Sommario: 1. Premessa. Il volume: “Solidarietà, Un principio normativo” e il giurista Guido Alpa. - 2. Prima analisi del volume. - 3. Gli approfondimenti: il concetto di solidarietà nei sistemi dittatoriali e in quelli democratici. - 4. Segue: il significato di “solidarietà” contenuto dell’art. 2 Cost. - 5. La trasformazione della solidarietà da valore morale a principio giuridico (ovvero della solidarietà orizzontale e della solidarietà verticale). - 6. La forza giuridica della solidarietà e i nuovi diritti e doveri di origine giurisprudenziale. - 7. La trasformazione della solidarietà in sostenibilità. - 8. La solidarietà come fine e la solidarietà come mezzo. - 9. Brevissime conclusioni.
1. Premessa. Il volume: “Solidarietà, Un principio normativo” e il giurista Guido Alpa.
È un onore e un piacere per me recensire questo libro, con il quale un grande giurista affronta un grande tema.
La solidarietà, infatti, considerata per lungo tempo solo un valore morale od una regola di carità cristiana, si è nel tempo affermata quale principio giuridico, riconosciuto da tutte le Carte costituzionali delle moderne democrazie, e oggi dallo stesso Ordinamento dell’Unione europea.
Guida Alpa ci aiuta in questo percorso, ne indica i passaggi, ne ricostruisce gli sviluppi.
Professore emerito di diritto civile dopo aver insegnato per quasi trenta anni nell’Università La Sapienza di Roma, e Presidente emerito del Consiglio nazionale forense, che ha presieduto dal 2004 al 2015, Guido Alpa è senz’altro uno dei principali giuristi italiani, e parimenti uno dei maggiori civilisti a livello internazionale, se si considera il grande numero di studi che ha pubblicato in lingue straniere.
Il volume, chiaro e ben strutturato, sintetizza rigore scientifico e concretezza dei fatti, e merita, anche solo per questo, un’attenta lettura e ogni più ampia riflessione.
2. Prima analisi del volume.
Il libro, di 299 pagine, è ripartito in tredici capitoli.
Con essi, il tema della solidarietà è affrontato non solo nei suoi molteplici aspetti giuridici, ma anche nelle sue premesse storiche e filosofiche, e financo religiose, e ciò dal tempo della rivoluzione francese ai nostri giorni.
Lo studio investe prima di tutto il nostro ordinamento, ma poi anche quelli a noi vicini, soprattutto Francia e Germania, oltre ovviamente ad occuparsi dell’ordinamento comunitario.
Nel primo capitolo sono trattate le origini della solidarietà moderna, dai principi dell’illuminismo alle posizioni politiche e filosofiche dell’ottocento, fino al pensiero di Giuseppe Mazzini.
Il concetto di solidarietà è poi affrontato quale valore volto a superare le differenze di genere (cap. II) e quale terza via tra socialismo e capitalismo; e qui l’A. tratta del pensiero di studiosi quali L. Bourgeois, E. Durkleim, L. Duguit ed altri (cap. III).
I capitoli IV e VIII sono dedicati alla dottrina sociale della Chiesa e al senso e al significato della solidarietà in ambito religioso, e ciò dalla Enciclica Rerum novarum di Papa Leone XIII del 1892 all’Enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti del 2000.
Il tema centrale del volume ha poi ha ad oggetto, come anticipato, la trasformazione della solidarietà da valore morale a strumento normativo.
A questa trasformazione della solidarietà l’A. dedica in primo luogo il Cap. V, individuando un primo trapasso in tal senso nella Costituzione di Weimar del 1919, e poi negli ordinamenti giuridici dei sistemi totalitari successivi, tra i quali, ovviamente, quello corporativo del nostro periodo fascista.
Con il Cap. VI la trattazione passa alle Costituzioni del secondo dopoguerra: lì l’autore analizza il valore della fraternità contenuto nel preambolo della Costituzione francese del 1946, tratta della rifondazione del patto sociale in Gran Bretagna, e dibatte soprattutto della Costituzione italiana e del nostro art. 2 Cost., ricordando i lavori dell’Assemblea costituente, gli interventi di esponenti quali Palmiro Togliatti, Giuseppe Dossetti, Aldo Moro e Giorgio La Pira, e aggiungendo una interessante raccolta della giurisprudenza della nostra Corte Costituzionale sull’art. 2 Cost. avente ad oggetto i nuovi diritti emersi sulla base del principio di solidarietà.
Dedicato agli aspetti storico/comparatistici è poi il cap. VII, ove si trovano riportati per esteso le normative sulla solidarietà nelle Costituzioni delle due Germanie prima della loro riunificazione (assai interessante la Costituzione della DDR del 1949), e poi le Costituzioni dei paesi scandinavi, e soprattutto quelle del Portogallo (1976) e della Spagna (1978) dopo il ritorno della democrazia in quei paesi.
Dal Cap. IX il libro è dedicato, infine, alla solidarietà nel diritto europeo.
Si ricordano i Trattati e poi la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e della Corte di Giustizia dei diritti umani, che contemplano e riconoscono, uniformemente e coerentemente tutte, la solidarietà tra gli Stati membri e le istituzioni europee, e la solidarietà tra l’Unione e i cittadini; seppur, sottolinea l’A., possono sollevarsi dubbi sull’effettività del principio di solidarietà in Europa quando si passi dalla interpretazione esegetica dei testi alla realtà concreta della vita quotidiana.
E così, infine, l’ultima parte del libro è dedicata al mercato, e al ruolo della solidarietà nel diritto privato (Cap. XII) e commerciale (Cap. XIII).
