Ponti versus muri, o muri e ponti.13) Chi aiuterà il giudice a dialogare col minore nel nuovo processo di famiglia? L’esperto come San Cristoforo
di David Cerri
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Oggi più che mai il ruolo del consulente nel processo civile può e deve essere valorizzato, in particolar modo per le funzioni conciliative che possono essergli affidate, e nell’ambito specifico del diritto di famiglia, dove non è sufficiente per la tutela dell’interesse del minore affidarsi a magistrati ed avvocati autodidatti.
San Cristoforo
Narra Iacopo da Varazze, nella sua Legenda Aurea (seconda metà del ‘200) che a Reprobo (diranno i CTU cui questo contributo è dedicato: si comincia male…), robustissimo traghettatore cananeo, una mattina si presentò un bambino per attraversare il fiume. Se lo caricò sulle spalle ed entrò col suo bastone in acqua: ma il peso del piccolo si rivelò insospettabilmente smisurato; alla fine ce la fece, a stento, a finire la traversata, ma se ne lamentò subito. Al che il bambino gli rispose di non meravigliarsi, perché in realtà lui aveva trasportato su di sé non solum totum mundum, ma anche chi lo aveva creato. Da questa rivelazione il nuovo nome del buon (in precedenza non troppo) uomo, Cristoforo.
Consapevole di “averla presa larga”, il riferimento mi è sembrato opportuno per inquadrare immediatamente il ruolo del consulente dell’ufficio, come - più che un "pontiere" da Genio militare - appunto un San Cristoforo che traghetta le parti dal loro nebbioso porto di partenza a quello giudiziale d'arrivo, con la grande responsabilità di tradurre al meglio le posizioni delle parti attraverso l’accertamento dei fatti che vengono da loro allegati e portati in giudizio, e la loro trasformazione da significanti a significati (non è questa la sede per ricordare le distinzioni tra consulenza deducente e percipiente ecc.); un peso davvero smisurato, e con la consapevolezza del rischio di mutarsi da Santo in Caronte (almeno per una delle parti). Giusto mi è parso, allora, trattarne la figura in questa serie di contributi dedicati a ponti e muri, ma con l’avviso al lettore che ne parlerò solo in riferimento al processo civile.
Inizierò allora a sottolineare che se mai c’è stato un tempo nel quale la definizione di traghettatore o costruttore di ponti meglio si attagli al CTU, è questo, il nostro; perché è il legislatore ad aver dato una chiara indicazione in tal senso. Mi riferisco naturalmente alla condizione di procedibilità introdotta dalla cosiddetta legge Gelli-Bianco del 2017 a proposito delle azioni di risarcimento del danno per responsabilità sanitaria. Il necessario richiamo all'articolo 696 bis c.p.c. (e, pare ancora non per molto, all’alternativa della mediazione, già statisticamente irrilevante nella prassi) ha infatti introdotto tra le capacità di cui i consulenti devono dotarsi quella di sapersi destreggiare nelle tecniche di composizione della lite; che poi, di fatto, tali requisiti siano rispettati è una domanda alla quale purtroppo si potrà dare una soddisfacente risposta solo dopo che nelle categorie professionali interessate si sarà offerta e praticata una formazione adeguata anche sotto quel profilo, come si è iniziato a fare quantomeno in alcune Scuole di specializzazione in medicina legale; del resto, dobbiamo anche dirci francamente che l'attenzione sul tema non è eccessiva neppure in quei documenti - come il Protocollo CSM - CNF - FNOMCEO dell’aprile 2018, ed anche nelle relative, precedenti delibere dell’organo di autogoverno della magistratura – che hanno messo a punto linee guide operative per i nuovi Albi dei consulenti.
