Produzione sistemico relazionale della fiducia e delle certezze (nota a Cons. Stato, sez. VII, 10 giugno 2025, n. 5020)
di Andrea Crismani
Sommario: 1. “La rivolta dei topi d’ufficio” e il paradosso dell’autocertificazione. 2. Quando il cittadino spera che l’amministrazione non guardi (…). 3. Le dichiarazioni dei privati e la funzione di certezza nell’amministrazione contemporanea. 4. Verità, veridicità e certezza. 5. Gli orientamenti giurisprudenziali. 6. Il consolidamento del principio di fiducia oggettiva.
1. “La rivolta dei topi d’ufficio” e il paradosso dell’autocertificazione
Nel racconto di Andrea Camilleri, La rivolta dei topi d’ufficio, con la prefazione di Franco Bassanini e le illustrazioni di Luciano Vandelli, la vicenda prende le mosse dall’introduzione della legge sull’autocertificazione, accolta con sospetto e ironia dai funzionari pubblici della “Montelusa”[1].
Il dottor Sinagra, impiegato modello e fedele custode del timbro e del modulo, reagisce con indignazione alla prospettiva che i cittadini possano dichiarare da soli ciò che finora spettava alla pubblica amministrazione attestare. Egli afferma: «Almeno, questa legge non è fatta per noi. Può funzionare in Svezia o in Germania, dove se qualcuno dice una cosa, quella è Vangelo. Ma qui da noi, come fai a fidarti della parola di uno sconosciuto?» E continua: «Da noi intende in Italia?» - spiò il ragionier La Piana[2]. Nel proseguio del dialogo Camilleri fa pronunciare al ragionier La Piana un’amara ironia sul costume nazionale: se mai si dovesse riscrivere la Costituzione, bisognerebbe sostituire l’articolo 1 con un principio diverso, poiché «l’Italia non è una Repubblica fondata sul lavoro, ma sulla diffidenza reciproca»[3]. Camilleri suggerisce che, in luogo della cooperazione, l’ordinamento si regge su un sistema di controlli difensivi e sospetti reciproci — una “costituzione della diffidenza” che mina alla radice ogni forma di fiducia pubblica.
Questa battuta sintetizza la tensione tra l’ideale di un’amministrazione di fiducia e la realtà di un apparato fondato sul sospetto[4]. L’ironia che ne emerge non è solo satira: è la rappresentazione letteraria di un nodo politico e istituzionale. L’introduzione dell’autocertificazione è (era) percepita come un attentato alla certezza documentale e all’ordine amministrativo fondato sul controllo[5].
L’intera narrazione si fonda su questa paradossale inversione: l’autocertificazione, nata per semplificare, viene trasformata in simbolo di anarchia, mentre la burocrazia, nata per garantire la legalità, diventa strumento di sospetto generalizzato. In questo saggio si mostra come una riforma amministrativa può fallire non per difetto di norme, ma per assenza di fiducia: la certezza pubblica non è una questione di modulistica, ma di credibilità collettiva[6].
2. Quando il cittadino spera che l’amministrazione non guardi (…)
L’ironia di Camilleri anticipa un tema che il diritto amministrativo contemporaneo affronta quotidianamente: la difficoltà di tradurre la fiducia in regola.
Nel racconto, il dottor Sinagra rappresenta la burocrazia della diffidenza, quella che teme l’autonomia del cittadino perché identifica la fiducia con la perdita di controllo. La legge sull’autocertificazione gli appare come un attentato alla certezza pubblica, poiché sposta il potere di dire il vero dall’amministrazione al privato.
Un caso recente deciso dalla giurisprudenza sembra riflettere, quasi per coincidenza, la stessa tensione rappresentata da Camilleri, ma in forma speculare. Nella sentenza in commento[7], relativa a una procedura di chiamata universitaria per un posto di professore universitario, il giudice amministrativo affronta il caso di un candidato che aveva indicato nel curriculum la titolarità di tre brevetti, quando due risultavano soltanto in corso di domanda.
Non è dato sapere se si trattasse di dolo o di semplice errore, ma certamente di una di quelle situazioni in cui l’incertezza sul contenuto delle dichiarazioni e la leggerezza nella loro formulazione producono effetti giuridici rilevanti. L’autodichiarazione, in questi casi, diventa il terreno fragile su cui si misura la tenuta della fiducia pubblica.
