La nomina dei giudici maltesi e il principio di non regressione nella tutela dello Stato di diritto: l’“onda lunga” del caso Repubblika
Nota a Corte di Giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione), sentenza del 20 aprile 2021, Repubblika contro Il-Prim Ministru, causa C-896/19.
di Giulia Battaglia
Sommario: 1. Introduzione. - 2. Il giudizio a quo: l’actio popularis promossa da Repubblika. – 3. La decisione della Corte di Giustizia. – 3.1. La ricevibilità delle questioni. – 3.2. La prima questione: la portata «apparently limitless» dell’art. 19, paragrafo 1, secondo comma TUE. – 3.3. La seconda questione: il principio dell’obbligo di non regressione nella tutela della rule of law. – 3.3.1. La giurisprudenza eurounitaria in tema di modalità di nomina dei giudici. – 3.3.2. La “digressione” argomentativa della Corte nel caso Repubblika. – 4. Alcune osservazioni conclusive. Dubbi e prospettive del caso maltese.
1. Introduzione.
La sentenza in commento[i] si inserisce nel solco di un recente indirizzo giurisprudenziale, sviluppato dalla Corte di Lussemburgo in tema di indipendenza dei giudici. In particolare, a partire dalla pronuncia Associação Sindical dos Juízes Portugueses[ii], i giudici eurounitari hanno valorizzato il principio di tutela giurisdizionale effettiva sancito nell’art. 19, paragrafo 1, secondo comma TUE[iii], estendendone significativamente la sfera di operatività; sia nell’ambito della procedura di infrazione, sia – per ciò che maggiormente rileva in questa sede – nell’ambito del procedimento pregiudiziale. È evidente il tentativo della Corte di fronteggiare la deriva della rule of law nelle cc.dd. “democrazie illiberali”, attraverso il sistema integrato composto da tale giudice e dagli organi giurisdizionali degli Stati nazionali[iv].
Una siffatta elaborazione fa perno su alcuni postulati esplicitati nella decisione poc’anzi rammentata e successivamente ulteriormente sviluppati in alcune note sentenze rese nei confronti dell’ordinamento polacco[v], che conviene di seguito sinteticamente ripercorrere.
In primo luogo, la Corte di Giustizia ha sottolineato che l’articolo 19 TUE «concretizza il valore dello Stato di diritto affermato all’articolo 2 TUE», rendendolo “azionabile”[vi], e «affida l’onere di garantire il controllo giurisdizionale nell’ordinamento giuridico dell’Unione non soltanto alla Corte, ma anche agli organi giurisdizionali nazionali»[vii]. Sulla base di questa premessa si è sostenuto che, sebbene l’organizzazione della giustizia negli Stati membri rientri nella competenza di questi ultimi, nell’esercitare tale attribuzione essi sono comunque tenuti a rispettare gli obblighi derivanti dal diritto eurounitario[viii] e, quindi, ad assicurare che i propri giudici, in quanto parte del sistema di rimedi giurisdizionali nei settori disciplinati da tale diritto, soddisfino i requisiti necessari a garantire un controllo giurisdizionale effettivo. In questo senso, può apparire perfino superfluo sottolineare come nel novero di tali presupposti figuri quello dell’indipendenza, «intrinsecamente connesso al compito di giudicare»[ix], che rappresenta invero uno dei corollari al diritto fondamentale a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47, secondo comma CDFUE.
Nell’evidenziare l’interdipendenza tra quest’ultima disposizione e l’art. 19, primo paragrafo, secondo comma TUE [x], la Corte ha chiarito, nondimeno, che, diversamente dalla norma contenuta nella Carta di Nizza, l’art. 19 «riguarda “i settori disciplinati dal diritto dell’Unione”, indipendentemente dalla situazione in cui gli Stati membri attuano tale diritto, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta»[xi]. Pertanto, come puntualizzato nelle successive pronunce, svincolato dai più severi margini applicativi posti dall’art. 51 della Carta, e nella prospettiva della nuova e significativa connessione con l’art. 2 TUE, l’art. 19 può essere invocato, quale «stand-alone provision»[xii], nei confronti di misure nazionali che incidono negativamente sull’organizzazione della magistratura, a prescindere dall’esistenza di una specifica correlazione tra dette misure e l’attuazione del diritto eurounitario.
È in questo contesto che – come detto – si colloca e deve essere letta la pronuncia dello scorso 20 aprile.
2. Il giudizio a quo: l’actio popularis promossa da Repubblika.
Le questioni pregiudiziali sottoposte all’esame della Corte di Giustizia dalla Prima sezione del Tribunale civile di Malta, in veste di giudice costituzionale (Prim’Awla tal-Qorti Ċivili – Ġurisdizzjoni Kostituzzjonali), sono sorte nell’ambito di una controversia avente ad oggetto la asserita non conformità al diritto eurounitario, per violazione del principio di separazione dei poteri e di indipendenza della magistratura, della procedura di nomina dei giudici maltesi vigente tra il 2016 e il 2020 delineata dagli artt. 96, 96 A e 100 della Costituzione dello Stato; sulla quale, pertanto, occorre brevemente soffermarsi.
Fino alla più recente revisione costituzionale intervenuta nel 2020[xiii], che ha estromesso l’esecutivo dalla procedura in parola, l’art. 96, primo comma Cost. disponeva che i giudici fossero nominati dal Presidente della Repubblica, su parere del Primo Ministro.
Il ruolo del Presidente era, dunque, di tipo «puramente formale»[xiv], risiedendo l’effettivo potere di scelta nelle mani del Primo Ministro, il quale, fino all’introduzione dell’art. 96 A Cost., a seguito della precedente modifica costituzionale del 2016, era vincolato al rispetto dei soli requisiti professionali[xv] fissati dagli artt. 96 e 100 Cost. Con tale novella, infatti, è stato disposto che le candidature delle persone interessate a svolgere la funzione di giudice, sia presso le corti inferiori, sia presso quelle superiori, devono essere ricevute e preliminarmente esaminate dal Comitato per le nomine in magistratura appositamente costituito, che cura il registro delle manifestazioni di interesse da cui il Primo Ministro poteva attingere allorché un posto si fosse reso vacante. Nondimeno, anche all’indomani della modifica testè rammentata, il capo dell’esecutivo aveva conservato un considerevole margine di discrezionalità: egli aveva, infatti, la possibilità di non conformarsi al giudizio espresso dal Comitato, sia pure a condizione di rendere pubbliche le ragioni della decisione esponendole entro cinque giorni dinanzi alla Camera dei Deputati.
