Interesse al precedente e legittimazione all’intervento dinanzi alla Plenaria del Consiglio di Stato.
di Andreina Scognamiglio
Sommario: 1.Interesse al precedente, legittimazione all’intervento e rifiuto di giurisdizione – 2. La legittimazione all’intervento tra interesse legittimo e interesse di fatto. - 3. Luci ed ombre della disciplina della legittimazione all’intervento nel codice del processo amministrativo. -4. Il criterio degli effetti del giudicato quale criterio identificativo dell’interesse ad intervenire . -5.
1. Interesse al precedente, legittimazione all’intervento e rifiuto di giurisdizione
Nella recente giurisprudenza è tornato alla ribalta il tema dei caratteri dell’interesse ad intervenire nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo. L’occasione è stata offerta dalla discussione intorno al quesito se, a sorreggere l’intervento, sia sufficiente l’interesse ad una determinata soluzione della quaestio iuris sulla quale il giudice della causa è chiamato a statuire. In particolare, e a maggior ragione, l’interrogativo si pone quando la soluzione della questione di diritto assume un carattere (quasi) “vincolante” essendo la decisione adottata dall’organo nomofilattico della giustizia amministrativa.
Più precisamente è stata presa in considerazione la posizione: a) del terzo che è parte di un giudizio diverso rispetto a quello che ha dato luogo alla rimessione alla Plenaria, ma nel quale rileva la medesima questione di diritto che in quella sede si decide[1]; b) di una associazione rappresentativa di un interesse collettivo[2].
A fronte di un orientamento interpretativo univoco – e di segno negativo - della giurisdizione amministrativa[3], le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[4]. hanno affermato la legittimazione delle associazioni rappresentative di interessi collettivi e degli enti esponenziali di collettività territorialmente definite ad intervenire nel giudizio dinanzi alla Plenaria a sostegno dell’interpretazione conforme agli interessi della categoria (o della collettività) rappresentata ovvero in ragione degli effetti orientativi che i principi di diritto enunciati possano produrre sull'attività istituzionale, amministrativa e regolatoria degli enti[5]. Peraltro, prospettata la titolarità in capo alle associazioni e agli enti di una posizione di interesse tutelabile dinanzi al giudice amministrativo, la decisione di inammissibilità dell’intervento darebbe luogo ad una ipotesi di diniego di tutela o di rifiuto di giurisdizione denunciabile con ricorso alla Corte di Cassazione. [6]
L’interesse al precedente nomofilattico da far valere in altro giudizio (o comunque in altra sede), che l’intervento dinanzi alla Plenaria sarebbe rivolto a tutelare, con tutta evidenza non coincide con l’interesse leso che dà titolo all’azione e nemmeno con l’interesse eventualmente soddisfatto dal provvedimento impugnato. Pertanto l’intervento si discute è di tipo adesivo dipendente. Si tratta cioè di quel tipo di intervento che – secondo la interpretazione prevalente – è proponibile dal soggetto che abbia nella causa un interesse “diverso” rispetto a quello che sostiene la posizione delle parti principali.
2. La legittimazione all’intervento tra interesse legittimo e interesse di fatto
Le formule definitorie dell’interesse che legittima l’intervento come interesse derivato, riflesso, collegato o mediato rispetto a quello della parte in sostegno della quale intende intervenire sono ripetutamente impiegate fin dalla giurisprudenza anteriore al codice del processo amministrativo.
La definizione è generica e ciò è pienamente giustificato dall’ampiezza delle norme di riferimento. Sia la legge 6 dicembre 1971, n. 1034 che il testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, riprendono infatti alla lettera la formulazione del regio decreto 17 agosto 1907, n. 642, il quale, all’art. 37, il quale si limitava a stabilire che “chi ha interesse alla contestazione può intervenirvi”.
