Il futuro dell’Europa dopo l’invasione dell’Ucraina
di Pier Virgilio Dastoli
L’avvenire dell’Europa e cioè il futuro delle relazioni fra gli Stati che fanno parte del Continente europeo e che sono – con qualche eccezione – membri del Consiglio d’Europa avrebbe dovuto essere discusso nella “Convenzione” convocata a Laeken nel dicembre 2001 con l’obiettivo di dotare l’Unione europea nata a Maastricht nel 1992 di una costituzione sulla via dell’unità politica e non solo economica e nella prospettiva imminente dell’adesione dei paesi dell’Europa centrale che si erano liberati dall’imperialismo sovietico e che avrebbero aderito progressivamente alla NATO iniziando nel 1999 con la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria.
Le conclusioni di Laeken furono adottate tre mesi dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, che furono considerate la sfida di Al Qaeda non solo contro gli Stati Uniti ma contro tutta la comunità internazionale, ed il Consiglio di sicurezza condannò all’unanimità con il voto favorevole della Russia e della Cina quello che fu considerato il più grave attentato terroristico dell’età contemporanea.
La solidarietà della comunità internazionale cominciò lentamente a sgretolarsi prima con l’invasione avviata dagli Stati Uniti nell’Afghanistan, sostenuta dalla NATO e da una coalizione di quaranta paesi un mese dopo l’attacco alle Torri Gemelle, ma soprattutto con l’invasione dell’Iraq ordinata da George Bush nella primavera del 2003 che divise in due blocchi contrapposti i paesi membri dell’Unione europea.
La “Convenzione sull’avvenire dell’Europa” iniziò a discutere pochi mesi dopo l’attacco alle Torri Gemelle e si concluse pochi mesi dopo l’invasione dell’Iraq ma il tema del futuro del continente europeo non fu mai seriamente affrontato dai “convenzionali” e il capitolo della politica estera e della sicurezza europea, che avrebbe dovuto comprendere anche la dimensione della difesa accantonata dopo la caduta della CED nel 1954, subì le conseguenze delle divisioni fra le apparenti sovranità assolute degli Stati membri e dei paesi candidati all’adesione così come l’organizzazione della governance economica indispensabile per il completamento dell’UEM e della dimensione sociale per andare al di là del liberismo che era al centro della politica del mercato.
Il tentativo, avviato dalla Commissione presieduta da Romano Prodi con l’idea della “politica di prossimità”, di far discutere della questione dei “confini politici dell’Unione europea” verso l’Europa dell’Est - che non avrebbero fatto parte del primo blocco dei paesi già sulla porta dell’Unione e dei paesi sull’altra sponda del Mediterraneo - fu triturato dai governi in una confusa “politica di vicinato” iscritta prima nel trattato-costituzionale (art. I-57) su proposta di Valéry Giscard d’Estaing e poi nell’art. 8 del Trattato di Lisbona mettendo sullo stesso piano le relazioni con l’Armenia, l’Azerbaijan, la Bielorussia, la Georgia, la Moldavia e l’Ucraina da una parte e l’Algeria, l’Autorità Palestinese, l’Egitto, Israele, la Giordania, la Libia, il Marocco, la Siria e la Tunisia dall’altra escludendo sia la Turchia candidata all’adesione, che i paesi dei Balcani occidentali della ex-Iugoslavia ad eccezione della Slovenia che avrebbe aderito nel 2004, della Croazia che avrebbe aderito nel 2013 che la Russia di Putin con cui fu sottoscritto nel 2005 un “partenariato strategico” fondato su uno spazio economico, di libertà, sicurezza e giustizia, di sicurezza esterna, di ricerca e di educazione.
In effetti né i governi, né la Commissione né tantomeno il Parlamento europeo hanno deciso nei quattordici anni dalla firma del Trattato di Lisbona nel 2007 di affrontare seriamente la questione dell’organizzazione della sicurezza e della pace sul continente europeo nonostante la guerra russa in Cecenia (2000), l’invasione della Crimea (2014) insieme al sostegno di Vladimir Putin ai secessionisti del Donbass.
