Il cigno verde e la separazione dei poteri (nota a sentenza Tribunale civile di Roma del , sez. II, causa n. 39415 del 2021)
di Giuseppe Tropea
Sommario: 1. La vicenda contenziosa. – 2. Alcuni antecedenti giurisprudenziali e talune premesse culturali. – 3. Quale situazione giuridica è agita nel contenzioso climatico? – 4. Spunti conclusivi sul giudice.
1. La vicenda contenziosa
Deve prevalere un concetto di verità “forte”, in quanto “naturale”, ossia composta delle sue cinque classiche qualità epistemiche (corrispondenza, rivelazione, conformità, coerenza e utilità) scopribili attraverso protocolli scientifici, oppure una verità “debole”, perché soltanto “istituzionale”, ossia frutto dell’ermeneutica giuridica che inquadra tutti i fatti come interpretazioni e reputa insindacabile l’interpretazione fornita dal potere, quando questo è legittimato democraticamente?[1] Il giudice è custode dei “principi”, nonostante le “leggi di natura” e la scienza, o delle “garanzie”, grazie anche alle “leggi di natura” e alle scoperte scientifiche sulla sopravvivenza umana?[2] E ancora: le leggi di natura possono condizionare, come parametro di validità, le previsioni normative, interponendosi la predizione scientifica come parametro di legalità cui il giudice soggiace secondo una logica di legalità di risultato e di anticipatory regulation?[3]
Tali capitali domande, sottese alla sentenza del Tribunale civile di Roma qui in commento, dimostrano quanto essa fosse attesa, non solo fra gli addetti ai lavori, e quanti fronti di interesse essa sottende, in tutte le scienze sociali[4]. Già la denominazione enfatica del caso, “Giudizio universale”, la dice lunga sul carattere storico della pronuncia.
I numerosi ricorrenti sono costituiti da alcune organizzazioni non-governative, da un ampio numero di individui maggiorenni, da alcuni minori rappresentati in giudizio dai propri genitori. L’obiettivo generale dell’azione giudiziaria è accertare l’inadempimento da parte dello Stato italiano degli obblighi internazionali, europei e domestici in tema di contrasto al cambiamento climatico di origine antropica. Il contenzioso non mira ad ottenere uno specifico strumento legislativo né un risarcimento dei danni.
Quello che si domanda al Tribunale è di ordinare al Governo italiano di ridurre le proprie emissioni di gas a effetto serra del 92% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di adottare un piano comunicativo efficace in relazione ai rischi connessi al cambiamento climatico e alle politiche di prevenzione e adattamento a tali rischi da questo intraprese.
Il caso, che rappresenta la prima causa climatica in Italia, si colloca sulla scia di importanti sentenze già rese in altri paesi europei.
Basti pensare alla sentenza resa il 20 dicembre 2020 dalla Corte Suprema olandese nel caso Urgenda, in cui la Corte ordina al governo olandese di ridurre urgentemente e significativamente le emissioni in linea con i propri obblighi in materia di diritti umani.
Oppure alla sentenza resa dal Tribunale amministrativo di Parigi del 3 febbraio 2021, con la quale si riconosce una diretta responsabilità omissiva dello Stato francese in relazione agli obiettivi e agli impegni dell’Unione Europea e nazionali in materia di riduzione dei gas a effetto serra.
Vi sono delle differenze di fondo tra questi due precedenti. Mentre infatti con la decisione Urgenda i giudici hanno deciso non alla luce del dato positivo, ma del dato scientifico[5], nella vicenda Affaire du siècle, invece, il giudice amministrativo francese ha deciso sulla base del dato positivo, a cominciare dall’Accordo di Parigi del 2015 e dalla sua attuazione interna[6]. L’approccio human rights based che ha caratterizzato il caso Urgenda non ha avuto quindi la stessa rilevanza nel caso Affaire du siècle. Qui non è stato necessario mettere in luce la contrarietà della condotta dello Stato rispetto agli obblighi di protezione di diritti fondamentali quali la vita[7] e la salute delle persone, in quanto i ricorrenti avevano lamentato che la condotta dello Stato francese fosse in contrasto, prima ancora che con tali previsioni, con la stessa normativa nazionale in materia di lotta al cambiamento climatico, la cui legittimità non era in discussione[8].
