Sommario: 1. Il caso Italgomme Pneumatici Srl c. Italia: la normativa nazionale su accessi, ispezioni e verifiche alla prova dell’art. 8 CEDU in materia di diritti fondamentali di libertà - 2. La posizione della Corte di Cassazione con riguardo ad accessi, ispezioni e verifiche - 3. L’esigenza di limitare la discrezionalità dei verificatori fiscali nella giurisprudenza della Corte EDU - 4. Gli insufficienti rimedi processuali a disposizione del contribuente destinatario di accessi e ispezioni illegittimi - 5. Gli obblighi conformativi per lo Stato italiano derivanti dalla sentenza - 6. L’inadeguata iniziativa parlamentare in itinere.
1. Il caso Italgomme Pneumatici Srl c. Italia: la normativa interna su accessi, ispezioni e verifiche alla prova dell’art. 8 CEDU in materia di diritti fondamentali di libertà
Nel recente caso Italgomme Pneumatici Srl v. Italia, del 6 febbraio 2025, n. 36617/18 ([1]), la Corte EDU ha avuto modo di occuparsi del quadro giuridico nazionale italiano in materia accessi, ispezioni e verifiche presso la sede del contribuente, onde stabilire se lo stesso sia o meno compatibile con le tutele previste dall’art. 8 della CEDU quando viene in gioco il rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza.
La Corte di Strasburgo era stata adita per una asserita violazione dell’art. 8 CEDU, in quanto le disposizioni interne sugli accessi, ispezioni e verifiche nei locali a destinazione commerciale e professionale non sarebbero in grado, anche alla luce dell’interpretazione che ne fornisce la giurisprudenza nazionale, di delimitare sufficientemente il potere discrezionale dell’autorità fiscale.
Si osservi che secondo i giudici di Strasburgo e sulla scia di una costante giurisprudenza, nel valutare la “conformità alla legge” dei poteri di indagine fiscale attribuiti all’Amministrazione finanziaria per accedere nei locali adibiti ad attività commerciali o professionali del contribuente, occorre tener conto di come la legge medesima viene applicata e interpretata dalle autorità nazionali, e in particolare dai giudici nazionali. Ciò al fine di evitare che i poteri istruttori attribuiti all’autorità fiscale, indispensabili per stabilire la veridicità delle dichiarazioni presentate dai contribuenti, assumano una estensione illimitata: è dunque necessario, affinché risulti rispettato il diritto del privato, sancito dall’art. 8 CEDU, di non subire indebite ingerenze, che la “discrezionalità” concessa agli organi di controllo non sia a sua volta illimitata.
La Corte, chiamata a esaminare il regime delle autorizzazioni necessarie per accedere in locali adibiti ad attività commerciali e professionali, ha accertato una violazione di carattere sistemico, condannando l’Italia al risarcimento del danno patito dai ricorrenti. Di tale situazione, come subito vedremo, sono responsabili non solo la normativa nazionale e la prassi dell’Amministrazione finanziaria, ma altresì gli indirizzi della giurisprudenza nazionale.
2. La posizione della Corte di Cassazione con riguardo ad accessi, ispezioni e verifiche
Per giustificare una tale affermazione si può ad esempio ricordare la posizione assunta con riguardo all’autorizzazione amministrativa all’accesso richiesta dall’art. 52 del D.p.r. n. 633 del 1972, che per la Cassazione rappresenta un “mero adempimento procedimentale, per l’opportunità che la perquisizione trovi l’avallo di autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata”, definendola anche “un semplice nulla-osta da parte di un organo superiore” ([2]).
Inoltre, nonostante il fatto che il citato art. 52 prescriva che l’autorizzazione indichi lo “scopo” dell’accesso e che l’art. 12, comma 2, L. n. 212 del 2000, preveda che il contribuente venga subito informato delle ragioni che hanno giustificato la verifica e dell’oggetto che la riguarda, i giudici di legittimità ritengono che i motivi dell’autorizzazione non abbiano il fine di circoscrivere l’ambito delle prove da raccogliere, giacché i verificatori potrebbero acquisire anche elementi idonei a dimostrare altre violazioni, ad esempio relative ad annualità diverse da quelle per cui l’autorizzazione è stata rilasciata ([3]).