Il Consiglio di Stato ha affermato che, ai sensi degli articoli 46 e 75 del d.P.R. n. 445 del 2000, non rileva la sede formale della dichiarazione – sia essa inserita nella domanda o nel curriculum – poiché l’autocertificazione copre l’intero contenuto documentale, e la non veridicità, anche solo parziale, comporta la decadenza dalla procedura. La ratio non è tanto quella di sanzionare, quanto di preservare la coerenza del sistema: garantire parità di responsabilità tra i concorrenti e mantenere integro il circuito fiduciario che regge la certezza amministrativa.
Questa vicenda potrebbe rappresentare il naturale seguito della Rivolta dei topi d’ufficio. Non più la burocrazia che diffida del cittadino, ma il cittadino che, tra malizia, incertezza o mera leggerezza, confida nella distrazione dell’amministrazione. Un racconto che descriverebbe non tanto la malafede quanto la fragilità della consapevolezza civica: quella zona grigia in cui la fiducia si trasforma in superficialità e la certezza giuridica diventa vittima dell’inerzia reciproca. Forse lo si potrebbe intitolare Quando il cittadino spera che l’amministrazione non guardi: una parabola moderna su come, tra sospetto e disattenzione, la verità finisca sempre per smarrirsi dietro uno sportello.
3. Le dichiarazioni dei privati e la funzione di certezza nell’amministrazione contemporanea
La certezza giuridica costituisce una delle funzioni essenziali dell’ordinamento amministrativo[8]. Essa è volta a garantire la stabilità e la sicurezza dei rapporti giuridici, economici e sociali, attraverso la conoscenza di fatti, stati e qualità che il diritto qualifica come veri. In questa logica, i principi di autocertificazione e decertificazione rappresentano il tentativo di tradurre la certezza da valore statico a meccanismo dinamico di cooperazione tra cittadino e amministrazione[9].
Nel modello amministrativo tradizionale, la certezza giuridica si fondava sul potere esclusivo della pubblica amministrazione di accertare e attestare il vero, mediante atti aventi fede privilegiata, capaci di fondare l’affidamento dei cittadini nella veridicità delle informazioni provenienti dall’autorità pubblica.
Come osservava Giannini, la pubblica amministrazione è l’organo di produzione delle certezze pubbliche, ossia di quelle rappresentazioni normative del reale che costituiscono il presupposto dell’azione amministrativa.
Con la riforma del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, si è compiuta una trasformazione importante di questa funzione.
La disciplina delle dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà (artt. 46 e 47) si è posta l’obiettivo di introdurre un modello di amministrazione semplificata e fiduciaria, che trasferisce al cittadino una parte della funzione di produzione della certezza pubblica.[10] Il privato è chiamato ad attestare, sotto la propria responsabilità, fatti e stati di cui la pubblica amministrazione prende atto “come veri”, salvo successivo controllo.
In sostanza il cittadino diviene co-produttore della conoscenza giuridica, in un sistema che presume la sua veridicità fino a prova contraria. La pubblica amministrazione, a sua volta, non è più solo ente certificatore, ma ente verificatore, che assume la dichiarazione come punto di partenza del procedimento e ne controlla l’esattezza a posteriori.
Il d.P.R. n. 445/2000 risponde a un duplice obiettivo: da un lato, la semplificazione amministrativa e la riduzione degli oneri documentali; dall’altro, la responsabilizzazione del cittadino, intesa come costruzione di un nuovo equilibrio tra fiducia e controllo.
Il principio di semplificazione non si limita a velocizzare i procedimenti, ma incide sul concetto stesso di certezza, che da formale si trasforma in sostanziale.
La certezza amministrativa non discenderebbe più dal documento pubblico, ma dall’affidabilità della dichiarazione privata, in un contesto di fiducia reciproca tra amministrazione e cittadino. Il sistema sarebbe retto dal principio di autoresponsabilità del dichiarante, espresso dall’art. 75 del medesimo testo unico, secondo il quale la falsità comporta la decadenza dai benefici conseguiti sulla base della dichiarazione.
