Primato del diritto dell’Unione europea e disapplicazione. Un confronto fra Corte costituzionale, Corte di Cassazione e Corte di giustizia in materia di sicurezza sociale
di Bruno Nascimbene e Ilaria Anrò*
Sommario: 1. Le pronunce della Corte costituzionale. Premessa – 2. La “massima espansione” delle garanzie, nel rispetto del primato del diritto dell’Unione europea, quale chiave di lettura delle pronunce della Consulta – 3. Il principio della parità di trattamento dei cittadini di Paesi terzi – 4. La sentenza 67/2022: tra primato e obbligo di disapplicazione – 5. La scelta della Corte di Cassazione, il ricorso alla Consulta. Critica – 6. Le pronunce della Consulta. La prospettiva della “massima espansione” delle tutele e quella del primato.
1. Le pronunce della Corte costituzionale. Premessa
A pochi giorni di distanza, l’una dall’altra, la Corte costituzionale si è pronunciata con due sentenze, la n. 54 del 4 marzo 2022 e la n. 67 dell’11 marzo 2022 (medesimo redattore) a seguito di un rinvio pregiudiziale richiesto, nel primo caso, dalla stessa Consulta[1]; nel secondo caso dalla Corte di Cassazione, che aveva proceduto in tal senso prima di sollevare la questione di legittimità costituzionale[2].
La materia riguarda la previdenza sociale e il divieto di discriminazione, sia fra stranieri beneficiari di un determinato trattamento in virtù di direttive dell’Unione europea (2003/109 sui soggiornanti di lungo periodo e 2011/98 sui soggiornanti titolari di un permesso unico di lavoro) nonché dell’art. 34 Carta dei diritti fondamentali (sulla sicurezza sociale e assistenza sociale), sia fra stranieri tutelati dal diritto UE -da un lato- e cittadini italiani -dall’altro lato-. Oggetto del contendere erano: a) l’assegno di natalità o bonus bebè e l’assegno di maternità (sentenza n. 54) riconosciuti nel diritto nazionale soltanto agli stranieri lungosoggiornanti (e non anche a quelli muniti di diverso titolo di soggiorno), creando dunque una discriminazione fra stranieri, pur essendo provvidenze o prestazioni previdenziali che attengono ad un settore, quello della sicurezza sociale, in cui è garantito il diritto alla parità di trattamento (a favore, dunque, di tutti i cittadini di Paesi terzi che risiedono e lavorano legalmente in uno Stato membro); b) l’assegno per il nucleo familiare (“ANF”, oggetto della sentenza n. 67) riconosciuto nel diritto nazionale ai cittadini italiani, indipendentemente dal fatto che i familiari abbiano la residenza in Italia, requisito invece richiesto per i familiari degli stranieri (salva l’ipotesi eccezionale che sussista la condizione di reciprocità o sia in vigore una convenzione internazionale con il Paese di origine di questi ultimi).
Nel secondo caso di scrutinio costituzionale la disparità oggetto di esame era, come si è detto, fra stranieri, cittadini di Paesi terzi, e italiani (diversamente dal primo caso ove la discriminazione dedotta era fra stranieri inter se ). La provvidenza in questione aveva natura previdenziale ma anche di sostegno a chi versava in situazione di bisogno. Il giudice a quo, ampiamente censurato (come si dirà oltre) dalla Corte costituzionale, aveva ritenuto rilevanti solo le direttive prima ricordate, non già l’art. 34 Carta, come ben avrebbe potuto, e come la stessa Corte costituzionale tende a sottolineare (ragionevolmente in senso critico) quando precisa (punto 1.2.1. del «Considerato in diritto») che «né l’una né l’altra ordinanza evocano la violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e in particolare l’art. 34». Norma, quest’ultima, che è stata invece ritenuta di assoluto rilievo nella vicenda bonus bebè e assegno di maternità.
2. La “massima espansione” delle garanzie, nel rispetto del primato del diritto dell’Unione europea, quale chiave di lettura delle pronunce della Consulta
Entrambe le sentenze sono espressione di una stretta cooperazione non solo fra giudici, nazionale – particolarmente qualificato quale è la Corte costituzionale – ed europeo, secondo la logica e la ratio del rinvio pregiudiziale, ma anche fra istituzioni. La sentenza n. 67, d’altra parte, richiama la n. 54 quando ricorda che nell’interpretazione di una direttiva si deve salvaguardare l’effetto utile e, con riguardo al suo recepimento, che la relativa “fase” deve essere «fruttuosa e trasparente», lo stesso legislatore dell’Unione esigendo che sia «contraddistinta dall’impegno degli Stati membri a una costante interlocuzione della Commissione»[3].
La sentenza n. 54, a più riprese, sottolinea la necessità di uno spirito di leale collaborazione fra Corti, affinché la tutela giurisdizionale sia effettiva, specie quando vi sia una connessione inscindibile fra i principi e i diritti evocati dal giudice a quo e quelli riconosciuti dalla Carta: “arricchiti”, questi ultimi, dal diritto secondario rappresentato dalle direttive, «tra loro complementari e armonici», perché i principi costituzionali e le garanzie sancite dalla Carta si integrano vicendevolmente, conseguendo un «arricchimento degli strumenti di tutela dei diritti fondamentali”[4].