Nel diritto privato il principio di solidarietà, come noto, attraverso l’art. 2 Cost. ha consentito ai Giudici costituzionali e della Corte di Cassazione, utilizzando anche il principio di buona fede di cui all’art. 1175 c.c., di superare accordi negoziali non equi e di compiere integrazioni dei contratti volti a correggere squilibri economici e sociali tra le parti.
Nel diritto dell’impresa la solidarietà si è poi trasformata in sostenibilità, e al principio di sostenibilità sono informate le ultime discipline in tema di società, di crisi dell’impresa, e oggi anche di ambiente.
Il volume termina con un Congedo, con il quale l’A sottolinea che “Il principio di solidarietà è un’opera aperta, è la nota di una sinfonia che può essere variamente ripercorsa”.
E ancora aggiunge: “Questo libro non ha conclusioni. Il percorso della solidarietà è lungo e tortuoso e senza fine. La pandemia e la guerra tra Russia e Ucraina alle porte dell’Unione hanno sollevato questioni delicate e gravi problemi anche sul piano della solidarietà……..siamo indotti a credere che occorra rimediare il testo dei Trattati per poter raggiungere nel prossimo futuro un livello di vita sociale in cui siano ridotte le differenze tra i ceti e le persone, e sia accettato il principio di inclusione”.
Si tratta, dunque, di un saggio di ampie dimensioni, volutamente privo di conclusioni affinché ogni lettore, con la propria sensibilità e la propria cultura, possa liberamente trarre le sue; uno studio, dunque, che conferma l’A. quale studioso e intellettuale non solo del diritto civile e/o del diritto c.d. positivo, bensì del pensiero giuridico nel suo senso più vasto e completo.
3. Gli approfondimenti: il concetto di solidarietà nei sistemi dittatoriali e in quelli democratici.
Dunque: spunti di riflessione.
La prima, a mio parere, è quella che cade sulla contrapposizione - che non può non darsi - tra il concetto di solidarietà nei sistemi totalitari e il concetto di solidarietà nei sistemi liberali e democratici.
È fuori discussione che la solidarietà fu un valore (anche) per i sistemi totalitari, mentre oggi tutti noi vogliamo essere solidari senza per questo aderire a politiche di tipo autoritario.
Come è possibile ciò?
Esistono due tipi di solidarietà?
Esattamente, l’illuminismo non aveva dedicato alla solidarietà particolare attenzione, e la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino, come ci ricorda lo stesso A. “era tutta incentrata sull’individuo e sui rapporti tra individuo e autorità” tanto che “La triade dei valori rivoluzionari – libertà, uguaglianza, fraternità- in realtà si riduce al binomio libertà-uguaglianza, non essendo la fraternità menzionata neppure nel Preambolo” (pag. 20, 21).
Da altra parte l’A. ci ricorda altresì che la fraternità non compariva infatti nemmeno nella Restaurazione del 1814, e la si trovava per la prima volta solo nella Costituzione della Seconda Repubblica francese del 28 ottobre 1848: “Come si è documentato, in Francia vi è un silenzio nei testi costituzionali che si sono succeduti dal 1789 al 1848, nel senso che la fraternità appare solo nel 1848” (pag. 108).
Bene, se questo è chiaro, va constatato che la solidarietà, dopo la Repubblica di Wiemar, diventa invece un valore centrale nei regimi totalitari degli anni trenta, ed in particolare lo diventa nel nostro ventennio di dittatura fascista.
L’A. richiama la disciplina del lavoro e del sistema corporativo nel fascismo, in un passo del volume che conviene riportare: “La priorità della suprema autorità dello Stato, la prevalenza dell’interesse della Nazione su quello individuale, l’osservanza della giustizia sociale sono i pilastri dell’ordinamento corporativo portando ovunque quel senso di solidarietà sociale che non contrappone tra loro, ma unisce e coordina i vari interessi individuali per il raggiungimento dei fini superiori della Nazione. In poche parole il ministro Guardasigilli illustra i caratteri fondamentali del nuovo ordine, che lo distinguono dal modello liberale, individualista e libero dall’intervento dello Stato: alle finalità di superiore interesse perseguite dallo Stato deve essere subordinato l’interesse individuale. In poche battute si chiarisce allora il senso della solidarietà: è un sentimento, ma al tempo stesso un valore, un principio, e quindi un comando normativo” (pag. 97).
Anche il fascismo aveva dunque la: “declamazione della priorità dell’interesse collettivo su quello individuale, l’istituto della proprietà privata deve ispirarsi a solidarietà e collaborazione…la disciplina delle immissioni sono subordinate al principio di socialità e……il potere di iniziativa privata è riconosciuto in funzione degli interessi nazionali alla produzione” (pag. 100); e posizioni analoghe si rinvenivano, ad esempio, nella Costituzione portoghese del 1933, per la quale “Proprietà, capitale, lavoro – le fonti della ricchezza – assolvono una funzione sociale in regime di cooperazione economica e di solidarietà, potendo la legge stabilire le condizioni del loro impiego o gestione in conformità alle finalità sociali (art.35) ” (pag. 95)
Ora, è chiaro, che questo tipo di solidarietà, che era la solidarietà delle dittature, deve inevitabilmente differenziarsi dalla solidarietà di oggi, e dalla solidarietà di un ordinamento che si proclami democratico e libero.
Ma quali sono le differenze?
In qual modo noi possiamo davvero avere una solidarietà democratica che si differenza da una solidarietà fascista o totalitaria o dittatoriale?
Questa, credo, è la questione preliminare in punto di studio della solidarietà.