È evidente che, in questo modo, la motivazione dell’autorizzazione all’accesso si trasforma in una questione di mero stile, non suscettibile di circoscrivere in concreto i poteri dell’autorità fiscale procedente né di consentire al privato di conoscere preventivamente l’ambito su cui si svolgerà la verifica. Certo, potrebbe sembrare eccessivo precludere l’acquisizione di prove dell’evasione solo perché estranee all’ambito per cui è stata concessa l’autorizzazione, ma una soluzione più equilibrata potrebbe essere quella di imporre ai verificatori di richiedere, qualora nel corso dell’ispezione emergano indizi di violazioni relative a circostanze estranee all’ordine di servizio, un’ulteriore apposita autorizzazione.
In base alla lettura della Corte di Cassazione, invece, la posizione del contribuente non rileverebbe in alcun modo, nonostante la necessità che l’accesso risponda ad effettive esigenze di indagine sul luogo sia non solo presidio di efficienza amministrativa ma anche funzionale a garantire al contribuente il diritto di subire la minor compressione possibile delle sue sfere di libertà, compatibilmente con le legittime esigenze dell’indagine fiscale ([4]).
La giurisprudenza di legittimità si è fin qui dimostrata poco sensibile con riguardo alle sfere di libertà del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, svalutando quelle disposizioni legislative che limitano i poteri di indagine dell’autorità fiscale ([5]). La Corte di Cassazione sembra in effetti attribuire all’interesse erariale una posizione sovraordinata, forse ritenendo che il fine del contrasto all’evasione giustifichi ogni mezzo di indagine, e che il rischio di un uso sproporzionato ed eccessivo dei poteri istruttori non rappresenti un reale problema di cui farsi carico.
Nel solco evidenziato, e con riguardo agli accessi operati dalla Guardia di finanza, la Cassazione ritiene così che l’autorizzazione amministrativa del comandante di zona non sia nemmeno necessaria, e ciò sulla base di un’interpretazione strettamente testuale dell’art. 35 L. n. 4 del 1929 ([6]). Il citato art. 35 deve tuttavia essere integrato con quanto prevede la legislazione successiva, non solo per quanto riguarda la necessaria autorizzazione del superiore gerarchico ma anche in relazione alle modalità di esecuzione dell’accesso. In effetti, se l’art. 35 stabilisce che gli agenti della Guardia di finanza sono autorizzati ad accedere “in qualsiasi momento” nei locali adibiti ad attività commerciali, l’art. 12 comma 1 dello Statuto prescrive invece che gli accessi e le ispezioni siano svolti durante l’orario ordinario di esercizio delle attività. Appare del resto poco ragionevole ritenere che il potere di accesso, ispezione e verifica venga regolato diversamente a seconda che a eseguirlo siano gli impiegati dell’amministrazione civile o i militari della Guardia di finanza. La legge attribuisce alla Guardia di finanza i poteri e le facoltà previsti agli artt. 51 e 52 del D.p.r. n. 633 del 1972 ([7]), ma non certo poteri più penetranti di quelli attribuiti agli Uffici finanziari.
3. L’esigenza di limitare la discrezionalità dei verificatori fiscali nella giurisprudenza della Corte EDU
Orbene, la Corte EDU ha emesso il proprio giudizio proprio tenendo conto degli arresti della giurisprudenza nazionale: secondo la Corte, infatti, le linee guida emanate dall’Amministrazione finanziaria italiana, in cui si prescrive che i contribuenti da assoggettare a controllo vengano selezionati sulla base di analisi del rischio ([8]), non garantiscono a sufficienza dall’eventualità che gli agenti fiscali esercitino un potere discrezionale illimitato dietro all’apparente rispetto dei criteri-guida; soprattutto, “alla luce della giurisprudenza della Corte di Cassazione, il rispetto di tali criteri non è una condizione per la legittimità dell’autorizzazione di tali misure, in quanto non è richiesta alcuna motivazione. Ne consegue che le disposizioni nazionali pertinenti non imponevano alle autorità di giustificare l’esercizio dei loro poteri e consentivano quindi loro di esercitare un potere discrezionale illimitato” (§. 113).
