Ponti versus muri, o muri e ponti. 9) Il muro che vorrei per uomo e donna
di Maria Cristina Amoroso
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Vi voglio insieme.
È arrivato il momento di invitare uomini e donne ad attivarsi in maniera più determinata nello spendersi in maniera unita per la parità e contro la violenza di genere, perché questa campagna culturale, non fatta propriamente all’unisono, non è stata in grado di scalfire i numeri surreali con i quali ancora oggi facciamo i conti nonostante gli sforzi profusi.
Ci vuole altro rispetto ai comunque irrinunciabili messaggi, abbiamo urgenza di un passo più veloce: un sentire comune che abbia quale precipitato comportamenti e non solo slogan poiché, come drammaticamente evidente, i femminicidi che coinvolgono tutti i ceti e tutte le fasce d’età non si fermano.
Sicuramente è necessario e adeguato continuare a mettere in discussione le innumerevoli sollecitazioni al vivere violento cui sembriamo esserci totalmente assuefatti, ma ancor di più vi è l’esigenza che uomini e donne, insieme, si facciano carico di superare dinamiche di coppia non più sostenibili.
Violenza di genere e relazioni distorte sono questioni intimamente collegate.
L’esercizio della violenza fisica o psicologica è una modalità insana di azione che si attiva a fronte di un qualsiasi fattore scatenante, una miriade fantasiosa di eventi, le c.d. “provocazioni”, che non sono mai realmente giustificative della messa a repentaglio dell’incolumità fisica altrui.
Il “violento” nella maggioranza dei casi non è tale esclusivamente nel rapporto con l’altro sesso o per il ruolo che gli attribuisce, lo è perché vive esercitando sempre e in tutti i contesti una palese o occulta manipolazione e prevaricazione.
E’ evidente, pertanto, che se non si lotta insieme per rendere non ordinaria la violenza nel linguaggio, nel fare comune, nei messaggi dei media e dei social, purtroppo, con facilità sempre maggiore, l’aggressività caratterizzerà anche e soprattutto la relazione tra generi, in particolar modo nei casi in cui uno degli esponenti si trovi in una situazione oggettiva di inferiorità o venga erroneamente considerato tale.
Se il discorso sembra, e forse lo è, banale laddove riferito alla violenza palese e percepibile, a mio avviso è meno scontato, ma ancor più imprescindibile che, insieme, si combatta la violenza occulta costituita dai modelli disfunzionali imposti continuamente all’uomo ed alla donna dall’attuale società, che li riducono a simulacri di persone.
L’uomo deve essere forte, di successo, con potere, soldi, influente con relazioni sociali importanti, competitivo sul lavoro, curato e seducente, perché “cacciatore”, sempre giovane e mai perdente in nessun campo. La donna deve essere infaticabile, infallibile, dedita esclusivamente al marito, o al compagno, e ai figli (quando esistenti), ma anche in carriera e soprattutto sempre sexy, categoria che oggi ha sostituito la bellezza (sic.).
Gabbie identitarie a ben vedere surreali, oltre che irrealizzabili, che, nei fatti, assecondiamo e tolleriamo non contrastandole, in parte perchè certamente collegate alle spinte più ancestrali, e meno spirituali, dell’essere uomo o donna e, in parte poiché in fondo, con una certa superficialità, le consideriamo, nella migliore delle ipotesi, innocue, nella peggiore addirittura positive e necessarie per la conduzione di una vita, sempre più pubblica che privata, appagante e divertente.
Limitazioni che, ignorate nel mondo “adulto”, si presentano in tutta la loro nocività nella dimensione dei più giovani, quando si insinuano nelle menti e nei gesti delle nuove generazioni attanagliandoli in ulteriori catene che prendono il nome di bullismo, anoressia, difficoltà di comunicazione, vuoto esistenziale, dipendenza dai social e pedofilia.
Che interazione può esserci tra esponenti di una umanità ai quali viene chiesto, in nome di una felicità esclusivamente materiale, di essere oggetto di desiderio, potere, successo, conquista, e non soggetti?
A queste condizioni lo spazio tra l’uno e l’altro viene riempito dalla sopraffazione, dall’utilizzazione per i propri scopi, dalla esibizione, dal controllo e dal dominio, generando rapporti che in quanto non nutriti dal rispetto diventano fonti di insoddisfazioni, conflitti e sofferenze a prescindere dal se sia l’uomo o la donna a rivestire il ruolo di “res” nella relazione.
Forse dovemmo iniziare a mettere via qualcosa e a colmare di nuovi contenuti l’essere uomo e l’essere donna, per poter beneficiare dei conseguenti legami e far brillare i ponti che, collegando modelli che sovrastano l’individualità, avvicinano fantasmi e non persone.
Meglio un muro.
Un muro da trasformare in un foglio bianco su cui scrivere non chi (o cosa) deve essere l’uomo o la donna nella società, e cosa sia doveroso che l’uno o l’altra faccia in base a copioni desueti, ma su cui appuntare chi è e quali sono le meraviglie racchiuse nell’essere umano incontrato, per redigere insieme le condizioni di una crescita comune paritaria e riguardosa di entrambe le identità, perché solo a queste condizioni possiamo sperare di ottenere un concreto miglioramento nella società.
Riscoprire la nostra unicità, e ritrovarsi in essa. Creare equilibri inediti, originali, con posizioni mutevoli a seconda delle necessità operative e della felicità di entrambi.
Così sarebbe più facile spostare un po’ di cose proprie per accogliere quelle di cui l’altro è portatore, recuperando l’essenziale dello stare insieme come quando, da bambini, non ci interessava chi doveva fare cosa, ma solo sapere
Chi sei?
Cosa ti piace?
Come ti posso fare felice?
Cosa posso fare per te?
Mi amerai per sempre?
Mangeresti una rana viva per salvarmi?
Un muro che da separazione diventa spazio vuoto sul quale uomini e donne possono disegnare a quattro mani nuovi e mobili confini.
Un’impresa epica, necessaria e da compiere in fretta, perché oltre a rovinare e a falciare molte vite la limitatezza degli schemi in cui ci siamo fatti congelare sta uccidendo anche l’amore.