Da minoranza a maggioranza: la diversità di genere influenza il processo decisionale?
di Maddalena Ronchi e Viola Salvestrini
Negli ultimi decenni, la magistratura italiana è stata protagonista di una marcata trasformazione in termini di composizione demografica. Dal 1965, anno in cui le prime otto donne entrarono a far parte della professione, vi è stato un progressivo incremento della partecipazione femminile in magistratura. Nel 1987, per la prima volta ci furono più donne che uomini tra i vincitori di concorso, ed è dal 2015 che il numero di donne in magistratura ha superato quello degli uomini. Oggi, il 54% dei magistrati è donna – e questa percentuale è probabilmente destinata ad aumentare nei prossimi anni, dal momento che le donne sono la maggioranza sia dei laureati in giurisprudenza che dei vincitori di concorso in magistratura. Sebbene le donne siano tuttora sottorappresentate negli organi più alti della magistratura (ad esempio, solo il 28% delle magistrate ricoprono incarichi direttivi, e il Consiglio Superiore di Magistratura è, per la grande maggioranza, composto da uomini), suggerendo quindi la presenza di un “soffitto di cristallo”, sembrerebbe solo una questione di tempo prima che la magistratura diventi, a tutti gli effetti, un organo “al femminile”. Viene dunque spontaneo chiedersi se e quali conseguenze questa progressiva trasformazione comporterà circa l’operato della magistratura stessa.
Sostenere infatti una equilibrata rappresentanza dei sessi negli organi decisionali, anche e soprattutto in magistratura, non è solo una questione di eguaglianza: “organi più equilibrati sotto il profilo del genere sono organi capaci di migliori decisioni e organi più attenti e sensibili”, come sottolineato da Marilisa D’amico, Professore ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Milano[1]. Il tema dell’equilibrio di genere appare infatti strettamente connesso alla funzionalità dell’organo. Tale concetto è stato ben messo in evidenza dal Giudice amministrativo, a proposito della composizione delle Giunte regionali e locali, affermando che “organi squilibrati nella rappresentanza di genere (…) risultano (…) potenzialmente carenti sul piano della funzionalità, perché sprovvisti dell’apporto collaborativo del genere non adeguatamente rappresentato” (TAR Lazio sent. n. 6673 del 2011). La differenza e la complementarità fra i generi costituiscono a tutti gli effetti una risorsa, per via “di tutto quel patrimonio, umano, culturale, sociale, di sensibilità e di professionalità, che assume una articolata e diversificata dimensione in ragione proprio della diversità del genere” (TAR Lazio sent. n. 6673 del 2011). Risorsa che viene a mancare nel momento in cui uno dei due generi non si trovi adeguatamente rappresentato. Dunque, se è condiviso e condivisibile, come sottolineato da Valerio Onida, ex presidente della Corte Costituzionale e professore emerito all'Università di Milano, e dalla Prof.ssa D’Amico, che “una giustizia in cui siano rappresentati sia donne che uomini è una giustizia migliore”[2] e che “una bassa presenza di donne all’interno di un organo incide negativamente sulla qualità delle determinazioni che quell’organo è chiamato ad assumere”[3], sarebbe importante verificare, dati alla mano, se la presenza sempre più numerosa delle donne in magistratura abbia influito sul modo di fare giustizia, e se una progressivamente ridotta presenza di uomini abbia effetti simili.
L’impatto della diversità di genere all’interno di un organo sul processo decisionale e sulla performance dello stesso è centrale nella letteratura scientifica, ed in particolare in quella economica. Studi hanno dimostrato che la presenza di donne all’interno di organi decisionali influenza le preferenze del gruppo, il processo decisionale e l’esito dello stesso[4]. Gruppi con una composizione più equa in termini di genere sembrano ottenere risultati migliori[5], ed avere diversi processi decisionali[6], un insieme di competenze più ampio[7] e stili diversi di corporate leadership[8] [8]. Tuttavia, l’evidenza scientifica sugli effetti della diversità di genere è limitata a pochi contesti, spesso circoscritti ad esperimenti di laboratorio dove le decisioni che il gruppo si trova a compiere sono di importanza marginale; oppure, nei casi in cui tali decisioni siano invece rilevanti, variazioni nella diversità di genere del gruppo raramente emergono spontaneamente – si pensi, ad esempio, alle quote rosa. Dunque, l’evidenza fornita dagli studi esistenti non sembrerebbe poter essere facilmente estesa al contesto della magistratura italiana.
Il nostro progetto di ricerca si propone di colmare questa lacuna nella letteratura studiando gli effetti della diversità di genere all’interno dei Tribunali Italiani, nelle istanze in cui questi operano collegialmente. Il contesto dei tribunali collegiali è particolarmente idoneo allo studio dell’impatto della diversità di genere all’interno di un organo decisionale per tre principali motivi.