La Corte, che nella sentenza n. 54 dà ampio spazio e rilevanza all’art. 34 della Carta, ben più di quanto l’abbia fatto la Corte di giustizia[5], che si limita ad affermare che la direttiva (2011/98, art. 12, cui rinvia il regol. n. 883/2004 sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale) «dà espressione concreta al diritto di accesso alle prestazioni di scurezza sociale di cui all’articolo 34, paragrafi 1 e 2 della Carta» ovvero «concretizza un diritto fondamentale previsto dalla Carta»[6], dimostra come il rapporto fra fonti e Corti sia «di mutua implicazione e feconda integrazione»[7]. L’art. 34 afferma, d’altra parte, che i diritti tutelati lo sono non solo sulla base del diritto dell’Unione, ma anche delle «legislazioni e prassi nazionali», e dunque anche delle garanzie previste dalle Costituzioni. Ritiene, dunque, la Corte che la feconda integrazione si realizzi nell’ «assicurare una tutela sistemica, e non frazionata, dei diritti presidiati dalla Costituzione, anche in sinergia con la Carta di Nizza, e di valutare il bilanciamento attuato dal legislatore, in una prospettiva di massima espansione delle garanzie»[8].
La “massima espansione” delle garanzie può dunque, a ragione, ritenersi come la chiave di lettura delle due sentenze, ricordando al giudice nazionale di merito, ma soprattutto di legittimità che l’interpretazione del diritto nazionale deve essere sempre condotta in armonia con quello europeo, con la Carta in particolare, anche quando una sua disposizione è “concretizzata” dal diritto europeo secondario: con la conseguenza che le eventuali restrizioni imposte dalle norme nazionali vanno dichiarate illegittime o disapplicate dal giudice nazionale.
3. Il principio della parità di trattamento dei cittadini di Paesi terzi
Un principio che emerge con evidenza dalle pronunce in commento, e che forse è stato finora non (o non abbastanza) considerato, è il principio della parità di trattamento, a determinate condizioni, dei cittadini dei Paesi terzi. Il principio è ricavabile dagli articoli 3 e 31 Cost., dalla Carta e dal diritto derivato: la ratio è comune, essendo comunque vietate le discriminazioni arbitrarie e irragionevoli. Lo scopo, dichiarato, è «promuovere una più ampia ed efficace integrazione dei cittadini dei Paesi terzi»[9], la Corte costituzionale ricordando le finalità della direttiva 2011/98, anche in relazione alla sentenza della Corte di giustizia che si propone una integrazione più incisiva a favore di quegli stranieri che contribuiscono all’economia dell’Unione con il lavoro e il versamento di imposte[10].
Per quanto l’attuazione delle finalità ricordate sia di competenza degli Stati membri, e si debba tener conto della loro discrezionalità, specie quando si tratti di individuare, o meglio limitare i beneficiari delle prestazioni sociali in considerazione delle risorse di bilancio disponibili, il canone della ragionevolezza di eventuali limiti si impone[11]. A maggior ragione, si ritiene, quando gli obblighi discendono dal diritto dell’Unione e dal principio del primato, chiaramente affermato nella sentenza n. 67, di cui si dirà poco oltre[12].
La parità di trattamento, alle condizioni previste dalle norme di diritto UE, è un principio cui il legislatore, l’amministrazione, il giudice nazionale devono conformarsi e le eventuali deroghe devono essere interpretate restrittivamente, come d’altra parte insegna la giurisprudenza della Corte di giustizia[13].
4. La sentenza 67/2022: tra primato e obbligo di disapplicazione
Con particolare riferimento all’applicazione del principio di parità di trattamento fra cittadini dei Paesi terzi e cittadini italiani (nel caso dell’ANF), la Consulta, come si è detto, si è pronunciata sulle questioni di legittimità costituzionale sottopostele dalla Corte di Cassazione mediante due ordinanze (iscritte ai nn. 110 e 111 dell’8 aprile 2021). La risposta della Corte costituzionale, molto attesa, resa a pochi giorni di distanza dalla pronuncia sul bonus bebè e assegno di maternità, costituisce una nuova occasione di riflessione circa i rapporti tra le fonti e le Corti e la centralità del primato del diritto dell’Unione europea nel sistema di “tutela integrata”[14].
