Ponti versus muri, o muri e ponti. 12) Il ponte di Piero Calamandrei (una storia fiorentina)
di Giuliano Scarselli
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Sommario: 1. La distruzione dei ponti fiorentini ad opera dei nazisti nella notte tra il 3 e il 4 agosto del 1944 e il ponte di Santa Trinita a Firenze - 2. Piero Calamandrei non era a Firenze quella notte, vi rientrerà il 28 agosto 1944 - 3. L’idea di una nuova rivista per la ricostruzione morale del paese - 4. L’idea di chiamare quella rivista Il Ponte - 5. Il dovere morale di ricongiungere la libertà individuale con la giustizia sociale attraverso la politica, l’economia, l’arte e la letteratura - 6. La ricostruzione del Ponte di Santa Trinita come era e dove era - 7. Una curiosità e gli auguri per le prossime feste.
1. La distruzione dei ponti fiorentini ad opera dei nazisti nella notte tra il 3 e il 4 agosto del 1944 e il ponte di Santa Trinita a Firenze
La notte tra il 3 e il 4 agosto del 1944 i tedeschi in fuga, per ritardare il sopraggiungere delle forze alleate e dei partigiani, fecero saltare tutti i ponti di Firenze.
Evitarono solo il bombardamento del Ponte Vecchio, ma egualmente distrussero tutte le vie adiacenti a quel ponte: Via Por Santa Maria, Via dei Bardi, Via Guicciardini, Borgo San Jacopo, “e le più antiche e care torri della Firenze di Dante”[1].
Cadeva, così, con le bombe naziste, il Ponte di Santa Trinita, tra Via Tornabuoni e Piazza Frescobaldi.
Su ordine di Cosimo I dei Medici, il Ponte di Santa Trinita veniva costruito da Bartolomeo Ammannati tra il 1567 e il 1571, su un disegno di Michelangelo.
Veniva costruito in pietra forte, di colore bruno giallogno, con una moderna linea a tre arcate, che Michelangelo aveva già avuto modo di mettere in pratica nelle tombe delle Cappelle medicee e nella scalinata del vestibolo della Biblioteca Laurenziana; una curva che costituiva da una parte una innovazione estetica, in grado di anticipare la successiva moda del barocco, e dall’altra una notevole resistenza statica, visto che in passato quel ponte, sotto la forza del fiume, era già più volte crollato: nel 1259, sotto il peso della folla che assisteva ad uno spettacolo sull’Arno, nel 1333 sotto la spinta di una grande piena, e ancora nel 1557, sempre a causa di una alluvione.
Il Ponte di Santa Trinita doveva poi la sua eleganza anche ai piloni di sostegno, e soprattutto alle quattro statue allegoriche aggiunte nei quattro angoli, che raffigurano le quattro stagioni, collocate sul ponte nel 1608, in occasione delle nozze tra Cosimo II dei Medici e Maria Maddalena d’Austria: un gioiello fiorentino.
Quella notte, fu una notte terribile per i fiorentini e la città.
Gli abitanti delle strade interessate dai bombardamenti furono avvertiti nelle 24 ore precedenti, e furono messi al riparo nel vicino Palazzo Pitti, già residenza dei Granduchi e del Re Vittorio Emanuele II.
Gli altri, terrorizzati e disperati, rimasero chiusi nelle loro case.
Tra questi, sia consentito il ricorso, mia madre, che abitava non lontano da ponte vecchio, e che era, nel ’44, una ragazzina di diciotto anni.
Fa parte delle immagini che ancora oggi io ho di lei, la sua narrazione di quella notte, fatta di rumori assordanti, di una paura fortissima e indescrivibile, e di una rabbia profonda, una rabbia vissuta come indelebile; la rabbia di una vecchia fiorentina, la quale, come tutti i vecchi fiorentini, considerava una ferita fatta a sé, una ferita fatta alla città.
2. Piero Calamandrei non era a Firenze quella notte, vi rientrerà il 28 agosto 1944
Quella notte, Piero Calamandrei non era a Firenze.
Il 12 settembre 1943 i tedeschi avevano requisito la sua casa del Poveromo, in Versilia, e Piero Calamandrei decideva allora, con la moglie Ada, di spostarsi a Treggiaia, un piccolo paese nella provincia di Pisa, esclusa l’idea di vivere a Firenze in un momento così drammatico e tumultuoso.