Non stupisce, quindi, che nel 2018 la procedura descritta fosse stata oggetto di valutazione, sul versante della grande Europa, da parte della Commissione di Venezia, chiamata a esprimere un parere sull’indipendenza della magistratura maltese e, più in generale, sullo “stato di salute” delle istituzioni della Repubblica, in ragione degli allarmanti segnali di deterioramento della rule of law, venuti alla luce soprattutto a seguito dell’omicidio della giornalista d’inchiesta Daphne Caruana Galizia[xvi]. L’organo consultivo del Consiglio d’Europa aveva concluso che l’introduzione del filtro del Comitato nel 2016, pur rappresentando «a step in the right direction»[xvii], non costituiva ancora una garanzia sufficiente di indipendenza del sistema giudiziario maltese. In particolare, la Commissione aveva sottolineato l’inadeguatezza, per un verso, della composizione del Comitato, posto che la quasi totalità dei membri era di designazione parlamentare[xviii]; per l’altro, del ruolo comunque preponderante del Primo Ministro, lesivo del principio di separazione dei poteri[xix].
È proprio sulla base di tali rilievi che, nel 2019 – un anno prima che il legislatore maltese procedesse nuovamente alla revisione della Costituzione[xx] – l’associazione Repubblika, attiva nella difesa dei valori della giustizia e dello Stato di diritto a Malta, ha promosso, ai sensi dell’art. 116 della Carta fondamentale[xxi], l’azione popolare da cui ha avuto origine la domanda di pronuncia pregiudiziale.
Segnatamente, l’associazione chiedeva al giudice nazionale, in primo luogo, di dichiarare che Malta, in ragione dell’assetto costituzionale vigente relativamente alle modalità di nomina dei giudici, aveva infranto gli obblighi sanciti dall’art. 19, paragrafo 1, secondo comma TUE e dall’art. 47 CDFUE, poiché il potere discrezionale del Primo Ministro sollevava dubbi circa l’indipendenza dei designati. In secondo luogo, e conseguentemente, Repubblika chiedeva che fossero dichiarate nulle le nomine effettuate in base a tale sistema, in particolare, quelle formalizzate il 25 aprile 2019, nonché ogni altra nomina che fosse eventualmente intervenuta nelle more della causa, e di disporre che non ne fossero effettuate ulteriori, se non conformemente alle raccomandazioni contenute nel parere della Commissione di Venezia.
Nell’ambito di tale controversia, quindi, il giudice del rinvio si è rivolto alla Corte di Giustizia interrogandola, anzitutto, in ordine all’applicabilità dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma TUE e dell’articolo 47 della Carta, letti separatamente o in combinato disposto, con riferimento alla validità giuridica degli articoli 96, 96A e 100 della Costituzione di Malta. In caso di risposta affermativa alla prima questione, veniva poi chiesto se il potere del Primo Ministro fosse conforme alle disposizioni eurounitarie poc’anzi evocate, considerandolo, altresì, alla luce dell’articolo 96A della Costituzione entrato in vigore nel 2016 e, infine, quali fossero le ricadute della eventuale rilevata non conformità.
3. La decisione della Corte di Giustizia.
3.1. La ricevibilità.
Rigettata la domanda di procedimento accelerato e applicato, invece, il trattamento prioritario ai sensi dell’art. 53, par. 3 del regolamento di procedura, la Corte di Giustizia affronta in via preliminare il profilo della ricevibilità, replicando alle eccezioni sollevate dal governo polacco. Le censure di quest’ultimo si appuntavano, in particolare, sul sostanziale aggiramento della procedura per infrazione posto che, stante il petitum dell’azione promossa da Repubblika, attraverso la domanda di pronuncia pregiudiziale il giudice nazionale avrebbe sostanzialmente sollecitato la Corte a esprimersi sulla conformità del diritto nazionale al diritto dell’Unione.
Nel respingere tali obiezioni, il Giudice di Lussemburgo, per un verso, ribadisce come nell’ambito della procedura ex art. 267 TFUE, fondata su una netta separazione di funzioni tra i giudici nazionali e la Corte, spetti esclusivamente ai primi valutare tanto la necessità di una pronuncia pregiudiziale, quanto la rilevanza delle questioni da sottoporle alla luce delle peculiarità del giudizio a quo. Per l’altro, la Corte di Giustizia puntualizza, sia pure implicitamente, che l’oggetto dell’actio popularis intrapresa da Repubblika – ovvero, come si è detto, l’accertamento in ordine alla (in)compatibilità di una disciplina nazionale con il diritto eurounitario – non comporta alcuna elusione degli artt. 258 e 259 TFUE: nell’ambito della competenza pregiudiziale, infatti, al Giudice dell’Unione spetta unicamente fornire a quello del rinvio gli elementi interpretativi per risolvere la controversia e non dichiarare esso stesso la conformità o meno del diritto costituzionale maltese al diritto eurounitario.
Del resto, come argomenta in modo più esplicito l’avvocato generale Hogan[xxii], in altre occasioni i giudici eurounitari avevano avuto modo di chiarire che «la circostanza che l’azione esperita nel caso di specie abbia carattere declaratorio non osta a che la Corte statuisca su una questione pregiudiziale se tale azione è consentita dal diritto nazionale e detta questione corrisponde ad un bisogno oggettivo ai fini della soluzione della controversia con cui esso è ritualmente adito»[xxiii]. Tanto più, prosegue Hogan, che nel sistema maltese «le decisioni di nomina non sarebbero considerate […] soggette a controllo giurisdizionale» e che, pertanto, «è attualmente esperibile solo il rimedio dell’actio popularis» per quanto tale strumento «rappresent[i] semplicemente un mezzo per contestare la costituzionalità di una legge e non si tratta di una procedura in cui può essere esaminata la validità di una nomina giudiziaria individuale»[xxiv].
3.2. La prima questione: la portata «apparently limitless» dell’art. 19, paragrafo 1, secondo comma TUE.
Ribaditi, dunque, gli ampi margini della propria competenza pregiudiziale, altrove definita «chiave di volta del sistema giurisdizionale istituito dai Trattati»[xxv], la Corte di Giustizia passa ad esaminare il primo quesito concernente l’applicabilità al caso de quo dell’art. 19, paragrafo 1, secondo comma TUE e dell’art. 47 CDFUE.
A tal fine, la Corte richiama gli approdi ermeneutici poc’anzi rievocati. Secondo l’indirizzo giurisprudenziale inaugurato dalla pronuncia sul trattamento economico dei giudici portoghesi, l’art. 19, paragrafo 1, secondo comma TUE deve essere interpretato nel senso che esso impone a «ogni Stato membro [di] garantire che gli organi che fanno parte […], del suo sistema di rimedi giurisdizionali nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione e che, pertanto, possono trovarsi a dover statuire […] sull’applicazione o sull’interpretazione [di tale] diritto, soddisfino i requisiti di una tutela giurisdizionale effettiva»[xxvi]. In questa prospettiva, per stabilire l’applicabilità dell’art. 19 TUE alla causa de qua, è sufficiente determinare se «l’organo nazionale al centro di [essa]» sia, «fatte salve le verifiche spettanti al giudice del rinvio», «idoneo a pronunciarsi, in qualità di organo giurisdizionale, su questioni riguardanti l’applicazione o l’interpretazione del diritto [eurounitario] e rientranti dunque in settori [da esso] disciplinati»[xxvii].