In mancanza di ulteriori connotazioni, e a fronte di una giurisprudenza oscillante, la dottrina non ha potuto che registrare “l’incertissima natura dell’interesse che giustifica l’intervento” [7]. Interesse che, ad una indagine più approfondita, assume poi “una consistenza minore di quello che giustificherebbe il ricorso in via autonoma”[8], ma pur sempre diversa e “più marcata di quello che ha la generalità nei confronti della legittimità dell’atto amministrativo”[9] .
Sul versante opposto si colloca la tesi di chi ritiene che anche la titolarità di un interesse di mero fatto sia sufficiente a legittimare l’intervento. L’assunto è che l’istituto dell’intervento sia “anzitutto funzionale al ristabilimento della legalità violata”. Si ritiene, in altre parole, che l’assenza della titolarità di “una posizione sostanziale qualificata come interesse legittimo non è di ostacolo all’intervento perché, al fondo, si ammette che il processo amministrativo non sia ancora un processo di parti, bensì un processo sul provvedimento, innanzi tutto volto a ripristinare la legalità”[10].
In ultima analisi, il problema della legittimazione all’intervento del soggetto che sia interessato ad una certa soluzione del quesito di diritto sottoposto all’esame della Plenaria, è proprio questo. Ovvero se nel processo amministrativo l’intervento possa essere spiegato anche da chi si presenta come titolare di un interesse di mero fatto.
3. Luci ed ombre della disciplina della legittimazione all’intervento nel codice del processo amministrativo
In prima battuta è d’obbligo verificare se la soluzione del problema prospettato possa essere attinta dalle norme del codice del processo amministrativo e dunque se i “caratteri” dell’interesse che abilita all’intervento siano meglio definiti dall’art. 28 c.p.a.[11].
La disciplina dell’istituto è in effetti - in apparenza - più dettagliata e precisa di quanto non risultasse dalle fonti precedenti essendo la norma è articolata in tre commi.
Ai fini che qui interessano, l’esame dell’art. 28 può essere circoscritto ai commi 1 e 2 poiché il terzo comma si riferisce all’intervento iussu iudicis ovvero ad un caso che presenta connotati e problemi peculiari[12].
Va subito detto che ci troviamo però a far riferimento ad una [13]
Più in dettaglio, il primo comma dell’art. 28 contempla il caso della “parte” nei cui confronti “la sentenza deve essere pronunciata”, ma nei cui confronti il “giudizio non è stato promosso” e ne ammette l’intervento in giudizio.
La posizione che la norma prende in considerazione è quella del soggetto la cui sfera giuridica sarà direttamente toccata dalla sentenza e che non è stato chiamato in giudizio senza che perciò necessariamente si configuri una causa di inammissibilità del ricorso o una non corretta o incompleta realizzazione del contraddittorio[14].
Ad evitare che la limitazione dell’obbligo di chiamata in giudizio ai soli terzi menzionati nel provvedimento impugnato[15]sacrifichi la posizione di colui che comunque vanta un interesse diretto alla conservazione del provvedimento impugnato, pur non essendo in questo nominato, relegandolo fuori dal processo o comunque menomandone le prerogative processuali, l’art. 28 ne ammette l’intervento “senza pregiudizio del diritto di difesa”.
Gli interventori contemplati dall’art. 28, comma 1, godono quindi di tutte le prerogative proprie delle parti principali ed assumono la veste di interventori litisconsortili: possono incidere sulle dimensioni oggettive della controversia e contribuire alla definizione del thema decidendum presentando, ad esempio, un ricorso incidentale. La legittimazione di costoro all’appello, anche per ragioni diverse da quelle relative all’intervento in senso proprio, è inoltre espressamente riconosciuta dall’art. 102, comma 2 c.p.a. che ammette la legittimazione ad appellare dell’interventore “se titolare di una posizione giuridica autonoma”.
Dubbi interpretativi ancor maggiori suscita[16] la disposizione di cui al comma 2 della norma in esame.
Da una parte l’art. 28, comma 2, considera, ai fini dell’intervento, la posizione di chi
giurisprudenza che costantemente esclude l’ammissibilità dell’intervento adesivo dipendente spiegato dal soggetto titolare di un interesse che lo avrebbe abilitato a proporre ricorso in via principale[21].