Successivamente, e precisamente il 17 ottobre 1943, Piero e Ada si spostavano di nuovo, e si trasferivano a Collicello, in Umbria, e rimanevano lì nove mesi, sino a luglio del 1944.
Successivamente, per raggiungere il figlio Franco, che nel frattempo, e in gran segreto, si era sposato a Roma il 13 giugno “con una fanciulla che si chiama Maria Teresa” (così nel diario del 1 luglio 1944)[2], Piero Calamandrei, sempre insieme alla moglie, raggiungeva Roma; ciò avveniva l’8 luglio 1944, e la permanenza romana si sarebbe protratta per quasi due mesi.
Quella notte, quindi, Piero Calamandrei si trovava a Roma.
Nel diario, al 3 agosto 1944, Piero Calamandrei niente annotava su Firenze; al 4 agosto scriveva: “Notizia che gli alleati sono nei sobborghi di Firenze”; al 5 agosto scriveva di aver avuto, in mattinata, un colloquio con il monsignor Barbieri del Laterano, e poi: “Gli alleati hanno occupato la parte sud di Firenze fino all’Arno. Saltati i ponti, compreso quello di Santa Trinita! Il ponte vecchio ostruito……..Crollato il palazzo Guicciardini per ostruire l’accesso al ponte vecchio…….Tutta la notte, nel dormiveglia, ho pensato a Firenze”; il 6 agosto di nuovo scriveva: “Sono andato a trovare Orlando a Montecitorio”.
Indiscutibilmente, dunque, in quei giorni, Piero Calamandrei si trovava a Roma, e Firenze era solo qualcosa che turbava i suoi sogni.
L’11 agosto iniziava la Battaglia di Firenze per la sua liberazione.
Piero Calamandrei scriveva nel suo Diario fatti relativi ai rischi di scissione del partito d’azione (“Colloqui con La Malfa per evitare la scissione del Partito d’azione”), e solo il 12 agosto annotava: “Notizie che vi sarebbe in città (Firenze) una vera e propria guerra civile tra fascisti e patrioti”; per poi aggiungere: “Ieri sera pareva che l’ing. Cidonio ci portasse oggi in auto ad Amelia (paese tra Umbria e Lazio): all’ultimo momento dice che la macchina si è guastata”.
Le ragioni di quel viaggio si scoprono in una lettera dell’agosto ’44, che Piero Calamandrei inviava a Egidia e Ciro Polidori: “Due giorni fa un tale mi aveva fatto sperare di portarci ad Amelia (quindi la lettera dovrebbe essere, esattamente, del 13 agosto 1944), così vi avremmo visto. A Firenze non credo che ci si potrà andare in auto altro che dopo due o tre settimane dopo la liberazione completa”[3].
Nel Diario, il 18 agosto annotava; “che a Firenze nella parte nord sono rientrati i tedeschi con carri armati uccidendo e facendo prigionieri molti patrioti. Intanto ricorro a Ruffini per avere il permesso di andare a Firenze dal colonnello Schmtt del Comitato di Controllo; mi risponde che in questo momento è assolutamente impossibile. Nel pomeriggio vado al Risorgimento Liberale a conferire con il giornalista Bruno Romani, tornato a Firenze il 13. Fa una descrizione terrificante di Firenze”.
Piero Calamandrei era dunque in pena per non poter raggiungere la sua città: “Vi era stata una manovra per avere sindaco il Corsini. Se avesse saputo il mio desiderio di andare a Firenze mi ci avrebbe portato”.
Poi il 21 agosto: “Sono avvilitissimo per l’impossibilità di trovare un mezzo per fuggire da Roma”; e il 22 agosto ricordava il dramma del ponte di Santa Trinita scrivendo: “Parla Scarfoglio, il tedescofilo, rimpiangendo la caduta del ponte Santa Trinita; dice: Quando lo vidi l’ultima volta, mi venne la voglia di inginocchiarmi lì sul ponte, per pregare Iddio che lo risparmiasse”.
Si arrivava al 26 agosto: “Pare che mi sia stato dato il permesso di tornare a Firenze colla macchina che ha portato Codignola: partenza domani”.
Sarebbe partito per Firenze, invece, il 28 agosto, a mezzogiorno.
Scriveva: “Viaggio Roma – Firenze. Viterbo rasa al suolo; Bolsena Radicofani: un autobus di Roma in cima. Carri armati rovesciati. Nei casolari deserti e crollati si vedono le macchine che trebbiano il grano”.