Così, nel caso di specie, non vi è dubbio che i giudici maltesi, della cui procedura di nomina si discute nel procedimento principale, possano essere chiamati a pronunciarsi su questioni relative all’interpretazione o all’applicazione del diritto dell’Unione e ciò, come evidenziato dall’avvocato generale, «è di per sé […] sufficiente a garantire che [essi], nominati secondo la procedura prevista dalla Costituzione, [debbano] godere di sufficienti gradi di indipendenza giudiziaria per soddisfare i requisiti dell’articolo 19 TUE»[xxviii].
Se, come si è già avuto modo di osservare, l’ambito di applicazione ratione materiae dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma TUE trascende i margini definiti dall’articolo 51, paragrafo 1, CDFUE; l’applicabilità dell’art. 47 CDFUE presuppone, invece, che la persona che lo invoca «si avvalga di diritti o di libertà garantiti dal diritto dell’Unione»[xxix]. Circostanza, quest’ultima, che non sussiste nel caso di Repubblika, la quale ha promosso dinanzi al giudice interno un’actio popularis concernente unicamente la non conformità al diritto dell’Unione della procedura di nomina dei giudici e il conseguente annullamento di quelle effettuate secondo tale protocollo.
Nondimeno, in virtù della stretta correlazione sussistente tra le due norme, già evidenziata nelle precedenti occasioni, la Corte sottolinea come «quest’ultima disposizione [debba] essere debitamente presa in considerazione ai fini dell’interpretazione dell’art. 19, par. 1»[xxx]. Invero, il diritto riconosciuto dall’art. 47 della Carta non può che essere garantito tramite l’imposizione dell’obbligo di cui all’art. 19 TUE, il quale, per contro, è riempito di contenuto dalle enunciazioni del primo, che, nel suo secondo comma, specifica il significato del diritto a un ricorso effettivo, disponendo che «[o]gni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge». In altre parole, tra le due previsioni vi è una “passerella costituzionale”[xxxi], di talché «l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma TUE impone a tutti gli Stati membri di stabilire i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva, segnatamente ai sensi dell’articolo 47 della Carta, nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione»[xxxii].
3.3. La seconda questione: il principio dell’obbligo di non regressione nella tutela della rule of law.
3.3.1. La giurisprudenza eurounitaria in tema di modalità di nomina dei giudici.
Ciò posto, la Corte si concentra sulla seconda questione – il “cuore” del petitum pregiudiziale – prendendo, anche a questo riguardo, le mosse dai propri precedenti in merito alla verifica dell’indipendenza degli organi giurisdizionali, sotto lo specifico profilo delle modalità di nomina.
Nelle pregresse decisioni, la Corte di Giustizia, in assonanza, peraltro, con la giurisprudenza sviluppata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sull’art. 6 della Convenzione[xxxiii], aveva specificato che il fatto che le nomine dei magistrati siano operate dall’esecutivo «non è, di per sé, idone[o] a creare una dipendenza dei designati nei confronti [di quest’ultimo], né a generare dubbi quanto alla loro imparzialità, se, una volta nominati, gli interessati non sono soggetti ad alcuna pressione e non ricevono istruzioni nell’esercizio delle loro funzioni»[xxxiv]. A questo proposito, ad avviso dei giudici eurounitari, occorre infatti verificare, secondo un «contextual approach»[xxxv], se «i requisiti sostanziali e le modalità procedurali che presiedono all’adozione delle decisioni di nomina siano tali da non poter suscitare nei singoli dubbi legittimi in merito all’impermeabilità dei giudici interessati rispetto a elementi esterni e alla loro neutralità rispetto agli interessi contrapposti, una volta avvenuta la nomina degli interessati»[xxxvi].
In questo senso, la Corte di Giustizia aveva ulteriormente puntualizzato che la previsione, nell’ambito della procedura di nomina dei giudici, di un parere (rectius: di una proposta), formulato da parte di un organo asseritamente indipendente – quale, ad esempio, un Consiglio di Giustizia – è certamente idonea a rendere meno arbitrario il potere dell’esecutivo e, dunque, più obiettivo il sistema nel suo complesso; purché, ovviamente, «detto organo sia a sua volta sufficientemente» – ed effettivamente – «indipendente dai poteri legislativo ed esecutivo e dall’autorità alla quale è chiamato a presentare una tale proposta di nomina»[xxxvii].
Anche rispetto a quest’ultimo profilo, non si può fare a meno di evidenziare come il Giudice lussemburghese si astenga dal definire precisi requisiti istituzionali o, quantomeno, delineare degli standard minimi; preferendo, invece, calare gli indicatori “neutri”, di volta in volta enucleati o ripresi dalle precedenti pronunce, nel complessivo contesto ordinamentale di riferimento[xxxviii]. Così, ad esempio, in relazione alla composizione di un siffatto organo, in un caso si è affermato che «la preponderanza dei membri scelti dal potere legislativo» «non può, di per sé sola, indurre a dubitar[ne] dell’indipendenza»[xxxix]; in un altro, che la medesima circostanza, «valutata alla luce dell’insieme [di altri] fattori pertinenti» evidenziati dal giudice del rinvio, «può invece indurre a dubitare dell’indipendenza di un organo chiamato a partecipare al procedimento di nomina di giudici, e ciò quand’anche, considerando detti elementi separatamente, una conclusione del genere non si imponga»[xl].
3.3.2. La “digressione” argomentativa della Corte nel caso Repubblika.
Dopo aver richiamato tali assunti, la sentenza in esame opera una sorta di “biforcazione” argomentativa; offrendo al giudice a quo – e, prima di tutto, a se medesima, pro futuro – una prospettiva ulteriore, forse non del tutto inedita, ma quanto meno enunciata in modo esplicito[xli], per valutare la conformità della misura ordinamentale in questione agli obblighi eurounitari[xlii].
In particolare, la Corte di Giustizia integra il combinato disposto degli artt. 2 e 19 TUE, con l’art. 49 TUE, ricavandone il principio dell’obbligo di non regressione nella tutela dei valori dello Stato di diritto.
A tal fine, la Corte osserva che gli Stati membri, sulla base dell’art. 49 TUE, hanno liberamente e volontariamente aderito ai valori comuni consacrati nell’articolo 2 TUE sui quali si fonda l’Unione e sui quali riposa, inoltre, la fiducia reciproca tra i Paesi dell’Unione. Da ciò consegue che il rispetto da parte di uno Stato membro dei suddetti valori «costituisce una condizione per il godimento di tutti i diritti derivanti dall’applicazione dei trattati a tale Stato membro»[xliii] che, pertanto, non può modificare la propria normativa, in modo da comportare una regressione dello Stato di diritto e, in special modo, della garanzia di indipendenza dei giudici, che ne costituisce uno degli elementi più qualificanti.
