La partecipazione del privato all’attività vincolata della p.a.: un passo avanti verso un “giusto procedimento” (Nota a T.A.R. Puglia, Bari, 7 gennaio 2025, n. 9)
di Maria Baldari
Sommario: 1. Premessa – 2. L’ordinanza impugnata e la vicenda giudiziaria – 3. La decisione dei giudici amministrativi – 4. Il contraddittorio nel procedimento amministrativo e la rilevanza ondivaga dei vizi procedimentali– 5. La partecipazione del privato come strumento che attua il cd. “giusto procedimento”
1. Premessa
Il T.a.r. Puglia, in adesione ad un più recente orientamento favorevole al rafforzamento delle garanzie procedimentali, riconosce la necessità della comunicazione di avvio del procedimento – e, conseguentemente, della partecipazione del privato - anche nei casi di attività vincolata della pubblica amministrazione.
L’apparato motivazionale della pronuncia, oltre a ripercorrere l’orientamento giurisprudenziale maggioritario e a ribadire le finalità cui l’istituto della partecipazione nel procedimento amministrativo risulta preordinato, si sofferma altresì sulla necessità che il coinvolgimento del privato sia attuato a prescindere dalla successiva ed eventuale fase giudiziaria.
In tale ottica, la pronuncia si presta ad essere interpretata come un ulteriore passo in avanti nel processo di delineazione del cd. “giusto procedimento”, espressione coniata dalla dottrina anche per dare voce alle istanze di derivazione sovranazionale.
2. L’ordinanza impugnata e la vicenda giudiziaria
Con ricorso depositato presso la III Sez. del T.a.r. Puglia, i ricorrenti impugnano l'ordinanza-ingiunzione di demolizione delle opere e strutture edilizie per il ripristino dello stato dei luoghi adottata dalla competente area tecnica del Comune di Gravina di Puglia[1].
L’ordinanza de qua riassume la vicenda penale che ha interessato la proprietà di un complesso edilizio turistico, nel cui ambito era stata contestata non tanto l’assenza del titolo edilizio quanto, piuttosto, talune difformità costruttive, unitamente a possibili violazioni di vincoli paesaggistici e ambientali; il procedimento si era poi concluso con la dichiarazione di insussistenza di talune delle violazioni di legge contestate.
In diritto, i ricorrenti censurano, fra l’altro, l’omessa applicazione dell’art. 7 legge 7 agosto 1990, n. 241 e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria [2]; il Comune resistente, costituitosi in giudizio, contrasta le tesi rappresentate dalla parte ricorrente, evidenziando come il proprio intervento abbia fatto seguito ad una nota della Procura della Repubblica di Bari datata 13 giugno 2023 con cui, all’esito di una sentenza emessa dalla Corte di appello di Bari, proprio al predetto ente pubblico era stato intimato di provvedere a quanto di competenza.
In particolare, la nota su cui si fonda il nuovo ordine amministrativo di demolizione e ripristino adottato dal Comune originava dalle motivazioni di una sentenza della Corte di appello di Bari, che ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti degli imputati per intervenuta prescrizione[3]; tale provvedimento giudiziario, a sua volta, riformava la precedente sentenza del Tribunale di Bari, quest’ultima pienamente assolutoria dalle responsabilità ascritte agli imputati nel primo grado del giudizio penale[4].
Peraltro, l’ordine di confisca contenuto nella menzionata sentenza della Corte di appello è stato successivamente annullato dalla Cassazione, che ha applicato la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo[5].
Com’è notto, infatti, nella giurisprudenza della Cedu è stata ritenuta sussistente la violazione dell'art. 7 Cedu e dell'art. 1 del Prot. n. 1 nei casi in cui la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e degli immobili realizzati sugli stessi sia stata ordinata dal giudice penale con la sentenza di proscioglimento per estinzione del reato dovuta a prescrizione[6]. Inoltre, nel caso di assoluzione dal reato di lottizzazione abusiva motivata da errore di diritto inevitabile o scusabile, la confisca ex art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 dei terreni abusivamente lottizzati e degli immobili ivi abusivamente costruiti è stata ritenuta in contrasto con l'art. 7 della Cedu e l'art. 1, Prot. n. 1 in quanto trattasi di sanzione penale non chiaramente prevista dalla legge, oltre che sproporzionata rispetto allo scopo perseguito della tutela ambientale[7].
3. La decisione dei giudici amministrativi
Dopo aver fatto cenno alla sopra menzionata giurisprudenza sovranazionale, i giudici amministrativi accolgono il ricorso ritenendolo fondato nei termini che seguono.
Come anticipato, con la prima censura i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 in quanto, all’esito della complessa vicenda penale, il Comune ha rieditato l’ordine di demolizione obliterando totalmente l’inoltro dell’avviso di cui all’art. 7 della legge del 7 agosto 1990, n. 241 secondo il quale: “Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato […] ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi […]”.