Il meccanismo dell’autocertificazione, pertanto, è costruito su una presunzione di verità che l’amministrazione è tenuta a rispettare, ma che può essere ribaltata in presenza di prova contraria: la certezza è presunta, ma non cieca.
La decadenza prevista dall’art. 75 Testo unico non può essere ridotta a una misura meramente punitiva, poiché persegue anche una finalità di salvaguardia dell’affidabilità del sistema amministrativo. Essa si colloca in una zona intermedia tra sanzione e strumento di garanzia, volta a preservare la fiducia collettiva nella veridicità delle dichiarazioni e nella certezza giuridica pubblica[11].
4. Verità, veridicità e certezza
Nel contesto del paradigma autoritativo della certezza e di quello cooperativo, va richiamato il triangolo concettuale che ne rappresenta la struttura teorica: verità, veridicità e certezza[12].
Questi tre termini, solo apparentemente sinonimi, delineano in realtà tre diversi livelli del rapporto tra conoscenza e potere nell’amministrazione, e spiegano come l’ordinamento contemporaneo tenda a sostituire la ricerca della verità con la costruzione della veridicità istituzionale, e quest’ultima con la certezza giuridica come valore condiviso e operativo.
La verità costituisce l’ideale di corrispondenza tra rappresentazione e realtà, che il diritto assume come orizzonte ma non come presupposto.
La veridicità è la qualità operativa che rende una rappresentazione idonea a essere accettata come vera: è la misura della fiducia giuridica nella plausibilità.
La certezza è il risultato istituzionale della veridicità riconosciuta e stabilizzata dall’ordinamento, la sua traduzione in valore pubblico.
Il diritto amministrativo, per sua natura, tendenzialmente non può che operare su questo piano intermedio. Non conosce la verità assoluta, ma crea e regola verità sufficientemente affidabili, capaci di garantire l’efficienza, la legittimità e l’imparzialità dell’azione pubblica. Nel modello contemporaneo, questa funzione è condivisa: l’amministrazione produce certezza attraverso la fiducia nella veridicità delle dichiarazioni private, e il cittadino contribuisce alla certezza pubblica mediante la lealtà dichiarativa.
Come è stato efficacemente sintetizzato, la certezza giuridica contemporanea non è più autoritativa, ma cooperativa: nasce dall’incontro tra la fiducia dell’amministrazione e la responsabilità del dichiarante[13]. La certezza contemporanea è quindi relazionale: essa nasce da rapporti di fiducia reciproca e da meccanismi di verifica diffusa, più che da una fede autoritativa.
Le autodichiarazioni sono l’esempio paradigmatico di questa trasformazione: instaurano un patto fiduciario temporaneo, fondato sull’autoresponsabilità del dichiarante. In effetti, con l’introduzione delle autocertificazioni (d.P.R. n. 445/2000), parte di questa funzione è stata delegata al cittadino, che diventa corresponsabile della verità dei dati prodotti. L’amministrazione accetta la veridicità del dichiarante e costruisce su di essa il proprio giudizio, spostando l’asse della certezza dal controllo preventivo alla fiducia postuma. Tale dinamica traduce il principio gianniniano della certezza per rappresentazione in un sistema fiduciario, in cui la falsità non è solo errore fattuale, ma rottura del patto di certezza che regge la cooperazione amministrativa[14].
5. Gli orientamenti giurisprudenziali
Nel presente contributo si prendono in esame le problematiche giuridiche e le elaborazioni giurisprudenziali relative al falso nelle autocertificazioni rese nelle procedure concorsuali per l’accesso al pubblico impiego, ambito nel quale si è progressivamente affermata una lettura che riconosce alla veridicità dichiarativa una funzione di garanzia della parità tra i concorrenti.
In questa prospettiva, la veridicità non è soltanto un requisito formale, ma rappresenta un valore sostanziale del procedimento concorsuale: tutela la leale competizione tra i candidati e consente all’amministrazione di fondare il proprio giudizio comparativo sulla correttezza delle informazioni fornite. La falsità, anche parziale, si traduce così in una violazione non solo del rapporto di fiducia con la pubblica amministrazione, ma anche dell’equilibrio tra i partecipanti, poiché altera la base comune di affidamento reciproco sulla quale si regge la selezione.