Ciò che non può trascurarsi, peraltro, è che nella sentenza si individua altresì chiaramente il “punto di non regressione”, costituito, nel caso di specie, dall’assetto ordinamentale vigente al momento dell’adesione di Malta all’Unione europea nel 2004. Vale a dire, dalle disposizioni costituzionali vigenti dal 1964 al 2016[xliv], a mente delle quali, come si è potuto osservare nel paragrafo 1, il potere di nomina dei giudici del Primo Ministro era limitato dai soli requisiti professionali previsti dagli artt. 96 e 100.
Da questo angolo visuale, la Corte non può far altro che rilevare che l’istituzione del Comitato per le nomine in magistratura ad opera della revisione costituzionale del 2016 sia stata tale da rafforzare l’indipendenza dei giudici potendo, «in linea di principio, contribuire a rendere obiettivo [il processo di nomina], delimitando il margine di manovra di cui dispone il primo ministro»[xlv] e, pertanto, che, diversamente da quanto occorso nella vicenda polacca[xlvi], non vi è stata alcuna regressione.
Solo a questo punto, la Corte riprende l’analisi interrotta al punto 57 e passa sbrigativamente in rassegna, anzitutto, «una serie di regole menzionate dal giudice del rinvio», ritenute «idonee a garantire l’indipendenza del Comitato per le nomine in magistratura nei confronti dei poteri legislativo ed esecutivo»[xlvii]: quali, la «composizione», il «divieto per i politici di parteciparvi, l’obbligo imposto ai membri di agire in piena autonomia e senza essere assoggettati a una direzione o a un controllo di qualsiasi altra persona o autorità», così come «l’obbligo per lo stesso Comitato di pubblicare, con l’accordo del Ministro della giustizia, i criteri su cui basa le proprie valutazioni». Nonché altri indici[xlviii] alla luce dei quali «non risulta», ad avviso della Corte, «che le disposizioni nazionali […] siano, in quanto tali, idonee a suscitare nei singoli dubbi legittimi relativamente all’impermeabilità dei giudici nominati rispetto ad elementi esterni, in particolare, ad influenze dirette o indirette dei poteri legislativo ed esecutivo, e quanto alla loro neutralità rispetto agli interessi contrapposti, né che esse siano quindi atte a condurre ad una mancanza di apparenza di indipendenza o di imparzialità di detti giudici tale da ledere la fiducia che la giustizia deve ispirare ai singoli in una società democratica e in uno Stato di diritto»[xlix].
Sulla base di questi elementi, la Corte di Giustizia conclude che «l’art. 19, paragrafo 1, secondo comma TUE, deve essere interpretato nel senso che non osta a disposizioni nazionali che conferiscono al Primo Ministro dello Stato membro interessato un potere decisivo nel processo di nomina dei giudici, prevedendo al contempo l’intervento, in tale processo, di un organo indipendente incaricato, segnatamente, di valutare i candidati ad un posto di giudice e di fornire un parere al primo ministro».
4. Alcune osservazioni conclusive. Dubbi e prospettive del caso maltese.
L’esito cui è pervenuto il Giudice di Lussemburgo con riguardo al caso maltese non appare del tutto appagante, soprattutto se si considera il diverso tenore dei rilievi formulati dalla Commissione di Venezia sulla riforma del 2016[l], che, peraltro, hanno trovato puntuale riscontro nelle modifiche medio tempore intervenute, cui la sentenza fa appena incidentalmente cenno[li].
La pronuncia, per vero, risulta coerente con il case-law della Corte di Giustizia, per quanto concerne sia la posizione in merito all’origine governativa delle nomine, sia il tema del coinvolgimento di organi asseritamente indipendenti nella procedura di designazione dei giudici. Ciononostante, l’analisi di contesto risulta piuttosto sintetica e non pare inverosimile che la riforma del 2020, pur non avendo inciso sull’oggetto del procedimento dinanzi al giudice del rinvio né sulla domanda di pronuncia pregiudiziale, abbia, di fatto, abbassato la soglia di guardia dei giudici eurounitari rispetto all’assetto dell’ordinamento giudiziario maltese ratione temporis sub iudice. In particolare, preme segnalare come nella motivazione, per un verso, sia stata frettolosamente avallata la natura non necessariamente vincolante del parere rilasciato dal Comitato per le nomine in magistratura. Per l’altro, sia stato schivato un profilo lasciato per c.d. “in sospeso” nelle precedenti sentenze[lii], vale a dire la mancata previsione di uno strumento di controllo giurisdizionale sulle decisioni di nomina dei giudici[liii].
Ulteriori dubbi, poi, sorgono relativamente alla portata del vero novum della decisione, vale a dire l’esplicitazione del principio dell’obbligo di non regressione nella tutela dello Stato di diritto.
Come è stato sottolineato dai primi commentatori[liv], si tratta, all’evidenza, di un surplus motivazionale. Invero, la Corte avrebbe potuto sciogliere il dubbio posto dal giudice del rinvio, semplicemente attingendo alla giurisprudenza pregressa.
Secondo alcuni autori, tale principio potrebbe essere stato introdotto con un intento per c.d. “limitativo”; ovverosia quello di «opporre dei chiari limiti ratione temporis» alla «forza espansiva virtualmente illimitata» dell’art. 19 TUE, che, in tale prospettiva, «arretrerebbe e non sarebbe applicabile dinanzi a norme rimaste inalterate dopo l’adesione dello Stato membro»[lv].
In effetti, la formulazione del divieto di regressione nel caso Repubblika è legata a un presupposto piuttosto chiaro, tale per cui, «in assenza di modifiche che determinino un arretramento nella tutela, la normativa costituzionale vigente in uno Stato membro al momento della sua adesione all’Unione [sarebbe] assistita da una presunzione di conformità ai valori tutelati dall’art. 2 e quindi all’art. 19 TUE»[lvi].
Tuttavia, anche assumendo che la Corte voglia arginare possibili “derive” interpretative dell’art. 19, come sembra suggerirle l’avvocato generale Bobek in un caso di poco successivo[lvii]; appare assai inverosimile che il Giudice dell’Unione intenda perseguire tale scopo attraverso un “appiattimento” della valutazione sulle possibili violazioni dello Stato di diritto, “cristallizzandone” il parametro nell’assetto ordinamentale vigente al momento dell’adesione di ciascuno Stato membro.
Così operando, infatti, la Corte finirebbe per introdurre un criterio non soltanto discriminatorio tra i Paesi dell’Unione[lviii], ma anche fortemente riduttivo di un concetto, per l’appunto quello di Stato di diritto, che non può che giovarsi e assimilare le evoluzioni in senso maggiormente garantista delle istituzioni. Paradossalmente, una riforma che annullasse le modifiche apportate alla Costituzione maltese nel 2020, che hanno rafforzato le garanzie di indipendenza della magistratura rispetto alle regole del 2016, potrebbe, in questo senso, non essere considerata una “regressione” in materia di organizzazione della giustizia.