Infine, si consideri la sentenza della Corte costituzionale tedesca del 29 aprile 2021(Neubauer et al. c. Germania), la quale ha ritenuto la legge sul cambiamento climatico (c.d. Klimaschutzgesetz, “KSG” o “Legge sul Clima”) adottata dal governo tedesco nell’ottobre del 2019 come inadeguata a raggiungere gli obiettivi posti dagli obblighi internazionali sulla riduzione di emissioni di gas serra assunti da quest’ultimo.
Insomma, vi erano una serie di precedenti che facevano ritenere in molti che il Tribunale di Roma avrebbe accolto l’istanza di parte attrice[9].
Così non è stato, e in questo senso la posizione restrittiva del Tribunale italiano sembra maggiormente avvicinarsi, con le debite differenze del caso, alla recente giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha ritenuto lo Stato francese non responsabile per la non piena attuazione delle direttive sulla qualità dell’aria, in quanto le direttive perseguono gli obiettivi della tutela della salute e dell’ambiente e, pertanto, non sono in grado di far sorgere diritti differenziati in capo ai cittadini europei[10].
Il giudice ha osservato, infatti, che la domanda risarcitoria ricollegata alla titolarità di un diritto soggettivo (e come tale considerata scrutinabile dal giudice ordinario), per come formulata, è diretta in concreto a chiedere, quale petitum sostanziale, un sindacato sulle modalità di esercizio delle potestà statali previste dalla Costituzione. Sennonché, l’interesse di cui si invoca la tutela risarcitoria ex art. 2043 e 2051 c.c. non rientra nel novero degli interessi soggettivi giuridicamente tutelati, in quanto le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico antropogenico - che comportano valutazioni discrezionali di ordine socio-economico e in termini di costi-benefici nei più vari settori della vita della collettività umana - rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nel giudizio.
La responsabilità dello Stato sarebbe originata dalle condotte omissive, commissive e provvedimentali del Governo e del Parlamento che non consentirebbero il raggiungimento di obiettivi più ambiziosi rispetto a quelli cui lo Stato si è vincolato. Quelli posti in essere dal Governo e dal Parlamento sono tuttavia atti, provvedimenti e comportamenti manifestamente espressivi della funzione di indirizzo politico, consistente nella determinazione delle linee fondamentali di sviluppo dell’ordinamento e della politica dello Stato nella delicata e complessa questione del cambiamento climatico antropogenico. Le censure mosse si appuntano sull’azione di indirizzo politico realizzata dai titolari della sovranità statuale in ordine alle concrete modalità con cui stanno contrastando il cambiamento climatico per il raggiungimento degli obiettivi individuati nell’ambito dell’ordinamento eurounitario e internazionale.
Da qui il giudice trae il proprio difetto assoluto di giurisdizione, pur ricordando che la domanda proposta in via subordinata, volta ad ottenere una modifica del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), attenendo alla legittimità dell’atto amministrativo e, comunque, a comportamenti e omissioni riconducibili all’esercizio di poteri pubblici in materia di contrasto al cambiamento climatico antropogenico, è afferente alla giurisdizione amministrativa generale di legittimità.
2. Alcuni antecedenti giurisprudenziali e talune premesse culturali
Riassumendo: il Tribunale di Roma respinge con tali secche argomentazioni tre punti essenziali di attacco su cui si fondava la strategia degli attori.
Da un lato l’azione rappresenta un tipico esempio di lite strategica, sulla falsariga del già menzionato caso Urgenda. Vi è poi l’aspetto ambientale, basato per lo più sulla violazione del diritto internazionale del clima e delle norme che ne hanno dato attuazione sia sul piano comunitario che sul piano interno. Infine, vi è l’aspetto puramente civilistico, per cui si reclama la responsabilità extracontrattuale dello Stato italiano (ex art. 2043 c.c.) per non aver rispettato obblighi di prevenzione di danni in situazioni di ‘minaccia urgente’; minaccia, secondo i ricorrenti, comprovata ampiamente dalla scienza.