I giudizi a quo prendono le mosse, rispettivamente, dal ricorso di un cittadino pakistano (R.M.), titolare di permesso di lungo soggiorno, che chiedeva l’accertamento del carattere discriminatorio del mancato riconoscimento dell’assegno per il nucleo familiare nel periodo compreso tra settembre 2011 e aprile 2014, durante il quale i suoi familiari erano ritornati nel Paese di origine, e dal ricorso di un cittadino srilankese (S. B.G.), titolare di permesso unico di soggiorno e di lavoro, che a sua volta chiedeva l’accertamento del carattere discriminatorio del mancato riconoscimento dell’assegno del nucleo familiare per i periodi gennaio-giugno 2014 e giugno-luglio 2016, durante i quali i suoi familiari erano rientrati nel Paese d’origine, con conseguente condanna dell’INPS e del datore di lavoro al pagamento delle relative somme. In entrambi i casi, i giudici di secondo grado avevano accolto le domande dei ricorrenti (nel caso di R.M. confermando il primo grado) e l’INPS ricorreva in Cassazione.
Emergeva, dunque, avanti alla Corte di Cassazione il contrasto dell’art. 2, comma 6-bis, della legge n. 153/19881, istitutiva dell’ANF con il diritto dell’Unione europea. Ai sensi di tale norma, il coniuge del cittadino straniero, nonché i figli ed equiparati, che non abbiano la residenza in Italia, non vengono considerati parte del nucleo familiare quale definito all’art. 2, comma 6, della stessa legge (a meno che, come si è accennato, lo Stato di appartenenza dello straniero riservi un trattamento di reciprocità ai cittadini italiani ovvero sia stata stipulata una convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia). Tale norma si pone in contrasto con l’art. 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE, che impone agli Stati membri di riconoscere al soggiornante di lungo periodo il medesimo trattamento previsto dalla disciplina nazionale per i cittadini, quanto alle prestazioni sociali, all’assistenza sociale e alla protezione sociale, e l’art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE, il quale prevede che i lavoratori di Paesi terzi di cui all’art. 3, paragrafo 1, lettere b) e c), beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro in cui soggiornano, quanto ai settori della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004.
Stante il contrasto tra la normativa italiana e le citate disposizioni delle direttive, e l’impossibilità di risolverlo per il tramite dell’interpretazione conforme, per stessa ammissione della Corte di Cassazione, quest’ultima si rivolgeva in prima battuta alla Corte di giustizia per ottenere chiarimenti circa la corretta interpretazione delle direttive. La Corte di giustizia (con la già ricordata pronuncia del 25 novembre 2020)[15] dichiarava che l’art. 11, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 2003/109/CE deve essere interpretato nel senso che esso osta a una disposizione come l’art. 2, comma 6-bis, della legge n. 153 del 1988, secondo il quale non fanno parte del nucleo familiare di cui a tale legge il coniuge, nonché i figli ed equiparati di cittadino di Paese terzo che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica italiana, salvo reciprocità o convenzione internazionale, posto che essa non si è avvalsa della deroga consentita dall’art. 11, paragrafo 2, della medesima direttiva (non essendo stata espressa una tale intenzione in sede di recepimento della direttiva 2003/109/CE nel diritto nazionale).
Nello stesso senso, con la sentenza “gemella” pronunciata lo stesso giorno[16], la Corte di giustizia ha affermato che l’art. 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE deve essere interpretato nel senso che esso impone agli Stati membri di riconoscere ai cittadini di paesi terzi titolari di permesso unico le prestazioni di sicurezza sociale, tra cui rientra l’assegno per il nucleo familiare, alle stesse condizioni previste per i cittadini dello Stato membro, stante il principio di non discriminazione.
Il giudizio avanti alla Corte di Cassazione avrebbe potuto (rectius, dovuto) “fermarsi qui”: ottenuta l’interpretazione della Corte di giustizia circa il perimetro del principio di non discriminazione e considerato l’acclarato contrasto con la normativa nazionale, la Corte di Cassazione avrebbe dovuto disapplicare quest’ultima a favore della normativa comunitaria, secondo gli insegnamenti di Simmenthal.[17] Secondo la Cassazione, tuttavia, non era possibile procedere in questo senso, in quanto non vi sarebbe stata una disciplina self executing direttamente applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio principale, e questo in quanto «il diritto dell’Unione […] non disciplina direttamente la materia dei trattamenti di famiglia»[18].
5. La scelta della Corte di Cassazione, il ricorso alla Consulta. Critica
La Corte di Cassazione ha, quindi, ritenuto di sollevare la questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 2, c. 6° bis del decreto-legge n. 69 del 13 marzo 1988, unicamente con riferimento alle norme delle direttive citate, per il tramite degli articoli 11 e 117 Cost.
Giova sottolineare che nel caso di specie non si verte in un’ipotesi di doppia pregiudizialità: come ricordato, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale in via incidentale, la Cassazione ha unicamente richiamato i parametri comunitari, senza invocare una contemporanea violazione di norme costituzionali (diverse dagli artt. 11 e 117), come ben avrebbe potuto fare (e forse ciò avrebbe portato alla dichiarazione – quanto meno - di ammissibilità della questione sottoposta), invocando l’art. 3 della Costituzione[19].
Inoltre (già si è detto) non è stata nemmeno invocata la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, come parametro di legittimità della norma censurata. Osserva, appunto, la stessa Corte costituzionale che entrambe le ordinanze non «evocano la violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e in particolare l’art. 34»[20].