4. Il criterio degli effetti del giudicato quale criterio identificativo dell’interesse ad intervenire
interpretazione di una norma ha invece una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione[28].
La
5.
irradi i propri effetti su situazioni ulteriori, dipendenti o connesse, rispetto a quelle riguardanti le parti necessarie del giudizio”[33]. Si verifica anche, assai spesso, che l’atto, della cui legittimità si discute in giudizio, produca i suoi effetti diretti su una pluralità di soggetti in quanto atto generale o ad effetti inscindibili per una pluralità di destinatari.
[35][36]nel giudizio avente ad oggetto la legittimità di un atto i cui effetti si producono nei confronti di una intera categoria di operatori economici l’intervento adesivo del cointeressato decaduto non è ammissibile sia che questo venga spiegato una volta scaduti i termini per ricorrere sia che venga proposto dal cointeressato che abbia impugnato il medesimo atto generale con un ricorso autonomo ancora pendente. La ragione è sempre quella di evitare l’elusione del termine di decadenza che comunque si verrebbe a determinare in quanto l’interventore potrebbe sempre pretendere l’attuazione nei suoi confronti degli effetti ripristinatori e conformativi del giudicato di annullamento.
Il passaggio critico della sentenza è proprio questo. La proposizione dell’intervento adesivo non vale a rimettere in discussione i rapporti già chiusi. Pertanto chi ha proposto intervento oltre i termini potrà giovarsi dell’effetto di annullamento che opera erga omnes, ma non dell’effetto ripristinatorio o di quello conformativo. Il giudicato trova sempre il limite dei rapporti esauriti e l’interventore adesivo non potrebbe comunque pretendere che l’amministrazione adempia nei suoi confronti all’obbligo di colmare ora per allora il vuoto regolatorio determinato dal giudicato.
[1] In senso negativo: Cons. Stato, Ad. Plen., 28 gennaio 2015, n. 1; Id. 4 novembre 2016, n. 23; Id. 2 aprile 2020, n. 10; Id. 9 novembre 2021, n. 18, punto 10.1. La Plenaria esclude che sia sufficiente a sorreggere l’intervento la sola circostanza che l’interventore sia parte di un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella oggetto del giudizio che ha dato luogo alla ordinanza di rimessione, ancorché il giudizio di cui è parte possa esser stato sospeso in attesa del responso della Plenaria. La posizione negativa trova la sua giustificazione nella oggettiva diversità di petitum e di causa petendi che distingue i due procedimenti e che esclude la titolarità in capo al richiedente di uno specifico interesse. Per la Plenaria, ammettere la possibilità di spiegare intervento volontario a fronte della sola analogia fra la questione di diritto oggetto del giudizio all’esame dell’organo nomofilattico con quella di altro ricorso “equivarrebbe ad “introdurre nel processo amministrativo una nozione di ‘interesse’ del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, in toto scisse dall’oggetto specifico del giudizio cui l’intervento si riferisce”.