Un altro aspetto interessante riguarda proprio il rapporto fra scienza e autonomia della politica. I ricorrenti, in linea con questo tipo di contenzioso, rimarcano come la politica debba agire secondo quelle che sono le più autorevoli indicazioni scientifiche in materia di cambiamento climatico (a livello internazionale si considerino i rapporti dell’Intergovernmental Panel on Climate Change), da cui discende anche un obbligo di informare correttamente i cittadini circa l’attuazione dei piani nazionali (cd. ‘riserva di scienza’), obbligo recepito dal diritto internazionale ambientale nonché dalla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte costituzionale italiana[11].
Invero, la strategia dei ricorrenti, non si fondava solo su importanti precedenti in altri Stati, anche di civil law.
Essa ha come base una importante corrente dottrinale[12] fondata su alcuni snodi essenziali. La premessa è che viviamo un’emergenza sia ecosistemica che climatica, aggravata dall’urgenza del necessario abbandono di qualsiasi opzione di transizione energetica ancora fossile, perché ormai «minacciosa» essa stessa.
In tale contesto, i contenuti dell’obbligazione climatica, tracciati primariamente a livello internazionale dal Preambolo e dai primi quattro articoli dell’UNFCCC[13], sono self-executing e integrabili con fattispecie tipiche già disciplinate dai singoli ordinamenti (come, per es., l’art. 2051 c.c. sulla «custodia di cose», non a caso richiamato dalle parti attrici della causa “Giudizio Universale”).
Quindi la tipizzazione resta tutta di matrice internazionale, integrandosi, in ragione della relazione di specialità dell’UNFCCC con le fonti degli Stati, con gli istituti interni compatibili con quella ratio. Si spiega in questo modo il ricorso, nelle c.d. climate change litigation, alle categorie del tort e dell’illecito extracontrattuale. Esse rivendicano il principio del neminem laedere come norma generale interna/esterna, espressiva di un principio di diritto internazionale umanitario, e in secondo luogo ricorrono ancora a esso come regola di responsabilità, non derogabile da nessun genere di diposizione interna[14].
In questo approccio il principio di riserva di scienza ha delle ricadute inevitabili sul piano dei poteri del giudice e dei rapporti di quest’ultimo con l’amministrazione[15], la legislazione e la stessa scienza. In buona sostanza, la discrezionalità politica viene ritenuta pienamente sindacabile nel modo in cui utilizza le conoscenze scientifiche istituzionalizzate dall’UNFCCC[16]; quanto alla cognizione del giudice, il principio ha delle evidenti ricadute con riguardo all’individuazione dei fatti notori (art. 115 c.p.c.) e di quelli non contestabili[17].
La sentenza del Tribunale di Roma si distacca da questo paradigma teorico, non solo nella misura in cui invoca il rispetto della discrezionalità politica e del principio di separazione dei poteri, ma anche ove lamenta la mancanza delle informazioni necessarie per l’accertamento della correttezza delle complesse decisioni prese dal Parlamento e dal Governo.
3. Quale situazione giuridica è agita nel contenzioso climatico?
È accettabile questo self restaint giudiziale? O, al contrario, lo Stato di eccezione permanente che viviamo, col picco del Covid-2019, autorizza severe deroghe ai principi cardine dello Stato di diritto, su tutti quello di separazione dei poteri[18], mercé la riserva di scienza?
Forse si dovrebbe tornare a riflettere sui fondamenti, e in particolare sul rapporto fra giurisdizione e teorica delle situazioni soggettive. Una suggestione in tal senso ci viene proprio dalla sentenza del Tribunale di Roma, che per un verso in maniera condivisibile si dichiara sfornito di giurisdizione di fronte alle immani questioni poste dal “cigno verde” (sono state individuate ben ventiquattro co-emergenze fra loro interdipendenti, fra le quali la «sesta estinzione di massa» e il possibile collasso degli ecosistemi nel 2030[19]), per altro verso individua un margine di intervento – più modesto ma forse più efficace – in capo al giudice amministrativo, rispetto a un atto di pianificazione generale quale il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima.
Quando parlo di teorica delle situazioni soggettive lo faccio all’interno di un discorso che non vuole toccare il tema, altrettanto spinoso, delle condizioni legittimanti e dell’interesse all’azione. Sul punto nella nostra dottrina è in corso un fecondo dibattito, con diverse opinioni, più o meno favorevoli a un’estensione della legittimazione per via del recupero della teorica astratta dell’azione o di una valorizzazione del principio di sussidiarietà orizzontale in chiave di standing processuale[20].