La strada scelta dalla Corte di Cassazione nel porre la questione di legittimità alla Corte costituzionale, quindi, non è quella tracciata dal (fin troppo) famoso obiter dictum della pronuncia 269/2017, ovvero l’ipotesi in cui una norma nazionale appaia confliggente con le norme poste a tutela dei diritti fondamentali nella Costituzione e allo stesso tempo nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ma quella “tradizionale” di Granital[21], percorribile quando il conflitto con la norma italiana si verifichi con una norma comunitaria sprovvista di effetto diretto. Come sopra ricordato, tale scelta è determinata dalla considerazione della mancanza di una disciplina di diritto UE applicabile in luogo di quella nazionale disapplicata, poiché, a detta della Cassazione, la materia dei trattamenti di famiglia non è di competenza dell’Unione.
La Corte costituzionale censura (senza mezzi termini) questa scelta, dichiarando le questioni inammissibili per carenza di rilevanza[22].
L’assunto della Cassazione secondo il quale, con riferimento alla prestazione sociale in oggetto, il diritto europeo non detta una disciplina in sé compiuta, da applicare in luogo di quella dichiarata incompatibile viene considerato dalla Corte costituzionale privo di fondamento. Per dimostrare tale tesi, la Consulta analizza i presupposti e le ragioni della scelta della Cassazione di rivolgersi in prima battuta alla Corte di giustizia tramite il rinvio pregiudiziale, «canale di raccordo fra giudici nazionali e Corte di giustizia per risolvere eventuali incertezze interpretative». Esso, invero, «concorre ad assicurare e rafforzare il primato del diritto dell’Unione»[23] evidenziando la contraddizione insita nella scelta di proseguire successivamente con l’incidente di legittimità costituzionale. La Corte, dopo aver ricordato gli obblighi per il giudice nazionale discendenti da Simmenthal, evidenzia la funzione del rinvio pregiudiziale come cruciale al «fine di garantire piena efficacia al diritto dell’Unione e assicurare l’effetto utile dell’art. 267 TFUE, cui si salda il potere di “disapplicare” la contraria disposizione nazionale»; sottolinea inoltre come la Corte di giustizia abbia precisato che «la mancata disapplicazione di una disposizione nazionale ritenuta in contrasto con il diritto europeo viola “i principi di uguaglianza tra gli Stati membri e di leale cooperazione tra l’Unione e gli Stati membri, riconosciuti dall’art. 4, paragrafi 2 e 3, TUE, con l’articolo 267 TFUE, nonché […] il principio del primato del diritto dell’Unione” (sentenza 22 febbraio 2022, in causa C-430/21, RS, punto 88)»[24].
La Corte costituzionale riporta quindi, al centro, il primato del diritto dell’Unione, richiamando una sentenza significativa della Corte di giustizia, ove la stessa aveva censurato (proprio pochi giorni prima della Consulta) la normativa nazionale rumena che impediva ai giudici nazionali di esaminare la conformità, al diritto dell’Unione, di una normativa nazionale dichiarata conforme alla Costituzione da una sentenza della Corte costituzionale, sottolineando come il principio del primato e l’art. 4, parr. 2 (il cui cuore è rappresentato dal richiamo all’identità nazionale) e 3 TUE costituiscano «l’architrave su cui poggia la comunità di corti nazionali, tenute insieme da convergenti diritti e obblighi»[25].
Da tale premessa, consegue la conclusione secondo cui «il sindacato accentrato di costituzionalità, configurato dall’art. 134 Cost., non è alternativo a un meccanismo diffuso di attuazione del diritto europeo (sentenza n. 269 del 2017, punti 5.2 e 5.3 del Considerato; sentenza[26] n. 117 del 2019, punto 2 del Considerato), ma con esso confluisce nella costruzione di tutele sempre più integrate» fortemente sottolineata dalla Corte costituzionale e riportata con toni quasi “didascalici”[27]. Pare significativo il richiamo alla sentenza 269/2017, come precisata dalla successiva ordinanza 117/2019, il quale ha tracciato una nuova possibilità di rinvio alla Corte costituzionale in caso di contrasto della norma nazionale con la Costituzione e la Carta «fermo restando “che i giudici comuni possono sottoporre alla Corte di giustizia dell’Unione europea, sulla medesima disciplina, qualsiasi questione pregiudiziale a loro avviso necessaria” (sentenza n. 20 del 2019, punto 2.3. del Considerato in diritto), anche al termine del procedimento incidentale di legittimità costituzionale; e fermo restando, altresì, il loro dovere – ricorrendone i presupposti – di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta al loro esame, la disposizione nazionale in contrasto con i diritti sanciti dalla Carta (sentenza n. 63 del 2019, punto 4.3. del Considerato in diritto)»[28].