Occorre, allora, collocare il principio in parola in una cornice più ampia.
La scelta di utilizzare un ragionamento nuovo, fondato sugli artt. 2, 19 e 49 TUE deve, invero, essere letta come una chiara intenzione della Corte di aprirsi, in prospettiva, ulteriori spazi argomentativi per dare il proprio apporto al tentativo di superamento del c.d. “dilemma di Copenaghen”[lix]; ovvero l’incapacità delle istituzioni eurounitarie, soprattutto sul versante politico, di preservare il nucleo della rule of law, una volta che gli Stati abbiano fatto ingresso nell’Unione.
Confermano tale lettura due decisioni immediatamente successive a Repubblika, entrambe rese dalla Grande Sezione.
Il riferimento corre, in primis, alla sentenza pronunciata il 18 maggio[lx] all’esito di un procedimento pregiudiziale avente ad oggetto una serie di modifiche – peggiorative – apportate tra il 2017 e il 2018 dalla Romania alle cc.dd. “leggi sulla giustizia”. In particolare, si tratta di tre leggi che lo Stato aveva approvato nel 2004, con l’obiettivo di migliorare l’indipendenza e l’efficienza della giustizia, divenute oggetto di monitoraggio da parte della Commissione europea in forza del meccanismo di cooperazione e di verifica (MCV) istituito dalla decisione n. 2006/928, entrato in vigore in concomitanza dell’ingresso della Romania nell’Unione europea. In questo caso, il principio di non regressione viene evocato nella parte in cui si stabilisce che tale decisione, e così pure le relazioni redatte dalla Commissione sulla base di essa, costituiscono atti adottati da un’istituzione dell’Unione, suscettibili, quindi, di interpretazione ai sensi dell’articolo 267 TFUE, nonché tuttora vincolanti per la Romania. In altri termini, esso viene correlato alla perdurante vigenza di strumenti introdotti dalle istituzioni eurounitarie allo scopo di monitorare i progressi di un (allora) aspirante e, poi, nuovo, Stato membro, ancora “fragile” sul versante delle garanzie del sistema giudiziario al momento dell’adesione.
Inoltre, la Corte ha applicato il principio nell’ultima vicenda della “saga” polacca. Il 15 luglio, nell’ambito di una procedura per infrazione[lxi], si è statuita la non conformità, rispetto agli articoli 19 TUE e 267 TFUE, di vari profili della riforma che nel 2017 ha pesantemente inciso, tra l’altro, il regime disciplinare della magistratura in Polonia. In questo secondo caso, pronunciandosi sulla mancanza di indipendenza e di imparzialità della Sezione disciplinare della Corte suprema, competente a riesaminare le decisioni emesse nei procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici, la Corte di Giustizia ha concluso che «tale evoluzione [rectius, involuzione] costituisce una riduzione della tutela del valore dello Stato di diritto ai sensi della giurisprudenza della Corte» e che, per tale motivo, «la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi del secondo comma dell’art. 19, paragrafo 1, TUE»[lxii]. In questa evenienza, è appena il caso di notare che il parametro di cui all’art. 49 TUE non viene menzionato: la regressione, dunque, viene “misurata” all’esito di una ricostruzione giurisprudenziale e fattuale ben più complessa e articolata di quella prospettata in Repubblika; se non altro, per la particolare gravità delle infrazioni contestate e poi accertate.
In conclusione, è possibile affermare che il principio enunciato nella sentenza sul caso maltese è destinato a trovare – ed in effetti ha già trovato – ulteriori applicazioni e significativi sviluppi nella giurisprudenza della Corte di Lussemburgo.
Come è stato osservato, per di più, la sua portata potrebbe estendersi ben al di là dell’art. 19 TUE e, attraverso di esso, il Giudice dell’Unione potrebbe aver trovato «a way to build a potential bridge [to the] many values deserving protection – including of course not only the most obvious candidates, such as democracy and fundamental rights, but also all the other aspects of the rule of law beyond the margins of judicial independence»[lxiii].
Dietro l’angolo, non è un caso, si prospettano i ricorsi promossi da Polonia e Ungheria [lxiv] per l’annullamento del regolamento 2020/2092 contenente il c.d. “regime generale di condizionalità per la protezione del bilancio dell’Unione”[lxv], al momento, di fatto, bloccato dal “combinato disposto” dei suddetti ricorsi e dalle criticate conclusioni del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2021[lxvi]; nonché le procedure di infrazione promosse dalla Commissione nei confronti di detti Stati in ragione della violazione dei diritti LGBT.
[i] Corte di Giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione), sentenza del 20 aprile 2021, Repubblika contro Il-Prim Ministru, causa C-896/19.
[ii] Corte di Giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione), sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses contro Tribunal de Contas, causa C-64/16, commentata, ex multis, da M. Krajewski, Associação Sindical dos Juízes Portugueses: The Court of Justice and Athena’s Dilemma, in European Papers, vol. 3, 2018, n. 1, 395; M. Parodi, Il controllo della Corte di giustizia sul rispetto del principio dello Stato di diritto da parte degli Stati membri: alcune riflessioni in margine alla sentenza Associação Sindical dos Juízes Portugueses, in European Papers, vol. 3, 2018, n. 2, 985; N. Lazzerini, Le recenti iniziative delle istituzioni europee nel contesto della crisi dello Stato di diritto in Polonia: prove di potenziamento degli “anticorpi” dei Trattati?, in Osservatorio sulle fonti, 2018, spec. 17 ss.
[iii] A mente del quale «[g]li Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione».
[iv] M. Parodi, Il controllo della Corte di giustizia sul rispetto del principio dello Stato di diritto, cit., la quale osserva, a commento della sentenza Associação Sindical dos Juízes Portugueses, che «la Corte di giustizia coinvolge attivamente i giudici nazionali nella protezione dello Stato di diritto come valore comune tutelato dall’art. 2 TUE. Così facendo, peraltro, […] offre loro, almeno indirettamente, la possibilità di reagire di fronte a eventuali misure nazionali idonee a ledere la funzione giudiziaria di cui sono titolari. Non di meno, il ruolo stesso della Corte di giustizia nel controllo del rispetto dello Stato di diritto da parte degli Stati membri risulta sensibilmente rafforzato atteso che, attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale, essa potrà pronunciarsi sulla compatibilità o meno di misure nazionali con il valore dello Stato di diritto, come declinato all’art. 19 TUE, a prescindere dall’esistenza di altri collegamenti con il diritto dell’UE».