La consulenza su famiglie e minori
Se c’è però un campo nel quale è necessaria, oltre ad una capacità tecnica, anche una sensibilità particolare – proprio in funzione del dialogo che qui ci interessa - è certamente quello delle consulenze in materia di famiglia; e qui la riflessione si fa ancora più attuale, in vista della riforma del codice di rito civile di cui alla legge delega di recente approvata (AC 3289, ora L.206 del 26.11.2021). Le (talvolta relative) novità affidate ai futuri decreti legislativi che più ci interessano sono:
A. La predisposizione di autonoma regolamentazione della consulenza tecnica psicologica
B. L'individuazione dell'esperto per determinati interventi
C. Il piano genitoriale
e le tratterò brevemente di seguito, con una appendice a proposito dell'ascolto dei minori che costituirà anche una sorta di riepilogo delle mie opinioni.
A. La futura nuova regolamentazione della CTU psicologica (lett.dd) c.23 dell’art.1 L.206/2021) comporta in primo luogo l’adeguamento degli albi dei consulenti tenuti dai tribunali con l'inserimento della specifica categoria dei neuropsichiatri infantili, degli psicologi delle dell'età evolutiva e degli psicologi giuridici o forensi; tutte categorie che gli esperti del settore ben conoscono ma che (in particolare per l'ultima) non godevano di un riconoscimento normativo apposito. il comma 34 del medesimo articolo introduce da subito un nuovo n.7) nel terzo comma dell'art.13 delle disposizioni di attuazione del codice, e soprattutto inserisce un nuovo comma all'art.15, riguardante i requisiti della “speciale competenza tecnica”.
I requisiti indicati sono - alternativamente o congiuntamente - i seguenti:
- al n.1 si richiede una comprovata esperienza professionale in materia di violenza domestica e nei confronti di minori
- al n.2 si indica il possesso di adeguati titoli di specializzazione o di approfondimento post universitari nelle categorie indicate, con la richiesta di almeno 5 anni di anzianità negli albi professionali
- al n.3 si chiede lo svolgimento per almeno 5 anni di attività clinica con minori presso strutture pubbliche o private.
Si tratta certamente di indicazioni che si inseriscono in un quadro già delineato in diverse sedi, ma credo utile un confronto con i principali elementi di valutazione della “speciale competenza”, ai fini dell’inserimento negli Albi dei consulenti, che si leggono nel cit. Protocollo CSM - CNF - FNOMCEO e che consistono:
a) nell’esercizio della professione nella disciplina interessata per un periodo minimo, successivo alla specializzazione, orientativamente non inferiore a 5 anni;
b) in un adeguato curriculum formativo post-universitario, indicante sia i corsi di livello universitario o assimilato, sia i corsi di aggiornamento rilevanti ai soli fini del circuito ECM, nonché le eventuali attività di docenza;
c) in un adeguato curriculum professionale, indicante le posizioni ricoperte e le attività svolte nella carriera professionale (“a titolo esemplificativo: ruoli svolti, datori di lavoro, strutture ove si è prestato servizio, tipi e aree di attività praticate, attività di consulenza professionale svolta presso imprese ecc.”);
d) nell’eventuale possesso di un curriculum scientifico, indicante attività di ricerca e pubblicazioni, oltre all’iscrizione a società scientifiche;
e) nell’eventuale possesso di riconoscimenti accademici o professionali o di altri elementi che possono connotare l’elevata qualificazione del professionista.
Credo che il legislatore delegato possa tenere fruttuosamente conto di tali ulteriori indicazioni, valutando in particolare quello del concreto esperimento di attività professionale per un congruo periodo, che a mio parere sarebbe stato opportuno abbinare, e non prevedere in forma alternativa, al possesso di idonei titoli di studio.
Salta all'occhio che non c'è un riferimento espresso alle capacità in tema di conciliazione; e mi chiedo – ed in realtà vorrei suggerire…- se i decreti attuativi non possano individuare in modo esplicito quantomeno l’opportunità di possederle allorquando, magari anche in forma solo esemplificativa, potranno individuare più nel dettaglio i “titoli di specializzazione o di approfondimento post universitari”, specialmente se sì considera che tali titoli dovrebbero essere “adeguati“.