Mi limito ad osservare come il tema è spesso filtrato, o forse inquinato, dal profilo dell’insindacabilità delle scelte politiche di Governo e Parlamento sul punto, a sua volta collegato (e confuso) col tema del controllo giudiziale sull’atto politico. Non è un caso che il Tribunale di Roma preferisca atterrare sul tema del difetto assoluto di giurisdizione, piuttosto che soffermarsi su possibili dichiarazioni di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione o per sussistenza dell’atto politico.
Anche a mio avviso queste ultime due questioni sono dei falsi problemi[21], perché comunque rifrazioni del nucleo duro costituito dalla riserva di scienza e dal suo rapporto potenzialmente destabilizzante e dirompente rispetto all’acciaccato principio di separazione dei poteri. A meno di non prenderne in prestito aspetti euristici utili e interessanti, come quello che guarda alla teoria dell’atto politico come modalità – scettica e storicista, come in un filone delle origini francesi della teoria – di indagine sui rapporti mobili tra giudice, politica e amministrazione[22].
Il Tribunale di Roma, in ogni caso, evidenzia la sommatoria di due lacune connesse: la mancanza nel caso di specie di interessi soggettivi giuridicamente tutelati, in quanto le decisioni relative alle modalità e ai tempi di gestione del fenomeno del cambiamento climatico rientrano nella sfera di attribuzione degli organi politici e non sono sanzionabili nel giudizio. Insomma: l’eccesso di potere giurisdizionale ai danni del legislatore e dell’amministrazione si coniuga qui al il difetto assoluto di giurisdizione per radicale assenza di una posizione giuridica soggettiva meritevole di tutela da parte di qualsiasi giudice[23]. Nonostante la sentenza parli di difetto assoluto di giurisdizione, in realtà essa si riferisce più propriamente all’eccesso di potere giurisdizionale, categoria di più rara frequenza statistica ma meno soggetta a rilievi critici rispetto al difetto assoluto di giurisdizione[24].
Il punto è, quindi, se muoverci in una tradizionale ottica individualista o assumere una diversa prospettiva rispetto al problema.
Anche le più avanzate e coraggiose tesi sulla tutela climatica talora restano intrappolate nella prima, più rassicurante, logica.
Sul punto esistono molte impostazioni sul campo[25]: il diritto alla natura, il diritto della natura, il diritto al clima, la natura come patrimonio comune, la public trust doctrine. Non è questa la sede per approfondirle tutte, ma posso dire di essere dell’idea che anche le più raffinate elaborazioni soggettivistiche, come quella del diritto al clima[26], scontano la crisi della tirannia del diritto[27] e perpetuano una visione antropocentrica del problema.
Contro questa impostazione si è osservato che la diversa narrazione del clima come “bene comune” o “Global Common”, ha portato ad affrontare la classica “tragedia” dell’utilizzo comune senza danni reciproci. Non ci sarebbe più spazio per nessuna inerzia: l’unica tragedia all’orizzonte sarebbe quella «dell’orizzonte temporale», e semmai si dovrebbe aprire ad orizzonti deliberativi e di gestione “comune” in tema di energia e beni vitali da cui la stabilità climatica dipende[28].
Il giudice della sentenza qui in commento non ha evidentemente seguito questa linea, sia pure nel ristretto rigore delle aule e delle “carte” processuali, che solo fino a un certo punto possono riecheggiare le altezze della speculazione teorica. Ma c’è una certa saggezza in questa autolimitazione giudiziale, da non leggere solo in una difesa conservativa e di retroguardia della separazione dei poteri[29].
Forse, dunque, c’è qualcosa d’altro.
È stato osservato[30] che l’idea dell’ambiente come patrimonio collettivo comune, terreno di incontro tra diritto alla natura e diritto della natura, mette al centro la teoria dei doveri, che a sua volta rafforza la dimensione pubblicistica della problematica ambientale[31]. In questo senso, la criticità non sta solo nel profilo dello spostamento delle competenze dalla politica alla giurisdizione[32], ma anche nel senso di collocare le decisioni fondamentali sui complessi rapporti tra ambiente, economia e società fuori dalla mediazione politica ed entro un campo essenzialmente sofocratico, giudice o scienziato che sia[33].
4. Spunti conclusivi sul giudice
Questa sentenza non è evidentemente un punto di arrivo, ma di partenza.
