Ancora oggi “history involves comparison” e viceversa. Marina Timoteo in dialogo con Paolo Grossi in “Grammatiche del diritto”
di Mario Serio
In oltre un centinaio di pagine di un volume del 2020 intitolato “Grammatiche del diritto. In dialogo con Paolo Grossi” Marina Timoteo ha condotto in porto un'intelligente interlocuzione con uno dei sommi giuristi italiani viventi, Paolo Grossi, su numerosi temi che hanno costituito il cuore dell'opera di questo in alcuni decenni: ha così realizzato una molteplicità di risultati positivi ed utili. Il dialogo, che si è dipanato, in calibrata e snella continuità, lungo la via della storia giuridica dal medioevo ad oggi, letta attraverso l'interazione tra i due partecipanti, si è svolto assecondando una congrua serie di idee che guidano agevolmente il lettore. Idee che gettano una luce chiarificatrice sul fenomeno giuridico in generale. Esse, variamente e persuasivamente illustrate, si compendiano in alcuni fondamentali postulati, ciascuno lucidamente fatto affiorare. In primo luogo, il carattere storico del diritto viene elevata al rango dei suoi caratteri contraddistintivi , e la sua assenza ne pregiudicherebbe irreparabilmente la comprensione. Alla storicità indissolubilmente si accompagna, nella comune opinione dei conversanti, la centralità nella vicenda giuridica della persona umana e del sistema dei valori che ad essa nel tempo afferiscono. Questa visione rivela, ancora una volta secondo un pensiero da entrambi condiviso, il possesso di una solida caratura comparatistica, nel preciso senso che svolgimento in chiave storica di una ricerca giuridica ed effettuazione della stessa in funzione comparatistica sono attività intellettuali reciprocamente implicantisi, secondo la nota espressione di Maitland “History involves comparison”, da Gorla poi convertita nel suo opposto. Il discorso prosegue lungo la direttrice dello sviluppo del diritto dall'epoca medievale, da Grossi recuperata nel suo valore di recipiente comune di regole, anche di origine tradizionale, generalmente applicate in Europa, a quella moderna e contemporanea in cui fortemente avvertito è il rischio della cessione sempre crescente di quote del principio della solidarietà a favore della dimensione economica globale della società. Ed al riequilibrio di una rappresentazione così sbilanciata di essa anche sul versante giuridico deve intervenire la classe dei giuristi per ripristinare principii e valori ordinanti all'insegna anche di quelli costituzionalmente sanciti.
The volume written by Marina Timoteo “Grammatiche del diritto” bears a sub title “In dialogo con Paolo Grossi” which tells the whole story of how it was conceived and to what purpose. In fact, the Author has successfully sought to assert and fortify a number of relevant issues and related principles by way of a well conducted interview with one of the most eminent legal scientists in Italy, former Emeritus Professor of History of Law as well as Emeritus President of Corte Costituzionale. In it one can find the most challenging and characteristic features of Italian Law, as it has been developing from the Middle Ages through to the contemporary European scenario. Because it is history, as it has been made by single human beings and their deeds, that is a natural ingredient of the legal phenomenon with which it binds in order to give the reader a complete glimpse of what has happened in the legal world over the centuries. And this is also, according both to Marina Timoteo and Paolo Grossi, a distinguishing factor of all comparative researches which, from Maitland on to Gorla in Italy, mutually imply history and comparison. All along the stimulating interview one can find a common thread which turns out to be the guiding light of the reflections made by the two participants in the dialogue, i.e. the attempt to try and find the most profound changes in the legal world originated in Europe by the gradual transition from the Middle Ages, when ius commune europeum flourished, to the contemporary age. This is described by mutual agreement between Timoteo and Grossi as, on the one hand, being characterized by the prevalence of Statute law in Continental law, and, on the other hand, by the growing gap dividing the latter and the English common law, still faithful to its customary origins. The fruitful dialogue flows on to reach the conclusion that today in Europe there is a strong need to share a number of founding principles in order for values different from the pursuit of profit and aiming at solidarity to affirm themselves.
