubare spazio a bordo, con pochi viveri e acqua.
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Il viaggio parte direttamente da una spiaggia, il gommone viene accompagnato in mare per poche miglia da un’imbarcazione dei trafficanti, l’indicazione per i migranti è di seguire una rotta con direzione nord e di chiamare i soccorsi prima di giungere nelle acque territoriali italiane, con il telefono satellitare fornito dall’organizzazione.
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Il gommone viene condotto da due migranti scelti dai trafficanti, spesso in cambio del costo del viaggio. A volte i trafficanti spiegano soltanto il giorno prima ai due migranti scelti come si conduce il gommone e come funzione il GPS. A volte sono migranti che non hanno mai visto il mare prima. Questo è un problema serio per tutti quelli che si trovano sul gommone, perché il Canale di Sicilia è un mare pericoloso, è un mare chiuso con onde corte, ravvicinate e ripide, più insidiose per la navigazione rispetto a quelle oceaniche.
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I gommoni, costruiti con materiali scadenti, cominciano a sgonfiarsi già dopo poche ore di navigazione, via via cedono tutte le camere d’aria di cui costituito il gommone e i migranti a bordo cominciano ad annegare, uno ad uno. A volte si rompe il piccolo motore, ma la scena non cambia, questi gommoni si sgonfiano anche da fermi, con mare calmo.
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A volte, a bordo di questi gommoni, i migranti vengono ustionati dalla benzina che fuoriesce dal serbatoio, che deve essere riempito più volte lungo il viaggio. La benzina si mischia all’acqua di mare presente sul fondo del gommone, quella miscela di benzina e acqua di mare inzuppa gli abiti di chi viaggia al centro del gommone, di solito le donne, e gli ustiona la pelle come fosse acido, gliela brucia letteralmente.
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Se i migranti non riescono a mettersi in contatto con imbarcazioni di soccorso o se i soccorsi in mare arrivano tardi, muoiono annegati. Come traccia della tragedia resta in mare il gommone semi sommerso, sgonfio, senza vita.
Il gruppo criminale che ha organizzato il viaggio ha comunque fatto il proprio business, tutti hanno pagato il biglietto prima di partire.
3. Il sistema della “mother boat”
Un altro metodo che i trafficanti stanno utilizzando, sempre di più, è quello della “mother boat”.
Come esempio faccio riferimento a un caso di cui mi sono occupato conclusosi il 23 novembre 2018. In quel caso i trafficanti trasportarono 68 migranti da Sabratha (Libia) a Lampedusa, utilizzando un motopesca di circa 21 metri (nave madre) e una imbarcazione più piccola (nave figlia), costituita da una barca di circa 10 metri con un piccolo motore fuoribordo da 40cv. Arrestammo tutti i sei membri dell’equipaggio, dopo un lungo inseguimento in mare fatto con i mezzi della Guardia di Finanza Italiana.
Le modalità di questo tipo di viaggio si possono schematicamente riassumere nelle seguenti:
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L’organizzazione criminale si fa pagare dai migranti il viaggio in anticipo;
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I migranti vengono custoditi in diverse “safe house” poste nella vicinanza della costa, la notte della partenza i migranti vengono spostati sulla spiaggia e caricati su piccole imbarcazioni che, con diversi viaggi, li portano a bordo della mother boat ormeggiato al largo delle coste libiche, di solito sotto la vigilanza di uomini armati;
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A bordo della mother boat vi sono 5 o 6 uomini di equipaggio, marinai esperti. Il motopesca affronta il viaggio vero nord, verso le coste siciliane come se fosse una normale imbarcazione da pesca, tutti i migranti nascosti dentro la mother boat. Legata al traino del motopesca la “barca figlia”;
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Ai migranti vengono soltanto fornite acqua e viveri per il viaggio, chi si lamenta troppo e fa problemi viene picchiato;
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Dopo circa 15 ore di navigazione, al largo delle coste italiane, i trafficanti fermano il motopesca, fanno salire tutti i migranti a bordo della “barca figlia” che avevano al traino, e indicano loro la rotta da seguire verso Lampedusa.
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I trafficanti, dopo aver scaricato i migranti, fanno ritorno con la nave madre verso la costa libica. Nessun trafficante resta a bordo della “barca figlia”;
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I migranti raggiungono il porto di Lampedusa con la “barca figlia”;
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Il costo per l’organizzazione criminale è costituito soltanto dalla perdita secca della piccola imbarcazione di 10 metri.