In primo luogo, ci consente di verificare se collegi che si trovano a deliberare su reati comparabili raggiungano decisioni diverse a seconda della loro composizione di genere (mista o omogenea) e, ove ciò avvenga, se tale effetto sia diverso per gruppi omogenei composti da sole donne o da soli uomini. Affinché sia possibile attribuire con precisione tali effetti alla composizione di genere del gruppo, occorre che questa sia casuale; ciò è garantito grazie all'assegnazione predeterminata, e soprattutto indipendente dal loro genere, dei magistrati ai collegi, per quei reati che ne prevedono l’istituzione. In secondo luogo, il contesto giudiziario offre l'opportunità di esaminare empiricamente se la diversità di genere di un collegio influisca sulla tenuta di una sentenza, stimando la probabilità che questa venga confermata o riformata in appello, e comprendere se ciò dipenda anche dalla composizione del collegio che delibera in secondo grado. Infine, traendo vantaggio dal marcato cambiamento demografico tuttora in atto, abbiamo la possibilità di studiare il processo decisionale in contesti in cui gli uomini e le donne possono rappresentare, di volta in volta, sia la maggioranza che la minoranza, fornendo nuove testimonianze sugli effetti della transizione da un'occupazione esclusivamente maschile a un'occupazione dominata dalle donne.
Grazie alla disponibilità dei Presidenti di alcuni Tribunali, che hanno accettato di collaborare a questo ambizioso progetto, analizzeremo un elevato numero di sentenze penali emesse in composizione collegiale degli ultimi 20 anni. In tal modo, saremo in grado di sfruttare variazioni temporali nella composizione in termine di genere dei collegi giudicanti. Inoltre, grazie alla presenza di diverse sezioni, potremo restringere l’analisi a reati comparabili e, al tempo stesso, capire se eventuali risultati sono specifici a un particolare reato o se invece sono comuni a più reati. Il nostro metodo di ricerca, basato su consolidate e comprovate tecniche econometriche, ci permetterà dunque di confrontare collegi che deliberano su uno stesso reato e in condizioni comparabili (ovvero, stesso tribunale, tipologia di reato, simili caratteristiche dei giudici, e così via), ma che hanno differenti composizioni di genere, in modo tale da essere in grado di attribuire eventuali differenze nei processi decisionali proprio a quest’ultime.
Sebbene le decisioni che i collegi, ed i magistrati tutti, si trovano a prendere siano estremamente complesse e i fattori in gioco molteplici, riteniamo che la nostra analisi, basata su metodologie econometriche già utilizzate nel contesto giudiziario, possa aiutare a comprendere e quantificare l’importanza di una rappresentazione equilibrata in termini di genere, nella magistratura ed altrove. Poiché la segregazione occupazionale di genere non solo non è equa, ma non è neppure efficiente – sia in istanze in cui le donne siano sottorappresentate, sia in istanze in cui gli uomini lo siano.
Chi fosse disponibile a collaborare a questo progetto di ricerca, può contattarci ai seguenti indirizzi: v.salvestrini@qmul.ac.uk e maddalena.ronchi@unibocconi.it. Consapevoli della natura sensibile dei dati contenuti nelle sentenze, vorremmo chiarire quanto segue: a) la nostra ricerca non è attinente ai dati dell’imputato, che quindi potranno essere anonimizzati; b) l’analisi si baserà su un grande numero di sentenze aggregate tra loro e non sarà possibile, sulla base dei risultati, identificare né una particolare sentenza né i giudici coinvolti; c) i dati saranno conservati su un server sicuro messo a disposizione da Queen Mary University of London. Per la realizzazione di questo progetto, abbiamo ricevuto un assegno di ricerca dall’Istituto Einaudi per l’Economia e la Finanza (EIEF). L'EIEF è un Istituto di Ricerca fondato dalla Banca D'Italia nel 2008.
[1] M. D'Amico, C. M. Lendaro e C. Siccardi, Eguaglianza di genere in Magistratura: quanto ancora dobbiamo aspettare?, Franco Angeli, 2017, p. 24.
[2] V. Onida, «La parità di genere in magistratura: tra eguaglianza e differenza,» in Eguaglianza di genere in Magistratura: quanto ancora dobbiamo aspettare?, Franco Angeli, 2017, p. 28.
[3] M. D'Amico, «Magistratura e questione di genere: alcune riflessioni sulla (necessaria) presenza femminile nel Consiglio Superiore della Magistratura,» Forum di Quaderni Costituzionali, n. 4, 2020, p. 386.
[4] G. Azmat, «Gender diversity in teams,» Iza World of Labor.
[5] S. H. Hoogendoorn, Oosterbeek e M. v. Praag, «The impact of gender diversity on the performance of business team: Evidence from a field experiment,» Management Science, vol. 59, n. 7, pp. 1514-1528, 2013.
[6] J. Apesteguia, G. Azmat e N. Iriberri, «The impact of gender composition on team performance and decision-making: Evidence from the field.,» Management Science, vol. 58, n. 1, pp. 78-93, 2012.
[7] D. Kim e L. Starks, «Gender diversity on corporate boards: Do women contribute unique skills?,» American Economic Review, vol. 106, n. 5, pp. 267-271, 2016.
[8] D. A. Matsa e A. Miller., «A female style in corporate leadership? Evidence from quotas.,» American Economic Journal: Applied Economics, vol. 5, n. 3, pp. 136-169, 2013.