L’A. ha chiaro questo problema, e così sottolinea la differenza tra questi due tipi di solidarietà: “là questo principio viene piegato alla realizzazione di fini ben diversi da quelli che la Costituzione attuale si propone, là si trattava di introdurre meccanismi di pace sociale in cui i lavoratori non potevano più contare su propri sindacati ma dovevano rivolgersi ai sindacati fascisti….la solidarietà era oggettiva, non tra le persone, ma tra gli interessi dei partecipanti alla produzione. Qui la solidarietà sociale implica l’intervento dello Stato, la sua azione, per avvicinare le classi sociali, per migliorare le condizioni di vita delle categorie svantaggiate, per sostenere finanziariamente lo Stato sociale, per assicurare a tutti eguali opportunità. Un significato ben diverso, molto più impegnativo, e correttamente collocato nella dialettica degli opposti interessi” (pagg. 98, 99).
La differenza concreta, tuttavia, rischia di non essere evidente, poiché, in uno Stato sociale, si ha parimenti la priorità degli interessi comuni a quelli individuali, e quindi la solidarietà di uno Stato democratico rischia invece di non contrapporsi affatto a quella già predicata nelle dittature del secolo che ci ha lasciato.
In questo senso, se riteniamo invece necessario avere una solidarietà che si contrapponga nettamente alla solidarietà fascista, si tratta, a mio parere, di ripescare il valore della libertà, e di coniugare, così, la solidarietà con la libertà, poiché lì sta, evidentemente, la prima e sostanziale differenza tra una solidarietà totalitaria e una solidarietà democratica.
Credo di poter dire che l’A. si colloca in questa linea di pensiero e ricorda infatti che “ A Firenze, nel maggio del 1946, Piero Calamandrei scrive la presentazione della seconda edizione del libro di Francesco Ruffini sui Diritti di Libertà….. (pag. 113) Un testo dunque che evocava l’anelito alla libertà e che, ripubblicato venti anni dopo, nell’Italia liberata dalla dittatura e nell’occupazione nazista, indicava la strada da seguire per ricostruire la democrazia” (pag. 114).
La sintesi, poi, tra libertà e solidarietà era questa, che “non ci può essere libertà senza che sia garantita a tutti una esistenza degna dell’uomo” (pag. 115).
Il concetto è ricordato dall’A. anche con l’intervento di Aldo Moro in Assemblea costituente: “Uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell’uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l’autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociale nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità” (pag. 119).
E parimenti, in argomento, è ricordato anche il fondamentale intervento di Meuccio Ruini: “Contro la concezione tedesca, che riduceva a semplici riflessi i diritti individuali, diritti e doveri avvincono reciprocamente la Repubblica ed i cittadini. Caduta la deformazione totalitaria del “tutto dallo Stato tutto allo Stato, tutto per lo Stato” rimane pur sempre allo Stato, nel rispetto delle libertà individuali, la suprema potestà regolatrice della vita in comune” (pag. 121).
Dunque, come primo cosa, direi che la solidarietà di uno Stato democratico, e quindi la nostra solidarietà, deve necessariamente coniugarsi, diversamente da quella del fascismo, con un principio di libertà, e deve rispettare la regola secondo la quale il tutto si realizza nel fine supremo della dignità, della libertà, e dell’autonomia della persona umana.
4. Segue: il significato di “solidarietà” contenuto dell’art. 2 Cost.
In questo contesto, centrale è l’analisi del nostro art. 2 Cost., quale norma principale di tutto il sistema giuridico repubblicano in ordine al principio di solidarietà.
Di nuovo, è doveroso ricordare che quella disposizione sorse in antagonismo al fascismo, e fu voluta principalmente dalle forze cattoliche e di sinistra per opporla alla dittatura del ventennio.
È chiaro, pertanto, che il termine solidarietà dell’art. 2 Cost. non può essere in nessun modo assimilato o posto sul medesimo piano con il concetto di solidarietà che era stato predicato dal fascismo: una, infatti, la solidarietà del fascismo, altra la solidarietà della nuova Repubblica libera e democratica di cui all’art. 2 Cost.
Credo che la contrapposizione sia evidente e non possa essere messa seriamente in discussione.
Questa interpretazione dell’art. 2 Cost. mi sembra ben presente nel volume di Guido Alpa, tanto che l’A. sottolinea in argomento che si era di fronte ad un nuovo Stato: “che risorgeva dopo la tragedia della seconda guerra mondiale con cui il paese si era scrollato di dosso la dittatura e la monarchia” (pag. 117),
L’enfasi dell’art. 2 Cost.:“….è dettata dal riscatto morale che si vuol evidenziare da parte dei Padri costituenti, quasi tutti militanti antifascisti, e suona anche come condanna del recente passato” (pag. 119), e quindi: “La solidarietà acquista una dimensione più complessa di come era stata considerata nei testi costituzionali del novecento che hanno preceduto l’entrata in vigore della Costituzione italiana” (pag. 120).
L’A. fornisce questa contrapposizione tra le due solidarietà, in un caso: “……. si parlava di solidarietà come vincolo fondante del consorzio umano, e come pilastro dello Stato sociale”; nell’altro caso: “……..la solidarietà è intesa come legame fondante le formazioni sociali, la famiglia, le associazioni, le comunità di lavoro – e potremmo includervi, naturalmente, i partiti e i sindacati” (pagg., 120, 121).
Solidarietà come pilastro dello Stato, e solidarietà come collante delle formazioni sociali.
Si tratta di una contrapposizione che merita, però, sia consentito, una ulteriore precisazione.
