Ritiro doveroso della proposta di aggiudicazione e responsabilità precontrattuale dell’Amministrazione (nota a Tar Lombardia – Milano, sez. II, 3 giugno 2025, n. 1917)
Sommario: 1.- Fatti di causa e oggetto di indagine; 2.-Revoca e ritiro del provvedimento amministrativo. Cenni; 2.1-(segue)concetto di doverosità del ritiro; 3.-Resposabilità precontrattuale dell’amministrazione nelle procedure ad evidenza pubblica; 3.1.-(segue) l’aggiudicazione provvisoria e il requisito dell’affidamento incolpevole del privato. 4.-Il punto del Tar sui requisiti per ottenere il risarcimento dei danni a titolo di responsabilità precontrattuale.
1. Fatti di causa e oggetto di indagine.
Nella pronuncia in commento il Tar Milano offre una ricostruzione dell’istituto di revoca della proposta di aggiudicazione, ponendola a confronto con la diversa ipotesi del mero ritiro. Evidenzia le conseguenze della individuazione di una piuttosto che dell’altra, in relazione alla responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, nonché al risarcimento del danno del privato presuntivamente danneggiato dalla mancata aggiudicazione.
Il caso oggetto di delibazione verte su una procedura aperta per l’affidamento di una fornitura di prodotti, indetta da un’Azienda Socio Sanitaria Territoriale, da espletare in forma aggregata con un’altra. Oggetto della fornitura sono biberon e tettarelle monouso, per le quali l’art. 3 della lex specialis dispone che siano dotate di marcatura CE.
La graduatoria provvisoria, stilata a conclusione della procedura, vede la ricorrente quale prima classificata. Tuttavia alle proposte di aggiudicazione per i lotti interessati non è seguita alcuna aggiudicazione defintiva, di tal che la ricorrente – in prima battuta – ha instaurato un giudizio avverso il silenzio. Nelle more, la stazione appaltante ha “revocato” l’intera procedura di gara, ritenendo erronea la propria indicazione della marcature CE come requisito essenziale, in quanto questa avrebbe creato un restringimento del mercato degli operatori economici potenzialmente interessati a prendere parte alla procedura.
Il provvedimento di “revoca” è stato impugnato dalla ricorrente con ricorso per motivi aggiunti, in seno al quale è stata anche formulata domanda di risarcimento dei danni asseritamente subiti a titolo di: a) responsabilità precontrattuale; b) ritardo nel provvedere; c) illegittimità del provvedimento di revoca.
Il Tar, dopo aver dichiarato, con sentenza non definitiva, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso introduttivo, ha rigettato nel merito il ricorso per motivi aggiunti, ritenendolo infondato. Sulla scorta del quadro normativo e guirisprudenziale afferente alle distinte figure di revoca e ritiro del provvedimento amministrativo, il Collegio ha concluso che nel caso di specie la stazione appaltante avesse posto in essere un atto di mero ritiro (stante la irrilevanza del nomen juris assegnato dalle parti) peraltro congruamente motivato. È stata rigettata anche la domanda di risarcimento del danno da ritardo e da provvedimento illegittimo, in ragione dell’accertata legittimità dell’atto di ritiro, ritenuto addirittura “doveroso”. Quanto alla responsabilità precontrattuale, questa è stata esclusa per assenza dei requisiti necessari, per come anche individuati dalla giurisprudenza precedente dell’Adunanza Plenaria.
Nel presente scritto ci si occuperà di richiamare per sommi capi la disciplina della revoca ex art. 21 quienques della L. n. 241/1990, al fine di confrontarla – e dunque distinguerla – dalle ipotesi di mero ritiro di un provvedimento, analizzando i casi in cui questo possa definirsi doveroso. Lo scopo è quello di delineare le ricadute di detta qualificazione sul regime di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, con particolare riguardo al requisito dell’affidamento ingenerato in capo all’operatore economico danneggiato.
2.-Revoca e ritiro del provvedimento amministrativo. Cenni.
La legge sul procedimento prevede che la pubblica amministrazione possa esercitare il suo potere di autotutela attraverso le due forme di revoca e annullamento d’ufficio [1].