Guarda al passato, ma talora può esser sano un approccio di questo genere, anche se non può portarci a dimenticare la prospettiva disastrosa del “cigno verde”, per riprendere l'immagine suggestiva utilizzata dalla Banca dei regolamenti internazionali per indicare i rischi provenienti dal climate change in relazione alla stabilità finanziaria mondiale[34].
In questo senso, il richiamo finale nella sentenza al giudice amministrativo e alla sua sfera di cognizione sul potere mi pare interessante.
Mi rendo ben conto che la “microfisica” del giudice speciale e del suo processo è tuttora sottoposta ad attacchi, anche salaci e in più punti condivisibili[35].
Ma qui interessa l’opzione teorica di fondo che sembra sottesa al passaggio finale della sentenza del Tribunale civile di Roma.
L’idea mi pare evocare l’applicazione della tecnica del bilanciamento[36], ormai intrinseca alla logica del diritto fondamentale, come sappiamo sin dalla sentenza sull’Ilva di Taranto del 2013 della Consulta, sentenza non a caso definita schmittiana[37], confermata poi dalla giurisprudenza del tempo pandemico. In buona sostanza, emergenze e criticità talmente gravi da mettere in pericolo un assetto sociale impongono di disporre in una scala discendente di interessi; esse, inoltre, implicano unità e prontezza di decisione e valorizzazione di doveri e responsabilità. Insomma, si pongono nuovamente al centro della scena i doveri inderogabili di cui parla l’art. 2 Cost. Il nostro giudice amministrativo ha riflesso in più occasioni tale posizione, ritenendo che l’interesse privato vada contemperato con quello della collettività a prevenire il diffondersi del virus.
Tutto ciò, peraltro, a fonte della ritenuta inadeguatezza del diritto soggettivo a dar conto di determinate dimensioni di doverosità e responsabilità, sull’onda lunga della categoria, di sempre maggiore dignità teorica, dell’interesse legittimo fondamentale, e della centralità del giudice amministrativo non solo al fine di rendere giustizia al privato, ma sempre più anche come arbitro del dialogo e del confronto tra le amministrazioni e del conflitto di attribuzioni fra enti[38].
In campi come il biodiritto e l’immigrazione, ad esempio, le resistenze del legislatore hanno se possibile accresciuto gli interstizi della normazione secondaria e terziaria, sovente tecnica, e spesso in contrazione di “nuovi” diritti o meglio libertà, con nuovamente accresciuto ruolo del giudice, sempre più mediatore di conflitti cui la politica non vuole o non può accedere. In questi casi il giudice al centro della scena, oltre a quello amministrativo, è anche quello costituzionale, il quale spesso stigmatizza l’inerzia legislativa per lo più nei settori eticamente sensibili, e nel farlo colma la lacuna dettando – sia pure in forma embrionale – la disciplina del procedimento da seguire per erogare le prestazioni costituzionalmente dovute.
Probabilmente anche i climate change litigation attecchiranno presso il giudice amministrativo, specie dopo la sentenza in commento, e magari con più fortuna.
La parabola, quindi, sembra essere tornata alle origini: più amministrazione, meno giudice; mi riferisco evidentemente al giudice civile, non a quello amministrativo e costituzionale, che, come detto, si collocano progressivamente al centro della scena, talora peraltro con una ripartizione dei reciproci confini non sempre agevole (si pensi, ancora, alla giurisprudenza pandemica).
Questo non toglie, comunque, che i limiti tra giudice e legislatore dovrebbero essere fatti salvi anche in questo caso, pena la frantumazione sociale e l’esposizione della stessa giurisprudenza a tentativi di delegittimazione da parte della politica.
Peraltro, proprio il carattere embrionale di queste discipline svela i limiti di effettività della tutela solo giurisdizionale proprio in settori come quello delle crisi ambientali, settori che richiedono il coinvolgimento di altri decisori e chiamano ampiamente in causa il sapere tecnico. Anche le liti strategiche come le climate change litigation, quindi, da un lato segnalano i difetti e le insufficienze delle politiche ambientali, dall’altro non possono consentire che il giudice supplisca a inadeguati contemperamenti di interessi del legislatore e dell’amministrazione[39].
