In memoria di Giacomo Matteotti, del suo contributo alla costruzione della democrazia nel nostro paese, del suo sacrificio, e nel ricordo del suo discorso del 30 maggio 1924 che dopo cento anni ancora ci illumina, invitiamo chi ci legge a recarsi alle urne sabato 8 e domenica 9 giugno 2024. È ora di riappassionarsi alla politica.
Discorso minimo sulle passioni di Licia Fierro
Passione viene dal greco pàthos che significa emozione.
Passione è dunque ogni stato d’animo che, in quanto scatenato da eventi esterni, si manifesta come ira, piacere, dolore, gioia, tristezza, odio ecc…Secondo alcune correnti del pensiero antico queste reazioni travolgenti impediscono di fatto alla volontà una scelta, essa le subisce (in latino pati=subire).
Da secoli sussiste la vexata quaestio dell’etica: se le passioni debbano essere considerate naturali, se esse siano utili, quale sia il rapporto tra passione e ragione e quale il ruolo della volontà.
Senza l’impulso, senza quella che Aristotele definisce la parte appetitiva dell’anima nessuna azione sarebbe possibile: nessuno di noi risponderebbe mai alle sollecitazioni esterne, cioè praticamente l’uomo sarebbe privo di reazioni. E tuttavia se la ragione non guidasse le nostre emozioni, noi ne saremmo le prime vittime. Non credo sia per tutti praticabile l’apatia (la completa inibizione delle passioni) così cara agli stoici, né mi pare accettabile la condanna delle passioni in quanto considerate in toto come irrazionali e quindi di impedimento all’uomo nella realizzazione del suo fine superiore (così teorizzava una parte non esigua della filosofia medievale).
Mi appello a Sant’Agostino il quale non disdegna nulla dell’uomo in quanto creatura di Dio, tanto meno la corporeità, e non crede perciò che le passioni siano il frutto cattivo del corpo. Nel De Civitate Dei così scrive «…la volontà si trova in tutte le nostre emozioni, anzi esse non sono altro che atti di volontà.
Cosa sono il desiderio e la gioia se non atti della volontà di assenso a ciò che vogliamo? E il timore e la tristezza se non atti di volontà dissenzienti da ciò che non vogliamo?. Siamo dunque noi a decidere dell’uso delle passioni che in sé stesse non sono né buone né cattive.
Non posso giustificarmi affermando che è naturale l’odio nei confronti del nemico e perciò mi abbandono ad esso senza limiti.
Non posso desiderare tutti gli onori e le ricchezze utilizzando ogni mezzo per raggiungerli compresi quelli che, ahimé, trovo pubblicizzati o peggio ancora inseriti in vademecum dell’uomo di successo venduti come best-sellers. In questi casi, ormai, è quasi scomparso il rossore o la vergogna che pure sono affezioni dell’anima.
Mi riferisco, in concreto, anche a molti opportunisti i quali al giorno d’oggi sono soliti praticare i salotti televisivi e in ogni sede utile sponsorizzano sé stessi e le loro non sempre pregevoli opere come fossero disinteressati profeti di verità e di autentica passione civile.
Qualcuno adesso mi accuserà di moralismo, ma per parare il colpo aggiungo che molte passioni “negative” sono pure il frutto indotto anzi etero diretto della civiltà post-industriale avanzata che ha prodotto un solco sempre più profondo tra le componenti emotive autonome della personalità e i bisogni “costruiti” ma presentati come naturali (in questo campo la scuola di Francoforte, e in essa soprattutto Marcuse e Fromm, hanno spaziato in lavori bellissimi e più che mai attuali).
Tutte le passioni devono comunque essere conosciute perché possiamo indirizzarle, orientarle in senso costruttivo.
Amo con trasporto, mi impegno nel lavoro con passione, curo i miei interessi e ne traggo soddisfazione: questa è una persona appassionata che agisce con mente pura e perciò è veramente libera. Ne conoscete di uomini e donne di tal fatta? Non dico i santi sugli altari, dico gli uomini di questo tempo, quelli pochi o tanti che si lasciano consumare dalla passione per quello in cui credono. Le persone malate nel corpo eppure travolgenti nelle azioni, i medici che operano in zone abbandonate e lontane senza smania di successo, gli uomini di Dio che percorrono ogni giorno chilometri a piedi per raggiungere altri esseri umani bisognosi di conforto.
Che cosa li spinge se non l’impulso, il desiderio di rispondere che se di per sé è immediato, emotivo, poi diventa sempre più scelta consapevole illuminata dalla ragione.
E così la volontà non è più facoltà astratta ma diventa strumento che indirizza l’azione verso la giustizia.
La collaborazione virtuosa tra persone capaci di costruire progetti e di impegnarsi per realizzarli ha dato frutti copiosi in ogni campo: dalla ricerca scientifica, all’economia, alle arti di vario genere.
Di una tale “cultura della passione” dovrebbe nutrirsi la politica perché gli uomini che scelgono di farla siano capaci di restituirle senso e di trascinare le persone a credere davvero nel perseguimento del bene comune. A questo proposito in una discussione tra amici non molte sere fa c’era chi sosteneva che le forti passioni, anche quelle degli uomini migliori, sono l’espressione dell’amor proprio o peggio ancora del narcisismo.
Per quanto si possa essere consapevoli del pericolo, al di là delle degenerazioni o dei facili psicologismi, mi piace ripetere con F. De La Rochefoucauld «non si desidera mai ardentemente ciò che si desidera solo con la ragione».