Come opportunamente richiamato dal Tar nella pronuncia in commento, la revoca – di cui all’art. 21 quinquies – è un provvedimento amministrativo di secondo grado, che postula l’esercizio di un potere discrezionale di autotutela dell’amministrazione, per ragioni di inopportunità sopravvenuta, rispetto a un atto precedentemente emanato e ad efficacia durevole [2].
L’annullamento ai sensi dell’art. 21 nonies L. n. 241/1990 può essere disposto, sussistendone ragioni di interesse pubblico ed entro il termine temporale indicato, nel caso di illegittimità originaria del provvedimento di primo grado.
Tale potere non è contestabile nelle procedure ad evidenza pubblica, anche quando oggetto del provvedimento di secondo grado sia l’aggiudicazione definitiva, ove – chiaramente – ci si trovi in presenza di una illegittimità significativa [3]. Tuttavia, è ben possibile che la pubblica amministrazione si limiti a rimuovere atti che non abbiano ancora determinato l’emanazione di un provvedimento definitivo.
In particolare, afferma il Collegio che “laddove la pubblica amministrazione si limiti a rimuovere successivamente uno o più atti illegittimi che non abbiano ancora avuto esito in un provvedimento finale, «si è in presenza di un mero ritiro doveroso, ben diverso dai discrezionali consueti provvedimenti di secondo grado come la revoca e l’annullamento d’ufficio, contemplati dagli artt. 21- quinquies e 21- nonies, L. 7 agosto1990, n. 241»” [4]. Dalla qualificazione di un provvedimento come revoca e/o annullamento ovvero come mero ritiro discendono delle conseguenze tutt’altro che trascurabili.
Come evidenziato dal Tar Milano, in coerenza con la giurisprudenza precedente [5], l’atto di mero ritiro non è subordinato alla previa verifica della sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale, non necessita della valutazione delle posizioni soggettive eventualmente coinvolte nella vicenda e non richiede il previo avviso di inizio del procedimento.
Anche l’onere motivazionale deve essere calibrato in funzione della fase procedimentale in cui la stessa interviene. L’esplicitazione delle ragioni circa l’interesse pubblico al ritiro varia di intensità – ad esempio – a seconda della circostanza che sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva (o addirittura la stipula del contratto) ovvero che il procedimento di valutazione comparativa concorrenziale non sia ancora completamente giunto a termine [6].
2.1-(segue) concetto di doverosità del ritiro.
Il richiamo che il Tar Milano fa al concetto di doverosità, qualificando tale il ritiro della proposta di aggiudicazione operato dalla stazione appaltante, ne impone una – seppur succinta – analisi.
La giurisprudenza [7] ha, nel tempo, associato il termine “doveroso” al potere di autotutela della pubblica amministrazione in determinati casi, pur nella consapevolezza che la caratteristica principale di tale potere sia la discrezionalità.
L’autotutela doverosa è stata definita come il potere esercitato in tutte quelle ipotesi, tassativamente individuate dal legislatore ovvero definite chiaramente in via giurisprudenziale [8], in cui il potere di riesame dei propri atti da parte delle Amministrazioni è dovuto.
La dottrina [9] si è occupata di analizzarne i contorni e di interrogarsi sulla compatibilità del concetto di annullamento doveroso con i principi dell’ordinamento.
Del resto, si è detto, l’amministrazione non può essere considerata come titolare di un potere semplicemente “esecutivo” rispetto alla legge [10], poiché così ragionando si finirebbe per eliminare gli elementi che differenziano l’annullamento che l’amministrazione pronuncia al termine di un procedimento di riesame, dall’annullamento contenzioso e dall’annullamento giurisdizionale [11]. Difatti, l’esercizio del potere di annullamento ex art. 21 nonies non è legittimato solo ed esclusivamente dall’illegittimità del provvedimento, ma anche – ad esempio – dalle ragioni di interesse pubblico che devono essere ricercate nel caso concreto dopo l’acquisizione dei fatti e la valutazione degli interessi, e non limitate al solo rispristino della legalità [12].
Nel caso di specie il Collegio ritiene che il ritiro degli atti di gara fosse “doveroso” in ragione della riscontrata illegittimità di una previsione del bando che avrebbe ristretto ingiustificatamente la platea dei partecipanti (in specie l’art. 3 che, si rammenta, indicava come requisito essenziale dei prodotti la marcatura CE). In ragione, dunque, dell’indiscussa illegittimità di una propria disposizione, l’amministrazione non avrebbe avuto altra scelta se non quella di ritirare gli atti di gara.