E poi infine, il 31 agosto, annotava: “Si torna dal Ponte S. Trinita: difficoltà a portar la bicicletta sulla passarella”.
3. L’idea di una nuova rivista per la ricostruzione morale del paese
La rivista Il Ponte, rivista di politica, economia e cultura, così recitava il sottotitolo, fu il frutto di una idea che a Piero Calamandrei venne dopo che la città fu liberata dei nazisti.
La ragione della nascita della rivista era quella di risalire dall’abisso nel quale il fascismo e il nazismo avevano fatto cadere l’uomo.
Il forte desiderio della creazione di questa nuova rivista Piero Calamandrei lo aveva infatti manifestato in più di una lettera dopo il suo rientro a Firenze.
Solo a titolo di esempio ricordo qui quanto scriveva a Pietro Pancrazi il 16 dicembre 1944: “La rivista bisogna farla a tutti i costi…….un nome che potrebbe andar bene: Il Ponte; bisogna infonderci dentro questa po’ di disperata vitalità che ancora ci rimane”; sempre a Pietro Pancrazi, 18 dicembre 1944: “Il Ponte, se ti piacesse, potrebbe significare non solo la continuità tra il passato e l’avvenire, non solo ricostruzione sul vuoto per passar di là, ma anche passaggio dalla regione all’Italia e all’Europa”.
Alla fine, Piero Calamandrei riusciva a realizzare il suo sogno; la rivista, infatti, vedeva la luce con il suo primo numero nell’aprile del 1945.
Piero Calamandrei, di nuovo, spiegava le ragioni e le ambizioni della nuova rivista nell’editoriale: “Il fascismo e il nazismo, con tutti i loro orrori, sono stati la espressione mostruosa dello spengersi nelle coscienze della fede dell’uomo……..e la sconfitta militare delle forze fasciste non è la conclusione, ma la premessa per la costruzione di una società libera”.
Su questa premessa, dunque, Piero Calamandrei: “invitava a collaborare al PONTE tutti coloro che sentono, come noi sentiamo, che la sorte del mondo dipende da questa ricostruzione morale. La nostra non sarà una rivista di partito o di scuola; ma in tutti gli articoli che vi saranno pubblicati, qualunque ne sia l’argomento, politico o economico, storico o giuridico, filosofico o letterario, il PONTE cercherà la presenza vivificatrice di questo interesse morale”.
E aggiungeva che ciò costituiva tributo doveroso di ognuno: “a migliaia di uomini coerenti che hanno testimoniato la verità delle loro idee coll’esser pronti a morire per esse, ed hanno rivendicato il valore della vita coll’esser pronti a sacrificarla”.
E poi un’immagine: “Chi si metta in cammino per le devastate campagne toscane incontra ad ogni passaggio di fiume o di torrente squadre di operai che lavorano a ricostruire arcate distrutte………..invitiamo gli amici che provano questo stesso angoscioso bisogno di sentirsi operai del lavoro che ricomincia, a portarci la loro pietra”.
4. L’idea di chiamare quella rivista Il Ponte
Parimenti, Piero Calamandrei, nell’editoriale di quel primo numero, spiegava altresì le ragioni per le quali la rivista prendeva il nome de Il Ponte.
Norberto Bobbio sosteneva che l’idea del ponte veniva a Piero Calamandrei “dalla pena per i ponti di Firenze distrutti dai tedeschi in fuga”[4].
Ciò è senz’altro vero, poiché rientrato a Firenze dopo la liberazione, e preso atto con sgomento e dolore della situazione nella quale la città si trovava, di cui la distruzione dei ponti ne era un momento centrale, Piero Calamandrei certamente immaginava che Il Ponte fosse il simbolo tra passato e futuro, tra distruzione e ricostruzione; e certamente il ponte di Santa Trinita, il principale ponte fiorentino distrutto dai tedeschi, costituiva la prima, e direi la fondamentale, immagine di quel costrutto.
Lo confessa lo stesso Piero Calamandrei riferendosi al ponte Santa Trinita: “Non posso dimenticare la prima visione di quella rovina, come mi apparve la mattina del 29 agosto, appena potei rientrare a Firenze”[5].
E in più di un momento, infatti, Piero Calamandrei manifestava preoccupazione per il ponte di Santa Trinita.