Il fascismo si fondò sulla supremazia dello Stato sull’individuo, facendo forza sulla filosofia hegeliana; e chi legga, ancora oggi,
La dottrina del fascismo di Benito Mussolini (Hoepli, 1936), vi trova: “Il mondo per il fascismo non è questo mondo materiale che appare alla superficie in cui l’uomo è un individuo separato da tutti gli altri e per sé stante, ed è governato da una legge naturale che istintivamente lo trae a vivere una vita di piacere egoistico e momentaneo. L’uomo del fascismo è individuo che è nazione e patria, legge morale che stringe insieme individui e generazioni in una tradizione e in una missione, che sopprime l’istinto della vita chiusa nel breve giro del piacere per instaurare nel dovere una vita superiore libera da limiti di tempo e di spazio; una vita in cui l’individuo attraverso l’abnegazione di sé, il sacrificio dei suoi interessi particolari, la stessa morte, realizza quell’esistenza tutta spirituale in cui è il suo valore di uomo………….La concezione fascista è per lo Stato ed è per l’individuo in quanto esso coincide con lo Stato, coscienza e volontà universale dell’uomo nella sua esistenza storica, giacchè, per il fascismo, tutto è nello Stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello Stato”.
Ora, è evidente, che la prima precisa volontà dei nostri costituenti fu proprio quella di negare lo Stato fascista e riaffermare una diversa concezione dei rapporti tra individuo e Stato.
V’era, prima di tutto, da affermare che la persona ha diritti inalienabili che discendono dalla natura e non dallo Stato; v’era da affermare che, con riguardo ai diritti inalienabili dell’uomo, lo Stato ha solo il dovere di riconoscerli e tutelarli, non altro; e c’era, poi, più in generale, da negare lo Stato di hegeliana memoria, per ritornare a quello Stato coessenziale alla democrazia e alla libertà dei popoli.
Il compito di delineare questi principi della nuova Repubblica veniva affidato in primo luogo a Giorgio La Pira, e sia consentito riportare qui quanto questi, nella sottocommissione del 75, in data 9 settembre 1946, dichiarava: “È necessario che alla costituzione sia premessa una dichiarazione dei diritti dell’uomo, ciò in conformità anche a tutta la tradizione giuridica cosiddetta occidentale. Ma oltre che in omaggio alla tradizione, una dichiarazione dei diritti dell’uomo deve essere ammessa soprattutto come affermazione solenne della diversa concessione dello Stato democratico, che riconosce i diritti sacri, inalienabili, naturali del cittadino, in opposizione allo Stato fascista, che con l’affermazione dei diritti riflessi, e cioè con la teoria che lo Stato è la fonte esclusiva del diritto, negò e violò alla radice i diritti dell’uomo”.
E quanto alla negazione dello Stato etico hegeliano La Pira ancora esponeva: “Esiste una base filosofica, che sia a fondamento di questa teoria dei diritti riflessi? Alla domanda si può rispondere affermativamente, in quanto la teoria dei diritti riflessi corrisponde alla concezione hegeliana, che vede lo Stato come un tutto e l’individuo come elemento integralmente subordinato alla collettività, in contrapposto all’altra concezione che, pur rispettando l’esigenza della collettività, vede la persona come un ente dotato di una sua interiore autonomia e quindi considera la libertà e i diritti subiettivi non come concessione, ma come conseguenza di questa interiore autonomia”.
Non a caso, così, l’art. 2 Cost. riconosce per primo “I diritti inviolabili dell’uomo”, e solo dopo prosegue affermando: “e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà”; ed ancora, i diritti inviolabili dell’uomo sono riconosciuti con priorità “come singolo”, e solo dopo nelle “formazioni sociali”, in ciò aderendo la norma a quel principio di centralità dell’uomo che risale alla nostra tradizione umanista.
E dunque la ratio prima, storica, dell’art. 2 Cost. è questa: superare l’ideologia fascista e assicurare a tutti il riconoscimento dei diritti fondamentali, dapprima della persona individualmente intesa, e poi della persona nelle sue formazioni sociali.
Tutto questo ha una ricaduta sulla lettura del concetto di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.: propongo così uno studio di queste tematiche che immagini una solidarietà che segua, e non si anteponga, ai diritti inviolabili dell’uomo; una solidarietà che metta lo Stato al servizio dei cittadini e non i cittadini a servizio dello Stato; una solidarietà che si coniughi con un principio di libertà e di indipendenza della persona, e non consideri invece queste ultime delle mere concessioni in mano all’autorità pubblica.
5. La trasformazione della solidarietà da valore morale a principio giuridico (ovvero della solidarietà orizzontale e della solidarietà verticale).
E veniamo al tema centrale affrontato dal libro, ovvero alla trasformazione della solidarietà da valore morale a principio normativo.
Questa distinzione prende anche altre etichettature, e con pari significato si può infatti distinguere una solidarietà orizzontale, o libera, e una solidarietà verticale, o imposta.
La solidarietà orizzontale è quella che, senza obbligo giuridico, si ha tra persona e persona, orizzontalmente, in modo spontaneo; la solidarietà c.d. verticale si ha viceversa in tutte le ipotesi nelle quali questa non sorga spontaneamente tra le persone, ma sia al contrario data dallo Stato nella forma dell’obbligo giuridico, e quindi sostanzialmente imposta dall’alto verso il basso.
L’A. espone in modo ben chiaro questa evoluzione, e rileva che la solidarietà, interpretata in origine quale regola morale nel corso di tutto l’800, inizia viceversa a trasformarsi in principio giuridico, e quindi ad essere imposta dallo Stato, con il ‘900: “Come categoria generale del diritto, è significativo il fatto che i doveri che compaiono nelle Costituzioni dell’ottocento si ritengono più politici e morali che non giuridici proprio per l’astensione dello Stato da ogni interferenza nei rapporti tra privati e quindi del libero mercato……Nelle costituzioni del secondo dopoguerra, che aprono allo Stato compiti sociali di grande rilievo, il dovere di solidarietà si rafforza” (pag. 123 e 124).