Ed in effetti, il provvedimento impugnato riepiloga le caratteristiche della costruzione, senza tuttavia dare atto né dello svolgimento di nuovi approfondimenti istruttori, eventualmente anche tecnici, né di aver garantito ai soggetti ingiunti la partecipazione al procedimento.
Sul punto, i giudici riconoscono la sussistenza di un orientamento giurisprudenziale in base al quale, nei casi in cui si tratti di contrastare abusi edilizi o rigettare c.d. condoni edilizi, tale avviso non avrebbe carattere indefettibile; tuttavia, quella stessa giurisprudenza riconosce che nei casi in cui la fattispecie concreta richieda particolare approfondimento[8], non vi siano ragioni di alcuna urgenza e la repressione dell’illecito edilizio non sia del tutto indefettibile, l’amministrazione è tenuta a dar corso alle doverose comunicazioni partecipative, al fine di assicurare i principi della fattiva collaborazione e buona fede, sanciti dall’art. 1, co. 2-bis della legge n. 241 del 1990 secondo cui “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”[9].
Non solo, secondo l’organo giudicante, un simile approccio prescinde dalla natura vincolata o discrezionale del provvedimento, in ossequio al più recente indirizzo giurisprudenziale secondo cui: “Il confronto procedimentale con l’interessato è necessario e imprescindibile, agli effetti della legittimità del provvedimento, anche nelle ipotesi di provvedimenti vincolati, allorquando l’apporto partecipativo sia utile per giungere ad un accertamento dei presupposti di fatto del provvedimento stesso che richieda un’istruttoria specifica. La natura vincolata del provvedimento amministrativo non vale ad esimere dall’osservanza delle garanzie partecipative, a partire proprio dalla comunicazione di avvio del procedimento, se si verte in situazioni peculiari e giuridicamente complesse. Pertanto, l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento opera anche nell'ipotesi di provvedimenti a contenuto totalmente vincolato, atteso che la pretesa partecipativa del privato riguarda anche l’accertamento e la valutazione dei presupposti sui quali si deve comunque fondare la determinazione amministrativa[10].
Successivamente, i giudici si soffermano sul fenomeno del c.d. “non finito architettonico”, ossia sulle varie forme di mancato completamento di costruzioni o di complessi edilizi che siano comunque dotate dei requisiti strutturali di autonomia funzionale, rispetto alle quali la più recente giurisprudenza ammnistrativa ha evidenziato come siffatte costruzioni siano suscettibili di autonoma considerazione.
Infatti, “qualora il permesso di costruire abbia previsto la realizzazione di una pluralità di costruzioni funzionalmente autonome (ad esempio villette) che siano rispondenti al permesso di costruire considerando il titolo edificatorio in modofrazionato, gli immobili edificati […] devono intendersi supportati da un titolo idoneo, anche se i manufatti realizzati non siano totalmente completati, ma – in quanto caratterizzati da tutti gli elementi costitutivi ed essenziali – necessitino solo di opere minori che non richiedono il rilascio di un nuovo permesso di costruire”. Inoltre, per quanto qui d’interesse, “qualora […] le opere incomplete, ma funzionalmente autonome, presentino difformità non qualificabili come gravi, l’Amministrazione potrà adottare la sanzione recata dall’art. 34 del T.U.”; infine “è fatta salva la possibilità per la parte interessata, ove ne sussistano tutti i presupposti, di ottenere un titolo che consenta di conservare l’esistente e di chiedere l’accertamento di conformità ex art. 36 del T.U. nel caso di opere “minori” (quanto a perimetro, volumi, altezze) rispetto a quelle assentite, in modo da dotare il manufatto – di per sé funzionale e fruibile – di un titolo idoneo, quanto alla sua regolarità urbanistica” [11].
A ciò si aggiunga inoltre che il recente decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69[12] ha in più punti modificato il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ampliando, in presenza di tassativi presupposti e previa domanda di parte, le fattispecie di sanatoria delle difformità edilizie, al contempo meglio specificando le c.d. tolleranze costruttive.
Ne deriva allora che, in considerazione della particolare difformità di volta in volta riscontrata, deve essere riconosciuto, in un’ottica di semplificazione dell’azione amministrativa, un adeguato spatium deliberandi al proprietario del bene immobile, al fine di consentirgli di assumere una ponderata posizione, in particolare laddove costui non risulti l’autore delle difformità, avendo conseguito il manufatto già con difformità edilizie a titolo derivativo.
In quest’ottica, allora, un importante spazio può essere assicurato proprio mediante l’istituto dell’avviso di inizio del procedimento di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990, soprattutto nei casi di iniziativa ex officio.