Non mi pare, invece e purtroppo, che si potrà pretendere che venga richiesto anche lo svolgimento di un tirocinio pratico sotto quel profilo, requisito che sarebbe in realtà essenziale e che come tale è previsto dalla normativa generale in materia; si deve dedurre che il legislatore della delega abbia supposto che l'anzianità di iscrizione negli albi professionali, o quella lavorativa, di per sé consentano l'acquisizione di quelle skills, ciò che effettivamente potrebbe avvenire in buona parte dei casi, giustificando però in questo modo un sotteso riferimento alla mera “competenza per esperienza”, che non può essere sufficiente: tornerò sul punto.
A me pare, a questo ed altri propositi, che il consulente tecnico in operazioni concernenti famiglie e minori non possa limitarsi ad un'indagine esclusivamente clinica, non solo trascurando - atteggiamento temo diffuso - atti e fatti allegati in causa, ma anche ponendo in sottordine i conflitti esistenti tra i genitori, spesso apparentemente insanabili, ovvero e più probabilmente valutandoli in vitro senza affrontarli, con l'unica conseguenza del suggerimento di successivi percorsi terapeutici individuali o di coppia, oggetto di eventuali monitoraggi. Mi rendo conto che considerare in modo adeguato tali profili possa significare un ampliamento degli obiettivi di una consulenza tecnica che può apparire indebito, sconfinando in indicazioni di tipo terapeutico; ma credo che in realtà una precisa formulazione dei quesiti che tenga conto anche di tale necessità sia uno degli strumenti migliori per consentire la tutela di quel preminente interesse del minore di cui tutti ci riempiamo la bocca. Giusto per fare un esempio, se leggo la proposta di quesito contenuta nelle Indicazioni operative per la CTU su famiglie e minori del Tribunale di Milano dello scorso ottobre, constato che al §2 si chiede al consulente di valutare quali siano le competenze genitoriali, “con particolare riguardo alle funzioni di cura protezione ed educazione, funzione riflessiva… empatica/affettiva e organizzativa, capacità di garantire l'accesso all’altro genitore e di salvaguardarne la figura agli occhi dei figli, assunzione attiva di responsabilità ivi incluse quelle indispensabili ad un esercizio condiviso della genitorialità”. Ebbene, confesso di dubitare che il mero possesso di titoli di istruzione, o la mera anzianità operativa, e neppure una consolidata esperienza di consulenze, consentano autonomamente all’esperto di fornire al giudice quelle indicazioni pratiche - si pensi soltanto al regime dei rapporti e contatti tra i genitori ed i figli - che giustamente le parti si attendono, e che costituiscono le modalità materiali per assicurare l'interesse del minore, se quell’esperto non ha saputo in primo luogo far dialogare tra loro i genitori per un semplice difetto di preparazione. Mi si dirà: ma non è possibile che uno psicologo, un neuropsichiatra infantile, ecc., non annoveri nel suo curriculum teorico e pratico anche tali specifiche capacità… meglio, risponderò, allora proprio niente impedirebbe che esse fossero esplicitamente richieste e valutate ai fini del conferimento degli incarichi. Bisogna dare al costruttore mattoni e putrelle, malta e bulloni per erigere il ponte: che male c’è a controllare la bolla di consegna dei materiali ?
