SEA WATCH 3: Rimangono forti dubbi di Giorgio Spangher
Sommario: 1. La vicenda Sea Watch 3. - 2. Il reato di resistenza. - 3. Il confronto delle opinioni resta comunque aperto.
1. La vicenda Sea Watch 3.
Nel contesto della vicenda Sea Watch 3, il gip di Agrigento era chiamato, su richiesta della locale procura, a convalidare l’arresto e a valutare la richiesta della misura cautelare del divieto di dimora in relazione alla violazione dell’art. 1100 cod. nav. e dell’art. 337 cp.
Con l’ordinanza qui considerata il gip riteneva l’insussistenza del reato di cui all’art. 1100 cod. nav. e, in relazione al reato di cui all’art. 337, l’operatività dell’art. 51 cp, conseguentemente negando la convalida dell’arresto e rigettando la richiesta della misura cautelare personale.
Entrambi le conclusioni alle quali perviene il giudice, nella sua essenziale motivazione, lasciano spazio a non secondarie riserve.
In primo luogo, il riferimento a C. Cost. n. 35 del 2000, dove viene indicato un “solo” che non emerge dal testo della motivazione, che concerneva una questione relativa all’ammissibilità del referendum riguardante la natura della Guardia di Finanza.
In secondo luogo, andrebbero considerate le contrastanti decisioni Cass. 21 settembre 2006, Penzo, Ced. 235748 e Cass. 8 agosto 2003, Veronese Ced. 226335 in punto di natura del reato commesso nei confronti della Guardia di Finanza, all’interno delle acque territoriali. Peraltro, superabile questo contrasto alla luce di quanto previsto dall’art. 1087 cod. nav. in relazione all’esclusione dell’applicabilità dell’art. 1100 cod. nav. in caso di operazioni riguardanti la navigazione interna, bisognerebbe considerare se l’azione di ingresso (vietata) nelle acque territoriali possa essere considerata alla stregua di una “navigazione interna”.
Non casualmente l’art. 6 della legge n. 1409 del 1956 considera applicabile l’art. 1100 cod. nav. all’azione di contrasto al contrabbando di tabacchi.
Si potrebbe sostenere che si tratti di norma speciale non estensibile, ma resterebbe il fatto dell’attività di resistenza iniziata nei confronti della Guardia di Finanza fuori dalle acque territoriali con conseguente natura della nave, non solo della qualifica di nave militare ma anche da guerra .
Alla luce di queste previsioni dovrebbe escludersi che per essere considerate navi militari da guerra, le navi della Guardia di Finanza, dentro o fuori le acque territoriali debbano essere coinvolte in operazioni “belliche”.
In questa prospettiva, infatti, non opera il codice della navigazione
2. Il reato di resistenza.
Quanto alla violazione dell’art. 337 cp, va ricordato quanto fissato dalla Cassazione per la quale il reato di resistenza nella volontà di opporsi al compimento di un atto di ufficio ha non certo nello scopo di ricondurre l’esercizio funzionale nei limiti della legalità (09/31544).
Il reato è dunque integrato da atti di violenza o minaccia che si traducono, in un atteggiamento anche implicito purchè percepibile che impedisca, intralci, valga a compromettere, anche solo parzialmente e temporaneamente la regolarità del compimento dell’atto d’ufficio o di servizio indipendentemente dall’esito della condotta e dell’effettivo verificarsi dell’impedimento (13/96743 e 13/39227)
Nel verificare in concreto le modalità del comportamento del comandante, per quanto ridimensionato dalla motivazione, sotto il profilo fattuale e dell’elemento soggettivo, il gip non è in grado di escludere che “l’urto” della nave costituisca reato.
Pertanto, ciò che lascia perplessi è l’estensione anche a questo fatto della scriminante dell’art. 51 cp.
Se, invero, si può considerare scriminato un comportamento atto a tutelare i diritti umani attraverso atti di disobbedienza, dovrebbe ritenersi che non ogni atto teso a questo fine possa essere ricondotto nell’esercizio di un diritto, soprattutto quando quella tutela che con la propria attività si è inteso assicurare ha perseguito il suo fine sostanziale e non può essere più pregiudicato
Come affermato dalla Cassazione, ai fini dell’applicazione della causa di giustificazione di cui all’art. 51 cp è necessario che l’attività posta in essere costituisca una corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti il diritto che viene in considerazione nel senso che il fatto penalmente rilevante sotto il profilo formale sia stato effettivamente determinato dal legittimo esercizio di un diritto da parte dell’agente (Cass. VI 11/14540).
Ora, quell’atto nei confronti della motovedetta appare del tutto sproporzionato al fine perseguito, configurandosi come attività che ne travalica la copertura della tutela dei diritti degli immigrati, anche in considerazione del fatto, al di là della violenza seppur ricondotta a un “urto”, che metteva a rischio l’incolumità degli agenti della Guardia di Finanza che stavano svolgendo una legittima attività.
3. Il confronto delle opinioni resta comunque aperto.
Da un lato, verosimilmente, la procura ricorrerà in cassazione sulla mancata convalida, mentre sembrano aver perduto attualità le esigenze cautelari, già ridimensionate dalla procura, sottese al provvedimento coercitivo non disposto dal gip.
In ogni caso restando le iscrizioni per i due reati che dovranno essere definiti o con la richiesta di archiviazione o a seguito dell’esercizio dell’azione penale.