[v] Il riferimento corre alle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione) del 24 giugno 2019, Commissione contro Polonia (Indipendenza della Corte suprema), causa C‑619/18; nonché del 19 novembre 2019, A.K. contro Krajowa Rada Sądownictwa e CP e DO contro Sąd Najwyższy (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema), causa C-585/18 e del 2 marzo 2021, A.B. contro Krajowa Rada Sądownictwa e a. (Nomina dei giudici della Corte suprema), causa C-824/18. A commento di queste pronunce, v., ex multis, N. Lazzerini, Le recenti iniziative delle istituzioni europee nel contesto della crisi dello Stato di diritto in Polonia, cit., passim; E. Ceccherini, L’indipendenza del potere giudiziario come elemento essenziale dello stato di diritto. La Corte di giustizia dell’Unione europea esprime un severo monito alla Polonia, in DPCEonline, n. 3, 2019; A. Angeli, Il principio di indipendenza e imparzialità degli organi del potere giudiziario nelle recenti evoluzioni della giurisprudenza europea e polacca, in federalismi.it, 21 febbraio 2021.
[vi] In questo senso, cfr. A. von Bogdandy, P. Bogdanowicz, I. Canor, G. Rugge, M. Schmidt, M. Taborowski, Un possibile «momento costituzionale» per lo Stato di diritto europeo: i confini invalicabili, in Quaderni costituzionali, 2018, n. 4, 857.
[vii] Associação Sindical dos Juízes Portugueses, cit., punto 32. Sull’impiego dell’art. 2 TUE, A. Angeli, Il principio di indipendenza e imparzialità degli organi del potere giudiziario, cit., 8, evidenzia come la Corte abbia «dunque tradotto una diposizione “programmatica”, l’art. 2 TUE, nella quale si elencano i valori sui quali si fonda l’Unione, in una norma “prescrittiva” e giustiziabile ancorandola all’art. 19 TUE».
[viii] V. sul punto, V. Zagrebelsky, L’Unione Europea e lo Stato di diritto. Fondamento, problemi, crisi, in questa rivista, 28 maggio 2021.
[ix] V., ex multis, A.K., cit., punto 120.
[x] Per cogliere la portata di questo profilo, si noti il diverso tenore delle conclusioni dell’avvocato generale Henrik Saugmandsgaard Øe, in relazione alla causa Associação Sindical dos Juízes Portugueses, secondo il quale «la nozione di “tutela giurisdizionale effettiva” ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE non [può] essere confusa con il “principio dell’indipendenza dei giudici”, il quale è menzionato nella questione pregiudiziale come risultante, asseritamente, da tale disposizione».
[xi] Associação Sindical dos Juízes Portugueses, cit., punto 29.
[xii] M. Coli, The Associação Sindical dos Juízes Portugueses judgment: what role for the Court of Justice in the protection of EU values?, in www.diritticomparati.it, 1° novembre 2018 e, in senso analogo, L. Pech, S. Platon, Rule of Law backsliding in the EU: The Court of Justice to the rescue? Some thoughts on the ECJ ruling in Associação Sindical dos Juízes Portugueses, in EU Law Analysis, 13 marzo 2018.
[xiii] Constitution of Malta (Amendment) Act n. XLIII of 2020, to amend the Constitution of Malta relative to the appointment of judges and magistrates, accessibile tramite il link: https://legislation.mt/eli/act/2020/43/eng/pdf.
[xiv] Commissione di Venezia, opinione n. 940/2018, 17 dicembre 2018, 9.
[xv] Vale a dire, l’esercizio, per un periodo continuativo o per periodi cumulati di almeno dodici anni, della professione di avvocato o la funzione di Maġistrat (giudice delle Corti inferiori), per i giudici delle giurisdizioni superiori (Imħallfin); e l’esercizio, per un periodo continuativo o per periodi cumulati di almeno sette anni, della professione di avvocato per i Maġistrat.
[xvi] La preoccupazione è stata avvertita e manifestata, a livello politico, sia sul versante del Consiglio d’Europa, sia su quello eurounitario. A quest’ultimo riguardo, si ricorda, da ultima, la Risoluzione del Parlamento europeo del 29 aprile 2021 sull’assassinio di Daphne Caruana Galizia e lo Stato di diritto a Malta (2021/2611(RSP).
[xvii] Commissione di Venezia, opinione n. 940/2018, cit., 10.
[xviii] Cfr. ivi, 9-10: «The JAC is composed of the Chief Justice, the Attorney General, the Auditor General, the Ombudsman, and the President of the Chamber of Advocates. The delegation of the Venice Commission was informed about the rationale behind the current composition of the JAC. Two out of five members are chosen and dismissed by a two thirds majority in Parliament (The Ombudsman and the Auditor General), two members can only be dismissed by a two thirds majority in Parliament (the Chief Justice and the Attorney General), and one member is not appointed at all by politicians (the President of the Chamber of Advocates) […] In order to improve the system of judicial appointments, the Venice Commission therefore recommends: […] 2. The JAC should have a composition of at least half of judges elected by their peers from all levels of the judiciary».
[xix]A p. 10 dell’opinione, la Commissione raccomanda che il Comitato «should propose a candidate or candidates directly to the President of Malta for appointment [and] [t]he proposal should be binding on the President».
[xx] Segnatamente, la legge di revisione costituzionale poc’anzi citata ha modificato gli artt. 96, 96 A e 100 Cost., incidendo significativamente sulla procedura di nomina dei giudici, sia delle corti inferiori (Maġistrat), sia delle corti superiori (Imħallfin). Invero, allorché un posto si rende vacante, il Comitato per le nomine in magistratura propone i tre candidati ritenuti più idonei direttamente al Presidente della Repubblica, il quale sceglierà i giudici o i magistrati da tale novero, secondo i criteri di valutazione inseriti nella Costituzione (art. 96 A, comma 6, lett. d). È inoltre opportuno sottolineare che la riforma ha integrato la composizione del Comitato con componenti provenienti ed eletti dalla magistratura e riformato l’art. 85 Cost., rubricato «Esercizio delle funzioni del Presidente», aggiungendo alle ipotesi in cui egli non deve agire in conformità con il parere dell’esecutivo, «l’esercizio del potere conferito dalla presente Costituzione di nominare qualsiasi ufficio previsto dalla presente Costituzione» (art. 85, comma 1, secondo periodo, lettera d Cost.). Sulla bontà della riforma del 2020, si vedano le osservazioni della Commissione di Venezia, opinione n. 993/2020, 8-9 ottobre 2020, spec. 8. Sul fronte dell’Unione europea, cfr., invece, Commissione europea, Capitolo sulla situazione dello Stato di diritto a Malta che accompagna il documento Relazione sullo Stato di diritto 2020. La situazione dello Stato di diritto nell’Unione europea, {COM(2020) 580 final} - {SWD(2020) 300 final} - {SWD(2020) 301 final}, 30.09.2020.