B. L'esperto per determinati interventi: la previsione di cui alla lett.ee) dell’art.1 L.206, della facoltà per il giudice di nominare un professionista, anche al di fuori dell’albo dei consulenti tecnici, “dotato di specifiche competenze in grado di coadiuvare il giudice per determinati interventi sul nucleo familiare, per superare conflitti tra le parti, per fornire ausilio per i minori e per la ripresa o il miglioramento delle relazioni tra genitori e figli”, è subordinata alla richiesta concorde di entrambe le parti (requisito necessario anche per la nomina fuori dall'albo). Ora, a me pare che simile presupposto costituisca un notevole limite alla operatività dell'istituto; ed anche che la giustificazione datane nei lavori della commissione Luiso (sub lett.ff) art.15 ter progetto) sia la spia del fallimento della tutela dei diritti nel nostro sistema. Mi riferisco alla considerazione, che vi si legge, che il primo motivo per tale concorde richiesta sia quello dei costi, che saranno a carico delle parti. Sarò un inguaribile ingenuo, ma credo che quantomeno per ciò che coinvolga i minori non si valuti a sufficienza e sistematicamente il conflitto di interessi coi genitori, anche se solo potenziale; e lo dico senza infingimenti in modo strumentale, per indicare la possibilità dell'accesso al gratuito patrocinio, soprattutto oggi che nella delega viene valorizzata la figura del curatore speciale. Credo che l'alternativa che viene inevitabilmente suggerita, vale a dire il ricorso agli ordinari strumenti di ausilio (come i servizi sociali) sia deludente e non tanto (o meglio, non soltanto) per una possibile differenza qualitativa tra l’apporto dell'esperto e quello delle strutture indicate (v. pro futuro la lett.ff) del c.23) ma per la constatazione, che è sotto gli occhi di tutti, dei limitati poteri di intervento di queste ultime, in primo luogo per difetto di risorse materiali ed umane.
Il secondo motivo che giustificherebbe la richiesta congiunta è più interessante: la particolarità degli interventi da attuare necessiterebbe della collaborazione delle parti, ovviamente impossibile se ci fosse un contrasto sulla stessa decisione di ricorrere a questo tipo di esperto. Che dire ? che è vero, ma anche che si torna al punto di partenza: non si può far altro che prendere atto del diniego di una parte, o piuttosto si potrebbe affidare preliminarmente all'esperto il compito di mediare (se lo sa fare) giusto allo scopo di ottenere quel consenso ? un simile risultato, se ottenuto, costituirebbe probabilmente un buon viatico per la migliore definizione delle questioni indicate dal giudice e dalle parti, ovvero per l'attuazione degli interventi opportuni.
In questa ottica, tornando sul profilo dei costi, trovo che a livello territoriale non dovrebbe essere impossibile la stipula di convenzioni con gli ordini professionali interessati per la redazione di tariffe “calmierate” relative a prestazioni dall'ambito ridotto come questa qui suggerita: tornerò sull'argomento tra poco a proposito dell'ascolto.
C. In più luoghi della riforma appaiono espliciti riferimenti al piano genitoriale, che assume un rilievo specifico negli atti introduttivi (v. lett.f c.23) e nei provvedimenti provvisori ed urgenti (lett.r). Senza entrare nel dettaglio di una possibile definizione (mi accontento di quella di un accordo dei genitori per la tutela dei figli nella nuova condizione creata dalla rottura del rapporto personale tra i primi) o dei contenuti (dove me la cavo rimandando ad alcuni modelli che circolano già da alcun tempo, come quelli del Tribunale di Civitavecchia), mi limito a sottolineare per quel che qui interessa l'indispensabilità del contributo di un consulente, tanto per l'attività delle parti (per la quale saranno i difensori a doversi munire di una simile collaborazione tecnica) quanto per quella del giudice (che non vedo come possa contare esclusivamente sulla propria competenza, anche nel caso che abbia alle spalle una adeguata esperienza). E proprio quest'ultima nota mi consente di andare alla conclusione con un cenno all'ascolto del minore.
L’ascolto, uno dei temi più dibattuti in materia, da tempo e per fortuna, vede nella riforma diversi accenni (v. lett.s) e t) c.23) ed in particolare un più ampio impegno al riordino “anche alla luce della normativa sovranazionale di riferimento” (lett.dd), richiamo che nei lavori della Commissione Luiso è reso esplicito con la menzione del Regolamento UE 2019/1111 (si tratta in particolare del Considerando 39 e degli artt.21 e 26) relativo “alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori”, destinato a sostituire dall'agosto 2022 il Regolamento 2003/2201.