A ciò si può aggiungere che la motivazione che solitamente si rinviene nelle autorizzazioni amministrative all’accesso presso la sede dell’impresa o del professionista raramente consente al destinatario di comprendere le ragioni per cui è stata ritenuta necessaria un’indagine on-site e non invece l’esercizio di poteri istruttori “a tavolino”: la motivazione, spesso, consente al più di conoscere il motivo per cui il destinatario della verifica è stato selezionato per un controllo, ma non perché si è deciso di attivare proprio il potere di accesso e non altri mezzi istruttori meno invasivi (come invece prescrive l’art. 12 comma 1 dello Statuto, richiamando l’esigenza che l’accesso risponda ad effettive esigenze di indagine sul luogo).
L’autorizzazione, poi, nel delimitare l’oggetto del controllo dovrebbe circoscrivere la tipologia di documenti ed elementi probatori acquisibili. Si tratta naturalmente di un’indicazione di larga massima, non potendosi pretendere che l’Ufficio abbia piena contezza di quanto troverà nei locali del contribuente; tuttavia, il materiale da acquisire dev’essere pertinente all’oggetto della verifica e astrattamente coerente con le ragioni per cui è stata concessa l’autorizzazione. Il problema si pone in particolare nei casi di verifica generale, laddove, con riferimento alle annualità coperte dall'autorizzazione, i verificatori – in base all’art. 52, comma 4, D.p.r. n. 633 del 1972 - non incontrano limiti quanto alla documentazione suscettibile di ispezione.
La Corte EDU ha perciò ritenuto che il quadro giuridico nazionale sia tale da consentire accessi dal carattere meramente “esplorativo”, in contrasto con l’esigenza di delimitare la discrezionalità attribuita agli agenti dell’Amministrazione finanziaria. Secondo la Corte, infatti, “alle autorità nazionali non è stato chiesto di indicare ciò che si aspettavano di trovare in relazione agli anni oggetto dell’audit, né vi è stata alcuna indicazione che l’accesso indiscriminato dovesse essere evitato. Inoltre… non era prevista la possibilità di rimuovere o dichiarare altrimenti inammissibili i documenti e gli elementi non connessi all’oggetto delle misure impugnate… In tale contesto, la Corte non è convinta che il quadro giuridico interno abbia fornito garanzie adeguate ed efficaci contro l’Autorità fiscale e la Guardia di Finanza che esercitano un potere discrezionale illimitato, in quanto in relazione all’accesso e alle ispezioni, il loro potere di valutare l’adeguatezza, il numero, la durata e la portata di tali operazioni e delle informazioni richieste ai contribuenti e poi copiate e sequestrate non era regolamentato. In tale contesto, la Corte ritiene che le condizioni previste dalla legge appaiano troppo permissive per delimitare in modo sufficiente un siffatto potere discrezionale” (§§. 119, 120) ([9]).
4. Gli insufficienti rimedi processuali a disposizione del contribuente destinatario di accessi e ispezioni illegittimi
La Corte si è poi soffermata sulla questione dei rimedi processuali atti a proteggere i contribuenti italiani dal rischio di abusi o verifiche fiscali arbitrarie, rilevando anche sotto tale profilo un deficit nella normativa italiana. È noto infatti che non sussiste, nell’ambito della giurisdizione tributaria, una tutela immediata nei confronti degli atti istruttori illegittimi. Questi possono essere contestati soltanto unitamente all’eventuale avviso di accertamento, onde ottenerne l’annullamento laddove esso si fondi esclusivamente su prove raccolte illegittimamente e perciò inutilizzabili. Secondo la Corte EDU, tuttavia, questo non costituisce una garanzia sufficiente, sia perché la tutela viene a dipendere dall’effettiva emissione di un avviso di accertamento basato proprio sulle prove raccolte in modo illegittimo, sia perché - alla luce della giurisprudenza interna – l’autorizzazione ad accedere in locali ad uso commerciale non condiziona la legittimità dell’accesso né circoscrive l’ambito degli elementi di prova acquisibili. Inoltre, rileva sempre la Corte, atteso che un avviso di accertamento potrebbe essere emesso dopo alcuni anni dalla presentazione della dichiarazione, il rimedio giurisdizionale non potrebbe essere considerato sufficientemente tempestivo.