[xxi] Art. 116 Cost. Malta: «A right of action for a declaration that any law is invalid on any grounds other than inconsistency with the provisions of articles 33 to 45 of this Constitution shall appertain to all persons withoutdistinction and a person bringing such an action shall not berequired to show any personal interest in support of his action».
[xxii] Opinione dell’Avvocato generale Hogan, Repubblika, C-896/19, ECLI:EU:2020:1055, 17 dicembre 2020, punto 28 ss.
[xxiii] Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza del 10 dicembre 2018, Whigthman e a. contro Secretary of State for Exiting the European Union, causa C-621/18, punto 31.
[xxiv] Opinione dell’Avvocato generale Hogan, cit. punto 90.
[xxv] A.B. e a., cit., punto 90. In proposito, riflette sulla “flessione” per c.d. costituzionale del rinvio pregiudiziale S. Gianello, Il rinvio pregiudiziale e l’indipendenza dei giudici:alcune riflessioni a margine di due recenti vicende, in Nuovi Autoritarismi e Democrazie: Diritto, Istituzioni, Società, 2021, n. 1.
[xxvi] A.B. e a., cit., punti 111-114 e, prima ancora, A.K., cit., punti 82-84 e Commissione/Polonia (Indipendenza della Corte suprema), cit., punto 51 (corsivi dell’A.).
[xxvii] Particolarmente esaustivo, a questo proposito, risulta essere un passaggio della sentenza A.K., cit., punto 83: «Contrariamente a quanto sostenuto dal procuratore generale a tale riguardo, la circostanza che le misure nazionali di riduzione salariale discusse nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, siano state adottate a causa di esigenze imperative connesse all’eliminazione del disavanzo eccessivo del bilancio dello Stato membro interessato e nel contesto di un programma di assistenza finanziaria dell’Unione a tale Stato membro, come emerge dai punti da 29 a 40 di tale sentenza, non ha giocato alcun ruolo nell’interpretazione che ha portato la Corte a concludere per l’applicabilità dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE alla causa di cui trattasi. Tale conclusione è stata, infatti, fondata sulla circostanza che l’organo nazionale al centro di tale causa, vale a dire il Tribunal de Contas (Corte dei conti, Portogallo), era, fatte salve le verifiche spettanti al giudice del rinvio in detta causa, idoneo a pronunciarsi, in qualità di organo giurisdizionale, su questioni riguardanti l’applicazione o l’interpretazione del diritto dell’Unione e rientranti dunque in settori disciplinati da tale diritto» (corsivi dell’A.).
[xxviii] Opinione dell’Avvocato generale Hogan, Repubblika, cit., punto 41.
[xxix] Repubblika, cit., punto 41.
[xxx] Ivi, punto 45 e, prima ancora, A.B. e a., cit., punto 143.
[xxxi] Opinione dell’Avvocato generale Hogan, cit., punto 46.
[xxxii] Corte di Giusitizia, sentenza del 14 giugno 2017, Online Games e a. contro Landespolizeidirektion Oberösterreich, causa C‑685/15, punto 54.
[xxxiii] V. ex multis, Corte europea dei diritti dell’Uomo, Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, ric. n. 26374/18, 1° dicembre 2020, par. 207: «As pointed out by the Venice Commission and the CCJE (see paragraphs 122 and 126 above), there are a variety of different systems in Europe for the selection and appointment of judges, rather than a single model that would apply to all countries. The Court reiterates in this connection that although the notion of the separation of powers between the political organs of government and the judiciary has assumed growing importance in its case-law, appointment of judges by the executive or the legislature is permissible under the Convention, provided that appointees are free from influence or pressure when carrying out their adjudicatory role».
[xxxiv] Repubblika, cit., punto 56.
[xxxv] Parlano di «contextual approach» M. Leloup, D. Kochenov, A. Dimitrovs, Non-Regression: Opening the Door to Solving the ‘Copenhagen Dilemma’? All the Eyes on Case C-896/19 Repubblika v Il-Prim Ministru, in RECONNECT Working Paper (Leuven), n. 15, 2021, 18 giugno 2021, spec. 13.
[xxxvi] Repubblika, cit., punto 57.
[xxxvii]A.K., cit., punto 137.
[xxxviii] Parlano di «contextual approach» M. Leloup, D. Kochenov, A. Dimitrovs, Non-Regression: Opening the Door to Solving the ‘Copenhagen Dilemma’? All the Eyes on Case C-896/19 Repubblika v Il-Prim Ministru, in RECONNECT Working Paper (Leuven), n. 15, 2021, 18 giugno 2021, spec. 13.
[xxxix] Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza del 9 luglio 2020, Land Hessen, C-272/19, punti 55-58.
[xl] A.K., cit., punti 143-144 e, in senso analogo, A.B e a., punto 131.
[xli] Si veda, in questo senso, il richiamo alle sentenze A.K., cit., e A.B. e a. ., cit., al punto 65.
[xlii] Repubblika, cit., punti 59-66.
[xliii] Ivi, punto 63.
[xliv] Secondo M. E. Bartoloni, Limiti ratione temporis all’applicazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva: riflessioni in margine alla sentenza Repubblika c. Il-Prim Ministru, in Osservatorio europeo, maggio 2021, 11, «la Corte, nel collegare l’art. 19 TUE rispettivamente agli articoli 2 e 49 TUE, sembrerebbe prospettare una automatica presunzione di conformità della Costituzione del 1964 ai requisiti imposti dal principio della tutela giurisdizionale effettiva». In proposito, v., infra, par. 4.
[xlv] Repubbika, cit., punto 66.
[xlvi] Ivi, punti 65 e 66.
[xlvii] Ivi, punto 67.
[xlviii] Ivi, punti 70-71. Il riferimento corre, nello specifico, ad alcuni elementi che la Corte ritiene idonei a delimitare la discrezionalità del Primo ministro: quali, i requisiti professionali dei giudici posti dagli artt. 96 e 100 Cost. e, inoltre, l’obbligo motivazionale previsto nel caso in cui lo stesso avesse deciso di presentare al Presidente un candidato non proposto dal Comitato.
[xlix] Ivi, punto 72.
[l] Si vedano, in proposito, le osservazioni dell’avvocato generale Hogan, cit., secondo il quale «[a]i sensi del diritto dell’Unione», tali relazioni costituiscono sì «un’utile fonte di informazione», ma l’analisi della Commissione di Venezia «anche se è basata su una raffinata analisi giuridica e politica» «ha carattere essenzialmente politico» e il suo parere «mira al raggiungimento di un sistema ideale» (punto 88). In proposito, cfr. altresì M. Leloup, D. Kochenov, A. Dimitrovs, Non-Regression: Opening the Door to Solving the ‘Copenhagen Dilemma’?, cit., spec. 13.
[li] Repubbika, cit., punto 24.