[2] Vedi ancora Ad. Plen. 2 novembre 2015, n. 9, punto 1.1. che individua le “stringenti” condizioni il cui riscontro è necessario perché possa ammettersi l’intervento in giudizio di associazioni rappresentative di interessi collettivi sottolineando che esse sono le medesime che valgono a riconoscere la “legittimazione attiva: l’associazione deve dedurre la violazione di un interesse rientrante nel perimetro delle proprie finalità statutarie e la produzione degli effetti del provvedimento controverso deve risolversi in una lesione diretta dello scopo istituzionale. Resta quindi preclusa ogni iniziativa giurisdizionale che non si riverberi sugli interessi istituzionalmente perseguiti dall’associazione e che sia sorretta dal solo interesse al corretto esercizio dei poteri amministrativi o per mere finalità di giustizia o finalizzate esclusivamente alla tutela di singoli iscritti, atteso che l’interesse collettivo dell’associazione deve identificarsi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata e non con la mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati. Per autorizzare l’intervento di un’associazione esponenziale di interessi collettivi occorre, quindi, un interesse concreto ed attuale (imputabile alla stessa associazione) alla rimozione degli effetti pregiudizievoli prodotti dal provvedimento controverso.; Id. 9 novembre 2021, n. 18, che pure ha escluso la legittimazione di varie associazioni ed enti portatori di interessi collettivi ad intervenire nel giudizio di impugnazione di un provvedimento squisitamente individuale quale il diniego di proroga di una singola concessione demaniale. Cfr. p. 10.2 della sentenza: “il diniego di proroga di una singola concessione demaniale lede esclusivamente l'interesse del singolo, senza impingere in via immediata sulla finalità istituzionale delle associazioni. Ne', per le ragioni già esposte, a giustificare l'intervento può rilevare la circostanza che la risoluzione delle questioni di diritto sottese al caso del singolo associato possa avere, specie per la valenza nomofilattica della pronuncia resa da questa Adunanza plenaria, una rilevanza anche sulla posizione di altri concessionari. La soluzione delle quaestiones iurisdeferite a questa Adunanza plenaria non incide in via diretta ed immediata sugli interessi istituzionalmente rappresentati (dalle associazioni di categoria)". La posizione della giurisprudenza riguardo alle condizioni della legittimazione all’intervento delle associazioni e degli enti è interessante laddove essa afferma l’equivalenza di dette condizioni con quelle che valgono a riconoscere la legittimazione attiva al ricorso. Dunque scaduto il termine per ricorrere, laddove sia dedotta la lesione di un interesse rientrante nel perimetro delle finalità istituzionali della associazione, questa è legittimata ad intervenire adesivamente. Sul punto si tornerà più ampiamente infra nel testo.
[3] sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 853; id., sez. V, 2 agosto 2011, n. 4557. La massima costante recita: “non sembra che possa essere sufficiente a consentire l’istanza di intervento la sola circostanza per cui il proponente tale istanza sia parte in un giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella divisata nell’ambito del giudizio principale. A tacere d’altro, sembra ostare in modo radicale a tale riconoscimento l’obiettiva diversità di petitum e di causa petendi che distingue i due procedimenti, sì da non configurare in capo al richiedente uno specifico interesse all’intervento nel giudizio ad quem. Al contrario, laddove si ammettesse la possibilità di spiegare l’intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di ‘interesse’ del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, in toto scisse dall’oggetto specifico del giudizio cui l’intervento si riferisce”.
[4] Cass. civ. Sez. un. 23 novembre 2023, n. 32559.
[5] La pronuncia è commentata favorevolmente da r. tiscini , Cass. civ. Sez. un. 23 novembre 2023, n. 32559 e i motivi inerenti alla giurisdizione, in Giur. It.2024, p. 830. In senso critico, invece c. consolo , Il ritorno del vento maestrale di Randstadt in foggia estivale, in Giur. It. 2024, p. 827 e a. proto pisani G. Verde, Verso una giurisdizione di tipo oggettivo? In Riv. Dir. Proc., 2024, p. 1027 per i quali la soluzione accolta dalla Corte di cassazione, con la iperqualificazione dell’interesse delle associazioni ricorrenti al precedente nomofilattico in termini di interesse legittimo, o addirittura collettivo (anziché di mero interesse secondario o addirittura di fatto) rischia di mutare i caratteri del processo amministrativo che è a tutela di interessi individuali conferendo agli organismi portatori di interessi di categoria una sorta di impropria ed inammissibile azione di classe con un inevitabile slittamento verso una giurisdizione di tipo oggettivo.