Per giustificare tale assunto, i giudici ricordano che la finalità cui è preordinata la partecipazione al procedimento, specie nei casi di adozione di atto amministrativo sfavorevole, è quella di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, principio generale dell’azione amministrativa. In tale contesto, la ragione per cui è prevista la partecipazione al procedimento da parte del destinatario del provvedimento è duplice: da un lato, possiede una finalità difensiva, atta a consentire un proficuo contraddittorio già in sede procedimentale; dall’altro, integra una finalità collaborativa, utile anche per la stessa amministrazione, la quale può formare il provvedimento finale adattandolo al meglio al caso concreto.
Non solo, la giurisprudenza ha recentemente sottolineato la rilevanza del principio del contraddittorio nel corso di tutto il procedimento, in quanto la regola da applicare si innesta sempre su una situazione fattuale, la quale deve essere a sua volta accertata[13].
A tal fine, a nulla rileva la circostanza che in una eventuale sede giurisdizionale tale accertamento possa essere replicato o integrato: trattasi di una circostanza che non potrebbe in alcun modo giustificare una istruttoria procedimentale carente ovvero celebrata in violazione del contraddittorio, pena l’alterazione di potestà pubbliche ex lege stabilite e la funzione stessa del giudice amministrativo e del processo, ai quali verrebbe assegnato un ruolo almeno parzialmente sostitutivo, ossia succedaneo, rispetto a quello assegnato all'amministrazione e al procedimento amministrativo. In altri termini, la sede deputata a vagliare funditus la situazione allo stato esistente è proprio quella del procedimento amministrativo.
Passando alla specifica materia oggetto della controversia, il principio tramandatosi in giurisprudenza secondo cui l'attività di repressione degli abusi edilizi mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati in quanto la partecipazione al procedimento non potrebbe determinare alcun esito diverso, riceve dunque un importante correttivo nei casi di abuso per parziale difformità del titolo edilizio ovvero per variazione essenziale, laddove fosse controversa e controvertibile in punto di fatto e/o di diritto l'entità della stessa variazione e fosse pertanto necessario condurre un apposito accertamento specifico nella sede amministrativa[14].
Un simile dialogo nel procedimento è inoltre funzionale ad ottimizzare la comprensione stessa dei fatti e del diritto da applicarsi nel processo, senza debordare in inutili misure repressive nei confronti dei soggetti ingiunti e senza compromettere il canone della proporzionalità.
Ebbene, nel caso posto al vaglio dei giudici, gli elementi della fattispecie concreta[15] impongono un maggiore approfondimento istruttorio ed un apporto motivazionale da parte dell’amministrazione comunale e, soprattutto, l’inoltro del prescritto ex lege “avviso di inizio del procedimento” a tutti i soggetti legittimati, anche per come mutati nel tempo, considerata la natura personale della comunicazione di avvio del procedimento[16]. E tanto al fine, da un lato, di evitare l’emanazione di provvedimenti che non possano trovare alcuna fattiva applicazione e, dall’altro, di determinare consolidamenti di costruzioni non recuperabili e/o non abbattute e quindi di ruderi, che finiscano sì per compromettere in concreto il paesaggio o l’ambiente. Infine, la partecipazione al procedimento consente altresì ai soggetti interessati di vagliare la proficuità di far ricorso ai rimedi di sanatoria, che il t. u. edilizia ha previsto e pone a loro disposizione, laddove ne dovessero sussistere i presupposti de facto et de iure.
Da ultimo, i giudici ricordano che in materia opera il principio di cui all’art. 1, Protocollo n. 1, Cedu, sul diritto al rispetto dei beni di proprietà privata, il quale impone ai singoli Stati contraenti, le cui legislazioni prevedano sanzioni gravanti sui predetti beni, la necessità di modulare l’obbligatorietà dell’inflizione della misura punitiva, in modo proporzionato, ossia attagliato al caso concreto e tale da renderla non smisurata o eccessivamente invasiva[17].
Sulla scorta delle sopra esposte argomentazioni, i giudici accolgono dunque il ricorso limitatamente alla detta violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 e al censurato vizio di eccesso di potere per difetto d’istruttoria.
4. Il contraddittorio nel procedimento amministrativo: la rilevanza ondivaga dei vizi procedimentali nell’ordinamento
Com’è noto, la legge n. 241 del 1990 stabilisce in via generale la necessità della partecipazione al procedimento amministrativo dei soggetti portatori di interessi pubblici o privati nonché di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento finale, al contempo dettandone la disciplina di riferimento.