Poteri, questi, che a loro volta devono rispettare il – pur discusso – principio di “riserva di scienza”, in base al quale le evidenze scientifiche giocano ormai un ruolo rilevante nel sottrarre spazi di discrezionalità al decisore.
Sulle modalità con cui ciò deve accadere il dibattito è aperto presso i costituzionalisti, che guardano con interesse alla nostra teoria del procedimento amministrativo per rimediare alle annose criticità di quello legislativo[40].
Ma il tema immane della crisi della politica, e dei suoi meccanismi di funzionamento, non può certo essere oggetto di queste brevi note.
[1] Sulla concezione tarskiana della verità cfr. N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. 12, Novara-Roma, 2006.
[2] Su questo dilemma, si pensi ad alcune note contrapposizioni: in ambito giuridico fra Robert Alexy e Luigi Ferrajoli, e, in quello filosofico-sociale, fra Niklas Luhmann e Jürgen Habermas.
[3] G. Campeggio, La causa “Giudizio Universale” e il problema della verità, in www.diritticomparati.it, 21 settembre 2022.
[4] Per un’ampia e recente ricognizione v. AA.VV., Handbook of the Philosophy of Climate Change, ed. G. Pellegrino-M. Di Paola, Cham, 2023.
[5] M. Morvillo, Climate change litigation e separazione dei poteri: riflessioni a partire dal caso Urgenda, in www.forumcostituzionale.it, 28 maggio 2019.
[6] P. Patrito, Cambiamento climatico e responsabilità dei pubblici poteri: aspetti (più o meno) problematici di un recente fenomeno, in Resp. civ. prev., 2023, 1934 ss.
[7] Sulla centralità del diritto alla vita in materia ambientale v. ora M. Monteduro, La tutela della vita come matrice ordinamentale della tutela dell’ambiente (in senso lato e in senso stretto), in Riv. quad. dir. amb., 2022, 423 ss.
[8] L. Del Corona, Brevi considerazioni in tema di contenzioso climatico alla luce della recente sentenza del Tribunal Administratif de Paris sull’“Affaire du siècle”, in La Rivista “Gruppo di Pisa”, 2021, 333.
[9] Per una ragionata rassegna v. M. Delsignore, Il contenzioso climatico dal 2015 ad oggi, in Giorn. dir. amm., 2022, 265 ss.; AA.VV., Environmental Law Before the Courts. A US-EU Narrative, ed. G. Antonelli, M. Gerrard, S. Colangelo, G. Montedoro, M. Santise, L. Lavrysen, M.V. Ferroni, Cham, 2023. Sull’importanza dei casi giurisprudenziali avvenuti nel Global South v. M. Schirripa,Climate Change Litigation and the Need for ‘Radical Change’, in www.federalismi.it. Si consideri che mentre il presente contributo era in corso di pubblicazione è sopraggiunta la sentenza della Corte Edu, del 9 aprile 2024, con la quale i giudici di Strasburgo hanno dato ragione alle ricorrenti dell’associazione svizzera «Klimaseniorinnen», ovvero «le nonne svizzere» data l’età media over 70, che hanno accusato il governo elvetico di aver violato i loro diritti umani non impegnandosi abbastanza rapidamente per affrontare la «febbre» della Terra. In particolare, la Corte Edu ha stabilito la violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, riguardante «il rispetto della vita privata e familiare», ma ha escluso la violazione dell’articolo 2, ovvero «il diritto alla vita». Nella stessa data la Corte Edu è stata chiamata a esprimersi anche sul caso «Duarte Agostinho and Others v. Portugal and 32 Other States», una causa promossa da un gruppo di giovani portoghesi nei confronti di 32 Stati membri dell’Unione Europea (Italia compresa), accusati di non fare abbastanza per ridurre le emissioni. Il loro ricorso è stato dichiarato inammissibile dai giudici di Strasburgo, secondo cui i ricorrenti avrebbero dovuto rivolgersi ai tribunali portoghesi prima di fare ricorso alla Cedu. La stessa sorte è toccata anche al terzo e ultimo contenzioso climatico finito sul tavolo della Corte europea dei diritti dell’uomo. A presentare ricorso in questo caso è stato Damien Carême, ex sindaco di Grande-Synthe, che ha fatto causa alla Francia per non aver agito con abbastanza convinzione ed efficacia per limitare gli effetti dei cambiamenti climatici. La Corte di Strasburgo ha fatto notare però che Carême non vive più in Francia e di conseguenza non può dichiararsi vittima dell’inazione del governo francese.
