CANCELLARE LA TENUITA’ PER ABOLIRE IL PRINCIPIO DI REALTA’ di Marco Imperato
In una stagione di politica criminale già caratterizzata dalla volontà di assecondare gli umori della base, si profila all’orizzonte l’ennesima proposta muscolare, ovvero quella di abolire l’ipotesi di particolare tenuità nel reato di detenzione e spaccio di stupefacenti[1].
Con questo disegno di legge si vorrebbe di fatto cancellare dall’ordinamento ciò che senza dubbio esiste nei fatti e nella realtà quotidiana. Più che la proposta di abolire un istituto giuridico, si prefigura la volontà di cancellare dalle norme la realtà dei fatti.
Chi ha avuto di occuparsi di questo tipo di reati nelle aule di tribunali sa perfettamente che nella disciplina dell’articolo 73 del DPR 309/1990 ricadono fatti molto diversificati, con caratteristiche e capacità di offesa assai eterogenee tra loro: dalla detenzione professionale e sistematica da parte di soggetti dediti al traffico di centinaia di grammi di cocaina (o anche di chilogrammi, non scattando così facilmente l’aggravante speciale dell’articolo 80), alla cessione anche a titolo gratuito di mezzo grammo di stupefacente.
Pericolosità del fenomeno, offensività in concreto, dolo del reo, capacità delinquenziale, rischi per la salute: tutti questi elementi dovrebbero essere ignorati e messi da parte in nome di una pena che diventerebbe così esemplare e non proporzionata al fatto concreto, ovvero una sanzione penale che non svolge più alcuna funzione rieducativa e nemmeno retributiva, ma che serve solo quale dimostrazione della forza punitiva dello Stato.
Non verrebbe quindi violato solo il principio di ragionevolezza, ma ancor prima l’articolo 27, ovvero il principio di responsabilità penale personale.
Si potrebbe anche ricordare come la minaccia di pene severissime e sproporzionate non è solo di per sé ingiusto, ma non garantisce neanche l’obiettivo di dissuadere i comportamenti illeciti. La sociologia del diritto e ancor prima la storia insegnano che tale equazione è fallace, ma d’altronde che chi propone queste misure probabilmente non si illude di risolvere il problema, avendo come vero obiettivo strategico la strumentalizzazione del diritto penale per il recupero del consenso popolare.
Un legislatore razionale che conosca il fenomeno sociologico dell’abuso di stupefacenti e il connesso sistema criminale, partirebbe da una seria riflessione sul perché vi sia sempre una crescente domanda di droga, come dimostrano i report annuali della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (organo peraltro del Ministero degli Interni…): il diffondersi degli stupefacenti non è scalfito dall’inasprimento delle sanzioni. Anzi, vi è chi sostiene il contrario, specie con riferimento alle droghe leggere, persino all’interno della maggioranza politica dell’attuale Governo[2].
Non possiamo giustificare l’abolizione della tenuità del fatto in materia di stupefacenti usando l’argomento che il fine (del contrasto al fenomeno criminale) giustificherebbe il mezzo (di una pena sproporzionata): un simile ragionamento è irricevibile nel nostro ordinamento perché l’imputato non può mai diventare il mezzo per qualche altra finalità pubblica, dovendogli essere garantito un giusto processo e un’eventuale sanzione commisurata solo al fatto concreto e alla sua personale responsabilità, non certo alle aspettative del Governo o agli umori della maggioranza.
Pare esservi un comune denominatore in tutte queste proposte e riforme recenti, ovvero la sfiducia verso il ruolo della Magistratura quale potere cui affidare l’interpretazione delle leggi e la loro applicazione in concreto.
Il dibattito pubblico, specialmente quello “social”, è assolutamente superficiale e prescinde dai fatti, diventando quindi spesso mera cassa di risonanza della propaganda che pretende di vedere rispettati nei processi i propri “desiderata”, senza alcun vero interesse ai fatti e alle prove del caso concreto. La percezione mediatica e il sentimento popolare vorrebbero prevalere su presunzione di non colpevolezza, giusto processo e responsabilità personale.
A fronte di questa degenerazione della discussione pubblica e politica e delle conseguenti proposte, occorre adoperare tutti gli strumenti che l’ordinamento ci consegna perché non vengano stravolti i principi costituzionali e i diritti fondamentali del nostro sistema processuale.
Che sia possibile arginare la deriva populista della politica criminale lo ha dimostrato anche la recente sentenza della Corte Costituzionale[3], la quale ha riconosciuto come sproporzionata la soglia minima di 8 anni per i fatti non tenui, certificando così al contempo la necessità di modulare la sanzione in modo congruo e ragionevole rispetto all’offesa del bene giuridico e alla responsabilità dell’autore.
È importante che tutto il mondo dei giuristi e degli operatori del processo penale si adoperi per spiegare anche al resto della cittadinanza che i principi sanciti dall’articolo 3 o dall’articolo 27 della Costituzione non sono orpelli formali o fastidiosi lacci a una spregiudicata azione di Governo, ma baluardi dello Stato di Diritto, beni preziosi da riaffermare come patrimonio comune che ci è stato consegnato dalla Carta del ’48.
[1] https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/03/04/droga-salvini-presenta-disegno-di-legge-raddoppio-delle-pene-per-chi-spaccia-e-basta-con-la-modica-quantita/5013103/
[2] https://www.tgcom24.mediaset.it/politica/il-ministro-della-salute-si-a-liberalizzare-le-droghe-leggere-_3165300-201802a.shtml
[3] https://www.penalecontemporaneo.it/d/6570-stupefacenti-la-corte-costituzionale-dichiara-sproporzionata-la-pena-minima-di-otto-anni-di-reclusi