Il metodo della “mother boat” mette, comunque, in pericolo la vita dei migranti, soprattutto nella fase in cui gli stessi vengono accalcati sulla “barca figlia” in condizioni di grave instabilità (70 persone su una piccola imbarcazione di 10 metri), senza viveri e mezzi di salvataggio individuali, fase che prevede ancora circa 8 ore di navigazione, prima di giungere sulla costa siciliana.
Questo metodo di viaggio rende, inoltre, più difficile il contrasto alle organizzazioni dei trafficanti, i migranti nascosti dentro la nave non sono visibili ad una osservazione esterna e le mother boat si fermano in acque internazionali, a grande distanza dalla costa del Paese di destinazione.
E’ difficile distinguere in mare le “mother boat” dai normali motopesca che affollano il mediterraneo centrale, uno dei metodi che usano gli equipaggi dei velivoli militari o di polizia, che presidiano questa ampia zona di mare, è quello di cercare i gabbiani, le “mother boat” infatti sono gli unici motopesca che in navigazione non hanno stormi di gabbiani intorno. Il perché è presto detto: sono gli unici motopesca che non pescano. Niente pesci a bordo, niente gabbiani.
Le imbarcazioni figlie, molto più piccole, sono le uniche che entrano nelle acque nazionali del Paese di destinazione e sono comunque difficilmente individuabili dai radar delle navi militari che controllano il mare.
4. I “viaggi in business class”, con imbarcazioni veloci
Infine vi sono trafficanti di migranti che offrono viaggi fatti con mezzi veloci, non facilmente individuabili dalle Forze dell’ordine, in genere organizzati da trafficanti tunisini o egiziani, non libici. Sono stati ribattezzati “sbarchi fantasma”, perché con questa modalità i migranti entrano nel territorio dello Stato di destinazione senza transitare dai centri di identificazione della Polizia, senza lasciare traccia, come dei fantasmi appunto. Non vi sono statistiche affidabili sui numeri di migranti trasportati in questo modo.
Si tratta di viaggi per mare che, per i servizi che offrono ai migranti, costano di più rispetto agli altri metodi, perché garantiscono sia una maggiore sicurezza per i migranti (che in questi casi non rischiano quasi mai la vita) che l’arrivo di nascosto sulla terraferma, con possibilità per i migranti di muoversi in autonomia sul territorio europeo, senza essere identificati allo sbarco.
Dal punto di vista dei trafficanti questi viaggi prevedono il ritorno del mezzo navale utilizzato nel Paese di partenza, insieme ai trafficanti che vi sono a bordo.
Vi porto un caso concreto di cui mi sono occupato, risale al 10 ottobre 2017. In quel caso arrestammo un cittadino tunisino che aveva appena fatto un viaggio con un gommone di ottima qualità, dotata di motore fuoribordo da 115cv, lungo poco più di 5 metri, con il quale aveva trasportato 10 migranti da Monastir (Tunisia) alla Sicilia, in poco meno di dodici ore. Per il trasporto si era fatto pagare un compenso di 7.000.000 dinari tunisini (corrispondenti a circa € 2.250 a persona).
Sul suo cellulare abbiamo trovato il filmato della traversata e il percorso GPS del viaggio in mare, che aveva avuto come destinazione finale un punto ben scelto della costa siciliana, lontano da abitazioni e strade, che aveva permesso uno sbarco senza destare allarme.
5. Conclusioni
La continua modifica dei modelli di business delle organizzazioni dei trafficanti di migranti deve portare necessariamente a una conseguente modifica delle modalità di contrasto da parte delle Forze di polizia.
Con i “barconi” le Forze di Polizia potevano tentare di fare una attività di contrasto in mare che avesse una qualche efficacia, lotta che poteva portare all’arresto dei marinai (professionisti pagati dall’organizzazione) e alla confisca o alla distruzione delle navi dell’organizzazione.
Oggi i numeri maggiori i trafficanti li fanno con i “rubber boat”, per i quali un’attività di contrasto in mare è poco efficace. Le organizzazioni dei trafficanti non hanno più in mare i loro uomini e la flotta di rubber boat è una flotta di imbarcazioni destinate a essere utilizzate per un solo viaggio, destinate ad essere costantemente sostituite a poco prezzo. Il sequestro di questi mezzi è inefficace, perché sono mezzi non utilizzabili per un nuovo viaggio.