Si stima utile sottolineare che l’ipotesi al vaglio del Tar Milano non può essere associata al concetto di annullamento doveroso, analizzato dalla giurisprudenza e dalla dottrina, poiché – come si è detto e come si dirà meglio infra – il potere viene esercitato su un atto non definitivo e dunque definito di “mero ritiro”, il che comporta la non necessaria ricorrenza di tutti gli elementi che sottendono l’emanazione di un provvedimento di secondo grado.
3.-Resposabilità precotrattuale dell’amministrazione nelle procedure ad evidenza pubblica.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha avuto modo di chiarire che anche nello svolgimento dell’attività autoritativa, l’amministrazione deve rispettare, oltre alle norme di diritto pubblico, anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza [13]. Del resto, la violazione di queste ultime può dar luogo ad una responsabilità da comportamento scorretto, tale da incidere sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali.
Nello specifico caso delle procedure di gara, i doveri di correttezza e buona fede sussistono anche prima (e a prescindere) dell’aggiudicazione, nell’ambito di tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica: da ciò deriva che la responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto è configurabile quand'anche i singoli provvedimenti nei quali si articola il procedimento siano legittimi [14].
Il principio della buona fede, è stato oggi sancito anche nel nuovo Codice dei Contratti, all’art. 5 del D. Lgs. n. 36/2023, a riprova del rango di principio generale cui assurge nella regolazione di qualunque rapporto contrattuale.
Sulla scorta dei principi elaborati dai Giudici di Palazzo Spada, il Tar Milano evidenzia che il privato che intenda far valere la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione deve provare: a) la propria buona fede soggettiva, intesa come affidamento incolpevole circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere attività economicamente onerose; b) la lesione dell’affidamento incolpevole per una condotta oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà e soggettivamente imputabile all’amministrazione in termini di colpa o dolo; c) il danno-evento, che si concretizza nella lesione della libertà di autodeterminazione negoziale); d) il danno-conseguenza, ovvero le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate; infine, il rapporto di causalità fra tali danni e il comportamento scorretto.
In particolare, nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici, sempre il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, ha ulteriormente chiarito che, la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, derivante dalla violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede che sia alla stessa imputabile a titolo di colpa, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa [15].
Per quanto riguarda la misura del risarcimento, il Collegio, sulla scorta di precedenti pronuncie del Consiglio di Stato, specifica che il danno risarcibile in caso di responsabilità precontrattuale è costituito dal “c.d. interesse contrattuale negativo”, che copre sia il danno emergente (spese documentate per la partecipazione alla gara) che il lucro cessante, essendo astrattamente ammesso anche il ristoro della perdita di chance per le sole occasioni di guadagno alternative cui l’operatore economico avrebbe potuto attingere in assenza del contegno colposo dell’amministrazione [16].
3.1.-(segue) l’aggiudicazione provvisoria e il requisito dell’affidamento incolpevole del privato.
L’elemento dell’affidamento incolpevole viene considerato dalla giurisprudenza recente essenziale ai fini dell’individuazione di una responsabilità precontrattuale della stazione appaltante [17].
A riprova dell’essenzialità di questo elemento, sia sufficiente notare che la giurisprudenza ha spesso ritenuto di calibrare la quantificazione del danno in ragione della eventuale conoscenza o anche conoscibilità, da parte della medesima, della contrarietà del provvedimento revocato all’interesse pubblico e dell’eventuale concorso, della società o di altri soggetti, all’erronea valutazione della compatibilità dell’atto con l’interesse pubblico, ritenendo in rapporto a tale elemento rilevanti le sole spese sopportate per la partecipazione alla gara [18].
Nel caso delle procedure ad evidenza pubblica, può essere utile capire se un’aggiudicazione provvisoria – poi ritirata e/o revocata – possa legittimamente ingenerare un affidamento nell’operatore economico, tale da fondare una successiva domanda di risarcimento per responsabilità precontrattuale dell’amministrazione.
Invero, anche ove ad essere ritirata sia un’aggiudicazione definitiva è comunque necessario provare la formazione di un ragionevole affidamento sulla conclusione della procedura.