Restano esclusi, in questa analisi, altri ambiti applicativi dell’autocertificazione, nei quali l’istituto opera con logiche e finalità in parte differenti: le procedure per l’ottenimento di contributi, sovvenzioni e agevolazioni economiche o fiscali; le istanze per il rilascio di titoli abilitativi nell’ambito della semplificazione e liberalizzazione amministrativa, o in edilizia e urbanistica (in particolare la Scia e i titoli edilizi sostitutivi); le autodichiarazioni nel settore energetico e ambientale; le procedure di affidamento di contratti e appalti pubblici che sono dotate di una disciplina dettagliata e specifica più volte rivista dalla giurisprudenza e dal legislatore; nonché le autocertificazioni di natura anagrafica, sanitaria, previdenziale o scolastica, introdotte in attuazione dei principi di digitalizzazione amministrativa. Rientrano in un filone autonomo, infine, le autodichiarazioni emergenziali del (passato) periodo Covid-19, che hanno rappresentato una peculiare applicazione del modello in chiave di regolazione diffusa dei comportamenti sociali.
Tornando al caso di specie, dalla lettura della più recente giurisprudenza possono principalmente individuarsi tre posizioni interpretative in materia di falsità dichiarativa ai sensi dell’art. 75 del d.P.R. 445 del 2000, le quali evidenziano l’evoluzione del sistema da un approccio proporzionale a una concezione tendenzialmente oggettiva della decadenza.
- a)La teoria funzionale e proporzionale
- b)La teoria dell’ambiguità non mendace
Una prima teoria si fonda su una concezione funzionale della falsità. La decadenza è ritenuta applicabile soltanto quando la dichiarazione non veritiera abbia avuto efficacia causale rispetto al beneficio conseguito, ossia quando la falsità sia risultata determinante ai fini dell’adozione del provvedimento favorevole. Si configura, in tale logica, una distinzione tra falso rilevante e falso innocuo: solo il primo è idoneo a incidere sulla validità dell’atto, mentre il secondo, in mancanza di effetti concreti, non comporta conseguenze sanzionatorie. L’impostazione riflette una visione proporzionale della reazione amministrativa, in cui la gravità della sanzione si commisura all’impatto effettivo del mendacio[15].
Una seconda teoria introduce un’ulteriore distinzione, tra dichiarazione mendace e dichiarazione ambigua o imprecisa. La falsità, in questa prospettiva, si identifica solo nella rappresentazione consapevolmente contraria al vero, mentre l’imprecisione o l’opacità espositiva restano escluse dal perimetro dell’art. 75. La giurisprudenza riconosce, così, che non ogni difformità semantica rispetto alla realtà costituisce falsità giuridicamente rilevante: la non veridicità deve essere intenzionale e oggettiva, non il mero risultato di una comunicazione imperfetta. Si tratta ancora di una logica casistica e prudenziale, che tenta di conciliare l’esigenza di tutela della certezza amministrativa con quella di proporzionalità[16].
c) La teoria oggettiva e unitaria della falsità
Una terza e più recente teoria segna il superamento del criterio proporzionale e l’affermazione di una concezione oggettiva della falsità. L’autocertificazione viene considerata un atto unitario e inscindibile, la cui attendibilità complessiva risulta compromessa anche in presenza di una sola informazione non veritiera. La falsità, pertanto, potenzialmente assume rilievo in sé, quale violazione del vincolo fiduciario che regge il rapporto tra amministrazione e cittadino. Non rileva più l’incidenza della falsità sull’esito del procedimento, ma il fatto stesso che l’atto dichiarativo non risponda al vero, poiché ciò mina la credibilità del sistema delle certezze pubbliche. L’elemento soggettivo dell’autoresponsabilità si salda con il valore oggettivo della fiducia istituzionale: il dichiarante non può trarre vantaggio da un atto che, anche solo parzialmente, manchi di veridicità[17].
Questa impostazione riflette una trasformazione culturale: la falsità non è più vista come una devianza individuale da sanzionare in misura proporzionata, ma come una lesione sistemica della fiducia pubblica, che giustifica la decadenza automatica in quanto misura di tutela dell’affidabilità complessiva del sistema[18].
6. Il consolidamento del principio di fiducia oggettiva
La decisione n. 5020/2025 rappresenta il punto di arrivo di questa evoluzione.