Ci sono opere nel settore giuridico che, indipendentemente dalle loro dimensioni, aggregano in sé il bandolo della matassa di una data disciplina sia rivolgendolo al capo che guarda al passato sia proiettandolo in avanti, verso i giorni e le generazioni che verranno. In altre parole, si tratta di opere a svolgimento e metodo storico che si inseriscono, attraverso il telaio che le sorregge, nel solco del pensiero, condensato nelle frasi riportate nel titolo, di Maitland e Gorla. In esse viene celebrata la compenetrazione tra i due elementi, storia e comparazione, che nessun giurista che coltivi i propri studi all'esterno dell'ordinamento domestico può permettersi il lusso di disgiungere tra loro se non a costo di menomare l'attendibilità della ricerca.
Le ragioni fondative di questa ormai irretrattabilmente acquisita connotazione metodologica (chè in chiave di metodo di lavoro si risolve la compenetrazione in parola[1]) appartengono ormai al patrimonio comune ai comparatisti e ad alcune illuminate schiere di storici del diritto e non vanno qui ripercorse, ma semplicemente recepite in quanto assodate ed apprezzate.
Quel che di volta in volta, di ricerca in ricerca, deve continuare a rimanere al centro dell'impegno culturale è la verifica dell'effettiva applicazione del metodo di cui si dice all'esame critico delle vicende giuridiche, siano esse considerate nella loro epifania di accadimenti, o nella astratta e generale disciplina di questi ultimi, o nella risposta trovata nella sede giudiziale, o nella ricostruzione dei fondamenti teorici. Ciascuno di questi fattori formanti quelle che si sono appena chiamate riassuntivamente vicende giuridiche non può, se si intende restare fedeli al metodo che abbina storia e comparazione, porsi ai margini del relativo criterio di indagine, approfondendo il percorso verso l'approdo definitorio nel tempo di ciascuna di esse.
Ma questo modo di procedere in direzione della conoscenza di un dato oggetto della scienza giuridica ben può giustificare il proprio grado di solidità accedendo ad un presupposto metagiuridico, la cui valorizzazione, come si vedrà, appartiene pienamente al metodo storico-comparatistico, ossia quello secondo cui la nozione di vicenda giuridica, nel significato lato prima precisato, è frutto generato da, o seme generatore di, una concreta esperienza riconducibile alla persona umana. Perché questa svetta come artefice e protagonista di ogni momento della storia e della manifestazione del diritto. Anche in questo intreccio risiede l'esaltazione della sua storicità, da cogliere ancor più plasticamente quando storia e manifestazione del diritto travalichino i confini nazionali per abbracciarne il disvelamento in altri ordinamenti.
L'idea, feconda e brillante, di Marina Timoteo di inglobare nello snello volume del 2020 felicemente intitolato “Grammatiche del diritto” i germogli del suo dialogo, meditato ed appassionato, con Paolo Grossi muove in modo pieno e dichiarato dalla concezione metodologica, culturale, epistemologica, fenomenica prima tratteggiata.
Ciò traspare sin dall'Introduzione in cui si enuncia, con la chiara nettezza che è propria della cifra scientifica dell'Autrice, il manifesto culturale del lavoro ed il preambolo al successivo dialogo. A pag. 11, infatti, si legge: “Il diritto anche quando è espressione del più sofisticato tecnicismo è incarnazione di storicità”. Affermazione di principio subito dopo coerentemente doppiata da un'altra, accuratamente diretta alla comparazione: “Per arrivare a cogliere l'identità storica di un'esperienza giuridica lo sguardo nella prospettiva della relazione è fondamentale. Il diritto comparato osserva i fenomeni giuridici in questa prospettiva”.
Ma il pensiero dell'Autrice raggiunge ulteriore profondità ed esibisce una sicura concezione dell'esistenza umana, protesa nella sua manifestazione giuridica, in forma storicistica nel passaggio di pagina 15 in cui si afferma:” Tutto è storia, (anche) il diritto è intimamente un fatto storico”.