L’idea della solidarietà quale dovere giuridico è proprio invece della nostra Costituzione repubblicana, seppur con molte discussioni al riguardo: “Se si leggono i lavori della prima sottocommissione dedicati alla stesura degli articoli riguardanti i diritti e i doveri dei cittadini, si apprende che il concetto di solidarietà non era inteso, almeno originariamente, come un concetto normativo, ma piuttosto – e soltanto – come un concetto politico” (pag. 118); ma la scelta finale dei nostri costituenti fu quella di dotare di forza giuridica, e non solo politica, il concetto di solidarietà cosicché l’art. 2 Cost. “è dotato di quel carattere di coercibilità, che sfugge al concetto politico” (pag. 118); e poi ancora: “Individuo, collettività, Stato sono i dunque i pilastri in cui si snoda la solidarietà intesa – proprio perché contenuta in un testo normativo e deputata a rappresentare un coacervo di diritti e di doveri – come un concetto normativo” (pag. 118).
Il principio di solidarietà quale dovere giuridico si rafforza, poi, quando la fonte normativa passa da quella interna a quella sovranazionale.
L’A. ricorda in primo luogo il Manifesto di Ventotene del 1941: “La solidarietà umana verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica non dovrà per ciò manifestarsi con le forme caritative sempre avvilenti e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio” (pag. 113). Sottolinea inoltre che il discrimen tra l’una e l’altra concezione di solidarietà è data dal Trattato di Lisbona del 2007, che della solidarietà fornisce: “la dimensione giuridica vincolante” e “La solidarietà diviene quindi di volta in volta il cemento del consorzio umano, opera come meccanismo di coesione, come elemento dialettico tra individuo e collettività” (pag. 185).
E di nuovo sulla solidarietà orizzontale/verticale: “Grimmel pensa alla solidarietà orizzontale, mentre il concetto, come si è più volte sottolineato, è complesso, e ingloba anche la prospettiva verticale. Anzi, nella prospettiva europea, prevale la prospettiva verticale. L'analisi dei Trattati ci restituisce un’idea forte di solidarietà, considerate le numerose occasioni in cui questo principio viene evocato” (pag. 190).
Infine lo sguardo è rivolto al mondo cattolico.
L’A. dedica ben due capitoli del volume alla dottrina sociale della Chiesa.
Riporta, quale posizione iniziale di solidarietà, la Rerum novarum di Papa Leone XIII del 1892: “questi, è vero, non sono obblighi di giustizia, ma di carità cristiana il cui adempimento non si può certamente esigere per via giuridica, ma sopra le leggi e i giudizi degli uomini sta la legge e il giudizio di Cristo, il quale inculca in molti modi la pratica del dono generoso” (pag. 74).
La posizione si evolve 40 anni dopo con l’Enciclica Quadragesimo anno di Papa Pio XI, il quale afferma che il compito dello Stato: “non è puramente quello di un guardiano dell’ordine e del diritto” poiché: “A ciascuno si deve attribuire la sua parte di beni e bisogna procurare che la distribuzione venga ricondotta alla conformità con le norme del bene comune e della giustizia sociale” (pag. 77).
Trova poi conferma con Papa Paolo VI a seguito del Concilio Vaticano II, e la si rinviene infatti nelle Encicliche Gaudium et spes del 1966 e Populorum progressio del 1967: “La giustizia e l’equità richiedono similmente che la mobilità, assolutamente necessaria in una economia di sviluppo, sia regolata in modo da evitare che la vita dei singoli e delle loro famiglie si faccia incerta e precaria” (pag. 171).
L’A. commenta che già in quel momento storico: “La solidarietà è considerata un dovere, e il capitalismo liberale un modello che deve essere corretto”; e ricorda in proposito, con le parole del Papa, il dovere: “A tutti gli uomini e a tutti i popoli di assumersi le loro responsabilità” (pag. 173).
Segue poi l’Enciclica Sollicitudo rei socialis del 1988 di Papa Giovanni Paolo II; l’A. rileva: “La solidarietà chiamata da Leone XIII con il termine amicizia, vista da Pio XI come carità sociale, da Paolo VI come civiltà dell’amore, acquista con Giovanni Paolo II un significato ancora più pregnante: l’economia capitalistica corretta dai valori della giustizia sociale” (pag. 176).
E si arriva, così, infine, alle Encicliche di Papa Francesco Laudato sì e Fratelli tutti rispettivamente del 2015 e del 2020.
6. La forza giuridica della solidarietà e i nuovi diritti e doveri di origine giurisprudenziale.
Ciò premesso, la questione immediatamente successiva è la seguente: se la solidarietà si trasforma da regola morale a principio giuridico, essa allora può essere materia di decisione giudiziaria, ovvero i giudici, in forza del precetto della solidarietà, possono creare nuovi diritti e/o nuovi doveri che dalla solidarietà discendono.
Poiché, poi, la forza giuridica del principio di solidarietà si trova tanto nella nostra legislazione nazionale quanto in quella comunitaria, gli orientamenti giurisprudenziali in grado di creare nuovi diritti e nuovi doveri sono non solo da rinvenire della nostra Corte Costituzionale e di Cassazione, bensì anche nelle Corti europee, CGUE e CEDU.