Nel caso di specie, la ricorrente fonda la domanda di risarcimento su un affidamento che sarebbe stato generato da un’aggiudicazione provvisoria.
In proposito il Consiglio di Stato ha avuto modo di affermare che l’aggiudicazione provvisoria è atto endoprocedimentale che determina una scelta non ancora definitiva del soggetto aggiudicatario. Con la conseguenza che la possibilità che ad una aggiudicazione provvisoria (proposta di aggiudicazione) non segua quella definitiva costituisce evento del tutto fisiologico, inidoneo di per sé a ingenerare forme di affidamento tutelabili e dunque un qualsivoglia obbligo risarcitorio [19].
Del resto, la natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, che è tipica dell’aggiudicazione provvisoria, non è pienamente compatibile con la disciplina dettata dagli artt. 21-quinquies e 21-nonies della L. 241/1990, in quanto non può qualificarsi atto conclusivo del procedimento.
Va da sé che il passaggio dall’aggiudicazione provvisoria a quella definitiva non è certamente un obbligo della P.A. appaltante, né – di converso – un diritto dell’aggiudicatario provvisorio [20].
Quindi, se è vero che l’affidamento incolpevole deve essere ingenerato nell’operatore economico da comportamenti (atti) dell’amministrazione che siano ragionevolmente indirizzati in tal senso, ed è vero anche che l’aggiudicazione provvisoria – per sua stessa natura – non può considerarsi provvedimento definitivo, non può che concludersi che questa non sia adatta a determinare nel privato quel livello di affidamento, necessario a fondare a domanda di risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale.
4.-Il punto del Tar sui requisiti per ottenere il risarcimento dei danni a titolo di responsabilità precontrattuale.
Nel caso di specie, il tar Milano non ha ritenuto ricorrenti i presupposti per l’accoglimento della domanda di risarcimento come spiegata dalla ricorrente.
Innanzitutto, secondo il Collegio, a difettare è l’illegittimo esercizio del potere di autotutela. O meglio in radice l’esercizio (legittimo o illegittimo) ti tale potere, ritenendo il provvedimento di mero ritiro.
A difettare sarebbe, poi, l’essenziale elemento dell’affidamento incolpevole. In particolare, il Tar esclude che la società avesse potuto riporre un incolpevole affidamento sulla conclusione della gara e sull’aggiudicazione in suo favore, in ragione di una dirimente circostanza fattuale riportata in giudizio: già prima della presentazione della domanda di gara, la ricorrente aveva chiesto alla stazione appaltante di interpretare autenticamente il bando di gara in modo difforme dal dato letterale – proprio in merito al possesso del requisito CE stabilito dal più volte citato art.3 – poiché riteneva che potesse produrre un effetto “irragionevolmente restrittivo della massima partecipazione alla procedura”. Non avendo ottenuto risposta, decideva comunque di partecipare al bando di gara, “pur essendo perfettamente consapevole di dover, a rigore, essere esclusa”, come testualmente ritenuto dal Collegio.
In merito alla qualificazione dell’atto, il Tar Milano conclude che “la rimozione di un atto di gara precedente al provvedimento formale di aggiudicazione – quale è il bando – non può essere qualificata come espressione di un potere di autotutela, da valutarsi ai sensi degli artt. 21- quinquies e 21- nonies l. n. 241/1990”, piuttosto essa costituisce “un mero atto di ritiro, che può appunto intervenire laddove ancora non vi sia stata un’aggiudicazione definitiva” [21].
In ragione di ciò, non ritine che l’amministrazione fosse tenuta a motivare l’atto alla stregua dei requisiti richiesti dall’art. 21 quinquies l. n. 241/1990, vale a dire indicando i sopravvenuti motivi di interesse pubblico o altre ragioni giustificative, né valutando l’interesse dell’amministrazione in comparazione a quello della società, né financo era tenuta a rispettare i limiti temporali posti dall’art. 21 nonies per l’annullamento d’ufficio.