Su quest'ultima osservazione vale la pena soffermarsi per ampliare, seppur incidentalmente, il tema dell'indagine che va esteso fino a ricomprendere quella venatura del pensiero che non può che ritenersi implicita nella frase prima riferita. Cogliere nel fenomeno giuridico la sua intima essenza storica, come ha fatto Marina Timoteo, significa qualificarlo come elevata espressione dell'agire umano, in quanto la storicità è attributo connaturale ad esso: ogni gesto, azione, condotta della persona è di per sé un fatto storico, grande o piccolo, destinato a rimanere impresso nella memoria ed a produrre conseguenze in sfere più o meno ampie. Ed allora, la locuzione acquista maggior respiro poiché manifesta la propensione dell'Autrice verso una nozione degli stretti rapporti tra storia e diritto indiscutibilmente orientata sul valore da conferire alla persona umana, che va collocata conseguentemente al centro della scena da osservare.
Su questa scia occorre, pertanto, proseguire nel considerare complessivamente l'utilissima opera, sempre fedele all'idea appena esposta.
Per avallare questo modo di pensare occorreva evidentemente dialogare con Studiosi il cui livello di elaborazione scientifica si muovesse nel medesimo canale, molto vivacemente rappresentato dall'ormai celebre locuzione “Il punto e la linea”[2]. Non poteva che essere Paolo Grossi l'interlocutore ideale de le “Grammatiche del diritto”, per aver egli con lucidità sostenuto la piena immedesimazione, attraverso i rispettivi rappresentanti scientifici, tra i due termini ripetutamente evocati. Opportunamente ricorda a pag. 15 l'Autrice, mutuando da Grossi, che “lo storico non è un punto isolato ma un punto dentro una linea”. Linea lungo la quale evidentemente scorre il fenomeno giuridico, secondo un flusso storico la cui conoscenza va, appunto, governata con gli strumenti propri anche dello storico.
Inizia così, a partire da questo postulato, il piacevole dialogo tra l'Autrice ed il suo autorevolissimo ospite, le cui dotte e vibranti parole servono a ricostruire un intero itinerario culturale, senza tentennamenti battuto in breccia lungo tutto l'arco della fervida attività di ricerca.
Lo storico del diritto asseconda l'inclinazione della comparatista a camminare insieme per la via di una comune avventura intellettuale e metodologica, marcando già all'esordio del suo contributo il terreno con l'affermare a pag. 17 che “il diritto vive sì nel quotidiano, ma con valori portanti profondi”.
Conviene concentrarsi su questa affermazione che imprime a tutte le pagine seguenti un segno inconfondibile e dà la misura della profondità del dialogo. Innanzitutto, si nota, raffinata e realista al tempo stesso, la caratteristica esperienziale del fenomeno giuridico nel suo complesso, che si esibisce giorno per giorno nel ruolo di conformatore delle azioni quotidiane di ogni persona, traendo da esse la propria ragion d'essere: regolatore e testimone perenne della vita umana dalle cui lezioni trae ispirazione per il proprio rinnovamento ed adattamento. Ma la storia degli accadimenti giuridici del passato assume per Grossi una altissima funzione, non soggetta al tramonto o all'irrilevanza: quella di fondamento valoriale costante nel tempo ed attingibile in ogni epoca. Perché, è implicito, nessun tempo è avulso dal passato sia dal punto di vista fenomenico, sia nel senso dello spontaneo trapasso di tradizioni, consuetudini, sistemi etici, fini politici. Che poi a questa transizione corrisponda, di volta in volta, recezione o ripulsa è questione contingente, legata, cioè, alla specifica fase storica: ciò che resta stabile è il processo di comunicazione tra un momento storico ed i successivi, che dal primo restano, comunque e sempre, influenzati secondo una immancabile prospettiva diacronica. E' questo principio e scopo della storia del diritto di cui Paolo Grossi è impareggiabile Maestro.