Si può a ciò aggiungere che la possibilità di ottenere un annullamento dell’avviso di accertamento per l’inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite non sarebbe comunque idonea a tutelare i diritti, sottesi dall’art. 8 CEDU, di inviolabilità del domicilio e della corrispondenza rispetto al rischio di indebite ingerenze dell’autorità pubblica. L’annullamento dell’avviso di accertamento opera, infatti, sul piano delle tutele “patrimoniali”, ma non è in grado di porre rimedio ai pregiudizi prodotti da un accesso indiscriminato e da un’ispezione condotta dall’autorità fiscale con modalità altamente discrezionali ([10]).
Quanto alla possibilità di ricorrere al giudice civile per far cessare gli effetti pregiudizievoli di un’ispezione illegittima, è noto che questa, secondo le Sezioni unite della Cassazione ([11]), risulta percorribile soltanto laddove l’istruttoria non sia sfociata in un avviso di accertamento, oppure quando esso non sia stato impugnato davanti al giudice tributario. Si tratta dunque di un rimedio giurisdizionale soltanto eventuale, dall’incerta accessibilità. La Corte EDU ha inoltre rilevato la dubbia efficacia di tale rimedio, atteso che gli unici esempi giurisprudenziali disponibili riguardano ipotesi di autorizzazioni del pubblico ministero ad accedere in residenze private e non in locali ad uso commerciale, e che non si vede come i giudici civili potrebbero esercitare un controllo significativo sul contenuto dell’autorizzazione prodromica agli accessi, ispezioni e verifiche in locali ad uso commerciale o professionale.
Ne deriva che, secondo la Corte EDU, il contesto giuridico interno è tale da conferire all’autorità fiscale italiana un “margine di discrezionalità illimitato” nell’esecuzione di accessi ed ispezioni nei confronti di imprese, società e professionisti, senza al contempo fornire garanzie giurisdizionali sufficienti, con conseguente violazione dell’art. 8 della CEDU (§. 139).
5. Gli obblighi conformativi per lo Stato italiano derivanti dalla sentenza
Nel caso Italgomme Pneumatici Srl c. Italia la Corte ha applicato l’art. 46 CEDU, in base al quale gli Stati contraenti sono tenuti a rispettare le sentenze definitive che li riguardano.
Nello specifico, la Corte ha ritenuto che le carenze rinvenute nella normativa italiana siano tali da originare ulteriori ricorsi giustificati, e che la violazione dell’art. 8 abbia carattere sistemico, dipendendo dalla conformazione del diritto interno e dall’interpretazione fornita dai giudici nazionali. Su tali premesse, i giudici di Strasburgo ritengono che lo Stato italiano debba adottare le misure generali idonee ad allineare la sua legislazione e prassi alle conclusioni della Corte, e in particolare attuare i principi generali delineati nello Statuto del contribuente (artt. 12 e 13) mediante norme specifiche, sottolineando altresì che la giurisprudenza nazionale dovrebbe a sua volta allinearsi a tali principi e a quelli stabiliti dalla Corte.