La vicenda trae origine da una procedura valutativa bandita ai sensi dell’art. 24, commi 5 e 6, della legge n. 240/2010, per la chiamata di un professore universitario. Il candidato aveva dichiarato nel proprio curriculum la titolarità di tre brevetti, due dei quali, tuttavia, risultavano solo in fase di domanda e non ancora formalmente concessi.
Il Consiglio di Stato ha ritenuto che tale circostanza integri una falsità rilevante ai sensi degli artt. 46 e 75 del d.P.R. 445/2000, precisando che l’art. 46 del testo unicio non distingue tra dichiarazioni rese nel curriculum e quelle contenute nella domanda, giacché entrambe concorrono a formare l’autocertificazione dei titoli valutabili. Inoltre, evidenzia come l’autodichiarazione copre l’intero contenuto documentale e il bando di concorso richiedeva espressamente che il curriculum fosse accompagnato da una dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante la veridicità dei titoli e delle attività scientifiche. Infine, evidenzia che l’oggetto della dichiarazione non veritiera era essenziale ai fini della valutazione comparativa e, dunque, della nomina, indipendentemente dalla collocazione formale della notizia mendace.
Quindi, il Consiglio di Stato afferma i seguenti principi.
Primo, unità della dichiarazione: «Sul piano normativo, l’art. 46 cit. non reca alcuna distinzione tra fatti dichiarati nel curriculum vitae e fatti dichiarati nella domanda di partecipazione, facendo generale e astratto riferimento all’autodichiarazione di fatti personalmente o professionalmente rilevanti».
Secondo, essenzialità del falso: «L’oggetto della dichiarazione non veritiera risulta essenziale ai fini della nomina, a prescindere dalla sua materiale collocazione all’interno del curriculum vitae ovvero della domanda di partecipazione».
Terzo, funzione valoriale della veridicità: «La ratio legis (…) è quella di mettere tutti i concorrenti su un piano di parità (…) confidando sulla correttezza ed esattezza di quanto reciprocamente dichiarato».
La decisione si colloca nella prospettiva che riconosce alla certezza pubblica un valore sistemico, in cui la tutela della fiducia nella veridicità amministrativa prevale sulla verifica dell’incidenza causale della dichiarazione non veritiera.La sentenza n. 5020/2025 pare riqualificare l’art. 75 d.P.R. 445/2000 da norma sanzionatoria a dispositivo di tutela della certezza pubblica. Il falso non è più misurato sulla base del vantaggio conseguito, ma sul suo potenziale distruttivo per l’affidabilità del sistema.
[1] A. Camilleri, La rivolta dei topi d’ufficio, Edizione Este, 1999, su http://www.bassanini.it/wp-content/uploads/2013/10/La-rivolta-dei-topi-dufficio.pdf
[2] A. Camilleri, La rivolta dei topi d’ufficio, cit., p.4.
[3] Ibidem, p. 5.
[4] F. Bassanini, Presentazione in A. Camilleri, cit, p. 1.
[5] Di fronte a quella che vivono come un’umiliazione istituzionale, gli impiegati si organizzano nel BAAC – Burocrati Anti Auto Certificazione – con lo scopo di sabotare il nuovo sistema e dimostrarne la fallacia. Camilleri riassume il loro intento in poche, efficaci parole: «I vivi sarebbero risultati morti, i morti vivi, i celibi sposati, e via scambiando: fino a rendere incredibile ogni autocertificazione.» Il BAAC diventa così la caricatura della resistenza burocratica: un apparato che, pur di difendere il proprio monopolio sulla verità amministrativa, è disposto a falsificare la realtà pur di dimostrare l’inattendibilità del cittadino. Il ragionier La Piana sintetizza il senso di tale sfiducia nella battuta: «Bisognerebbe, una volta per tutte, stabilire che l’Italia è una Repubblica basata sulla diffidenza reciproca». Quindi, là dove la Costituzione proclama la centralità del lavoro, l’esperienza quotidiana sembra mostrare che la Repubblica funziona piuttosto come un sistema di reciproca sfiducia regolata — tra cittadini e pubblici poteri, tra amministrati e amministratori, tra dichiaranti e verificatori.