Nel fluire delle pagine del dialogo esso si infittisce di plurimi sostegni teorici, prevalentemente declinati nell'ambito delle molteplici relazioni ed implicazioni tra storia (giuridica e non) e comparazione giuridica. In esse risiede, per i cultori di quest'ultima disciplina scientifica, il nucleo di maggior interesse, come concisamente ci si propone di illustrare.
Sono due, in particolare, i passaggi ascrivibili al pensiero di Grossi che costituiscono un'imprescindibile pietra miliare che va ad aggiungersi a quelle che i grandi comparatisti italiani del ventesimo secolo hanno saputo scolpire nel delineare i fondamenti teorici della loro area di ricerca. Entrambi vengono stimolati, facilitati, dedotti alla luce di un fecondo scambio dialogico.
Il primo di essi, a pag. 57, così suona: “Il comparatista e lo storico del diritto non devono avere dei modelli ideali da trapiantare, ma soltanto soluzioni diverse da studiare in un ossigenante confronto dialettico”. La frase esprime una rilevante dose di modernità di pensiero e, al tempo stesso, rinverdisce uno dei capisaldi della teoria Gorliana. Da un canto, infatti, queste parole rendono chiaro il possesso, da parte di che le ha pronunciate, di un concetto di “legal transplant” elastico, ossia disposto ad accettarne versioni non predeterminate alla stregua di criteri generali e condivisi, quanto, piuttosto, proclive ad una circolazione di singoli apparati ordinamentali ritagliati sulla base della loro utilità a far fronte ad una specifica esigenza socio-giuridica. Non esportazione immutabile di esperienze, ma diffusione secondo un criterio di congruità ed adeguatezza ad un particolare sistema giuridico. Ma è nel circuito del raffronto tra ordinamenti diversi, evidentemente volto all'emersione di vari gradi di affinità o difformità, che l'assorbimento della profonda intuizione dei fini della comparazione giuridica nel senso appena precisato, rende possibile l'accostamento del pensiero di due grandi scienziati del diritto, come Gorla e Grossi, risaltando palese. Nessuna dissonanza tra la veduta del comparatista e quella dello storico del diritto prende forma: ciascuna sembra, al contrario, armoniosamente integrarsi con l'altra in un quadro di perfetto, mutuo soccorso tra le discipline da essi professate.
Dal piano ontico dei rapporti tra storia e comparazione giuridiche Grossi trascorre, a pag. 57, a quello più marcatamente formativo, dichiarando: “La storia e la comparazione, con gli strumenti metodologici che sono stati affinati negli ultimi 50 anni, contribuiscono a formare un giurista critico, capace di guardare e vedere lontano e in profondità al di sotto della coltre superficiale delle norme autoritative”. La riflessione scava ancor più in profondità e guadagna un nuovo credito alla comparazione giuridica, questa volta nella direzione di un altro leit-motif ad essa associato e particolarmente esplorato da Sacco, quello dell'accertamento della corrispondenza alle regole formali, enunciate o codificate, di quelle concretamente applicate: in altri termini, il tema delle dissociazioni, anche latenti, riscontrabili in un determinato ordinamento giuridico e portate alla luce anche in virtù di un confronto con altri sistemi. Ma accanto ed oltre il dato puramente tecnico, consistente nella ricognizione delle fratture tra law in the (Statute) books e law in action, se ne scorge un altro, altrettanto fedele alla cifra culturale di Grossi, l'attenzione scrupolosa e vigile verso il diritto quale si dispiega giorno dopo giorno nelle esistenze umane, quale si forma nella dura esperienza del processo, nell'aspra contesa in contraddittorio con chi nega quel che altri afferma: questo sembra significare il caldo invito del Presidente emerito della Corte Costituzionale a lasciar affiorare ciò che inespresso giace sotto “la coltre superficiale delle norme autoritative”. Traspare, sollecitato dagli acuti interrogativi dell'Autrice, che a pag. 58 considera che “anche il lavoro dello storico si svolge entro la dimensione inespressa del fenomeno giuridico”, l'anelito di Grossi ad assegnare al mondo del diritto un distintivo che