A questo aspetto l’A. dedica molte pagine del volume, e precisa: “Si può dire che la Carta è stata in larga parte attuata grazie alla creatività della giurisprudenza……Molti sono i diritti di nuovo conio scaturiti dalla base costituzionale…..Neppure Piero Calamandrei avrebbe potuto immaginare la rivoluzione ermeneutica avviatasi alla fine degli anni sessanta, con la scoperta delle clausole generali, dell’uso alternativo del diritto e della storicizzazione delle categorie giuridiche….Proprio grazie a quei fermenti si sono potuti creare ex novo diritti che hanno dato soddisfazione ad interessi trascurati e reso concreta la concezione della solidarietà, individuale e sociale” (pag.133).
E poi ancora: “Sull’art. 2 si sono edificati i nuovi diritti della persona” e “La Corte costituzionale ha fatto un largo impiego del principio di solidarietà, dal 1956 al 2021” (pag. 134).
Questi nuovi diritti sono tutti basati, come prima sottolineato, “sui valori costituzionali primari della libertà individuale e della solidarietà sociale” (così Corte Cost. n. 75 del 1992, richiamata a pag. 136) e sono tutti ricordati dall’A.: tra questi, il diritto all’abitazione, all’ambiente salubre, alla tutela dei disabili, ai minori, alla salute, al danno biologico, fino ai c.d. nuovi diritti, quali l’acquisizione di un gender diverso, le trasfusioni non compatibili con il credo religioso, autodeterminazione nel testamento biologico, il diritto a portare anche il cognome della madre, il diritto a conoscere le proprie origini genetiche, ecc……………..
Qualcosa di analogo si ha in ambito comunitario.
L’A. ricordando che “La Corte di Giustizia svolge un ruolo di grande rilievo nel dettare le regole interpretative che modellano il significato delle fonti del diritto dell’Unione”, ha precisato che “Così è stato anche per la definizione dei significati di solidarietà. Alcuni casi decisi sono diventati pietre miliari nella costruzione giurisprudenziale del significato di solidarietà” (pagg. 186, 187).
E l’A. ha altresì rimarcato come: “È evidente che nel decidere le questioni la Corte impiega sempre un certo tassi di discrezionalità. Da qui la necessità di distinguere tra solidarietà nel mercato, solidarietà con finalità redistributive, solidarietà con finalità costitutive, solidarietà con finalità amministrative” (pag. 189).
Dalla ricerca della giurisprudenza della CGUE emergono cinque diverse accezioni di solidarietà: “(i) la solidarietà come rappresentazione moderna della carità della tradizione; (ii) la solidarietà come mutuo sostegno; (iii) la solidarietà come temperamento dei rischi economici; (iv) la solidarietà come limite all’esercizio individuale dei diritti fondamentali; (v) la solidarietà come limite alle libertà economiche e alla concorrenza” (pag. 191).
Questa sintesi degli orientamenti della giurisprudenza sviluppano però, almeno secondo me, due consequenziali, e non secondarie, riflessioni per uno studio sulla solidarietà:
a) la prima è che il valore della solidarietà, da sorgente di nuovi diritti, sempre più si è invece concretizzata quale fonte di nuovi doveri.
Ciò avviene in tutti i casi nei quali, in forza del principio di solidarietà, si ritiene infatti vi siano limiti o temperamenti ai diritti delle persone, e ciò tanto con riferimento alle libertà economiche, quanto, e soprattutto, con riguardo alla libertà dei diritti fondamentali della persona.
È evidente che una cosa è far sorgere, in nome della solidarietà, un nuovo diritto, altra cosa è far sorgere un nuovo dovere; e la cosa può essere tanto più oggetto di studio quanto più fondamentale, e/o personale, è il diritto che si va a comprimere in nome della solidarietà.
È chiaro che questi meccanismi, dati sovente dalla giurisprudenza come automatici o inevitabilmente dovuti, necessitano invece di rigorose analisi, poiché v’è da chiedersi se davvero sia possibile che in nome di un principio di solidarietà, che è pur sempre un principio di carattere generale, possano comprimersi specifici diritti fondamentali della persona espressamente riconosciuti, a volte come inderogabili, dalle varie Carte costituzionali degli Stati; e, se si, con quali limiti e/o a quali condizioni.
b) La seconda osservazione è che va a crearsi, in questi casi e in questo modo, un diritto tutto giurisprudenziale che non ha alcun appiglio alla legge.
La legge, esattamente, fa solo riferimento ad un valore elastico e discrezionale qual è quello della solidarietà; la giurisprudenza, poi, su questa base, determina in concreto quali siano i diritti e doveri che ne discendono; quindi, in tutti questi casi, i diritti e i doveri dei cittadini non sono più determinati dalla legge, bensì direttamente dalla giurisprudenza.
In questo modo, direi indiscutibilmente, la giurisprudenza si rende fonte del diritto, mentre nel nostro sistema la giurisprudenza non è, nÈ può essere, fonte di diritto.
Al riguardo, possono farsi degli esempi: a) si è sostenuto (v. Corte Cost. 24 ottobre 2013, n. 248 e Corte Cost. 2 aprile 2014, n.77), che il giudice, in forza dell’art. 2 Cost., può mutare il tenore delle clausole di un contratto se queste sono “sbilanciate a danno di una parte”; b) egualmente si è statuito (così Cass. 5 novembre 1999, n. 12310, ma vedi anche Cass. 13 settembre 2005, n. 18128; Cass. 24 settembre 1999, n. 10511; Cass. 20 aprile 1994, n. 3775), che il giudice, in una valutazione complessiva della relazione giuridica, “e a prescindere specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge”, può determinare, il “dovere di agire” ritenuto più equo.
Ebbene, se queste sono le decisioni che si sono avute in forza del principio di solidarietà, uno studio che valuti la conformità di simili orientamenti ad un sistema di civil law quale il nostro credo sia necessario.