Il punto di partenza è il riconoscimento della duplice funzione, difensiva e collaborativa, dell’istituto de quo: per quanto attiene al primo profilo, al privato è riconosciuta la facoltà di rappresentare nel procedimento amministrativo i medesimi interessi che potrebbe far valere in sede giudiziaria, così anticipando in sede procedimentale il contraddittorio che altrimenti si avrebbe solo in fase processuale e con inevitabili effetti positivi in termini di deflazione del contenzioso; per quanto attiene al secondo profilo, l’apporto fornito dal privato possiede carattere di utilità per il procedimento, nella misura in cui consente di veicolare dati ed informazioni utili per l’istruttoria amministrativa, la quale viene arricchita e resa più articolata, così consentendo una migliore ponderazione degli interessi coinvolti.
La duplice finalità, in altri termini, consente di far emergere gli interessi sia pubblici sia privati sottesi all’esercizio del potere, in modo tale da orientare le scelte dalla p.a. attraverso la ponderazione di tutti gli interessi in gioco, anche nell’ottica del principio di buon andamento ed imparzialità della p.a. sancito dall’art. 97 Cost. e di cui l’istituto rappresenta una importante manifestazione.
In questo quadro, uno strumento indispensabile per attivare la partecipazione al procedimento è rappresentato dalla comunicazione di avvio del procedimento la quale, affinché realizzi le due indicate funzioni, deve essere effettuata prima o, al più, contemporaneamente, all’inizio dell’istruttoria, e comunque entro un termine congruo che consenta al privato la partecipazione alla fase procedimentale[18].
Già all’indomani dell’introduzione della legge n. 241 del 1990, erano state tuttavia individuata talune eccezioni all’obbligo di comunicazione, tanto in via legislativa quanto in via giurisprudenziale.
Per quanto qui d’interesse, un indirizzo giurisprudenziale escludeva la necessità della comunicazione di avvio del procedimento in qui casi in cui, anche laddove fosse stata ritualmente effettuata, la comunicazione non avrebbe inciso sull’iter procedimentale. Tale situazione, all’evidenza, si verificava nei casi di atti vincolati, relativamente ai quali le informazioni e i dati sui quali l’Amministrazione è chiamata a pronunciarsi non potrebbero essere in alcun modo arricchiti ed implementati dall’apporto del privato. In questi casi, la partecipazione procedimentale del destinatario del provvedimento appariva infatti priva di qualsiasi utilità per la tutela delle situazioni giuridiche soggettive dedotte dal ricorrente[19].
Tale indirizzo giurisprudenziale, all’indomani delle modifiche introdotte dalla legge n. 15 del 2005, fu recepito a livello legislativo mediante l’introduzione dell’art. 21 octies il quale, al secondo comma, - e salvo l’aggiunta dell’ultimo periodo avvenuta per opera della successiva legge n. 120 del 2020[20] – sancisce che “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”[21].
La disposizione de qua, infatti, non solo ha consacrato l’orientamento giurisprudenziale dei cd. vizi “non invalidanti” cui si faceva prima riferimento, dando così uno statuto legislativo alle violazioni formali che non danno luogo ad annullabilità, ma ne ha anche ampliato la portata applicativa nella parte in cui, proprio con riferimento alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, sembra escludere l’invalidità del provvedimento in tutti quei casi in cui l’amministrazione dimostri che il contenuto non avrebbe potuto essere diverso, e ciò a prescindere dalla natura vincolata o discrezionale del potere esercitato e dal carattere palese del provvedimento finale.
In quest’ottica, sembra ripercorrere l’esperienza tedesca della cd. soggettivizzazione delle garanzie procedimentale, vale a dire l’idea che queste non valgono di per sé ma solo laddove influiscano, in concreto, sulla sostanza degli interessi fatti valere dal cittadino[22].
La norma possiede profili di notevole importanza sistematica; al di là della distinzione in due periodi, emerge infatti un dato comune: il provvedimento non è annullabile perché in entrambi i casi il vizio procedimentale o formale è sato ininfluente sul contenuto sostanziale o dispositivo del provvedimento, il quale, comunque, non avrebbe potuto esser diverso, sia pure con un differente onere probatorio posto in capo alla p.a.
Trattasi, all’evidenza, di una norma che, da un lato, testimonia il passaggio dal giudizio sull’atto al giudizio sul rapporto in quanto, di fronte ad un provvedimento che è illegittimo, ne esclude l’annullabilità all’esito di un giudizio che tenga conto dell’intero rapporto tra le parti; dall’altro, testimonia la tendenza alla dequotazione del procedimento amministrativo e dell’interesse procedimentale.
Procedimento ed interesse procedimentale, infatti, hanno nel tempo attraversato alterne vicende, con un andamento quasi ondulatorio: prima della legge n. 241 del 1990, si riteneva che la carenza procedimentale fosse solo un indizio, un possibile sintomo del vizio di eccesso di potere; con la legge n. 241 del 1990, gli indizi dell’eccesso di potere vennero elevati ad autonome figure di violazione di legge (cd. fase di quotazione); da ultimo, da circa 15 anni a questa parte, la giurisprudenza ha iniziato ad ammettere sempre più di frequente varie forme di sanatorie così, di fatto, riportando a livello di indizio/sintomo di violazione di legge le carenze procedimentali (cd. fase di dequotazione).