valica la dimensione autoritativo-normativa e si propone di coglierne il profilo spontaneistico-comunitaristico. E, con esso, la profondità dei “valori supremi di una civiltà giuridica” che rappresenta lo “strato più radicale di un ordinamento”, appena preceduto in uno stadio di minor profondità dal mondo dei fatti che lo popolano (pag. 59). Fatti e valori come complementari, nel senso di integrarlo a fini della compiuta rappresentazione e conoscenza, del tessuto di un ordinamento giuridico, svincolandolo dalla sua esclusiva connotazione in termini normativi. Il viraggio verso la sponda della “fattualità” è sfruttato da Marina Timoteo, a pag. 51, per evocare la rilevanza del più noto e longevo tra quello di essi dotato di natura normativa, la consuetudine, su cui l'interlocutore volentieri si sofferma per valorizzarne il peso e ritenere, nella pagina seguente, che “il messaggio della nostra Costituzione imponga un sostanzioso pluralismo giuridico nella Repubblica, dando un ruolo attivo e agli interpreti applicatori e alla consuetudine”. In questo contesto l'afflato tra i due parlanti raggiunge il punto di massima estensione ed armonia. Per sviluppare il discorso sul conflitto tra il diritto inteso come momento autoritativo ed il diritto come prodotto dell'esperienza e delle scelte della persona umana, i dialoganti compiono di comune accordo il tuffo, prediletto nell'analisi storico-giuridica di Grossi, nelle acque della lunga stagione medievale, reputata come periodo storico di massimo fulgore di questa seconda attitudine (con propaggini attuali quali gli assetti fondiari collettivi rivatilizzati, in omaggio a tradizioni risalenti e radicati nelle coscienze di talune comunità territoriali, nella legge 168 del 2017 sugli assetti fondiari collettivi su cui Grossi si intrattiene a pag. 21 ss.).
Forte è la spinta che proviene dalla dialogante comparatista, rivolta allo storico del diritto medievale e moderno, a fornire di quell'epoca, definita dalla prima come un “tempo storico lunghissimo ove, entro una continuità segnata da un panorama pluralistico e fattuale del diritto, si aprono canali di discontinuità che preannunciano la transizione all'età moderna” (pagg.99-100), una descrizione compatibile con tali caratteri. In particolare Grossi vede nella scienza giuridica tardo-medievale “garanzia d'ordine; garanzia di pluralismo giuridico” (pag.102). I contrassegni di quella cultura, con un velo di nostalgia raffigurati, si stagliano guardando alla sua “dimensione razionale, squisitamente conoscitiva che la rende, pertanto, lettrice affidante dell'ordine scritto nelle cose naturali e sociali: è, cioè, fornita di una capacità altamente ordinante” che “non si concreterà mai in comandi, in imperativi, bensì in principii, in diagnosi e soluzioni che ... assumono a criterio la realtà obiettiva” (ibidem). Non si stenta a comprendere la ragione essenziale della acutissima lettura di quella realtà giuridica in termini tanto lucidi ed ammirati. Invero essa esprime in ogni suo frammento costitutivo l'incarnazione di un modello socio-istituzionale che lascia all'“ordine scritto nelle cose naturali e sociali” e non a “imperativi” e “comandi” il compito e la capacità di organizzarsi al di fuori degli schemi rigidamente e formalmente autoritativi, prediligendo come criterio di osservazione, indagine, giudizio ed oggetto di intervento la “realtà obiettiva”. Criterio al tempo stesso storico, nella misura nella quale tende l'orecchio all'assetto di regole e tradizioni già formate, e comunitario, nel senso di ruotare intorno all'asse costituito dai concreti assetti umani e sociali realizzati in un dato territorio. E quando la comparatista gli chiede di definire l'“ordine regnante nel medioevo”, lo storico pronto risponde ricordando, a pag. 103, la lunga era dello “ius commune”, affermatosi tra l'XI ed il XIV secolo, delineando tale espressione come un “sintagma che puntualizza un diritto a proiezione universale, vero precursore di un'unità giuridica europea”, la cui edificazione richiede l'accettazione del concetto secondo il quale “il diritto riguarda la società e non il potere”.