[6] Contra Cass. Civ. Sez. un. 30 ottobre 2019 n, 27842 che aveva ritenuto in radice non ammissibile il ricorso in cassazione per l’impugnazione di sentenze della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che si limitino ad enunciare uno o più principi di diritto con rinvio alla sezione remittente per la ragione che difetta in dette statuizioni il carattere decisorio e definitorio dell’appello. L’argomento non è risolutivo secondo r. tiscini , op. loc. cit. . L’A. valorizza il controllo di legittimità della Corte di cassazione ex art. 111, comma 7 che autorizzerebbe la incondizionata ricorribilità per cassazione dei provvedimenti giurisdizionali aventi forma di sentenza, senza la necessità di ulteriore scrutinio sulla loro portata decisoria. Il comma 7, dell’art. 111 Cost., attribuirebbe al ricorso previsto dal comma 8 un ruolo di garanzia non solo della giurisdizione, ma anche della funzione c.d. soggettiva – ulteriore grado di giudizio nell’interesse delle parti – nonché di quella c.d. oggettiva in relazione alla nomofilachia. La sentenza della Corte di cassazione è criticata da altra, e più consistente, dottrina. In particolare si pone in dubbio che la figura del diniego di giurisdizione possa essere fatta rientrare tra i motivi inerenti alla giurisdizione contemplati dall’art. 111 Cost. i quali – come ribadito da Corte cost. 18 gennaio 2018, n. 6, attengono pur sempre all’osservanza dei limiti esterni della giurisdizione, In tal senso vedi A. Travi, nota a Cass. Sez. un. 23 novembre 2023, n. 32559 in Foro it., I, 181. L’A. nota peraltro che, in ogni caso, anche i precedenti più significativi in tema di diniego di giurisdizione, tra tutti le pronunce delle Sezioni unite che contestavano l’applicazione da parte del giudice amministrativo della pregiudizialità della azione di annullamento rispetto alla domanda risarcitoria, avevano pur sempre ad oggetto la denuncia della non corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Sicché egli reputa davvero arduo utilizzare il grimaldello del “diniego di giurisdizione” per cassare la pronuncia della adunanza plenaria che aveva negato la legittimazione di associazioni ed enti pubblici ad intervenire in giudizio a sostegno di una certa interpretazione della normativa vigente. Ancora in senso critico C. Consolo , op. cit., il quale dubita che si possa comunque parlare di diniego di giurisdizione in un caso di estromissione di interventori adesivi i quali, per definizione, non hanno il potere di allargare il thema decidendum e A. Proto Pisani, G. Verde, op. cit.,, i quali, pur sensibili alla esigenza di ampliare i contenuti dei motivi di giurisdizione per i quali, ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost. è ammesso il ricorso per cassazione contro le decisioni del Consiglio di Stato, ritengono che il caso non “meritasse la discontinuità che si è voluta dare rispetto a precedenti indirizzi”.
[7] M. Nigro, Giustizia amministrativa, III ed., Bologna, 1976, p. 126,
[8] Alb.Romano, In tema di intervento nel processo amministrativo, in Foro amm. 1961, I, 1247.
[9] Ancora Alb.Romano, op. loc. cit.
[10] G. Mannucci, Art. 28, in Commentario breve al codice del processo amministrativo, a cura di Falcon, Cortese, Marchetti, Padova, 2021, 247.
[11] Senza alcuna pretesa di esaustività, sull’art. 28 c.p.a., vedi L. Cimellaro, Intervento, in B. Sassani, A. Villata, Il Codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, Torino, 2012; V.M. Sessa, Intervento in causa e trasformazioni del processo amministrativo, Napoli, 2012; L. Coraggio, L’intervento nel Codice del processo amministrativo, in Giurisdiz. amm., 2011, IV, 299 ss.; M. Ricciardo Calderaro, L’intervento nel processo amministrativo: antichi problemi e nuove prospettive dopo il Codice del 2010, in Dir. proc. amm., 2018, 341 ss.; L. Bertonazzi, Appunti sparsi sul processo amministrativo di legittimità e i terzi, in Dir. proc. amm., 2023, 181 ss.; R. Manfellotti, Le posizioni soggettive quiescenti: contributo alla teoria generale dell’intervento adesivo nel processo, in Il Processo, 2021, 231 ss.; G. Tropea, , L’intervento volontario nel processo amministrativo di primo grado, in Dir. proc. amm., 2023, 3 ss.; Aa.Vv., L’intervento nel processo amministrativo, a cura di M. Ramajoli, R. Villata, Torino 2023.