E tanto in controtendenza rispetto a quello che accede invece a livello sovranazionale, dove si registra una riespansione del procedimento, in quanto le fonti sovranazionali impongono il recepimento, quanto meno in alcuni procedimenti dotati di rilievo sostanzialmente penale, di determinate garanzie afferenti alla fase più strettamente processuale.
5. La partecipazione del privato come strumento che attua il cd. “giusto procedimento”
Ebbene, la sentenza in commento interviene su questo stato dell’arte, inserendosi nel solco del più recente filone interpretativo volto ad implementare, nuovamente, il riconoscimento e l’effettività del contraddittorio nella fase procedimentale.
L’innovazione risiede nella rivalutazione della partecipazione del privato, che assume connotati di necessità e rilevanza anche laddove vengano in rilevo provvedimenti a carattere vincolato, e ciò in quanto, l’apporto da costui fornito consente di giungere ad una più attenta e consapevole valutazione dei presupposti di fatto e di diritto su cui il provvedimento stesso si fonda[23].
In tale prospettiva, una delle argomentazioni utilizzate dall’organo giudicane è quella secondo cui l’istruttoria procedimentale, in quanto dotata di un ruolo cruciale, possiede una autonoma identità rispetto a quella eventualmente replicabile in fase processuale la quale, dal canto suo, rischierebbe di essere snaturata della propria funzione ove fosse piegata a sopperire eventuali carenze riconducibili alla fase precedente, finendo per esercitare un ruolo succedaneo a quello assegnato all’amministrazione.
Trattasi di un passaggio motivazionale da salutare con particolare favore, nella misura in cui lascia sottendere una sorta di anticipazione, già in fase procedimentale, di garanzie afferenti alla fase più strettamente processuale. E tanto in ossequio a quell’orientamento di derivazione sovranazionale cui si faceva cenno in chiusura del precedente paragrafo e che ha trovato un autorevole avallo anche in ambito interno, tanto da aver indotto taluni a parlare di “giusto procedimento”.
L’espressione, infatti, non è nuova nel panorama giuridico nazionale, rinvenendosi delle prime enunciazioni in alcuni autori che consideravano il procedimento come il luogo in cui gli interessati dovessero essere posti «in grado di far valere le proprie ragioni e di esperire gli opportuni rimedi»[24].
Il tema però è ben più complesso, intersecando la questione di teoria generale concernente i rapporti tra procedimento e processo[25]. In questa sede, è sufficiente ricordare che, secondo i teorici generali del processo, quest’ultimo non è altro che una species del più ampio genus procedimento. Il tratto distintivo del processo sarebbe rappresentato non tanto dall’an della partecipazione quanto piuttosto dal quomodo: affinché si abbia processo non sarebbe sufficiente la partecipazione dei soggetti nella forma dell’audizione e/o della contestazione, occorrendo semmai il contraddittorio, vale a dire la struttura dialettica del procedimento nella simmetrica parità delle posizioni.
Questa concezione del contraddittorio, però, lungi dall’essere prerogativa esclusiva del processo si presta ad essere elevata a categoria generale, applicabile anche all’attività della p.a., la quale pure è chiamata a tenere conto degli interessi potenzialmente confliggenti[26]; alcuni autori hanno parlato, a tal proposito, di “diffusione del processo” a tutte le branche dell’ordinamento[27].
Nella medesima direzione, altra dottrina ha precisato che procedimento e processo, pur rappresentando le forme “tipiche” di estrinsecazione rispettivamente della funzione amministrativa e di quella giurisdizionale, non sono per ciò solo irrinunciabili. Queste ultime, infatti, rappresentano per il diritto un mero strumento, sicché nulla osta acché anche l’amministrazione attiva venga esercitata nelle forme del processo[28].
Secondo i sostenitori di questa tesi, una conferma in tal senso si ricaverebbe anche dalla Carta Costituzionale nel suo complesso, in quanto il costituente avrebbe accolto una concezione di complementarietà ed integrazione tra procedimento e processo, il cui connotato essenziale risulta rappresentato dalla conformazione dell’amministrazione «secondo fini di giustizia e metodi di giustizia», circostanza questa che implica proprio una processualizzazione dei metodi di azione della p.a.[29].
Non solo, una ratio così garantista ha imposto l’individuazione di una precisa copertura costituzionale; l’iter, tuttavia, non è stato agevole. In una prima fase, infatti, la Consulta non riconobbe la valenza costituzionale del “giusto procedimento” ritenendolo un principio dell’ordinamento giuridico dello Stato, vincolante, in quanto tale, per il solo legislatore regionale[30].