A Egidia e Ciro Polidori, il 13 agosto 1944 scriveva: “Il nostro ponte S. Trinita è ridotto ai tronconi dei pilastri”.
In uno scambio epistolare con Gaetano Salvemini egli poi si preoccupava soprattutto per la sua ricostruzione.
In una lettera del 9 novembre 1944: “Ho comunicato a Pieraccini (Gaetano Pieraccini, 1864 – 1957, il nuovo sindaco di Firenze, nominato dal Comitato toscano di liberazione nazionale) quanto mi domandi sui ponti straziati. E’ difficile dare una risposta, non dico precisa, ma anche approssimativa. Ai prezzi di oggi la ricostruzione del ponte S. Trinita potrebbe richiedere (dicono i tecnici) circa sessanta milioni”. E nella lettera del 2 febbraio 1945: “Spero che a quest’ora avrai ricevuto la risposta affermativa alla generosa proposta concernente la ricostruzione del ponte S. Trinita. Pieraccini, consultato l’ufficio tecnico, mi dice che è difficilissimo, quasi impossibile, calcolare ora con qualche esattezza ciò che la ricostruzione potrà costare; ma tutti sono convinti che un milione di dollari sarà sufficiente, forse più che sufficiente. Grazie, dunque, per Firenze, naturalmente alla cosa per ora non è stata data alcuna pubblicità”. E ancora, rivolgendosi alle università brasiliane quale rettore dell’Università di Firenze, il 20 maggio 1945 comunicava loro che: “La bestiale furia tedesca ha fatto saltare i ponti, che erano miracoli di leggiadria”, ma “Il ponte a Santa Trinita lo rifaremo”[6].
Da tutto questo, dunque, il nome da dare alla rivista: “Il nostro programma è già tutto nel titolo e nell’emblema della copertina; un ponte crollato, e tra i due tronconi delle pile rimaste in piedi una trave lanciata attraverso, per permettere agli uomini che vanno al lavoro di ricominciare a passare”.
Infine, accanto al dolore, anche la gioia di una vita nuova che si schiudeva, la speranza di un futuro che doveva essere luminoso.
Piero Calamandrei, nell’ultima annotazione del suo Diario, che porta la data del Maggio 1945, così infatti descriveva questi sentimenti: “Lo scampanio mi coglie in piazza del Duomo: la gente si ferma, ascolta un istante il campanone, e poi capisce. Tutti capiscono e si mettono a correre, ridendo, gesticolando. Anche il sole al tramonto, razzando dalle aperture delle strade, si mescola alla festa. Caro signor colonello Fuch, i ponti li avete fatti saltare, ma l’oro di queste sere, che in maggio non si trova che qui, non siete riuscito a rubarlo. M’avvio anch’io trascinato dal fiume di gente che ingrossa da tutte le porte. Dunque è finita: siamo arrivati, vivi, alla pace. LA PACE. Arrivo dove la gente sembra più in tripudio: dalle finestre bei ragazzoni ridenti salutano colle mani i dimostranti, e per ringraziarli lanciano qualcosa su di loro. In via del Proconsolo, tutti son fermi a capo all’insù, a guardare la Martinella che suona dalla torre del Bargello. Dalla soglia di una botteguccia un vecchio, in gabbanella da artigiano, guarda anche lui verso la torre, e commenta: “Ma chi ce li rende questi trenta anni?”
5. Il dovere morale di ricongiungere la libertà individuale con la giustizia sociale attraverso la politica, l’economia, l’arte e la letteratura
Il compito assegnato a Il Ponte da Piero Calamandrei credo debba riassumersi in due momenti: a) ricostruzione morale del paese; b) ricongiungimento delle libertà individuali alla giustizia sociale.
Questo obiettivo andava perseguito con gli strumenti della cultura; e la cultura, nello spirito della rivista, andava oltre la politica e il diritto, e doveva necessariamente investire anche l’economia, l’arte, la letteratura.
Dal 1946, infatti, la rivista divenne di “politica e letteratura”, secondo quegli intenti che Piero Calamandrei aveva non a caso annunciato a Piero Pancrazi anni prima anche nelle lettere sopra richiamate.
La letteratura, infatti, dopo il diritto e la politica, costituiva l’altro grande amore di Piero Calamandrei, e con la rivista Il Ponte egli meglio poteva così soddisfare e concretizzare questa sua passione, e dare alla letteratura quella funzione che, a suo parere, essa doveva avere.