La Corte costituzionale afferma quindi che «ponendosi nella prospettiva del primato» occorre concludere che alle norme delle direttive invocate «deve riconoscersi effetto diretto nella parte in cui prescrivono l’obbligo di parità di trattamento tra le categorie di cittadini di paesi terzi individuate dalle medesime direttive e i cittadini dello Stato membro in cui costoro soggiornano»[29]. Tali norme, infatti, esprimono un obbligo di parità di trattamento a favore dello straniero dal carattere chiaro, preciso e incondizionato. Dunque, il giudizio della Consulta è chiaro: la Corte di Cassazione avrebbe dovuto disapplicare[30]. Come già evidenziato da altri, la Cassazione ha erroneamente “sovrapposto” la disciplina degli assegni familiari (pacificamente di competenza nazionale) con l’obbligo della parità di trattamento, di matrice comunitaria[31].
Tale conclusione, secondo la Consulta, non può essere “ribaltata” neppure dal secondo argomento della Cassazione, secondo cui le invocate norme comunitarie avrebbero lasciato un significativo margine di apprezzamento, incompatibile con le caratteristiche dell’effetto diretto. Il compito della rimozione degli effetti discriminatori, infatti, compete, secondo la Corte, al giudice ricordando in proposito una sentenza della Corte di giustizia, Stollwitzer, secondo cui l’eliminazione della discriminazione deve essere assicurata mediante il riconoscimento ai soggetti discriminati dei vantaggi concessi alle persone della categoria privilegiata[32]. Il richiamo operato dalla Cassazione alla sentenza della Consulta 227/2010 in materia di mandato d’arresto europeo è ritenuto “non pertinente”, in quanto il sistema previsto dalle direttive 2003/109/CE e 2011/98/UE non può essere assimilato a quello del mandato d’arresto europeo, poiché in relazione alla prestazione sociale in questione, detti strumenti consentono agli Stati membri di limitare tale parità di trattamento, solo esprimendo chiaramente l’intenzione di volersi avvalere della facoltà di deroga, cosa che non è avvenuta (come chiaramente sottolineato dalla Corte di giustizia) nella materia in esame[33].
6. Le pronunce della Consulta. La prospettiva della “massima espansione” delle tutele e quella del primato
La pronuncia 67/2022 pare lineare e rigorosa nell’applicazione dei principi di Simmenthal e di Granital, nonché nell’affermazione del primato del diritto dell’Unione europea. In tempi in cui l’autorità delle sentenze della Corte di giustizia e lo stesso primato del diritto dell’Unione europea sono revocati in dubbio dalle più alte giurisdizioni degli Stati europei[34], la riaffermazione dei principi del primato, dell’uguaglianza tra Stati e della leale collaborazione costituisce un importante passo verso un dialogo costruttivo. Siamo all’opposto del richiamo al predominio assiologico della Costituzione (seppur invocato con riferimento alla CEDU[35]) e al riaccentramento del ruolo della Consulta operato dalla sentenza 269/2017.
La scelta della Corte di Cassazione di sollevare la questione incidentale di legittimità costituzionale dopo il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia era stata fortemente (e a buon diritto) criticata[36]. Era stata altresì messa in luce la necessità di una cautela nel giudizio in considerazione del carattere politico che accompagna i conflitti tra norme statali e sovranazionali in materia di sicurezza sociale, ricordando come altri avessero interpretato dette ordinanze come espressione di un “contromovimento” della Cassazione rispetto all’integrazione europea attraverso il diritto[37]. È stato anche osservato che la scelta della Corte di Cassazione di non menzionare la Carta tra i parametri di legittimità costituzionale e quindi di sottrarre il caso alla traiettoria tracciata dalla sentenza 269/2017, ove fosse frutto dello scenario prefiguratosi dalla stessa Cassazione, si sarebbe tradotta in un «esito […] chiaramente suicida»[38].
La pronuncia della Consulta risponde, per così dire, alle critiche e perplessità ricordate, affermando chiaramente che la centralità del primato del diritto dell’Unione europea e il ruolo di “architrave” del rinvio pregiudiziale non possono che condurre alla conclusione secondo la quale in presenza di un divieto di discriminazione chiaro, preciso e incondizionato del diritto dell’Unione europea non si può che disapplicare la normativa nazionale contrastante: questo è già più che sufficiente per assicurare l’effettività dei diritti in questione.
Resta, sullo sfondo, una domanda: il giudizio della Consulta sarebbe stato diverso se la Cassazione avesse invocato tra i parametri di legittimità della normativa italiana la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, nello specifico, l’art. 34? E’ difficile dare una risposta a tale interrogativo. Occorre, però, constatare che, in assenza del richiamo di un parametro costituzionale (diverso dagli artt. 11 e 117) non si sarebbe comunque creata una situazione di “doppia pregiudizialità” e, dunque, non si sarebbe aperta la via tracciata dalla sentenza 269/2017, ma si sarebbe verificata quanto meno una situazione di rilevanza dei diritti fondamentali e della Carta.