Una svolta importante è rappresentata dalla l. n. 241 del 1990, da più parti indicata come legge introduttiva del principio del giusto procedimento: tramite la codificazione di una serie di istituti che riecheggiavano i cd. substantialia processus[31], la normativa de qua ha infatti determinato l’esportazione degli elementi essenziali del processo anche all’attività amministrativa[32]. Per molto tempo, tale normativa di rango primario ha sopperito alla mancata costituzionalizzazione del principio stesso.
Un’ulteriore tappa è stata poi segnata dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 che, nell’ambito dei principi generali dell’attività amministrativa, ha rinviato ai «principi dell’ordinamento europeo» tra i quali rileva, per quanto qui d’interesse, l’art. 41 della Carta di Nizza in materia di diritto ad una buona amministrazione.
Proprio quest’ultima disposizione ha consentito alla Consulta di ricondurre il giusto procedimento al principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa[33]. In siffatto contesto, dunque, il giusto procedimento viene riconosciuto come principio costituzionale, posto a tutela dei cittadini e delle loro libertà, al fine assicurare equilibrio e parità tra le parti del procedimento.
In questo senso, non ci sarebbe alcuna incompatibilità tra giusto procedimento e pieno raggiungimento dell'interesse pubblico. Al contrario, quest’ultimo potrebbe trovare giovamento dall’apporto collaborativo del cittadino il quale, ben potrebbe con la propria attività, aiutare l'amministrazione a decidere.
Del resto, come acutamente osservato da parte della dottrina, posto che l’art. 6 CEDU non garantisce un risultato finale ma un giusto procedimento-processo, le garanzie procedimentali, per quanto aiutino il cittadino a difendere i propri interessi a fronte del potere, lasciano comunque inalterata la facoltà dell'amministrazione di decidere la soluzione più coerente con il pubblico interesse, seppure dialetticamente ricostruito[34].
[1] Provvedimento n. 16 registro ordinanze del 14 settembre 2023.
[2] Gli ulteriori motivi su cui si fonda il ricorso sono i seguenti: violazione/elusione giudicato di cui agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.; la violazione/elusione giudicato (efficacia riflessa); la nullità del provvedimento; la mancata applicazione dell’art. 654 c.p.c.; la violazione del divieto del ne bis in idem, ossia la violazione o falsa applicazione dell’art. 4, protocollo n. 7, della Cedu e dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione; la violazione o falsa applicazione degli artt. 36, 44 e 31 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; l’eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto e per travisamento dei fatti; lo sviamento di potere e l’illogicità.
[3] CDA Bari, sez. II pen., sent. del 22 settembre 2014.
[4] Trib. Bari, sez. di Altamura, sent. del 13 luglio 2009.
[5] Cass. pen., sez. IV, 11 aprile 2018, n. 16106.
[6] Cfr. in tal senso Corte europea dei diritti dell'uomo, sez. II, 29 ottobre 2013, n. 17475.
[7] Sul punto, v. Corte europea dei diritti dell'Uomo, sez. II, 20 gennaio 2009, n. 75909.
[8] In tal senso, cfr., ex multis, Cons. St., sez. VI, 1° giugno 2023, n. 5433, Cons. St., sez. VI, 7 maggio 2018, n. 2708.
[9] In questi termini, v. Cons. St., sez. VI, 16 gennaio 2023, n. 483.
[10] Così Cons. St., sez. III, 7 novembre 2024, n. 8908; in senso conforme, v. anche Cons. St., sez. VI, 23 aprile 2024, n. 3710; sez. III, 14 settembre 2021, n. 6288; sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6235.
[11] Cons. St., Ad. plen., 30 luglio 2024, n. 14.
[12] Convertito con modifiche dalla legge 24 luglio 2024, n. 105 (c.d. decreto salva-casa).
[13] Sul punto, si rinvia a Cons. St., sez. VI, 16 gennaio 2023, n. 483.
[14] In questo senso v. Cons. St., sez. VI, 1° giugno 2023, n. 5433.
[15] Nello specifico, dai documenti depositati nel corso del processo erano emerse le seguenti circostanze: alcune demolizioni erano state operate mentre altre apparivano insufficienti; il bene non era stato confiscato; non sembra essere stata accertata la violazione di prescrizioni di tutela paesaggistica e ambientale; l’immobile versava in condizioni de facto e oggetto di proprietà di società cessate e/o “fallite” da molto tempo; apparivano residuare violazioni edilizie relative ai sotto-tetti, alla variazione dei prospetti e delle disposizioni interne e altre piccole variazioni, a suo tempo realizzate in difformità del titolo edilizio rilasciato e non già in radicale assenza dello stesso.