A ciò si aggiunga che il Collegio ritiene il provvedimento di ritiro emanato dalla stazione appaltante congruamente motivato con riferimento alla rilevata invalidità dell’art. 3 del Capitolato speciale d’appalto. Nella motivazione, infatti, spiega che prevedere a pena di esclusione il requisito della marcatura CE per i beni offerti avrebbe, riporta testualmente il Collegio, «comportato un involontario restringimento del mercato degli operatori economici potenzialmente interessati apprendere parte alla procedura». Ciò sarebbe avvenuto in violazione dell’art. 68, comma 4, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (applicabile ratione temporis al caso di specie) a tenore del quale le specifiche tecniche dei prodotti devono garantire pari accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione e non devono comportare direttamente o indirettamente ostacoli ingiustificati alla concorrenza.
In proposito, pare doveroso rammentare che – in ogni caso – le ragioni di interesse pubblico sottese all’atto di ritiro della gara, ove effettivamente addotte dall’Amministrazione ed ove plausibili e non affetti da macroscopici vizi logici, sfuggono dal sindacato giurisdizionale [22].
In conclusione, nel caso di specie, il Tar ha ritenuto che venendo meno la configurabilità di un affidamento incolpevole della ricorrente sul provvedimento di aggiudicazione provvisoria, anche in virtù della presupposta conoscibilità della motivazione del ritiro, non potesse configurarsi una responsabilità precontrattuale della stazione appaltante.
In particolare, ha ritenuto che le decisioni prese circa l’emanazione di un nuovo bando di gara e la fornitura tramite proroga tecnica fossero da considerare aspetti del tutto estranei alla fattispecie risarcitoria da responsabilità precontrattuale, poiché nulla hanno avrebbero a che vedere con l’affidamento riposto dalla società offerente circa la conclusione della procedura di gara e la stipulazione del contratto.
Ha, dunque, rigettato la domanda, in linea con la giurisprudenza precedente richiamata in sentenza (e citata nel presente contributo), che dimostra di ritenere tale requisito essenziale ai fini dell’ottenimento del ristoro per il danno eventualmente subito nelle ipotesi in cui l’Amministrazione decida di ritornare sui suoi passi, sia prima che dopo l’aggiudicazione definitiva di una procedura.
[1] Sull’autotutela amministrativa si veda: M.A. SANDULLI, Autotutela, in Libro dell'anno del Diritto, Treccani, 2016; A. CONTIERI, Procedimenti e provvedimenti di secondo grado, in S. COGNETTI, A CONTIERI, S. LICCIARDELLO, F. MANGANARO, S. PERONGINI, F. SAITTA (a cura di), Percorsi di diritto amministrativo, Torino, G. Giappichelli Editore, 2014, p. 445 ss.; F. SAITTA, L’Amministrazione delle decisioni prese: problemi vecchi e nuovi in tema di annullamento e revoca a quattro anni dalla riforma della legge sul procedimento, in G. CASSANDRO, V. CRISAFULLI, A.M. SANDULLI (a cura di), Diritto e società, Padova, Cedam, 2009; F. FRANCARIO, Riesercizio del potere amministrativo e stabilità degli effetti giuridici, in Federalismi.it, 19.04.2017 n.8. F. FRANCARIO, Autotutela amministrativa e principio di legalità, in Federalismi.it, 21 ottobre 2015 n. 5; M. TRIMARCHI, Decisione amministrativa di secondo grado ed esaurimento del potere, in P.A. Persona e Amministrazione, 2017, p. 189 ss; L. BENVENUTI, L’autotutela amministrativa. Una parabola del concetto, in Diritto e processo amministrativo, 2020, p. 638 ss.
[2] In questo senso si veda anche Cons. Stato, Sez. III, 4 dicembre 2024, n.9701, richiamato in sentenza.
[3] In questi termini Consiglio di Stato, Sez. V n 4349/2024.
[4] Il richiamo testuale è alla pronuncia del Tar Veneto, Sez. II, 6 luglio 2023, n. 10032.
[5] Tar Veneto n. 1003/2023 cit.; in termini, cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. III, 24 ottobre 2024, n. 5632; id., 7 marzo 2024, n. 1537.
[6] cfr. Consiglio di Stato 12/09/2023, n. 8273.
[7] cfr ex multis di recente: Cons. Stato, Sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415; Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2021, n. 2207; Id, 31 dicembre 2019, n. 8920; Id, 29 maggio 2019, n. 3576; Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 8
[8] Per una interessante analisi della casistica si veda G. MANFREDI, Annullamento doveroso?, op. cit.