Nella lettera del 5 dicembre 1945 ancora Piero Calamandrei scriveva a Piero Pancrazi che: “La letteratura deve riacquistare la dignità di un lavoro fatto sul serio, di una sofferenza dentro l’umanità, non di un sollazzo ozioso alla barba dell’umanità che soffre”.
Letteratura al servizio della politica (e politica intesa nel suo più alto significato), rivolta a quella borghesia fiorentina prima, e italiana poi, che, sensibile ad un rinnovamento morale e civile dell’Italia, era più di cultura umanistica che scientifica.
In fondo, Piero Calamandrei, nel pensare alla rivista, pensava a sé stesso, alla sua formazione, ai suoi piaceri dello spirito, alle sue esigenze di uomo di politica e di cultura; e non poteva essere altrimenti[7].
La rivista Il Ponte, in questi termini, quanto meno al suo sorgere, e per tutto il periodo in cui Piero Calamandrei ne fu il direttore, rappresentava un po’ la sua anima, e riuniva le persone che gli erano vicine nel Partito d’azione, al fine di divulgare quelle idee di libertà individuale e di giustizia sociale alle quali tanto Piero Calamandrei teneva.
Ancora nel primo editoriale egli diceva infatti di essere: “alla ricerca di archi politici che aiutino la libertà individuale a ricongiungersi con la giustizia sociale”.
Nella rivista, così, volle al suo interno Alberto Bertolino, un economista, poiché Piero Calamandrei aveva ben presente l’importanza dell’economia per una società più retta ed equa sotto il profilo sociale, e volle ovviamente a sé, oltre a Pietro Pancrazi, Vittorio Branca, Enzo Enriques Agnoletti e Corrado Tumiati per le sue battaglie sulle libertà e la letteratura.
Piero Calamandrei condurrà queste battaglie con la rivista fino alla sua morte, avvenuta nel 1956.
Dal 1957, e per successivi trent’anni fino al 1986, la rivista sarà poi diretta da Enzo Enriques Agnoletti, che la porterà avanti nel segno della continuità (seppur spostandola, a mio sommesso parere, un po’ a sinistra).
6. La ricostruzione del Ponte di Santa Trinita come era e dove era
Su idea di un antiquario fiorentino, Luigi Bellini, già nel 1948 fu creato a Firenze il comitato “Come era e dove era”.
Il comitato voleva la ricostruzione del ponte di Santa Trinita eguale a come Bartolomeo Ammannati lo aveva edificato, ed esattamente nello stesso punto e con le stesse caratteristiche, eguale financo nei minimi particolari.
Il comitato “Come era e dove era” avrebbe altresì svolto un ruolo economico poiché, a quelle condizioni, era disponibile ad aggiungere fondi privati a quelli previsti dallo stanziamento ministeriale per la ricostruzione del ponte.
In questo contesto, il Comitato Toscano di liberazione nazionale incaricava l’architetto Riccardo Gizdulich di dirigere le operazioni di recupero dei frammenti del ponte, un’attività che avrebbe impegnato tecnici e volontari per più di un anno; e parimenti l’amministrazione comunale affidava ad un ingegnere, Emilio Brizzi, lo studio della ricostruzione del ponte.
Un primo progetto di ricostruzione veniva redatto da Riccardo Gizdulich e da Piero Melucci tra il 1947 e il 1949; un ulteriore progetto veniva realizzato da Emilio Brizzi nel 1949.
Nel 1950 entrambi i progetti venivano però respinti dal Consiglio superiore dei lavori pubblici.
Si discuteva, soprattutto, sull’esigenza di utilizzare o meno il cemento armato per adattare il ponte alle necessità del traffico moderno; polemiche di rilievo addirittura internazionale, visto che nella discussione interveniva anche Andrè Chastel, con un articolo apparso su Le Monde nel 1951.
Nel febbraio del 1952 l’appalto veniva affidato alla ditta Fratelli Ragazzi di Milano, ma lo stesso veniva bloccato dopo qualche mese dal comitato “Come era e dove era”, che minacciava di ritirare i fondi raccolti se i lavori si fossero realizzati con l’uso del cemento armato.
Si arrivava, così, al giugno del 1952, quando il Comune di Firenze affidava definitivamente l’incarico della ricostruzione del ponte a Emilio Brizzi per gli aspetti strutturali e a Riccardo Gizdulich per quelli estetici e formali.