In particolare, secondo i giudici di Strasburgo il quadro giuridico interno, se necessario mediante pertinenti indicazioni di prassi amministrativa, “dovrebbe indicare chiaramente le circostanze e le condizioni in cui le autorità nazionali sono autorizzate ad accedere ai locali e a effettuare verifiche in loco e controlli fiscali sui locali commerciali e sui locali adibiti ad attività professionali”. Esso dovrebbe altresì “imporre alle autorità nazionali l’obbligo di fornire una motivazione e di giustificare di conseguenza la misura in questione alla luce di tali criteri”. Inoltre, “dovrebbero essere stabilite garanzie per evitare l’accesso indiscriminato o almeno la conservazione e l’uso di documenti e oggetti non connessi con l’obiettivo della misura in questione…”. Infine, il contribuente, “al più tardi al momento dell’avvio della verifica, deve avere il diritto di essere informato dei motivi che giustificano la verifica e della sua portata, del suo diritto di essere assistito da un professionista e delle conseguenze del rifiuto di autorizzare la verifica” (§. 148).
Ora, sotto alcuni degli aspetti evidenziati l’ordinamento tributario italiano sembra già allineato alle indicazioni della Corte. L’accesso nei locali del contribuente deve avvenire sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo (art. 12 comma 1 dello Statuto), che devono risultare dall’autorizzazione del capo dell’ufficio, la quale deve indicare lo scopo dell'accesso (art. 52 comma 1 D.p.r. n. 633 del 1972). Anche il diritto del contribuente di essere informato dei motivi che giustificano la verifica e della sua portata, di essere assistito da un professionista e delle conseguenze del rifiuto di autorizzare la verifica, è già sancito dall’art. 12 comma 2 dello Statuto.
Si potrebbe invece forse riaffermare meglio, se non a livello normativo quantomeno in istruzioni di prassi amministrativa, l’obbligo di motivare l’autorizzazione e così giustificare l’accesso, superando la consuetudine di motivare con riferimento alle ragioni per cui quel certo contribuente è stato selezionato per il controllo, più che a quelle che hanno indotto l’autorità fiscale ad effettuare una indagine on-site anziché adottare altri mezzi istruttori meno invasivi ([12]). Inoltre, andrebbe chiarita meglio – magari in sede di prassi amministrativa - la necessità che vi sia corrispondenza tra l’ambito e lo scopo delle ispezioni autorizzate e i documenti reperiti e utilizzabili, fatto salvo, come rileva la stessa Corte, il potere delle autorità di avviare procedimenti amministrativi separati laddove emergano nel corso dell'ispezione elementi tali da giustificare l’allargamento dell’indagine ad altri oggetti.
Del resto, la recente introduzione del principio di proporzionalità nel procedimento tributario (art. 10-ter della L. n. 212 del 2000), secondo cui occorre bilanciare la protezione dell’interesse erariale alla percezione del tributo con la tutela dei diritti fondamentali del contribuente, con la conseguenza che l’azione amministrativa deve essere necessaria per l’attuazione del tributo, non eccedente rispetto ai fini perseguiti e non limitare i diritti dei contribuenti oltre quanto strettamente necessario al raggiungimento del proprio obiettivo, può essere letta come ulteriore conferma dell’esigenza di motivare l’autorizzazione all’accesso, da cui dovrà risultare la necessità dell’accesso medesimo e la sua congruità rispetto agli scopi della particolare indagine fiscale.
L’altra questione sollevata dalla Corte EDU attiene al deficit di tutela giurisdizionale, atteso che nel processo tributario non possono trovare ingresso le questioni di legittimità concernenti gli atti dell’istruttoria, se non al termine della stessa, e subordinatamente all’emissione di un avviso di accertamento. Anche in quel caso, peraltro, la c.d. “tutela differita” involge soltanto il profilo patrimoniale della vicenda, attraverso l’inutilizzabilità delle prove raccolte con modalità illegittime, ma non è in grado di far cessare o inibire l’indagine dell’autorità fiscale, che a quel punto si è ovviamente già conclusa da tempo. D’altro canto, come già ricordato, la tutela davanti al giudice ordinario incontra dei limiti significativi giacché, secondo la Cassazione la possibilità di contestare l’atto istruttorio viziato davanti al giudice civile sussiste soltanto se l’indagine si concluda senza l’emissione di un atto impositivo, oppure qualora lo stesso non venga impugnato davanti al giudice tributario, o ancora se l’atto impositivo prescinda dall’atto istruttorio che si assume come viziato.