[6] Nella prefazione, Franco Bassanini sottolinea esattamente questo nodo culturale. Egli ricorda come la riforma dell’autocertificazione nascesse dall’esigenza di abbandonare il mito del bollo, del timbro, del certificato, delle complicazioni burocratiche e di sostituire al culto dei formalismi il primato dell’efficienza e della responsabilità del cittadino. Il racconto di Camilleri, osserva Bassanini, descrive con realismo la difficoltà italiana di accettare la fiducia come strumento amministrativo: l’autocertificazione non è soltanto una semplificazione procedurale, ma un atto politico di fiducia reciproca tra amministrazione e cittadino — e proprio per questo incontra la resistenza più profonda.
[7] Cons. Stato, Sez. VII, 10 giugno 2025, n. 5020.
[8] Sul tema, si richiama in via introduttiva innanzitutto la seguente dottrina: P. Calamandrei, Verità e verosimiglianza nel processo civile, in Rivista di diritto processuale, 1955, I, 164 ss.; A. Falzea, Accertamento (teoria generale), in Enciclopedia del diritto, I, Milano, 1958, 205 ss.; M. S. Giannini, Certezza pubblica, in Enciclopedia del diritto, VI, Milano, 1960, 769 ss.; S. Pugliatti, Conoscenza, in Enciclopedia del diritto, IX, Milano, 1961; A. Predieri, Premessa ad uno studio sullo Stato come produttore di informazioni, in Studi in onore di Giuseppe Chiarelli, II, Milano, Giuffrè, 1974, 1626 ss.; M. Mazzamuto, Dichiarazioni sostitutive: le principali innovazioni delle leggi Bassanini, in N AUT, 1999, 45 ss; A. Fioritto, La funzione di certezza pubblica, Padova, 2003; I.d., Certezza pubblica, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di diritto pubblico, II, Milano, Giuffrè, 2006, 851 ss.; G. Gardini, Autocertificazione, in D. disc. pubbl. (Agg.), Torino, 2005, 107 ss; F. Fracchia - M. Occhiena, I sistemi di certificazione tra qualità e certezza, Milano, 2006; A. Benedetti, Certezza pubblica e “certezze private”, Milano, 2010, 30 ss.; E. Carloni, Le verità amministrative. L’attività conoscitiva pubblica tra procedimento e processo, Milano, 2012, 24 ss.; A. Benedetti, Seeking “Certainty” between Public Powers and Private Systems, in Italian Journal of Public Law, 2012, p. 356; I.d, Certezza pubblica [dir. amm.], in Treccani – Diritto on line, 2014; I.d., La ricerca della certezza, tra poteri pubblici e sistemi privati, in https://www.giustamm.it/private/new_2012/ART_4442.pdf; A. Carratta – C. Mandrioli, Diritto processuale civile, II, Torino, 2017, 169 ss. In sintesi ricostruttiva: la linea classica distingue tra verità (ideale di corrispondenza al fatto) e accertamento (procedimento giuridico di conoscenza: Falzea), evidenziando nel processo la dialettica verità/verosimiglianza (Calamandrei) e, sul versante amministrativo, il progressivo superamento del “mito della verità” a favore della certezza pubblica come prodotto istituzionale (Giannini). La conoscenza giuridica opera così per rappresentazioni affidabili più che per verità assolute (Pugliatti), entro uno Stato che è primario produttore di informazioni pubbliche (Predieri). In chiave contemporanea, la certezza assume profilo relazionale e funzionale all’affidabilità dei rapporti (Fioritto), può ibridarsi con “certezze private” regolate pubblicisticamente (Benedetti) e si sostanzia in verità amministrative costruite tramite procedure e garanzie, con il rischio, se ridotte al solo “sigillo del potere”, di scollarsi dalla realtà (Carloni). Sullo sfondo, la dogmatica processuale recente continua a misurare l’operatività di verità, verosimiglianza e probabilità come gradi di attendibilità decisoria (Carratta–Mandrioli).