Le tre dimensioni della politica estera, della governance economica e del pilastro sociale – su cui la Convenzione raggiunse un faticoso e inadeguato compromesso – evaporarono ulteriormente quando i governi misero mano al trattato-costituzionale con il Trattato di Lisbona che entrò in vigore nel 2009.
La guerra scatenata dalla Russia il 24 febbraio 2022 ha drammaticamente riaperto il tema dell’organizzazione del continente europeo per garantire la pace, la sicurezza e la cooperazione insieme al rispetto dei diritti che furono al centro degli accordi di Helsinki del 1975 in una dimensione politica che rende urgente l’autonomia strategica dell’Unione europea ben al di là degli strumenti finanziari di emergenza adottati nel 2021 per far fronte alle conseguenze della pandemia ed in particolare il Next Generation EU con un provvisorio debito europeo che dovrà essere rimborsato dagli Stati a partire dal 2026 se l’Unione europea non sarà dotata di una capacità fiscale autonoma.
La cosiddetta “autonomia strategica” nel quadro della sovranità europea riguarda certo la dimensione della sicurezza esterna e della difesa su cui si dovrà pronunciare un Consiglio europeo straordinario a fine maggio ma anche gli attacchi cibernetici, le manipolazioni dell’informazione, la lotta al cambiamento climatico e last but not least l’indipendenza energetica e l’avvio di una vera politica industriale europea.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è piombata sulla Conferenza, che avrebbe dovuto affrontare “il futuro dell’Europa” e non solo quello dell’Unione europea, così come piombò sulla Convenzione del 2003 l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti dividendo i paesi membri dell’Unione ma l’attacco russo al cuore dell’Europa ha questa volta rafforzato la solidarietà fra i membri dell’Unione all’esterno a sostegno dell’Ucraina e all’interno della stessa Unione.
Non sappiamo oggi come si concluderà il conflitto militare ma appare chiaro che l’organizzazione ibrida dell’Unione europea fra la dimensione confederale del Consiglio europeo e la dimensione comunitaria della Commissione dovrà essere radicalmente cambiata così come la ripartizione delle competenze e il peso del bilancio europeo con nuove e più sostanziali priorità nei settori della difesa, dell’energia e delle infrastrutture europee.
Per quanto riguarda la difesa i passi in avanti annunciati dalla Germania prima ed ora dall’Italia per aumentare le spese nazionali rafforzando “il fianco Est della NATO” non bastano ed anzi rischiano di creare degli ostacoli sul cammino di una difesa comune (ma certamente non unica come la moneta) se non verranno finalizzate ad un reale coordinamento fra i paesi europei creando delle economie di scala, unificando i sistemi informatici e di intelligence, partecipando a progetti comuni che privilegino le industrie militari europee, adottando delle regole unificate per il controllo della vendita di armamenti a paesi terzi, ponendo le basi di efficaci missioni europee di peace enforcement, peace keeping e peace building nel quadro delle Nazioni Unite e dell’OSCE.
Per quanto riguarda la politica estera e della sicurezza, il dibattito europeo si sta illusoriamente concentrando sull’idea di ampliare le aree in cui il Consiglio europeo ed il Consiglio possano decidere a maggioranza qualificata eliminando il diritto di veto o ancor peggio di applicare la cosiddetta “clausola della passerella” che consentirebbe al Consiglio europeo – all’unanimità – di autorizzare il Consiglio a votare a maggioranza.
Così come nella lotta alla pandemia e nella gestione delle risorse finanziarie per far fronte alle sue conseguenze economiche a cominciare dal debito pubblico è stata riconosciuta la responsabilità (di governo) della Commissione europea, la stessa strada deve essere intrapresa per giungere ad un’unica politica estera e della sicurezza esercitata dalla Commissione europea e ad una difesa comune coordinata dalla stessa Commissione all’interno del Comitato politico e della sicurezza e di un comando interforze.