Diversa è la situazione che si è presentata nella vicenda conclusasi con la sentenza 54/2022. In questo caso, infatti, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la normativa italiana fosse al tempo stesso contrastante con i parametri costituzionali (artt. 3 e 31 Cost.) e con la Carta (artt. 20,21,24,33 e 34), per il tramite dell’art. 117 Cost.[39]. Presupposto diverso, dunque, e la stessa Corte costituzionale, con l’ordinanza 182/2020, ha d’altra parte ritenuto di sottoporre in via prioritaria la questione interpretativa alla Corte di giustizia per il tramite dell’art. 267 TFUE. In questo caso, l’ordinanza della Corte costituzionale appariva forse “sbilanciata” verso l’art. 34 della Carta, focalizzando l’attenzione su detta norma, piuttosto che sul diritto derivato rilevante (trascurando, peraltro, le altre norme della Carta indicate tra i parametri di legittimità costituzionale). La Corte costituzionale sottolineava la «connessione inscindibile tra i principi e i diritti costituzionali […] e quelli riconosciuti dalla Carta», come già si è accennato «arricchiti dal diritto secondario», fondando su questa connessione il compito della Consulta di salvaguardarli «in una prospettiva di massima espansione»[40].
La Corte di giustizia ha ritenuto invece di procedere in senso diametralmente opposto, privilegiando l’interpretazione del diritto derivato, forse perché già sufficientemente chiaro, preciso e incondizionato e quindi suscettibile di applicazione nei giudizi interni[41]. In particolare, sarebbe stata auspicabile una disamina circa l’effetto diretto dell’art. 34, di per sé piuttosto articolata, contenendo al tempo stesso principi (al par. 1) e diritti (al par. 2), sebbene tale questione non fosse stata sottoposta all’esame della Corte di giustizia.
Confrontando la sentenza 54/2022 con la 67/2022 appare chiara la diversa prospettiva: nella prima, la Consulta si pone nella prospettiva di “massimizzazione delle tutele” imposta dalla connessione inscindibile tra i principi e diritti della Carta e quelli della Costituzione. Resta aperta tuttavia la domanda sui confini di questa «connessione inscindibile»[42].
Nella seconda la prospettiva è quella del primato: in presenza di parametri chiari, precisi e incondizionati e dell’autorità della pronuncia della Corte di giustizia, la strada non può che essere quella della non applicazione della norma nazionale contrastante. Tale prospettiva, però, non si pone in contrasto con la prima, in quanto, nel caso di specie, la “massimizzazione delle tutele” poteva dirsi raggiunta, senza la necessità di un giudizio di illegittimità costituzionale con effetti erga omnes. Le due prospettive non si pongono quindi come alternative ma entrambe concorrono alla garanzia dell’effettività dei diritti, nell’ottica della collaborazione e del dialogo tra le Corti.
Sembra infine utile osservare che una pronuncia erga omnes nel caso della sentenza 67/2020 nemmeno sarebbe stata necessaria in un’ottica di tutela che andasse al di là del singolo giudizio, in quanto la disciplina dell’ANF è stata nel frattempo modificata (con il d.lgs. 230 del 29 dicembre 2021, relativo all’istituzione dell’assegno unico e universale per i figli a carico, in attuazione della delega conferita al Governo ai sensi della legge 1° aprile 2021, n. 46): la Corte ha, infatti, correttamente ritenuto che le nuove norme «non incidono sui giudizi a quibus concernenti fattispecie che si sono perfezionate nel vigore della disciplina anteriore»[43].
In conclusione, le sentenze in esame ci pongono, una volta di più, di fronte a ormai sofisticate architetture giurisdizionali e a complessi intrecci del dialogo fra Corti. Ciò che conta, comunque, è l’effettività dei diritti in questione, garantita con forza dalla Consulta, protagonista del sistema di tutela integrata. L’auspicio è che la guida offerta dalla Corte di giustizia e dalla Consulta porti alla rimozione di tutte le discriminazioni che, ancora, esistono nel nostro ordinamento in materia di sicurezza sociale[44].
* I paragrafi 1-3 sono di Bruno Nascimbene, professore emerito di diritto dell’Unione europea; i paragrafi 4-6 sono di Ilaria Anrò, professore associato di diritto dell’Unione europea
[1] Ordinanza n. 182 del 30 luglio 2020; la Corte di giustizia si è pronunciata il 2 settembre 2021, causa C-350/20, O.D. e a. c. INPS, ECLI:EU:C:2021:659. Per un commento all’ordinanza (si è trattato del quinto rinvio pregiudiziale effettuato dalla Corte costituzionale) cfr. S. Giubboni, L’accesso all’assistenza sociale degli stranieri alla luce (fioca) dell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (a margine di un recente rinvio pregiudiziale della Corte costituzionale), in Giurisprudenza costituzionale, 2020, p. 1982 ss.; N. Lazzerini, Dual Preliminarity Within the Scope of the EU Charter of Fundamental Rights in light of Order 182/2020 of the Italian Constitutional Court, in European Papers, 25 novembre 2020, p. 1463 ss.; D. Gallo, A. Nato, L’accesso agli assegni di natalità e maternità per i cittadini di Paesi Terzi titolari di permesso unico nell’ordinanza n. 182/2020 della Corte Costituzionale, in Eurojus, 19 novembre 2020; C. Corsi, La parità di trattamento dello straniero nell’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale: tra disapplicazione e giudizio di costituzionalità, in questa Rivista, 8 gennaio 2021; per un commento alla sentenza D. Gallo, Assegni di natalità e maternità nella recente sentenza della Corte di giustizia: riflessioni “a caldo”, in Eurojus, 9 settembre 2021; per alcune interessanti valutazioni cfr. anche C. Saraceno, Diritti negati: supplenza dei giudici nell’inerzia del Parlamento?, in questa Rivista, 7 febbraio 2022.