È vero che oggi è generalmente riconosciuto alla giurisprudenza la possibilità di bilanciare diritti che si contrappongono tra loro, ma qui non si tratta, in verità, di bilanciare due diritti contrapposti entrambi fissati in modo chiaro da un testo normativo, si tratta al contrario di ricavare dei diritti/doveri non disciplinati dalla legge lavorando su una espressione del tutto elastica e discrezionale qual è quella della solidarietà.
E in ogni caso nessun “bilanciamento” può spingersi fino al punto di creare nuovi diritti e doveri di sola fonte giurisprudenziale; poiché, par evidente, di bilanciamento in bilanciamento, sennò, tutto rischierebbe di diventare incerto e di minare la stessa funzione di una Carta costituzionale, che è quella di assicurare, al contrario, in modo chiaro e non discutibile, l’esistenza, appunto, dei diritti.
7. La trasformazione della solidarietà in sostenibilità.
L’evoluzione della solidarietà, infine, ha portato la stessa a rendersi, in molti casi, sostenibilità; e così l’A. ci avverte che, soprattutto nel diritto societario “il principio di solidarietà si esprime in termini di sostenibilità” (pag. 275).
Ma la sostenibilità è fenomeno che non interessa solo il diritto privato e societario, bensì anche quello dell’ambiente, della solidarietà tra generazioni, della tutela degli animali, e quindi si connette all’ultimo riforma costituzionale degli artt. 9 e 41 Cost.
“Il termine sostenibilità è stato introdotto solo di recente nel vocabolario giuridico….da quel momento il termine diviene un concetto normativo, e come tale esprime un comando” (pag. 276).
Nella Conferenza delle Nazioni del 1972 si legge già che: “Per una più razionale amministrazione delle risorse finalizzata a migliorare l’ambiente, gli Stati dovranno adottare misure integrate e coordinate tali da assicurare che detto sviluppo sia compatibile con la necessità di proteggere e migliorare l’ambiente umano a beneficio delle loro popolazioni” (pag. 277)-
Si fa qui riferimento alla compatibilità, che poi diventa sviluppo sostenibile, ovvero sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità alle generazioni future di soddisfare i loro.
Parallelamente si mira al coinvolgimento delle imprese e si inizia a parlare di razionale distribuzione delle risorse; infine il principio di sostenibilità diventa punto di riferimento per le scelte economiche e sociali a livello globale e si elabora la teoria sociale dell’impresa (pag. 280).
Il percorso normativo si delinea dagli anni 2000 ed in questo contesto possono richiamarsi la direttiva 2014/95/UE, la direttiva 2017/828/UE, e il nostro d. lgs. 254 del 2016.
Qui si ha, secondo me, un secondo passaggio della solidarietà: da una solidarietà dei diritti/doveri, ad una solidarietà solo di doveri.
La sostenibilità, infatti, consiste soprattutto in questo: che vi sono cose che non si possono più fare, perché, appunto, non più sostenibili.
Che dire?
Credo, in primo luogo, che la solidarietà resa sostenibilità imponga un ulteriore studio, che è quello del rapporto (soprattutto) tra ambiente e persona.
Nessuno nega il dovere di tutti di tutelare l’ambiente, di non inquinare, di protegge la natura, e di fare quanto è possibile per difendere il nostro pianeta e la posizione delle generazioni future; tuttavia va valutato se sia corretto che la tutela dell’ambiente non trovi più la sua ragion d’essere nell’interesse dell’uomo a vivere in un ambiente salubre, bensì la trovi in sé stessa, e quindi anche in contrasto con i diritti dell’uomo.
Si capisce che se le cose in futuro dovessero davvero essere lette e interpretate così, tutto allora si potrebbe rendere possibile.
Si potrebbe imporre ogni riduzione dei consumi, e stabilire che a tutela dell’ambiente solo certi consumi sono ammessi e non altri; si potrebbe ridurre la produzione industriale e il libero commercio, e stabilire che solo alcune cose possono essere prodotte e vendute e non altre, e magari, con ciò, favorendo taluni e danneggiando altri; si potrebbe impedire l’accesso a taluni luoghi, o limitare fortemente, e in modo stabile, il diritto di circolazione, sostenendo che tutto questo va a vantaggio dell’ambiente e della biodiversità, poiché al contrario la libertà di circolazione dell’uomo, con i suoi egoismi e le sue disattenzioni, danneggia il pianeta; si potrebbe imporre regole comportamentali per ragioni ecologiche, impedendo ad esempio di mangiare certe cose, oppure imponendo la nutrizione con altre, se non addirittura imponendo taluni trattamenti sanitari; si potrebbe vietare il fumo anche all’aperto, stabilire un certo abbigliamento, imporre degli orari nei quali è possibile tenere certi comportamenti, che sarebbero invece vietati in altri momenti; si potrebbe limitare o escludere l’uso di taluni mezzi di trasporto, auto, aerei, ecc…., sempre a tutela dell’ambiente e al fine di limitare l’inquinamento; si potrebbe dividere tutti i beni in essenziali e non essenziali, ed escludere questi ultimi, o tutto ciò che venisse giudicato superfluo, o lussuoso, o eccessivo; si potrebbe imporre grossi oneri alla proprietà privata, facendola venir meno ove questa non si conformi ai dettati dell’ecologia e del risparmio energetico, consentendo così nuove forme di espropriazioni per ragioni ambientali; si potrebbe danneggiare la cultura e l’informazione impedendo o fortemente limitando l’uso della carta; si potrebbe ancora limitare i mezzi di comunicazione come internet o telefoni portatili, sostenendo che il loro uso contribuisce all’inquinamento del pianeta; si potrebbe imporre la riduzione drastica di beni quali l’elettricità, il gas, i carburanti, costringendo le persone a cambiare fortemente le loro abitudini e le loro attività lavorative; si potrebbe in ogni momento prevedere decadenze giuridiche in grado di incidere sui diritti contrattuali delle parti per ragioni di tutela dell’ambiente, compromettendo in questo modo il concetto stesso di “certezza del diritto”, e creando in tal misura un danno alle relazioni commerciali ed economiche; si potrebbe fortemente aumentare le imposte sui commerci e sulla proprietà privata, sostenendo che entrambe costituiscono ostacolo all’ambiente e all’igiene del pianeta; e così di seguito.