[16] V. artt. 7, 8 e 10 della legge n. 241 del 1990.
[17] Così Corte europea diritti dell'Uomo, Grande camera, 28 giugno 2018, n. 1828; inoltre, cfr. Corte europea diritti dell'Uomo, sez. II, sentenze 10 maggio 2012, 20 gennaio 2009 e 30 agosto 2007, Sud Fondi s.r.l. e a.
[18] M.A. Sandulli, La comunicazione di avvio del procedimento tra forma e sostanza (spunti dai recenti progetti di riforma), in Foro amm.-T.A.R., 2004, 5, 1595; S. Civitarese Matteucci, La comunicazione di avvio del procedimento dopo la l. n. 15 del 2005. Potenziata nel procedimento, dequotata nel processo, in Foro amm.-C.d.S., 2005, 6, 1969; C. pagliaroli, I destinatari della comunicazione di avvio del procedimento: la figura del proprietario di immobile confinante, in Rivista Giuridica dell'Edilizia, fasc.3, 1 Giugno 2020, pag. 229.
[19] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5271.
[20] “La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell'articolo 10-bis”.
[21] Per un commento alla novella, si rinvia a G. Tropea - F. Saitta, L'articolo 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 approda alla Consulta: riflessioni su un (opinabile) giudizio di (non) rilevanza, in Diritto processuale amministrativo, 2010; G. Tropea, Motivazione del provvedimento e giudizio sul rapporto: derive e approdi, in Diritto Processuale Amministrativo, fasc. 4, 1 dicembre 2017; S. Vaccari, Atti vincolati, vizi procedurali e giudicato amministrativo, in Diritto Processuale Amministrativo, fasc.2, 1 giugno 2019, pag. 481; G. Mannucci, Il regime dei vizi formali-sostanziali alla prova del Diritto Europeo, in Diritto Amministrativo, fasc.2, 1 giugno 2017, pag. 259.
[22] Si tratta, peraltro, di una prospettiva oggetto di numerose critiche già in relazione al sistema tedesco a causa della sua aperta incompatibilità con la CEDU. Sul punto, cfr. M. Kunnecke, Procedural errors in the Adminstrative procedure, in Tradition and change in Administrative Law: an Anglo-German Comparison, 2007, n, 137-172.
[23] In tal senso, del resto, si era già espresso Cons. St., sez. VI, 23 aprile 2024, n. 3710 nonché Cons. Stato, sez. III, 7 novembre 2024, n. 8908, entrambe richiamate dalla pronuncia in esame. Per un commento alla seconda delle sentenze menzionate, si rinvia a I. Genuessi, Decisione vincolata e garanzie procedimentali. Riflessioni sul rapporto tra garanzie partecipative e natura vincolata del provvedimento amministrativo impugnato (nota a Cons. Stato, sez. III, 7 novembre 2024, n. 8908), in questa rivista, 14 marzo 2025.
[24] Così V. Crisafulli, Principio di legalità e giusto procedimento, in Giur. cost., 1962, 130-131.
[25] Per una disamina più approfondita della questione, si rinvia a E. Fazzalari, Note in tema di diritto e processo, Milano, 1957, p. 105 ss.; ID., Diffusione del processo e compiti della dottrina, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 861 ss.; ID., Processo (Teoria generale), in Nss D.I., vol. XIII, 1966, p. 1067 ss.; ID., Istituzioni di diritto processuale, Padova, 1983, p. 57 ss.; ID., Procedimento e processo (Teoria generale), in Enc. dir., vol. XXXV, Milano, 1986, p. 819 ss.; ID., Capograssi e la realtà del processo, in AA. VV. (a cura di F. Mercadante), L’individuo, lo stato, la storia. Giuseppe Capograssi nella storia religiosa e letteraria del Novecento, Milano, 1990; ID., Valori permanenti del processo, in Riv. dir. proc., 1989, p. 1 ss.
[26] In questo senso v. L. P. Comoglio, Contraddittorio (Principio del) – I) Diritto processuale civile, in Enc. giur., vol. VIII, Roma, 1988, p. 12.
[27] In questi termini si esprimeva ad es. E. Fazzalari, Diffusione del processo e compiti della dottrina, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, pp. 866-7.
[28] Così F. Benvenuti, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. trim. dir. pubbl. 1952, p. 137 ss.; M. S. Giannini, L’attività amministrativa, Roma, 1962, p. 112.
[29] Il riferimento in questo caso non può che essere a M. Nigro, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica Amministrazione (Il problema di una legge generale sul procedimento amministrativo), in Riv. proc. civ., 1980, p. 252 ss., il quale aveva realizzato un’opera di sistematizzazione dei rapporti intercorsi nelle varie epoche storiche tra procedimento e processo.