[12] M. Ramajoli, L’intervento per ordine del giudice nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 2023, p. 223, la quale la norma, lungi dal conferire un’ampia discrezionalità al giudice, individua i legittimati passivi dell’ordine giudiziale nei titolari di una posizione giuridicamente qualificata, destinata a subire in una certa misura un pregiudizio dalla sentenza. Dunque nei controinteressati sostanziali, occulti, indiretti, quiescenti, sopravvenuti.
[13] A. Chizzini, L’intervento nella dinamica del processo amministrativo. Profili generali., in Dir. Proc. Amm. 2023, p. che giudica l’articolo “tra i non meglio riusciti, dal quale trasudano (forse volute) ambiguità, nodi non sciolti”. Critico, sulla “equivoca” formulazione dell’art. 28, e specie del comma 2, anche C. Consolo, op. cit., p. 830.
[14] Dunque l'interventore ai sensi del comma in parola è normalmente il controinteressato non intimato. In termini, C. Consolo, op. cit., p. 830. La pienezza dei poteri processuali, che risulta dall’inciso “senza pregiudizio del diritto di difesa” è “l'immancabile specchio della qualità di contraddittore necessario”, L. Bertonazzi, L’intervento in appello, in Dir. proc. amm. 2023, 258.
[15] Il novero dei controinteressati destinatari della notifica è ancor più ristretto nella disciplina del c.p.a. L’art. 41, comma 2 c.p.a. limita l’obbligo della notifica, ai fini della valida costituzione del contraddittorio, ai soli , laddove in termini più ampi l’art. 21, comma 1, della l. 1034 del 1971 lo estendeva ai “ controinteressati cui l’atto direttamente si riferisce”. L’irrigidimento del requisito formale ai fini della valida costituzione del contraddittorio è rilevato, in termini critici, da A. Romano Tassone, Il contraddittorio, in R. Villata, B. Sassani (a cura di), Il codice del processo amministrativo, Torino, 2012, p. 383 e M. Ramajoli, Giusto processo e giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., 2013, 132
[16] La disposizione del comma 2 è “ancor più equivoca” secondo C. Consolo, op. loc. cit.
[17] Ancora C. Consolo, op. cit., p. 830 per il quale l’art. 28 comma 2, legittimando l’intervento in giudizio di chi vi ha interesse e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, adombra un intervento litisconsortile parallelo.
[18] Giurisprudenza commentata favorevolmente da M. Nigro, In tema di intervento volontario nel processo amministrativo, in Foro amm., 1951, I,I, 283
[19] L’orientamento è richiamato da F. Satta, Giustizia amministrativa, III ed., Padova, 1997, p. 189, nt. 61. In questo senso vedi: Cons. Stato, Ad. plen., 25 maggio 1954, n. 18; Id. Sez. IV, 30 ottobre 1947, n. 371; Sez. IV, 3 febbraio 1956, n. 76; Sez., V, 28 settembre 1970, n. 713; Sez. IV, 12 dicembre 1996, n. 1292; Sez., IV, 13 dicembre 1999, n. 1853; Sez. IV, 27 maggio 2002, n. 2928
[20] Cfr. C. Consolo, op. cit. p. 830 il quale pure ritiene che l’art. 28, comma 2, contempli un intervento litisconsortile parallelo.
[21] Tra le tante richiama il principio giurisprudenziale consolidato dell’inammissibilità dell’intervento adesivo ad adiuvandum (del ricorrente) del soggetto legittimato alla proposizione dei ricorso autonomo Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 2023, n. 3363. Nel ricorso proposto da alcuni concorrenti esclusi per contestare le modalità di svolgimento delle prove preselettive di un concorso pubblico il Consiglio di Stato ha dichiarato ammissibile l’intervento in appello, dal lato della amministrazione, dei partecipanti alle prove del concorso con esito positivo, individuando in capo a questi “un evidente interesse alla conservazione degli atti del procedimento e dunque la titolarità di un interesse di fatto, accessorio e collegato a quello della parte appellante” ed “inammissibile l’intervento proposto da parte di altri candidati che non avevano impugnato la loro mancata ammissione alle prove successive, ma che sostenevano comunque di avere interesse al mantenimento della decisione di primo grado ed in particolare alla rinnovazione della proceduta di effettuazione della prova scritta secondo le modalità previste dal bando. Gli interessati della seconda categoria avrebbero così fatto valere “una posizione giuridica attinta direttamente dai provvedimenti impugnati che sarebbe stato onere delle stesse parti impugnare”.