[9] In chiave anche critica si veda: N. POSTERARO, Sulla possibile configurazione di un’autotutela doverosa (anche alla luce del codice dei contratti pubblici e della Adunanza Plenaria n. 8 del 2017), in Federalismi.it, 25 ottobre 2017, p. 22; N. POSTERARO, Sui rapporti tra dovere di provvedere e annullamento d’ufficio come potere doveroso, in Federalismi.it, 8 marzo 2017, p. 2. Per l’analisi dell’istituto si veda anche: F. CAMPOLO, Alcuni chiarimenti in merito all’autotutela doverosa di cui all’art. 21 nonies, comma 2 bis, l. n. 241 del 1990 (nota a Cons. Stato, Sez. II, 2 novembre 2023, n. 9415), Giustizia Insieme, 2024; G. MANFREDI, Annullamento doveroso?, in P.A. Persone e Amministrazione, 2017, p. 383 ss.; F. GAFFURI, Note in merito alla doverosità dell’annullamento d’ufficio, in Giurisprudenza Italiana, 2020, p. 751; F.V. VIRZI’, La doverosità del potere di annullamento d’ufficio, in Federalismi.it, 4 luglio 2018, n. 16;
[10] Così G. ZANOBINI, L'attività amministrativa e la legge, in Riv. dir. pubbl., 1924, I, 281 ss., ora anche in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955, 203 ss.
[11] G. MANFREDI, Doverosità dell’annullamento vs. annullamento doveroso, in Dir. proc. amm., 2011, 316. Come rilevato da M.A. SANDULLI, Il codice dell’azione amministrativa. Il valore dei suoi principi e l’evoluzione delle sue regole, in ID. (a cura di), Codice dell’azione amministrativa, 2017.
[12] In merito si veda: E. ZAMPETTI, Motivazione in re ipsa e autotutela decisoria, in Libro dell’anno del diritto, Treccani, Roma, 2015); A. ROMANO TASSONE, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Giuffrè, 1987, 284,
[13] M.A. SANDULLI, Il risarcimento del danno nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni: tra soluzione di vecchi problemi e nascita di nuove questioni, in Federalismi.it, 06.04.2011 n.7; si veda anche: E. ZAMPETTI, La natura extracontrattuale della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione dopo l'Adunanza Plenaria n. 7 del 2021, in Giustizia Insieme, 2021.
[14] Consiglio di Stato, Ad. Pl., n. 5 del 4 maggio 2018.
[15] Consiglio di Stato, Ad. Pl., n. 21 del 29 novembre 2021; si veda anche Cons. Stato, Sez.V, 28/11/2023, n. 10221.
[16] In questi termini anche Consiglio di Stato, Sez. V, n. 5274/2021; Consiglio di Stato, Sez. VII, 10 maggio 2022, n. 3661.
[17] Sul rapporto tra affidamento e autotutela si veda: F. CARINGELLA, Affidamento e autotutela: la strana coppia, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2008, p. 425; V. DETOMASO, L’autotutela amministrativa tra interesse pubblico e legittimo affidamento, in Il Diritto Amministrativo, Anno XVII - n. 09 - Settembre 2025; M. PERRELLI, Autotutela e affidamento, in Rassegna monotematica di giurisprudenza, Ufficio del massimario della Giustizia Amministrativa, 31 dicembre 2022, p. 5; G. TULUMELLO, La tutela dell’affidamento del privato nei confronti della pubblica amministrazione fra ideologia e dogmatica, in giustamm.it, 9 maggio 2022.
[18] cfr. T.A.R. Roma, sez. V, 7/5/2024, n. 9012; T.A.R. Napoli, sez. I, 01/12/2021, n.7714; T.A.R. Napoli, sez. I, 05/01/2021, n.69.
[19] C. Stato 12/09/2023, n. 8273.
[20] cfr. sul punto C. Stato n. 8273/2023 cit.
[21] In questi termini anche Cons. Stato, sez. III, 11 dicembre 2024, n. 10008.
[22] Consiglio di Stato Sez. V n 4349/2024; sull’ampiezza del potere di revoca si veda, da ultimo anche TAR Campania- Napoli 01/09/2025, n. 6002.
