Il 2023 è stato l’anno del centenario della nascita di Italo Calvino. Per ricordarlo, proponiamo la lettura di un racconto breve che scrisse nel 1943, appena ventenne.
Il racconto è di singolare attualità. Nel paese in cui è ambientata la storia, a seguito di iper produzione normativa, gli abitanti hanno dimenticato che “la vera giustizia è ascoltare le querele degli uomini e, a seconda dei casi, giudicare e per ciascuno dire diversa sentenza ma con un animo uguale e rettitudine”.
A seguito di due fatti, solo apparentemente identici, e due possibili condanne all’impiccagione, quando il primo imputato viene assolto e il secondo condannato si scopre che gli articoli di legge, utilizzati a mo’ di algoritmo, non assicurano la giustizia del caso concreto, perché non tutte le circostanze del fatto sono contemplate nella fattispecie astratta.
La sentenza del giudice svela l’inganno dell’algoritmo. In quel paese “qualcosa non va”.
Occorre risolvere il problema. La soluzione adottata è: “fare leggi contro i giudici”. Il giudice riprende il mulo e lascia il paese.
Con questo racconto auguriamo ai Lettori e alle Lettrici di Giustizia Insieme il 2024 migliore possibile, senza leggi contro i giudici e che i giudici, come i pubblici ministeri, possano decidere, come scrive Calvino, "con animo uguale e rettitudine".
Il Giudice sul mulo di Italo Calvino
In un paese impiccavano uno.
Intanto arrivò un vecchio su un mulo e la gente si mise a guardarlo.
Il vecchio si sedette sotto un albero grande che era di quercia e stava in mezzo alla piazza e la gente gli chiese: “Chi sei?”
“Giudice”, rispose il vecchio.
E la gente chiese cos'era giudice.
“Noi lo sappiamo”, dissero gli anziani, “quando le leggi ancora non erano complete succedeva che venivano i dubbi nel condannare uno e nel dar ragione o torto all'altro c'era quello apposta che decideva delle ragioni e dei torti e delle pene da dare a uno ed ecco quello era il giudice.”
“Bene”, disse la gente, “qui ora il giudice non serve qui ora le leggi sono complete, tutto è previsto, non ci sono più dubbi sulla ragione e sul torto sulle pene da dare a uno. Il giudice non serve.”
“Va bè”, disse il giudice. “Io però vi dico che i casi del mondo sono sempre diversi una volta dall'altra e chiedono leggi nuove ogni momento e ogni uomo.”
“Questo è anarchia”, disse la gente che era intorno.
“No che non è", disse il vecchio, “perché vera è giustizia ascoltare le querele degli uomini e a seconda dei casi giudicare e per ciascuno dire diversa sentenza ma con un animo uguale e rettitudine e queste sono le virtù del saggio.”
La gente chiese cos’era saggio ma neanche gli anziani lo ricordavano.
Ora avendo la gente sempre tendenza verso le cose nuove e molti, in essa avendo in dispetto alcuna delle leggi scritte, avvenne che fu detto al vecchio: “Proviamo cosa sai fare”.
Il vecchio diede ordine che togliessero il basto al mulo e indicando un uomo che stavano impiccando, disse: “Cominciamo da quello”.
“Ma quello”, disse la gente, “se lo impiccano è perché deve essere impiccato.”
“Vediamo”, disse il giudice. “Conducetelo a me.”
Così il condannato gli fu condotto e il giudice chiese cosa aveva fatto.
“Ha fatto che ha ammazzato sua moglie con un colpo di scure in testa”, dissero gli altri. “Bisogna vedere le circostanze”, disse il vecchio.
“Le circostanze sono previste dai codici”, risposero gli altri e ci fu chi disse dei numeri.
“Nei codici c'è tutto”, continuarono. “Dei secoli ci sono voluti per farli ma adesso sono completi ci sono tutti i casi che possono succedere. Se uno ammazza sua moglie con un colpo di scure in testa, per esempio. E lì ci sono tutti i casi e le aggravanti e le attenuanti e tutte le combinazioni possibili delle aggravanti e delle attenuanti. Poi, in fondo a ognuna, c'è scritta la pena. Per un caso come il suo c'è scritto: sta impiccato. Dei secoli ci sono voluti per farli.”
“Vediamo”, disse il giudice e interrogò l'imputato, vide che aveva ragione e lo mandò assolto.
La gente rimase lì che non sapeva cosa dire. Avevano impiegato dei secoli a fare delle leggi che fossero complete, adesso che capitava un caso che combinava così bene con le leggi, ecco che veniva fuori uno a dire che tutto era sbagliato.
Così erano tutti lì che non sapevano cosa dire. Uno pensò di trarne vantaggio.
“Facciamo bene i conti”, pensò. “Come è capitato a lui di ammazzare la moglie, così può capitare a me. Tutto sta a non sbagliare i calcoli”
Così andò a casa prese la scure e ammazzò la moglie.
Poi andò a costituirsi. Le guardie lo portarono sotto la quercia dal giudice.
Lui disse come erano andate le cose né più nemmeno come quello di prima.
“Allora”, disse il vecchio, “vuol dire che questo lo impicchiamo”.
Lui ci rimase male.
“Come?”, disse, “che abbia sbagliato i calcoli? Eppure no: ho fatto talquale l'altro”. E ripetè tutto al giudice insistendo che era tutto uguale. Mi sembrava che più quello aggiungesse particolari, più il giudice ostinasse a condannarlo.
“È li il brutto”, diceva, “questi due fatti così uguali. Mai capitate due cose senza niente di differente. Così se lui aveva ragione vuol dire che tu hai torto. Sarai impiccato”. Gli altri però non erano convinti.
“Lui lo impicchiamo”, dissero, “però qui succedono dei pasticci. Vogliamo vederci chiaro.”
Difatti lo impiccarono poi tornarono dal vecchio per vederci chiaro: “Cosa vuol dire questo affare che uno ammazza la moglie e una volta è innocente e una volta è colpevole? Qui uno non sa più come deve comportarsi”.
“Capirselo da sé, deve", disse il vecchio, “sennò le leggi scritte non contano”.
“Capire che cosa?”, chiese la gente, neanche gli anziani si ricordavano che ci fosse qualcosa da capire, al di fuori delle leggi scritte.
“Qui succedono dei pasticci”, dissero, “noi non ci capiamo”. E rimisero il basto al mulo.
Così il vecchio salutò tutti, e risalì sul mulo e andò via, dicono verso la Mecca.
Nel paese, volere o no, s’erano accorti che qualcosa non andava.
Per rimediare, cominciarono a fare leggi contro i giudici.
(tratto da Raccontini giovanili, in Romanzi e racconti vol. III Mondadori Milano 1994, pp 779—781 - scritto nel 1943)