Ciò significa dare al minore (Considerando 39) “una possibilità concreta ed effettiva di esprimere la propria opinione e garantire che tale opinione sia presa debitamente in considerazione ai fini della valutazione dell’interesse superiore del minore”. La nota più rilevante della riforma sul punto è l’espressa previsione che l’ascolto non sia delegabile (lett.t) c.23), così ponendo fine a prassi di vario tipo. L’indicazione è del tutto condivisibile, tuttavia vi vedo un rischio: che si legittimi (tra le righe: non c’è affatto scritto) un ascolto da parte del solo giudice, non tanto per la tralaticia definizione di quest’ultimo come peritus peritorum, quanto per l’assolutizzazione della sua “competenza per esperienza”, profilo che ho già più volte negativamente ricordato.
È invece proprio qui che il ruolo del consulente come facilitatore del rapporto con il giudice ai fini dell’accertamento della reale condizione del minore vede la sua esaltazione: chi se non l’esperto può davvero rendere concreta ed effettiva la comprensione dell’espressione della opinione del minore, che non può non essere il presupposto della valutazione di quell’interesse superiore ? Ho scritto espressione dell’opinione, e non solo opinione, proprio per sottolineare il lavoro di “traduzione” compito specifico del consulente.
Il legislatore del precedente tentativo di disegno di legge delega (AS 2284) tra i principi direttivi per l’istituzione dei tribunali della famiglia (art.1, lett.b), n.13.2.2) aveva pensato di menzionare espressamente “l'assistenza di un ausiliario specializzato in psicologia o psichiatria ove il giudice lo ritenga opportuno”, che corrisponde poi alla realtà normativa che già conosciamo (art.336 bis c.c.: “anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari”) ed a quella or ora modificata a proposito delle misure di protezione, laddove nei comma aggiunti all’art.403 c.c. si conferma che il giudice relatore “procede inoltre all'ascolto del minore direttamente e, ove ritenuto necessario, con l'ausilio di un esperto”. Nel veloce percorso dell’AC 3289 era poi destinato a soccombere alla fiducia un emendamento tra i tanti (1.95 Bellucci ed a.) secondo il quale l’ascolto del minore avrebbe dovuto essere condotto “in presenza di uno psicologo infantile”. Ed in ambito penale più volte si ricorre (art.351, 362 c.p.p.) o si può ricorrere (art.498) all’ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile. Mi pare strano che lo si possa fare quanto il minore è un teste, e non quando è nel suo interesse…
È presto per dire se l’ufficio del processo, con la presenza dei giudici onorari al suo interno, potrà costituire – come auspico - lo strumento utile a facilitare quella comprensione del “messaggio” lanciato dal minore al suo giudice (v. al c.24, lett.i), tra le altre, le funzioni di conciliazione e di ausilio all’ascolto), considerato comunque anche che nei nuovi tribunali per le persone già i magistrati dovranno essere scelti tra quelli dotati di specifiche competenze nelle materie de quibus; ma non è facile capire quanto sia voluto l’omesso riferimento alla presenza dell’esperto. Se, volendo esser maliziosi, tra le ragioni inespresse ci fosse ancora quella relativa ai costi, analogamente a quanto sopra già osservato una risposta potrebbe esser data da accordi almeno su base territoriale con gli ordini professionali, dei quali potrebbero farsi promotrici, oltre agli stessi tribunali, le associazioni forensi specialistiche.
Una volta di più, per gettare ponti tra le parti e tra queste e il giudice (ed un vero e proprio salvagente al minore), occorre una competenza specifica che, oltre a costituire un dovere deontologico, deve essere oggetto di un percorso formativo verificato; soprattutto, si impone al magistrato ed all’avvocato che operano in questi ambiti un esame di coscienza che, ove condotto con umiltà, possa quando opportuno spingerli a chiedere aiuto a chi ne sa più di loro.