A tal riguardo la Corte EDU, rilevato che il quadro giuridico interno dovrebbe prevedere un controllo giurisdizionale effettivo di un atto di indagine contestato, e in particolare un controllo del rispetto, da parte delle autorità nazionali, dei criteri e delle limitazioni riguardanti le condizioni che giustificano tale atto e la sua portata, ha ritenuto che, preso atto delle diverse restrizioni alla competenza dei giudici tributari e civili, “l’esistenza e la disponibilità di tali mezzi di ricorso non debbano essere subordinate al fatto che una misura abbia portato all’emissione di un avviso di accertamento né dovrebbero essere disponibili solo una volta concluso il procedimento di accertamento. Se un contribuente ritiene che le persone che effettuano un controllo non agiscano in conformità con la legge… dovrebbe essere disponibile una qualche forma di riesame intermedio e vincolante semplificato prima che il controllo sia completato” (§. 149) ([13]).
6. L’inadeguata iniziativa parlamentare in itinere
Nel tentativo di accogliere le indicazioni contenute nella sentenza Italgomme Pneumatici Srl, è stato presentato al Senato, in data 11 febbraio 2025, il disegno di legge n. 1376, col dichiarato obiettivo di rafforzare la tutela del domicilio e del diritto di difesa del contribuente sottoposto ad accessi, ispezioni e verifiche.
Orbene, si legge nella relazione di accompagnamento al citato disegno di legge che con esso si propone di introdurre “1) una supervisione indipendente e giudiziaria che permetta ex ante di avere una tempestiva protezione contro possibili ingerenze arbitrarie attraverso un effettivo controllo preliminare di legittimità o che consenta una limitazione delle discrezionalità delle autorità fiscali nell’effettuare le perquisizioni per ragioni di indagine fiscale; 2) uno specifico obbligo motivazionale in ordine ai requisiti per legittimare l’intervento lesivo del domicilio latamente inteso del contribuente, in modo da consentire un’adeguata identificazione delle condizioni in cui le autorità fiscali possono incidere sul diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza; 3) un sistema di controllo giudiziario ex post per il contribuente, che costituisca una tutela diretta dei suoi diritti al rispetto del domicilio e del diritto di difesa in ordine alla legittimità e fondatezza della misura nonché ai requisiti di necessarietà e connessa proporzionalità allo scopo perseguito di cui all’articolo 8, paragrafo 2, della Convenzione”.
Le singole disposizioni contenute nel d.d.l., tuttavia, oltre a risultare disarmoniche rispetto a quanto si legge nella relazione accompagnatoria, non sembrano sufficienti ad adeguare il quadro giuridico interno alle prescrizioni della Corte EDU.
Si prevede infatti, attraverso una integrazione dell’art. 52 del D.p.r. n. 633 del 1972, un rafforzamento dell’obbligo di motivazione dell’autorizzazione che il procuratore della Repubblica deve rilasciare per il caso di accessi presso locali adibiti, in via esclusiva o promiscua, ad abitazione, nonché per effettuare perquisizioni personali o aprire coattivamente pieghi sigillati, borse, casseforti e così via. Tale autorizzazione dovrà infatti essere “motivata in ragione delle risultanze acquisite allo stato della verifica tributaria condotta dagli Uffici dell’imposta sul valore aggiunto”.
Ora, non è chiaro che cosa gli incisi da inserire nei diversi commi dell’art. 52 aggiungano rispetto al fatto che, anche a legislazione vigente, la motivazione dell’autorizzazione del procuratore della Repubblica non può, in linea di massima, che avvenire in ragione delle risultanze acquisite allo stato della verifica condotta dagli Uffici finanziari.