A questo punto un piccolo intercalare va inserito per ribadire la linea di collegamento tra gli studi e le riflessioni di Grossi sul diritto comune medievale e quelle dei primi anni'60 del secolo scorso condotti con affinità di esiti da Gorla[3]. Ed infatti, il primo, richiesto dall'Autrice, a pag. 105, di descrivere “il cammino che marca il divenire essenziale delle fonti del diritto nello spazio europeo”, non esita a rifarsi alla più genuina qualificazione del diritto comune medievale, intendendolo nelle due pagine seguenti come “diritto senza stato creato da glossatori e commentatori ... ossia diritto unitario europeo applicabile ovunque che, però, non sacrificava i particolarismi giuridici”, chiamati “iura propria” , includenti consuetudini e norme locali. E questi “si integravano armonicamente con le elaborazioni scientifiche”. Ma proprio nel lento e graduale, ma inarrestabile, passaggio da quella che Grossi, attingendo alla sua opera fondativa “L'ordine giuridico medievale, chiama, a pag. 108, “prospettiva reicentrica e comunitaria del diritto medievale a quella antropocentrica ed individualistica del diritto moderno” si assiste alla perdita, da parte dell'Europa, dell'unità medievale e la si vede divenire una mera espressione geografica” (pag.108). La centralità dell'osservazione ed il carico di conseguenze che da essa si diramano verso l'area della comparazione giuridica sono immediatamente colti da Marina Timoteo che, ravvisando nel passaggio prima ricordato, l'epifania dell'affermazione negli stati europei dello “statualismo” e del “legalismo” (pag. 109), si preoccupa, coerentemente con la propria vocazione scientifica, di individuare in esso un fattore determinante, come Gorla non ha mai mancato di sottolineare, per l'allontanamento del civil law dal common law, pacifici e comunicanti coabitanti al tempo del diritto comune. E le ragioni di tale frattura vengono lucidamente individuate dalla stessa Autrice, a pagina 110 in cui opportunamente richiama la riflessione di Antonio Gambaro sul codice civile[4],nell'”ingresso del legislatore nel campo delle relazioni tra privati: ciò che comportò che la scelta codicistica implicasse lo sganciamento dal “precedente diritto consuetudinario di origine sia popolare sia sapienziale”. Interpellato, a mò di conferma dell'analisi, Grossi non si sottrae e a pagina 110 e seguenti la completa, volgendo lo sguardo alle conseguenze prodotte nel common law inglese dalla transizione in discorso. L'insigne storico del diritto formula un netto giudizio: “Oltremanica si vive una perfetta continuità tra medioevo e modernità”. Ancor più vivaci le proposizioni formulate nelle pagine seguenti che consegnano un'immagine molto decisa del diritto inglese in continuità storica: “Al fondo del common law batte un cuore medievale ... La legge viene nel common law non a sostituire il precedente ordine giuridico ma ad aggiungersi…”. E la conclusione che ne trae in chiave prospettica è non meno drastica, in quanto solo in un recente passato Grossi rinviene le scaturigini del parziale riallineamento con i sistemi di civil law: “Il diritto legislativo in Gran Bretagna ha trovato maggior spazio nel secondo dopoguerra con i governi laburisti e l'instaurazione dello stato sociale”. Con il che l'eminente storico sembra esattamente riconoscere che è ormai in atto un riavvicinamento tra lembi tradizionalmente distanti, quali civil law e common law, dei sistemi giuridici europei[5].