[30] Cfr. ad es. Corte Cost., sent. 23 febbraio 1962, n. 13; ID., sent. 6 luglio 1965, n. 59. In argomento, cfr. A.M. Sandulli, Il procedimento, in AA.VV., Trattato di diritto amministrativo (a cura di S. Cassese), p. gen., tomo II, Milano, 2003, 1035 ss.; M.C. Cavallaro, Il giusto procedimento come principio costituzionale, in Foro amm., 2001, 1829 ss.; M. Cocconi, Il giusto procedimento fra i livelli essenziali delle prestazioni, in Le regioni, 2010, 1023.
[31] Sui substantialia processus v. A. Panzarola, Alla ricerca dei substantialia processus, in Rivista di diritto processuale, 2015, vol. 70, fasc. 3, 680-696.
[32] Si pensi agli istituti della motivazione, del termine del procedimento, della comunicazione di avvio, della partecipazione mediante audizione e presentazione di documenti e memorie; ancora, sempre in quest’ottica, particolarmente significativo è il preavviso di rigetto ex art. 10 bis che sembrerebbe trasporre nel procedimento amministrativo l’istituto dell’informazione di garanzia tipica del procedimento penale, così finendo per codificare il diritto di difesa tra le garanzie del procedimento amministrativo. Per un maggiore approfondimento sulle tematiche indicate, si rinvia a G. Berti, Le trasformazioni del procedimento amministrativo, in Dir. e soc., 1996; F. Fracchia, Manifestazioni di interesse del privato e procedimento amministrativo, in Dir. amm., 1996; F. Trimarchi, Considerazioni in tema di partecipazione al procedimento amministrativo, in Dir. proc. amm., 2000, pag. 627; R. Ferrara, Procedimento amministrativo e partecipazione: appunti preliminari, in Foro it., 2000, III, 28; ID., La partecipazione al procedimento amministrativo: un profilo critico, in Diritto Amministrativo, fasc.2, 1 giugno 2017; M.R. Spasiano, La partecipazione al procedimento amministrativo quale fonte di legittimazione dell’esercizio del potere: un’ipotesi ricostruttiva, in Dir. amm., 2002, pag. 283; M. Clarich, Garanzia del contraddittorio nel procedimento, in Dir. amm, n. 1/2004, pp. 70 ss.; ID, Un'applicazione delle norme sul procedimento nel segno di maggiori garanzie per il cittadino, in Guida al diritto, n. 7; M.A. Sandulli, La comunicazione di avvio del procedimento tra forma e sostanza, in Foro amm., fasc.5, 2004, pag. 1595; G. Morbidelli- A. Clarizia, La riforma della legge 241 del 1990 (editoriale), in www.giustamm.it; E. Frediani, Partecipazione procedimentale, contraddittorio e comunicazione: dal deposito di memorie scritte e documenti al «preavviso di rigetto», in Dir. amm., fasc. 4, 2005, pag. 1003; F. Satta, Contraddittorio e partecipazione nel procedimento amministrativo, in Dir. amm., 2010; per una ricostruzione più aggiornata, si rinvia a M.A. Sandulli, Principi e regole dell’azione amministrativa, Giuffrè, 2023.
[33] Si allude a Corte Cost., sent. 23 marzo 2007 n. 103, afferente ad una controversia in materia di spoil system in cui la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittime le disposizioni che prevedevano la decadenza automatica degli incarichi di direzione generale alla scadenza del mandato dell’organo politico, evento estraneo alle vicende del rapporto stesso. Secondo la Consulta, tale prassi generava una duplice violazione dell’art. 97 Cost.: da un lato, sotto l’aspetto dell’efficacia e dell’efficienza dell’azione amministrativa, atteso che la rimozione del dirigente non si fondava sulla valutazione oggettiva delle qualità e delle capacità professionali dimostrate; dall’altro, sotto il profilo della violazione del principio del giusto procedimento, in quanto al destinatario non venivano garantiti il contraddittorio con l’ente e la possibilità di conoscere la motivazione del provvedimento. Sulla tematica, si rinvia a P. Lombardi, Il provvedimento di nomina del direttore generale di azienda sanitaria tra interesse a ricorrere delle associazioni di categoria, imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, in Sanità pubb. e priv.,2010, 75 ss.; F. Castiello, Il principio del giusto procedimento. Dalla sentenza n. 13/1962 alla sentenza n. 104/2007 della Corte costituzionale, in Foro amm.-CdS, 2008, 278; L. Buffoni, Il rango costituzionale del giusto procedimento e l’archetipo del processo, in Quad. cost., 2009, 281 ss.
[34] Così M. Allena, La rilevanza dell'art. 6, par. 1, CEDU per il procedimento e il processo amministrativo, in Dir. proc. amm., fasc.2, 2012, pag. 569.