[9] I principi di autocertificazione e di decertificazione rappresentano due cardini delle riforme di semplificazione amministrativa, nati per alleggerire gli oneri burocratici gravanti sui cittadini e riequilibrare il rapporto con l’amministrazione. Il primo solleva il cittadino dall’onere di certificare fatti, stati o qualità personali, consentendogli di sostituire la documentazione con una dichiarazione formale, la cui veridicità è soggetta a successivo controllo da parte della pubblica amministrazione. Il secondo, invece, ne rovescia la logica, imponendo al responsabile del procedimento di acquisire d’ufficio i dati che è compito dell’amministrazione stessa certificare. Entrambi i principi sono confluiti nell’art. 18 della legge n. 241/1990, che, insieme al d.P.R. n. 445/2000, costituisce la base del sistema di “documentazione amministrativa semplificata”. Le riforme successive — in particolare quelle introdotte dal d.l. n. 76/2020 (“Semplificazioni”) e dal d.l. n. 34/2020 (“Rilancio”) — ne hanno ampliato l’ambito di applicazione, estendendolo anche ai rapporti tra privati e alla gestione dei benefici economici. Tuttavia, la piena attuazione di tali principi resta incompleta, frenata dalla carenza di interoperabilità tra banche dati pubbliche e da una persistente sfiducia dell’amministrazione verso il cittadino, che continua a tradursi in un aggravio di adempimenti formali, cfr. A. Giurickovic Dato, L’inattuazione dei principi di “autocertificazione” e “decertificazione” tra digitalizzazione ed emergenza, in Rivista CERIPAD, fasc. 3, 2021, https://ceridap.eu/linattuazione-dei-principi-di-autocertificazione-e-decertificazione-tra-digitalizzazione-ed-emergenza/
[10] Per una ricostruzione si rinvia a M.A. Sandulli, La “trappola” dell’art. 264 “decreto Rilancio” per le autodichiarazioni. Le sanzioni nascoste, in Questa Rivista, 2020, https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1128-la-trappola-dell-art-264-del-dl-34-2020-decreto-rilancio-per-le-autodichiarazioni-la-norma-sulla-semplificazione-amministrativa-nasconde-nuove-sanzioni-per-gli-amministrati; I.d., Autodichiarazioni e dichiarazione "non veritiera". La semplificazione della produzione documentale mediante le dichiarazioni sostitutive di atti e documenti e l’acquisizione d’ufficio (*), in Questa Rivista, https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-e-processo-amministrativo/1347-autodichiarazioni .
[11] Il venir meno della veridicità dichiarativa, anche in singoli casi, mina infatti l’affidabilità complessiva del sistema, alterando la credibilità della certezza che esso intende garantire. La pubblica amministrazione accetta la dichiarazione come vera fino a prova contraria, ma si riserva la possibilità di verificarne la fondatezza, a tutela dell’interesse pubblico alla certezza e alla parità di trattamento.La certezza amministrativa, nel modello attuale, è dunque fiduciaria ma controllabile, relativa ma garantita: una costruzione che vive dell’equilibrio tra fiducia e verifica, tra collaborazione e potere.
[12] Le riflessioni di questo paragrafo si ricollegano, senza pretesa di esaustività, a una tradizione dottrinale ampia che ha approfondito il rapporto tra conoscenza, verità e certezza nel diritto amministrativo e nella teoria generale: A. Falzea, Accertamento (teoria generale), in Enc. dir., I, Milano, Giuffrè, 1958; S. Pugliatti, Conoscenza e diritto, Milano, 1961; M. S. Giannini, Certezza pubblica, cit.; E. Carloni, Le verità amministrative, cit.; A. Benedetti, Certezza pubblica e “certezze private”, cit.; C. Faralli, Certezza del diritto o diritto alla certezza?, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1997; A. Fioritto, La funzione di certezza pubblica, cit.; A. Romano Tassone, Amministrazione pubblica e produzione di certezza: problemi attuali e spunti ricostruttivi, in Dir. amm., 2005; M. Taruffo, La semplice verità. Il giudice e la costruzione dei fatti, Bari, 2009.
[13] A. Benedetti, Certezza pubblica [dir. amm.], cit.
[14] Ibidem.
[15] Cons. Stato, Sez. V, 20 agosto 2019, n. 5761; Cons. Stato, Sez. V, 6 luglio 2020, n. 4303.
[16] Cons. Stato, Sez. VII, 31 gennaio 2022, n. 638.
[17] Cons. Stato, Sez. VII, 8 giugno 2022, n. 4680.
[18] Cons. Stato, Sez. VII, 10 febbraio 2025, n. 5020.