Arrivati alla svolta della transizione dal modello di organizzazione sociale e giuridica medievale, reputata più sensibile alle esigenze autoregolative delle comunità in cui si articolava, a quello moderno di robusta impronta statalista-normativa, i due dialoganti si trovano ad affrontare, in un serrato discorso di interscambi intellettuali, il tema della configurazione, in senso prettamente giuridico, dell'odierna Europa. Ed il discorso non può che trarre illuminante beneficio dalla fondamentale e notissima opera del 2007 di Paolo Grossi con lungimiranza intitolata “L'Europa del diritto”. Il presupposto di partenza è perspicuamente individuato da Marina Timoteo a pagina 112 attraverso la ineccepibile constatazione, del tutto conciliabile con il precedente itinerario di pensiero ed informata allo stesso linguaggio del suo interlocutore, che: “L'Europa arcipelago, l'Europa della modernità giuridica, fatta di fratture e separazioni è destinata però a mutare nuovamente configurazione in quella che … (NdA si chiama) epoca posmoderna”.
L'invito al Paolo Grossi, finissimo Giudice costituzionale, a trasfondere la sua visione storica in un progetto culturale vasto e lungimirante, che valga anche da diagnosi sull'attuale stato dei rapporti tra l'Europa politico-geografica ed il suo tratto giuridico, è aperto e ghiotto. E la argomentata costruzione concettuale della nutrita risposta non delude in alcun modo le giustificate attese. Ed infatti, l'interlocutore muove, innanzitutto, dalla ricognizione deludente, per Lui, sempre reattivo di fronte alle istanze solidaristiche, dell'avvento di un tempo storico, quello della globalizzazione, che “si connota per il primato della dimensione economica”: un tempo in cui “il principio di solidarietà è ancora poco avvertito: è in primo piano la tutela del mercato” (pag. 119). A questa dolente presa d'atto fa però seguito la ritessitura, di comune accordo tra la comparatista e lo storico, di un filo di razionale speranza nella mitigazione, anche attraverso il soft law (“un diritto elastico e dinamico” come lo definisce Grossi a pag.122), dell'inasprimento dell'anima dell'Europa del diritto.
Ed allora, le due voci esibiscono una ancora più decisiva sintonia, riequilibrando in senso umanistico il destino del fenomeno giuridico.
La luminosa premessa è racchiusa nelle parole di Grossi a pagina 125: con esse si conclude la meticolosa disamina del “nuovo paesaggio giuridico” contemporaneo, “segnato dalla fluidità, dalla complessità, dall'incertezza”, contraddistinto da luci e da ombre, da pregi e da rischi. Ma l'antidoto di sicura e provata efficacia è presto individuato mediante queste ispirate parole: “Recuperare il senso della storicità del diritto e delle sue fonti plurali dev'essere la strada per recuperare alle norme e alle forme giuridiche una misura autenticamente umana”. Su questa base prognostica ed auspice perfettamente si innesta la successiva considerazione, una sorta di timbro finale, svolta da Marina Timoteo che osserva come il recupero invocato da Grossi, il ritorno al diritto, corrisponda in effetti al “ritorno a casa di colui che nella tradizione giuridica occidentale è l'anima del diritto, ossia il giurista”. Chiosa Grossi nelle pagine che seguono, sottolineando che quel che chiede il mondo postmoderno è “un giurista partecipe e inventore del diritto, che cerchi e trovi il diritto anche confrontandosi con esperienze giuridiche geograficamente e culturalmente lontane....un giurista-insomma-che sappia misurarsi con tutte le molteplici articolazioni del diritto contemporaneo”. Occorre, allora, “una coscienza legante, che ancora manca alla diaspora mondiale dei giuristi: non la coscienza legante che fa riferimento a interessi corporativi, ma la consapevolezza di uomini di scienza e prassi uniti dalla certezza del valore ontico del diritto, capaci di unire conoscenza tecnica e visioni ideali, capaci di un respiro globale, che abbia la forza di sollevarsi al di sopra della dimensione del mercato”. Perché la possibilità di costruire una realtà autenticamente globale è solo affidata alla sua capacità di mantenersi genuinamente multiculturale.