[22] Questa lettura dell’art. 28, comma 2, ancorché ritenuta “fragile” sembra infine condivisa da L. Bertonazzi, L’intervento in appello cit. il quale, tra le varie figure di intervento delineate dall’art. 28, ritiene ammissibile l'intervento adesivo del terzo cointeressato decaduto dall'azione di annullamento in base all’argomento che costui va pur sempre a risentire dell'efficacia della sentenza di annullamento. Allora se la facoltà di intervenire ad adiuvandum è accordata a chi risente l'efficacia riflessa della sentenza di annullamento, la medesima facoltà non può non essere a fortiori accordata a chi è attinto dalla sua efficacia diretta
[23] spetta soltanto a coloro che figurano, formalmente, come i destinatari del provvedimento e dei suoi effetti giuridici. È riconosciuta dimostri di trovarsi in una particolare situazione di fatto o di diritto, correlata con l’atto ritenuto pregiudizievole (o vantaggioso) ovvero in una situazione per la quale possa pregiudizio (o un vantaggio) personale, e non meramente “organico” o “collettivo”. Il criterio, alla stregua del quale è risolto il problema della legittimazione, è quello della differenziazione (dell’interesse) e non quello della sua posizione rispetto all’atto lesivo.
[24] Un interesse nel giudizio è dunque richiesto ai fini della legittimazione. Il giudizio deve svolgersi tra interessati e nel processo non può interloquire “chiunque” poiché l’intervento comunque comporta un aggravio degli oneri di difesa delle parti, cfr. F. Satta. Giustizia amministrativa, III, ed., 1997, p. 188.
[25] A maggior ragione dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo il quale chiaramente “presuppone il carattere soggettivo della giurisdizione e la natura sostanziale degli interessi ivi dedotti (art. 7 c.p.a.)”, tra le tante, Cons. Stato, sez. VII, 2024 n. 1653
[26] F. Satta. Giustizia amministrativa, ,op. loc. cit.
[27] Ancora F. Satta. Giustizia, cit. p. 189
[28] Cfr. Cass. civ. sez. III, 20 ottobre 2010, n.21561 e Cass. civ. sez. un. 30 ottobre 2019, n. 27842.
[29] Tra le tante, Cons. Stato, Ad. plen., 28 gennaio 2025 n. 1, punto 4) della motivazione, distingue l’intervento ad adiuvandum per il quale la giurisprudenza richiede la titolarità di una posizione giuridica dipendente da quella dedotta in giudizio dall’intervento ad opponendum “ non essendo sufficiente a supportare un siffatto intervento in giudizio la semplice titolarità di un interesse di fatto (suscettibile invece di fondare il mero intervento ad opponendum “proprio” e cioè quello svolto a sostegno dell’amministrazione resistente in primo grado”. A ben vedere, però, al di là della massima che afferma essere sufficiente per l’intervento ad opponendum (ovvero quello svolto a sostegno dell'amministrazione resistente), la semplice titolarità di un interesse di mero fatto sotteso al mantenimento dell’assetto determinato dai provvedimenti impugnati nelle fattispecie esaminate viene sempre dedotta, ed accertata dal giudice, la titolarità di un interesse concreto ed attuale che possa trarre un vantaggio dal giudicato di rigetto del ricorso. Ad es. Cons.Stato sez. IV, 07/08/2020, n.4973, nel ricorso proposto da una ditta contro la propria esclusione dalla procedura di gara per anomalia dell’offerta, afferma la legittimazione ad intervenire ad opponendum della società, terza nella graduatoria, la quale aveva evidenziato il proprio interesse alla reiezione del ricorso, concretizzatosi peraltro nelle more del giudizio, in quanto la stazione appaltante aveva escluso dalla gara anche la seconda classificata
[30] Cons. Stato, Ad. Plen, 2 novembre 2015, n. 9 cit. riassume le “stringenti” condizioni alle quali è ammessa la legittimazione la legittimazione all’intervento in giudizio delle associazioni rappresentative degli interessi collettivi: “è necessario che la questione dibattuta attenga al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e cioè che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati. È inoltre indispensabile che l’interesse tutelato sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’associazione che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio”. Se, in negativo, l’assenza di dette condizioni esclude tanto la legittimazione a ricorrere quanto la legittimazione ad intervenire nel giudizio da altri proposto, in positivo si dovrebbe concludere che, ove ricorrano dette condizioni, l’intervento adesivo dipendente va ammesso anche una volta spirati i termini per ricorrere.