[10] Corte di Giustizia UE, Grande sezione, 22 dicembre 2022, Causa C-61/21 - J.P. c. Ministre de la Transition écologique e Premier ministre, in Giorn. dir. amm., 2023, con nota di M. Delsignore, Il giudice europeo e il risarcimento del danno per inquinamento dell’aria, la quale, pur criticando la pronuncia, mette in luce la preferibilità di strumenti di public enforcement piuttosto che di private enforcement.
[11] V. ad esempio le sentenze della Corte costituzionale n. 169/2017, n. 338/2003, n. 282/2002.
[12] M. Carducci, Cambiamento climatico (diritto costituzionale), in Dig. disc. pubbl., Agg. 2021, 51 ss.
[13] La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, da cui l'acronimo UNFCCC o FCCC), nota anche come Accordi di Rio.
[14] Cfr. Corte cost. n. 16/1992.
[15] M.F. Cavalcanti, Fonti del diritto e cambiamento climatico: il ruolo dei dati tecnico-scientifici nella giustizia climatica in Europa, in DPCE online, 2/2023. Per una tassonomia dei diversi ruoli svolti e assunti dai giudici rispetto alla scienza (ricostruzione “soggettiva” del giudice, assunzione del parere consolidato all’interno della comunità scientifica, determinazione in concreto del contenuto scientifico di una disposizione legislativa scientificamente indeterminata, utilizzo di una tecnica innovativa a livello medico-scientifico, interpretazione conforme a Costituzione che risulta condizionata dal dato scientifico, self-restraint rispetto alla discrezionalità politica del legislatore, self-restraint a favore di istanze medico-scientifiche), rilevandosi un’inevitabile pluralità di approcci, cfr. S. Penasa, Giudice “Ercole” o giudice “Sisifo”? Gli effetti del dato scientifico sull’esercizio della funzione giurisdizionale in casi scientificamente connotati, in www.forumcostituzionale.it, 17 dicembre 2015.
[16] S. Jasanoff, A World of Experts: Science and Global Environmental Constitutionalism, in B.C. Envtl. Aff. L. Rev., 2, 2013, 439-452.
[17] L. Bergkamp, Adjudicating Scientific Disputes in Climate Science, in Envtl Liability, 2015, 80-102.
[18] M. Ramajoli, Il cambiamento climatico tra Green Deal e Climate Change Litigation, in Rivista giuridica dell’ambiente, 2021, 53 ss.
[19] M. Carducci, Cambiamento climatico (diritto costituzionale), cit., 62.
[20] Mi permetto di rinviare a G. Tropea, La legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo: una rassegna critica della letteratura recente, in Dir. proc. amm., 2021, 462 ss.
[21] L. Magi, Giustizia climatica e teoria dell’atto politico: tanto rumore per nulla, in www.osservatoriosulle fonti.it, 2021, 1030 ss. Di contro, tra i primi critici della sentenza del Tribunale di Roma, v’è chi richiama la sentenza n. 81/2012 della Corte costituzionale sull’atto politico. Cfr. L. Cardelli, La sentenza “Giudizio Universale”: una decisione retriva, in www.lacostituzione.info, 11 marzo 2024.
[22] Ribadisco tale idea, da ultimo, in G. Tropea, Teoria e ideologia del controllo giurisdizionale sull’amministrazione, Relazione al Convegno annuale Aipda Lo spazio della pubblica amministrazione. Vecchi territori e nuove frontiere, Napoli, 29-30 settembre 2023, in corso di stampa sull’Annuario Aipda 2023.
[23] Riprendo qui la terminologia dell’attento studio di A. Cassatella, L’eccesso di potere giurisdizionale e la sua rilevanza nel sistema di giustizia amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 2018, 625 ss.
[24] Cfr. M. Mazzamuto, L'eccesso di potere giurisdizionale del giudice della giurisdizione, in Dir. proc. amm., 2012, 1677 ss.
[25] Si v. l’attento studio di S. Valaguzza, Liti strategiche: il contenzioso climatico salverà il pianeta?, in Dir. proc. amm., 2021, 293 ss.