Queste note finali rivestono indiscutibile importanza poiché saldano attraverso un sigillo circolare il prologo e l'epilogo del volume, entrambi avvolti nel mantello della rilevanza della persona nello svolgersi della storia giuridica: Persona in quanto protagonista, spesso sofferente e bisognosa, della vicenda individuale che concorre a formare quella universale ed anche in quanto cultrice del diritto, accreditato di idoneità a leggerne il divenire alla luce di principii, categorie, concetti attraverso i quali regolare, interpretare, giudicare le vicende individuali. Il richiamo alla dimensione umana, singolare e scolare, del fenomeno giuridico speranzosamente effettuato nelle pagine finali si raccorda appieno con l'affermazione iniziale del suo carattere intimamente relazionale. Ma rimane altrettanto integra la matrice storica del diritto perché, come Grossi in tutta la sua magistrale opera ha insegnato negli anni, è nel fatto dell'uomo, talvolta elevato a categoria formale ordinante (è il caso degli usi normativi), che si annida il germe di promozione e sviluppo della regola giuridica, la sua sede naturale e primigenia. E la storia, immergendosi nella tassonomica classificazione dei fatti e nella loro riconduzione ad un ordine concettuale, si rende artefice della conoscenza, della divulgazione, del modellamento, della futura edificazione, ricalcata sulle orme, di nuovo calpestate o cancellate, del passato, del diritto.
E per chiudere, come potrebbe non sciogliersi una lode a questo originale lavoro per il contributo apportato alla causa della comparazione giuridica? Essa rimane costantemente sullo sfondo, in parte perché assorbita nelle vicende giuridiche tramandate alla storia, in parte preponderante perché partecipe del processo unitario di costruzione del fenomeno giuridico attraverso il raffronto transnazionale, espressamente additato come elemento facilitatore del governo della globalità per la sua naturale attitudine a fondarsi sulla multiculturalità intercomunicativa dai due dialoganti auspicata.
Questo volume, oltre che per i meriti insiti nelle precedenti considerazioni, ben si unisce al catalogo degli scritti che fanno del metodo del confronto ordinamentale ed esperienziale in forma comparatistica l'epicentro della complessa e spesso drammatica vicenda che si connette al fenomeno giuridico.
A tale declinazione culturale appartiene “Le grammatiche del diritto” che sa utilmente insinuarsi negli anfratti delle vite dei suoi protagonisti diretti (a partire da quella, accademica e non solo, dell'interlocutore) o di riferimento (illustri giuristi fiorentini, storici come Jacques Le Goff) per adottare come sfondo finale gli immortali versi Montaliani celebrativi di una struggente memoria del passato ravvivata dall'empito del Poeta ne La casa dei doganieri.
Chiara e dichiarata è, altresì, l'impronta costituzionalistica del lavoro, condensabile in quella parte del dialogo, riportato a pagina 22, in cui, alla domanda di Marina Timoteo circa l'incompleta attuazione della nostra legge fondamentale, Paolo Grossi risponde affermativamente, aggiungendo che essa è in parte anche incompresa, ad onta del grande giacimento di potenzialità in essa riposte.
E per questo il valore testimoniale del libro si accresce, ben rappresentando il punto di arrivo di una linea nitidamente tracciata, lungo la quale scorre l'impegno di una molteplicità di attori: giuristi teorici, giuristi professionali, storici, e, soprattutto, persone.
[1] Serio, Dimensione giuridica e dimensione storica del common law: mondi separati ovvero uniti dalla comparazione, in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, 2014, pag. 795 ss.
[2] Essa fu arricchita dal sottotitolo “L'impatto degli studi storici nella formazione del giurista” nel volume L'insegnamento del diritto oggi, a cura di Rebuffa e Visintini, Milano 1996, pag. 255 ss., che raccoglie gli atti del convegno genovese dell'anno precedente sul tema che dà il titolo al volume stesso.
[3] Poi radunate in Diritto comparato e diritto comune europeo, Milano 1981.
[4] Voce “Codice civile”, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. civile, Torino 1989.
[5] Su cui si può leggere Serio, Il valore del precedente tra tradizione continentale e common law: due sistemi ancora distanti?, in Riv. dir. civ. 2008, pag. 109 ss.