Ma soprattutto, va osservato che le modifiche normative che si vorrebbero adottare riguardano soltanto gli accessi presso il domicilio (o luoghi a esso assimilabili) inteso in senso stretto, e non invece quelli nel “domicilio latamente inteso del contribuente” (come si esprime la relazione accompagnatoria), lasciando così scoperte proprio le ipotesi di accesso in locali adibiti ad uso commerciale o professionale, cioè le fattispecie oggetto del caso Italgomme Pneumatici Srl. La Corte di Strasburgo estende infatti le tutele previste dall’art. 8 CEDU ai locali utilizzati per attività commerciali e professionali.
La stessa critica può essere rivolta alla proposta, contenuta nel citato d.d.l., di introdurre nel D.p.r. n. 633 del 1972 un nuovo art. 52-bis rubricato “Tutela giurisdizionale in materia di accessi domiciliari e acquisizioni documentali”, secondo cui “Il contribuente nei cui confronti sia stato eseguito, ai sensi dell’articolo 52, commi dal primo al terzo del presente decreto, un accesso presso locali adibiti in tutto o in parte ad abitazione ovvero che sia stato sottoposto, durante l’accesso, a perquisizioni personali o all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili o alla richiesta di esame di documenti o di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale, entro venti giorni dall’esecuzione delle suddette attività, può proporre, con istanza motivata, al presidente della Corte di giustizia tributaria di secondo grado competente per territorio in ragione della circoscrizione in cui ha sede l’Ufficio dell’ente impositore procedente, richiesta di annullamento dell’autorizzazione rilasciata dall’autorità giudiziaria competente e conseguente dichiarazione di inutilizzabilità delle risposte rese dal contribuente medesimo nonché della documentazione, delle scritture e dei libri o registri acquisiti in copia o sequestrati”.
L’inibitoria giurisdizionale che si immagina di introdurre risulta, anzitutto, indeterminata nei suoi presupposti, non essendovi indicazioni in ordine ai requisiti che devono sussistere per poter sollecitare l’annullamento dell’autorizzazione rilasciata dal procuratore della Repubblica onde accedere nell’abitazione del contribuente od ottenere l’apertura coattiva di borse, pieghi sigillati, casseforti e simili. Ci si potrebbe dunque chiedere se il presupposto fondante l’istanza di annullamento sia la totale mancanza della motivazione dell’autorizzazione, oppure la presenza di una motivazione insufficiente, contraddittoria, di mero stile, o avulsa dalle risultanze acquisite allo stato della verifica tributaria, o ancora se si possa sindacare il merito delle ragioni indicate nell’autorizzazione e contestare il fatto che quelli dedotti nell’autorizzazione non rappresentano “gravi indizi di violazioni” (per il caso di accesso in locali adibiti solo ad abitazione). Inoltre, la nuova disposizione – che sarebbe forse meglio collocare nel decreto sul processo tributario - potrebbe risultare insufficiente nel soddisfare gli elevati standards richiesti dalla Corte EDU ([14]).
Ma quel che davvero risulta incomprensibile è che la proposta normativa di cui si è detto si limita ad intervenire, come osservato, sulla disciplina degli accessi presso locali adibiti, in via esclusiva o promiscua, ad abitazione, lasciando invece privi di tutela i contribuenti titolari di locali ad uso commerciale o professionale presso cui siano state eseguite indagini on-site, cioè – paradossalmente - proprio le situazioni in relazione alle quali la Corte EDU ha sollecitato l’intervento dello Stato italiano.
[1] Per un primo commento alla sentenza cfr. A. Marcheselli, La Corte EDU e il diritto “canzonatorio” dei diritti fondamentali: le garanzie durante gli accessi e il diritto al silenzio, in Il Fisco, 2025, pp. 743 ss.; D. Stevanato, Accessi, ispezioni e verifiche violano i diritti di libertà secondo la Corte EDU, in Corr. trib., 2025, pp. 417 ss.
[2] Cass., sez. un., 21 novembre 2002, n. 16424; Cass., 18 dicembre 2014, n. 26829; Cass., 6 novembre 2019, n. 28563.