Il ponte di Santa Trinita doveva di nuovo essere quello di Bartolomeo Ammannati.
Il nuovo progetto veniva ultimato nel gennaio del 1954 e il 21 aprile del 1955 si apriva il cantiere.
I lavori duravano 3 anni, ovvero fino a gennaio 1958, e terminavano con la ricollocazione, dove erano e come erano, delle quattro statue tardo-cinquecentesche delle Stagioni, che, seppur danneggiate dalle esplosioni, si era riusciti a ricomporle interamente.
Il 16 marzo 1958 si teneva l’inaugurazione ufficiale del ponte di Santa Trinita,
Quello stesso giorno nel cinema Odeon, posto dietro Piazza del Duomo, veniva proiettato il film della ricostruzione del ponte, con il commento dello stesso architetto Riccardo Gizdulich.
Una festa per i fiorentini, alla quale, però, Piero Calamandrei non potè partecipare.
La sua vita, infatti, si fermava il 27 settembre 1956, a seguito di alcune complicazioni per un intervento chirurgico.
E pensare che solo due anni prima della sua morte, ovvero nel 1954, Piero Calamandrei aveva scritto ancora sul Ponte Santa Trinita[8]: “Dicevano che fosse il ponte più bello del mondo, certo è che a ripensarlo oggi com’era, a rivederne oggi la riproduzione su qualche vecchia stampa, ci accorgiamo che quei tre archi erano in realtà un’arcata sola. La flessuosa lievità di una linea unica; ma quale potenza di solidità statica. Gli altri ponti bastò minarli ai piloni, il ponte di Santa Trinità no, alla prima esplosione, scrollò appena le spalle, e restò in piedi. Allora quei manigoldi dovettero ricominciare da capo, lavorarono alla disperata tutta la notte ad avviluppare in una gabbia esplosiva l’intera arcata, e solo così, vicina all’alba, riuscirono a farlo saltare.
Il ponte di Santa Trinita umanizzato: “Questo affannarsi notturno di ombre spietate contro il ponte che resisteva, somiglia ad una scena di tortura: anche il più bel ponte del mondo, colpevole di aver resistito, fu condannato a perire di morte lenta, sotto i supplizi dei torturatori tedeschi”.
7. Una curiosità e gli auguri per le prossime feste
Un’ultima curiosità.
Al centro del ponte, sui due lati dello stesso, uno che guarda ed est, verso ponte vecchio, e l’altro che guarda ad ovest, verso le Cascine, sono state poste, sotto le spallette del ponte, le sculture di due teste di caprette.
A sporgersi, le due caprette si notano, ma impossibile sarebbe rilevare che le due caprette non sono affatto dello stesso umore, perché una è sorridente e l’altra è imbronciata; i loro musi sono infatti rivolti completamente verso l’acqua e gli unici che possono incrociare il loro sguardo sono i canottieri e i renaioli che attraversano l’Arno.
La capretta imbronciata è quella rivolta verso ponte vecchio, che sembra preoccupata a guardare l’arrivo del fiume, che con le sue piene ha creato in tanti momenti danni alla città e ai fiorentini; e l’altra capretta sorridente è invece quella che guarda a valle, sollevata e confortata dal fatto che ormai il fiume è invece passato senza fare danni.
Ebbene, è con questa immagine di speranza e serenità che credo la rivista Giustizia Insieme voglia fare gli auguri a tutti i suoi lettori per le prossime feste; auguri ai quali, ovviamente, mi permetto di aggiungere i miei personali.
[1] Così espressamente CALAMANDREI, Uomini e città della resistenza, Laterza, 2006, 136.
[2] Diario, 1933 – 1945, La nuova Italia editrice, Firenze, 1982, II.
[3] Lettere, 1915 – 1958, La nuova Italia editrice, Firenze, 1968, II.
[4] Il ponte, di aprile 1975, n. 4.
[5] CALAMANDREI, Uomini e città della resistenza, cit., 194.
[6] CALAMANDREI, Uomini e città della resistenza, cit., 143.
[7] Così l’attuale direttore de Il Ponte, MARCELLO ROSSI, Il ponte di Piero Calamandrei, in Processo e democrazia, Pisa, 2019, 158.
[8] Il Ponte del settembre 1954; Vedilo anche in CALAMANDREI, Uomini e città della resistenza, cit., 192 e ss.