[lii] Su questo aspetto, infatti, l’incedere della Corte di Giustizia si mostra assai incerto. V. A.K., cit., punto 145: «tenuto conto del fatto che, come emerge dagli atti a disposizione della Corte, le decisioni del presidente della Repubblica recanti nomina di giudici al Sąd Najwyższy (Corte suprema) non possono essere oggetto di sindacato giurisdizionale, spetta al giudice del rinvio verificare se il modo in cui è definita, all’articolo 44, paragrafi 1 e 1 bis, della legge sulla KRS, la portata del ricorso esperibile contro una risoluzione della KRS contenente le sue decisioni relative alla presentazione di una proposta di nomina alla posizione di giudice presso tale organo giurisdizionale consenta di assicurare un controllo giurisdizionale effettivo nei confronti di tali risoluzioni, controllo vertente, quantomeno, sulla verifica dell’assenza di eccesso o di sviamento di potere, di errori di diritto o di errori manifesti di valutazione» e, di seguito, A.B. e a., punto 129: «mentre l’eventuale assenza della possibilità di proporre un ricorso giurisdizionale nel contesto di un processo di nomina a posti di giudice di un organo giurisdizionale supremo nazionale può, in taluni casi, non rivelarsi problematica alla luce dei requisiti derivanti dal diritto dell’Unione, in particolare dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, la situazione è diversa in circostanze nelle quali l’insieme degli elementi pertinenti che caratterizzano un siffatto processo in un dato contesto giuridico-fattuale nazionale, e, in particolare, le condizioni in cui improvvisamente interviene la soppressione delle possibilità di ricorso giurisdizionale fino ad allora esistenti, siano tali da suscitare, nei singoli, dubbi di natura sistemica quanto all’indipendenza e all’imparzialità dei giudici nominati al termine di tale processo».
[liii] V. supra, par. 3.1., a proposito delle sia pur brevi considerazioni dell’avvocato generale sul tema.
[liv] M. Leloup, D. Kochenov, A. Dimitrovs, Non-Regression: Opening the Door to Solving the ‘Copenhagen Dilemma’?, cit., passim.
[lv] M. E. Bartoloni, Limiti ratione temporis all’applicazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva, cit., 13.
[lvi] Ibidem.
[lvii] In merito alla lettura estensiva dell’art. 19 TUE, vale la pena quantomeno accennare alle perplessità espresse dall’avvocato generale Bobek nell’opinione resa il 23 settembre 2020, nell’ambito della più recente causa Asociaţia “Forumul Judecătorilor din România” (v. infra, nota lx). Il giurista rileva, infatti, che la portata «apparently limitless» della disposizione «both institutionally (with regard to all courts, or even bodies, which potentially apply EU law), as well as substantively» potrebbe rappresentare, in prospettiva, sia un punto di forza, sia un punto di debolezza: «Will the Court in the future be ready to review whichever issues or elements brought to its attention by its national counterparts, alleging that this or that element of national judicial structure or procedure might pose, certainly in their subjective view, issues in terms of the degree of judicial independence they consider appropriate?» (punto 211).
[lviii] Cfr., in proposito, M. Leloup, D. Kochenov, A. Dimitrovs, Non-Regression: Opening the Door to Solving the ‘Copenhagen Dilemma’?, cit., 18 e N. Canzian, Indipendenza dei giudici e divieto di regressione della tutela nella sentenza Repubblika, in Quaderni costituzionali, 2021, n. 3, spec. 717. Quest’ultimo, in particolare, sottolinea come una «sua applicazione generalizzata potrebbe anche rivelarsi per certi aspetti discriminatoria, perché non è affatto detto che ogni Stato membro sia stato ammesso presentando lo stesso grado di tutela rispetto ai valori comuni [...] Il principio potrebbe così tradursi in una serie di parametri mutevoli da Stato a Stato, rivelandosi meno efficace proprio laddove al momento dell’adesione la garanzia offerta dal diritto nazionale fosse meno intensa di quella di altri Paesi membri».
[lix] Cfr. Parlamento europeo, Discussione plenaria sulla situazione politica in Romania, dichiarazione di Viviane Reding, 12 settembre 2012: «Once this Member State has joined the European Union, we appear not to have any instrument to see whether the rule of law and the independence of the judiciary still command respect». In senso analogo, e, Id., The EU and the Rule of Law: What Next?, discorso tenuto presso il Centre for European Policy Studies, 4 settembre 2013.
[lx] Corte di Giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione), sentenza del 18 maggio 2021, Asociaţia “Forumul Judecătorilor din România”, causa C-83/19.
[lxi] Corte di Giustizia dell’Unione europea (Grande Sezione) del 15 luglio 2021, Commissione europea / Repubblica di Polonia, Causa C-791/19.
[lxii] Ivi, punti 112-113.
[lxiii] M. Leloup, D. Kochenov, A. Dimitrovs, Non-Regression: Opening the Door to Solving the ‘Copenhagen Dilemma’?, cit., 16.
[lxiv] Cause C-156/21, Ungheria c. Parlamento e Consiglio e C-157/21, Polonia c. Parlamento e Consiglio.
[lxv] In argomento, cfr. B. Nascimbene, Il rispetto della rule of law e lo strumento finanziario. La “condizionalità”, in rivista.eurojus.it, 2021, n. 3, 182. È interessante notare, a questo proposito, il considerando n. 12 del regolamento: «L’articolo 19 TUE, che concretizza il valore dello Stato di diritto di cui all’articolo 2 TUE, impone agli Stati membri di prevedere una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione, compresi quelli relativi all’esecuzione del bilancio dell’Unione. L’esistenza stessa di un effettivo controllo giurisdizionale destinato ad assicurare il rispetto del diritto dell’Unione è intrinseca a uno Stato di diritto e presuppone l’esistenza di organi giurisdizionali indipendenti. Preservare l’indipendenza di detti organi è di primaria importanza, come confermato dall’articolo 47, secondo comma, della Carta. Ciò vale segnatamente per il controllo giurisdizionale della regolarità degli atti, dei contratti o di altri strumenti che generano spese o debiti pubblici, in particolare nell’ambito di procedure di appalto pubblico ove è parimenti possibile adire detti organi».
[lxvi] Conclusioni della riunione del Consiglio europeo (10 e 11 dicembre 2020), doc. EUCO 22/20, CO EUR 17-CONCL, 2: «Al fine di garantire che tali principi siano rispettati, la Commissione intende elaborare e adottare linee guida sulle modalità con cui applicherà il regolamento, compresa una metodologia per effettuare la propria valutazione. Tali linee guida saranno elaborate in stretta consultazione con gli Stati membri. Qualora venga introdotto un ricorso di annullamento in relazione al regolamento, le linee guida saranno messe a punto successivamente alla sentenza della Corte di giustizia, in modo da incorporarvi eventuali elementi pertinenti derivanti da detta sentenza. Il presidente della Commissione informerà il Consiglio europeo in modo esaustivo. Fino alla messa a punto di tali linee guida la Commissione non proporrà misure a norma del regolamento».