[3] Cfr. Cass., 7 agosto 2009, n. 18155; Cass., 2 marzo 1999, n. 1728.
[4] Il punto è stato evidenziato da tempo dalla dottrina: vedi in proposito R. Schiavolin, Poteri istruttori dell’amministrazione finanziaria, in Dig. disc. priv., Sez. comm., Vol. XI, pp. 205-206; A. Viotto, I poteri di indagine dell’amministrazione finanziaria nel quadro dei diritti inviolabili di libertà sanciti dalla Costituzione, Milano, 2002, p. 275.
[5] A titolo di esempio si veda Cass., n. 26829 del 2014, cit., secondo cui “in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso. E neppure la nullità di tali atti potrebbe ricavarsi dalla ‘ratio’ delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell'Amministrazione”.
[6] Cfr. Cass., 28 giugno 2019, n. 17526; Cass., 8 luglio 2009, n. 16017; Cass., 22 gennaio 2013, n. 16661.
[7] Si vedano gli artt. 63, comma 1, del D.p.r n. 633 del 1972, e 33, comma 3, del D.p.r. n. 600 del 1973, nonché l’art. 2, comma 4, del D.Lgs. n. 68 del 2001, secondo cui i militari del Corpo, nell’espletamento dei compiti di polizia tributaria, si avvalgono delle facoltà e dei poteri previsti dagli articoli 32 e 33 del D.p.r. n. 600 del 1973 e dagli articoli 51 e 52 del D.p.r. n. 633 del 1972.
[8] Si veda ad esempio la Circolare 7 maggio 2021, n. 4/E.
[9] In termini analoghi si veda il caso Funke v. France, 25 febbraio 1993, n. 10828/84, §. 57.
[10] Sul tema, da ultimo, D. Stevanato, Le violazioni istruttorie tra interesse erariale e tutela dei diritti “non patrimoniali” dei contribuenti, in Corr. trib., 2025, pp. 99 ss.
[11] Cfr. Cass., sez. un., n. 11082 del 7 maggio 2010 e n. 8587 del 2 maggio 2016.
[12] Adeguando così la motivazione dell’autorizzazione segnalato dalla dottrina: cfr., tra gli altri, A. Viotto, Il “diritto al rispetto della vita privata e familiare” nell’ambito delle indagini tributarie, nel quadro della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Riv. trim. dir. trib., 2019, p. 182, secondo cui “l’atto autorizzativo dovrebbe esporre le ragioni che inducono a ritenere che l’attività istruttoria non possa essere efficacemente realizzata senza l’effettuazione dell’accesso, ovverosia che l’utilizzo dei poteri di indagine ‘a tavolino’ non consentirebbe di ottenere lo stesso risultato, in termini di acquisizione di elementi probatori, rispetto all’accesso”.
[13] L’esigenza di un rimedio giurisdizionale certo, praticabile ed effettivo, da attivare tempestivamente, è stata affermata dalla Corte EDU anche in precedenti occasioni, ad es. nel caso Société Canal Plus et Autres c. France, 21 dicembre 2010, n. 29408/08, §. 40.
[14] Si può qui ricordare che nel caso Ravon e a. c. Francia, 21 febbraio 2008, n. 18497/03, la Corte EDU, pronunciatasi sulla legislazione francese (più garantista di quella italiana) disciplinante gli accessi fiscali presso l’abitazione del contribuente, ha enfatizzato tra l’altro l’esigenza che l’autorizzazione provenga da un organo giurisdizionale indipendente (tale non è il nostro procuratore della Repubblica), che la stessa venga emessa in contraddittorio con l’interessato, che nel ricorso giurisdizionale avverso l’autorizzazione possa essere chiesto anche di riesaminare la base fattuale dell’accesso domiciliare.
Si veda anche La disciplina nazionale in tema di accesso ispezioni e verifiche fiscali non è conforme all’articolo 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo di Ginevra Iacobelli.