[31] Con riferimento al caso che ha dato origine al dibattito, chiosa C. Consolo, op.cit. p. 3 “è ben dato scorgere l’interesse legittimo pretensivo dei singoli concessionari alla proroga o al rinnovo del provvedimento concessorio così come l’interesse demolitorio contro l’atto di diniego. (….) Si fa fatica invece a scorgere la balnearità di molti interessi come insopprimibile esigenza al mantenimento di un regime concessorio che è stato mostrato porsi in frontale contrasto col diritto comunitario”.
[32] Così espressamente Cons. Stato, Ad. Plen, 2 novembre 2015, n. 9
[33] In questi termini, Cons. Stato, Ad. Plen 2024, n. 15 per la quale lo scopo dell’intervento in giudizio sia quello “di consentire l’emersione in sede processuale delle situazioni giuridiche soggettive, di varie tipologia e contenuto, che si muovono ‘interrelate’ nel contesto del diritto sostanziale, consentendo al giudice di cogliere la portata della controversia nella sua globale complessità e di ampliare lo spettro soggettivo di incisione del giudicato. L’esigenza di tener conto delle connessioni sussistenti tra i rapporti giuridici ha una peculiare particolare importanza nel contesto dell’azione amministrativa, poiché i provvedimenti di regola incidono su una pluralità di interessi pubblici e privati, irradiando i propri effetti su situazioni ulteriori, dipendenti o connesse, rispetto a quelle riguardanti le parti necessarie del giudizio”. Su questa peculiarità della azione amministrativa, A. Contieri, Il procedimento aperto nel pensiero di Franco Pugliese, in Scritti in ricordo di Franco Pugliese (a cura di E. Follieri e L. Iannotta), Editoriale Scientifica, Napoli – 2010, p. 49-53.
[34] Cons. Stato, sez. III, 4 aprile 2023, n. 3442; Id., sez. II 4 gennaio 2021, n. 105; Id., sez. VI, 13 agosto 2018, n. 4939; Id., sez. V, 10 aprile 2018, n. 2186.
[35] Eversiva rispetto alla impostazione tradizionale la massima di Cons. stato, sez. VI, 3 marzo 2016, n. 882 per la quale una volta che sia validamente instaurato, da uno dei suoi destinatari, un giudizio intorno alla legittimità del provvedimento amministrativo, non vi è più alcuna ragione di invocare il termine di decadenza a tutela di certezza e stabilità dei rapporti giuridici e di precludere l'intervento del legittimato che, pur senza ampliare il thema decidendum, voglia solo giovarsi del processo pendente per sostenere la tesi del ricorrente principale ed ottenere così, indirettamente, data la natura inscindibile degli effetti del provvedimento, la tutela della propria posizione. La sentenza è commentata da M. Ricciardo Calderaro, in Dir. proc. amm. 2016, p. 336.
[36] Cons. Stato, Ad. Plen., 29 ottobre 2024, n. 15.