Di nuovo, l’equilibrio che deve darsi tra queste contrapposte esigenze non può non meritare uno studio e un approfondimento.
La nostra Costituzione ha messo al centro di tutto l’uomo, secondo una tradizione che per noi risale alla celeberrima Oratio de hominis dignitate di Pico Della Mirandola del 1486, e che fu propria dei nostri costituenti, da Giuseppe Dossetti (“Si vuole o non si vuole affermare l’anteriorità della persona?”), a Palmiro Togliatti (che chiedeva solo che il principio fosse tradotto e concretizzato in modo accessibile: “dal professore di diritto e in pari tempo dal pastore sardo”).
La sostenibilità è un valore che può, evidentemente, confliggere con altri.
I suoi limiti e la sua ponderazione vanno dunque attentamente analizzati.
8. La solidarietà come fine e la solidarietà come mezzo.
Poiché, infine, l’A. ha chiuso il volume sottolineando che: “La solidarietà è un’opera aperta……questo libro non ha conclusioni”, e che: “Spetta al giurista con la sua cultura e il suo impegno civile esprimerne tutte le potenzialità” (pag. 299), io mi permetto, a conclusione di questa recensione, di sollevare una ultima questione che, in verità, l’A. non ha trattato, ma solo accennato con l’affermazione secondo la quale la solidarietà “in mano ai regimi illiberali diventa un’arma per legittimare il potere” (pag. 95).
Questo, a mio parere, è infatti l’ultimo studio - ma al tempo stesso, direi, il principale - che il principio di solidarietà necessita: evitare che essa si possa trasformare in strumento con il quale il pubblico potere impone ai cittadini ogni tipo di comportamento, oltre ogni razionale e legittima giustificazione.
Come è successo purtroppo in regimi del passato, non è difficile trasformare la solidarietà da fine a mezzo, e utilizzare la stessa non tanto per il raggiungimento di nobili obiettivi, quanto come pretesto per imporre compressioni di diritti e libertà.
Il gioco è fin troppo semplice: chi ha il potere può creare i presupposti di fatto, spesso anche in modo del tutto artificiale e/o volutamente indotto, affinché sia necessaria la tenuta di un certo comportamento, e dopo di che può pretendere quel comportamento perché imposto da un principio di solidarietà.
Ovviamente per evitare che il principio di solidarietà possa trasformarsi da fine a mezzo, ed evitare che venga usato in modo deviato e strumentale, come in taluni casi purtroppo è avvenuto, non sarebbe (forse) errato dotare gli Stati democratici di una autorità indipendente della solidarietà, così come esistono per altre pubbliche amministrazioni, in grado di vigilare sul corretto equilibrio che sempre deve darsi tra solidarietà e libertà, tra solidarietà e democrazia, tra solidarietà e serietà e sufficienza dei fatti che la giustificano; altrimenti tutto può diventare lecito con lo scudo della solidarietà, ed essa si può ben trasformare, dunque, in un’arma per legittimare il potere.
Può ritenersi, questa mia, una proposta bizzarra, tuttavia si tratta di muovere dalla constatazione che oggi, direi, nei nostri ordinamenti europei, una simile istituzione di garanzia normalmente non esiste, e sempre meno si avverte infatti la necessità di contrapporre potere a potere, secondo L’esprit des lois di Charles Louis de Montesquieu.
Ai posteri l’ardua sentenza.
9. Brevissime conclusioni.
La solidarietà, in conclusione, ha assunto nel nostro ordinamento giuridico un ruolo che un tempo non aveva.
Chi sfogli un’opera monumentale come l’Enciclopedia del diritto fondata da Francesco Calasso con Antonino Giuffrè, scopre che non esiste in essa una voce quale Solidarietà; l’enciclopedia passa infatti dalla voce Soggetto passivo d’imposta a quella di Solve et repete.
Lo stesso dicasi per altre importanti enciclopedie giuridiche: vale per Il Digesto italiano, ove il volume XXII, Torino, del 1925, ha una voce Solidarietà, interamente e solo dedicata alla solidarietà nelle obbligazioni per come disciplinata dal codice civile di allora, e la voce successiva è quella della Solvibilità; e vale anche per enciclopedie più moderne quali Il Diritto, curata da Il Sole 24 ore, Milano, 2007, ove il volume XV, dopo la voce Software, ha quella di Soggetti deboli, tuttavia dedicata alle problematiche del processo penale e al tema dell’imputabilità, ovvero dedicata a questioni ben diverse da quelle qui affrontate.
Oggi, tutto al contrario, la solidarietà è un valore fondante del sistema giuridico, valore che si interseca e si relaziona con molti altri diritti, e dà vita pertanto a commistioni che necessitano studi e approfondimenti.
Dobbiamo dunque ringraziare Guido Alpa per il contributo che ha dato all’argomento con la pubblicazione del volume qui recensito, e invitare tutti a ogni più ampia riflessione su un istituto giuridico tanto essenziale quanto difficile.