[2] Corte giust., 25 novembre 2020, causa C-302/19, INPS c. WS, ECLI:EU:C:2020:957 e C-303/19, INPS c. VR, ECLI:EU:C:2020:958.
[3] Cfr. Corte cost. 67/2022, punto 14 del «Considerato in diritto».
[4] Cfr. Corte cost. 54/2022, punti 7, 9, 10 del «Considerato in diritto», richiamando l’ordinanza n. 182.
[5] Come già sottolineato in B. Nascimbene, CEDU e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: portata, rispettivi ambiti applicativi e (possibili) sovrapposizioni, in questa Rivista, 16 dicembre 2021.
[6] Cfr. sentenza 2 settembre 2021, causa C-350/20 cit., punti 46 e 47.
[7] Corte cost. 54/2022, punto 10 del «Considerato in diritto», richiamando la propria ordinanza n. 182/2020.
[8] Ibidem, punto 10 del «Considerato in diritto».
[9] Ibidem, punto 13 del «Considerato in diritto».
[10] Cfr. sentenza 25 novembre 2020, causa C-302/19 cit. Sulla finalità ricordata, di carattere generale, ove assume rilievo la residenza, ovvero l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale, e non la sua cittadinanza, cfr. B. Nascimbene, Le droit de la nationalité et le droit des organisations d’intégration régionales, vers de nouveaux statuts de résidents?, in Recueil des cours de l’Académie de droit international, 2014, spec. p. 321. Per alcuni rilievi sullo status dei cittadini dei Paesi terzi, anche con riferimento alle sentenze della Corte di giustizia in causa C-303/19 e in causa C-350/20 citt., A. Di Stasi, La prevista riforma della direttiva sul soggiornante di lungo periodo: limiti applicativi e sviluppi giurisprudenziali, in I. Caracciolo, G. Cellamare, A. Di Stasi, P. Gargiulo (a cura di), Migrazioni internazionali, Napoli, 2022, spec. pp. 451, 454 ss.
[11] Corte cost. 54/2022, punto 13.1. del «Considerato in diritto» con alcuni richiami.
[12] Corte cost. 67/2022, punti 10, 11 e 12 del «Considerato in diritto».
[13] Cfr., per un riferimento al principio, la sentenza causa C-303/19 cit., punto 34, e sulle possibilità, eccezionali, di deroga, punto 23, con richiamo delle sentenze del 24 aprile 2012, causa C-571/10, Kamberaj, EU:C:2012:233, punti 86-87; 21 giugno 2017, C-449/16, Martinez Silva, EU:C:2017:485, punto 29; un riferimento è in Corte cost., 67/2022, punto 8.1. del «Considerato in diritto».
[14] Questa espressione assume oggi una pregnanza particolare. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha tradizionalmente riconosciuto che «[t]utti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri […]. Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona» (sentenza n. 85 del 2013). Oggi l’integrazione dei diritti della Costituzione si intreccia con le altre fonti rilevanti sovranazionali, in primis la Carta e la CEDU, secondo il canone della massimizzazione delle tutele. Sul punto cfr. R. Conti, Il sistema di tutela multilivello e l’interazione tra ordinamento interno e fonti sovranazionali, in Questione Giustizia, 2016, p. 89 ss.
[15] Causa C-303/19 cit.
[16] Causa C-302/19 cit.
[17]Sentenza della Corte di giustizia, 9 marzo 1978, causa 106/77, EU:C:1978:99.
[18] Cfr. Corte cost., 67/2022, punto 2.5 del «Ritenuto in fatto».
[19] Come già osservato (correttamente) da S. Giubboni, N. Lazzerini, L’assistenza sociale degli stranieri e gli strani dubbi della Cassazione, in Questione Giustizia, 6 maggio 2021. Cfr. pure C. Colosimo, Stranieri dei Paesi terzi e assegno per il nucleo familiare: parità di trattamento e integrazione nel dialogo tra le Corti, in questa Rivista, 29 gennaio 2021.
[20] Cfr. Corte cost., 67/2022, punto 1.2.1. del «Considerato in diritto».
[21] Sentenza della Corte cost. 8.6.1984, n. 170.
[22] Cfr. Corte cost., 67/2022, punto 10 del «Considerato in diritto». Sembra utile ricordare che nel giudizio avanti alla Corte costituzionale era stata depositata dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione un’opinione scritta quale amicus curiae, ai sensi dell’art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, dunque sfruttando questa opportunità per schierarsi a fianco dei cittadini stranieri e chiedere la dichiarazione di inammissibilità per difetto di rilevanza.