Oggi sempre di più un efficace contrasto alle organizzazioni di trafficanti di migranti presuppone una lotta da svolgere sulla terra ferma non in mare, soprattutto nei Paesi di partenza con la necessaria collaborazione dei Paesi di destinazione. Sono poco utili e difficilmente attuabili i blocchi navali, cioè i tentativi di bloccare in mare l’arrivo delle imbarcazioni cariche di migranti.
Il Paese di destinazione è il luogo in cui arrivano le vittime dei traffici, portando con se il peso delle violenze subite, delle torture, degli abusi sessuali, delle uccisioni di familiari o di amici.
I Paesi di partenza sono i luoghi in cui si trovano i trafficanti, le loro armi da fuoco, i loro mezzi, le loro basi, le prigioni in cui tengono i migranti, e, soprattutto, i loro soldi.
Spesso le informazioni acquisite dai migranti, che debbono essere considerate vittime del reato di smuggling, permetterebbero una seria attività d’indagine nei Paesi di partenza sulla costa africana. I migranti, pur tra grandi difficoltà, ci forniscono numeri di cellulare, descrizione dei trafficanti, l’indirizzo dei luoghi di incontro tra migranti e trafficanti, l’indicazione dei luoghi ove si trovano le grandi “house” dove vengono radunati i migranti prima della partenza, alcune delle quali sono diventati veri propri campi di concentramento e luoghi di tortura, spesso ex basi militari o caserme. A volte i migranti ci riferiscono di appartenenti a Forze di Polizia che utilizzano la loro posizione e i loro mezzi per aiutare i trafficanti di migranti. Sono informazioni che debbono essere condivise.
6. Recommendations
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Gli Stati parte dovrebbero considerare di creare Network regionali di Prosecutors specializzati nel contrasto allo smuggling of migrants, per condividere informazioni utili e strategie di contrasto, utilizzando ove possibile banche dati comuni, contenenti informazioni standard quali numeri di cellulare utilizzati dai trafficanti per mettersi in contatto con i migranti, dati sui possessori dei numeri di cellulare, generalità e precedenti penali dei trafficanti, in accordo con le singole legislazioni nazionali;
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Gli Stati di una regione e in particolare gli Stati di partenza, di transito e di arrivo dei migranti dovrebbero considerare di creare una banca dati comune a disposizione delle Forze di Polizia contenente le impronte digitali o altri dati biometrici dei soggetti sospettati di appartenere alle organizzazioni di trafficanti di migranti, attribuendo un codice unico identificativo per ogni soggetto registrato nella banca dati, in aggiunta al nome dichiarato. Questa banca dati condivisa dovrebbe poter dialogare con eventuali banche dati nazionali di dati biometrici, in modo da consentire una corretta identificazione dei trafficanti, in accordo con le singole legislazioni nazionali;.
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Gli Stati di partenza, di transito e di arrivo dei migranti dovrebbero considerare di creare corpi di interpreti delle diverse lingue parlate dai migranti trasportati dai trafficanti, da mettere stabilmente a disposizione di Polizia e Prosecutors specializzati nel contrasto allo smuggling of migrants.
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Gli Stati di partenza e gli Stati di arrivo dei migranti dovrebbero considerare di prevedere lo scambio di propri Ufficiali di Polizia di collegamento, in modo da rendere più veloce e diretto la condivisione di informazioni utili tra i Paesi della rotta dei migranti.
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Per rendere più efficaci le strategie di contrasto contro lo smuggling of migrants, ciascun Stato parte dovrebbe condividere con gli altri Stati parte della medesima regione informazioni sulle NGO che trasportano migranti sul proprio territorio o all’interno delle proprie acque territoriali, informando gli altri Stati se tratta di organizzazioni che svolgono un’attività diretta a salvare i migranti, in attuazione alle norme internazionali sulla tutela della vita in mare (Convenzione Internazionale SOLAS Safety Of Life At Sea del 1974; Convenzione Internazionale di Amburgo SAR Search And Rescue del 1979) o se si tratta di organizzazioni che hanno accordi illegali con i trafficanti di migranti.
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Gli Stati parte dovrebbero considerare di prevedere canali di accesso legali per i migranti, in modo da ridurrebbe sensibilmente il potere di ricatto che i trafficanti hanno nei confronti dei migranti, offrendosi come unico canale di accesso ai Paesi di destinazione. Ciò ridurrebbe il volume dei traffici illegali di esseri umani e consentirebbe un più efficace contrasto alle organizzazioni dei trafficanti.
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