[26] A. Pisanò, Il diritto al clima. Una prima concettualizzazione, in L’ircocervo, 2021, 261 ss.
[27] R. Bin, Critica della teoria dei diritti, Milano, 2018.
[28] M. Carducci, Cambiamento climatico (diritto costituzionale), cit., 72.
[29] È la garbata critica che (sia pure in una condivisione dei valori e dei temi di fondo, e nella consapevolezza del modo in cui la separazione dei poteri viene declinata, bilanciata, attuata ed accettata in tutte le sue conseguenze) viene avanzata all’importante ultimo libro di M. Luciani da A. Cassatella, Separazione dei poteri, ruolo della scienza giuridica, significato del diritto amministrativo e del suo giudice. Osservazioni a margine di “Ogni cosa al suo posto. Restaurare l’ordine costituzionale dei poteri” di Massimo Luciani, in corso di pubblicazione.
[30] S. Valaguzza, Liti strategiche: il contenzioso climatico salverà il pianeta?, cit.
[31] F. Fracchia, Coronavirus, senso del limite, deglobalizzazione e diritto amministrativo: nulla sarà più come prima?, in www.dirittodelleconomia.it, n. 3/2019, 575 ss.; P. Pantalone, La crisi pandemica dal punto di vista dei doveri, Napoli, 2023.
[32] Così D. Porena, Giustizia climatica e responsabilità intergenerazionale, in www.rivistaaic, 2023, 186 ss.
[33] Aggiungo che questa centralità del giudice, in un contesto eminentemente di soft law quale il diritto internazionale della crisi ecologica, è tipica della de-politicizzazione derivante dal contesto neoliberale che pervade i nostri ordinamenti. In esso a spiccare è il concetto di resilienza, tipico lemma che può facilmente divenire vettore di assestamenti neoliberali, come dimostrano le pionieristiche ricerche sul tema di Crawford Holling. Si v., se si vuole, G. Tropea, Considerazioni sulla rimeditazione delle relazioni giuridiche di diritto amministrativo dopo la pandemia. Il libro di Pasquale Pantalone sulla “Crisi pandemica del punto di vista dei doveri”, in corso di pubblicazione.
[34] Sui rapporti tra crisi ecologica e attività economica di produzione di beni e di servizi per fini ambientali v. ora F. de Leonardis, Lo Stato ecologico, Approccio sistemico, economia, poteri pubblici e mercato, Torino, 2023.
[35] F. Volpe, Un marziano a spasso per il processo amministrativo (divertissement sul non processo), in www.giustiziainsieme.it, 13 marzo 2024.
[36] Sulla teoria del bilanciamento nella crisi ecologica in atto v. M. Monteduro, Le decisioni amministrative nell’era della recessione ecologica, in www.rivistaaic.it, n. 2/2018.
[37] M. Luciani, Ogni cosa al suo posto, Milano, 2023, 58.
[38] G. Tropea, Teoria e ideologia del controllo giurisdizionale sull’amministrazione, cit.
[39] Cfr. C. Tripodina, La tutela dei diritti fondamentali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale, in M. Cavino, C. Tripodina (a cura di), La tutela dei diritti fondamentali tra diritto politico e diritto giurisprudenziale: “casi difficili” alla prova, Milano, 2012, 78, la quale, pur riconoscendo la «primazia della decisione legislativa» su quella giurisdizionale, ritiene che «il “buon legislatore” è quello che non si sottrae al dovere di dettare una disciplina sui “casi difficili”, ma sa farlo rimanendo in equilibrio lungo il sottile crinale che gli è imposto dal rispetto di costituzione, scienza, coscienza e corpo».
[40] Cfr., da ultimo, L. Del Corona, Libertà della scienza e politica. Riflessioni sulle valutazioni scientifiche nella prospettiva del diritto costituzionale, Torino, 2022. Sulla produzione di norme attuative del principio di precauzione come archetipo del rapporto tra scienza e tecnica da un lato e fra politica e diritto dall’altro, e come principio procedurale che non oscura la dimensione politico-valutativa del rapporto fra scienza e diritto, v. L. Buffoni-A. Cardone, Il procedimento normativo precauzionale come caso paradigmatico del ravvicinamento “formale-procedurale” delle “fonti” del diritto, in www.osservatoriosullefonti.it, n. 3/2012.