Se la prospettiva che emerge dal “cambiamento della storia” imposto dall’invasione dell’Ucraina è quello di gettare le basi di una “comunità federale” dobbiamo mettere in evidenza che non esistono nel mondo sistemi federali in cui la responsabilità delle relazioni esterne sia attribuita agli Stati federati e che l’idea di un sistema di governo ibrido o di un doppio esecutivo esercitato in parte dalla Commissione europea e in parte dal Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo sarà foriera di inefficacia, di confusione e di permanenti conflitti interistituzionali.
Il primo passo dovrà essere quello di attribuire all’Unione una competenza esclusiva nella cooperazione allo sviluppo e nelle politiche migratorie e di asilo incrementando l’impegno finanziario globale europeo e di unificare le cariche di presidente della Commissione e di presidente del Consiglio europeo.
Per un periodo limitato nel tempo ma con una scadenza vincolante, nel trattato che dovrà andare al di là di Lisbona, si potrà consentire che all’interno del Consiglio europeo uno Stato rivendichi provvisoriamente un suo “interesse vitale” nella definizione delle priorità politiche generali dell’Unione europea aprendo la via ad una integrazione differenziata in un determinato settore così come era stato proposto nel 1984 dal “progetto Spinelli”.
Per quanto riguarda la “resilienza” finanziaria dell’Unione europea, sono necessarie ed urgenti risorse nelle politiche dell’energia, industriale e della difesa insieme al rafforzamento della dimensione sociale sul modello del programma SURE per garantire i beni comuni della prosperità e della sicurezza attraverso vere risorse proprie.
La Conferenza sul futuro dell’Europa si concluderà fra poche settimane non avendo potuto aprire un dibattito sulle conseguenze europee del conflitto in Ucraina e lasciando in sospeso questioni di metodo e di sostanza legate alla democrazia partecipativa sollevate inutilmente nei documenti del 25 febbraio.
Il Gruppo Spinelli al Parlamento europeo ha recentemente aperto uno spiraglio significativo sulla prospettiva “costituente” e questo è coerente con la sua ispirazione originaria rivolta all’iniziativa dell’assemblea durante la prima legislatura che portò il 14 febbraio 1984 all’approvazione del “progetto Spinelli”.
I gruppi politici si stanno orientando verso l’adozione di una risoluzione agli inizi di maggio che chiede la convocazione di assise interparlamentari per rafforzare la democrazia rappresentativa e apra la strada ad alcune modifiche nei trattati nel quadro e nei limiti dell’art. 48 del Trattato sull’Unione europea che richiede una proposta dell’assemblea (e/o della Commissione e/o di uno o più governi), una convenzione interistituzionale, una conferenza intergovernativa e l’unanimità delle ratifiche nazionali che in molti casi richiedono un referendum confermativo o consultivo.
La strada dell’art. 48 è irta di ostacoli ed è fondata sul principio secondo cui i governi sono “i padroni dei trattati” come è stato affermato più volte dal Consiglio europeo e che l’obiettivo dei governi è quello di mantenere sostanzialmente inalterato l’equilibrio (o, per essere precisi, lo squilibrio) fra le istituzioni e fra l’Unione europea e gli Stati membri.
I gruppi politici e il Parlamento europeo dovrebbero aggiungere alla risoluzione sui seguiti della Conferenza sul futuro dell’Europa un appello ai partiti politici europei (a cui il Trattato attribuisce la missione di contribuire “alla formazione della coscienza politica europea) e alle organizzazioni della società civile affinché riconoscano all’assemblea che sarà eletta nel 2024 un ruolo sostanzialmente costituente per andare – dopo quindici anni – al di là del Trattato di Lisbona creando una unità politica in grado di esercitare una influenza determinante sull’organizzazione del continente e sul governo del mondo.