[23] Ibidem, punto 10.2.
[24] Ibidem, punto 10.2.
[25] Ibidem, punto 11. La sentenza della Corte di giustizia, RS, è in EU:C:2022:99; per un richiamo al primato, più recentemente, Corte di giustizia, 22 marzo 2022, causa C-508/19, M.F., EU:C:2022:201, punto 74.
[26] Così nel testo, ma il riferimento è senz’altro all’ordinanza 117/2019.
[27] Ibidem, punto 11. Sottolinea (condivisibilmente) l’opportunità di sostituire il temine «attuazione» con «applicazione» A. Ruggeri, Alla Cassazione restìa a far luogo all’applicazione diretta del diritto eurounitario la Consulta replica alimentando il fecondo “dialogo” tra le Corti (a prima lettura della sent. n. 67/2022), in Consulta Online, 14 marzo 2022.
[28] Corte cost., ordinanza 117/2019, punto 2 del «Considerato in diritto».
[29] Corte cost., 67/2022, punto 12 del «Considerato in diritto».
[30] Ibidem, punto 12.2 del «Considerato in diritto».
[31] Cfr. F. Rizzi, Ancora sulla doppia pregiudizialità. I diritti dimenticati nel dialogo tra le Corti, tra resistenze e deresponsabilizzazioni nell’attuazione del diritto dell’Unione, in Questione Giustizia, 8 gennaio 2021, spec. p.9.
[32] Sentenza della Corte di giustizia, 14 marzo 2018, causa C-482/16, Stollwitzer, EU:C:2018:180, spec. punto 130.
[33] Cfr. la sentenza della Corte cost. 24 giugno 2010, n. 227.
[34] Si pensi alla pronuncia della Corte costituzionale tedesca del 5 maggio 2020 relativa al Programma di acquisto del settore pubblico (PSPP) della Banca centrale europea, in cui lo dichiarava ultra vires, perché esulava dall'ambito delle proprie competenze, considerando altresì ultra vires una sentenza della Corte di giustizia (11 dicembre 2018, causa C-493/17, Weiss e a., EU:C:2018:1000) senza deferire la questione alla Corte di giustizia. Più recentemente, si pensi alle pronunce della Corte costituzionale polacca che hanno sancito il contrasto della stessa Costituzione polacca con il diritto dell’Unione (Sentenza K 3/21, 7 ottobre 2021) e negato l’autorità delle pronunce della Corte di giustizia con riferimento alle misure cautelari dalla stessa adottate (Sentenza P 7/20). Su queste pronunce cfr. fra gli altri D.-U. Galetta, J. Ziller, Karlsruhe über alles? Riflessioni a margine di una pronunzia «assolutamente non comprensibile» e «arbitraria» (commento a BVerfG 05.05.2020, 2 BvR 859/15, Weiss, in Riv. it. dir. pub.com., 2020, p. 301 ss.; A. Circolo, Ultra vires e Rule of Law: a proposito della recente sentenza del Tribunale costituzionale polacco sul regime disciplinare dei giudici, in BlogDue, 2021; G. Di Federico, Il Tribunale costituzionale polacco si pronuncia sul primato (della Costituzione polacca): et nunc quo vadis?, ibidem, 2021; L. Pace, La sentenza della Corte costituzionale polacca del 7 ottobre 2021: tra natura giuridica dell’Unione, l’illegittimità del sindacato ultra vires e l’attesa della soluzione della “crisi” tra Bruxelles e Berlino, ibidem, 2021.
[35] Cfr. Corte cost., 49/2015.
[36] Cfr. S. Giubboni, N. Lazzerini, L’assistenza sociale cit..
[37] Cfr. L. Cavallaro (peraltro componente del collegio della Cassazione che ha pronunciato le ordinanze), Il dialogo tra Corti e le prestazioni di sicurezza sociale, in questa Rivista, 20 luglio 2021.
[38]Cfr. A. Ruggeri, Alla Cassazione restìa cit.
[39] Cfr. F. Rizzi, Ancora sulla doppia pregiudizialità cit.
[40] Cfr. Corte cost., ord. 182/2020.
[41] Cfr. D. Gallo, Assegni di natalità cit.
[42]Cfr. sul punto l’analisi di N. Lazzerini, Dual Preliminarity cit., p. 1470 ss.
[43] Sentenza, punto 5.3.1. del “Considerato in diritto”.
[44] Con riferimento alla disciplina del nuovo assegno unico, la nuova misura di assistenza alla famiglia denominata “assegno unico universale per i figli a carico” ha unificato e sostituito quasi tutte le precedenti misure a favore della famiglia. Molti sono, tuttavia, i permessi di soggiorno che restano esclusi dall'accesso alla nuova misura, come rilevato, fra l’altro, dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione che auspica nuovi interventi legislativi (cfr. www.asgi.it/notizie/assegno-unico-universale-modificare-le-norme-che-escludono-migliaia-di-stranieri/).