Sommario: 1. L’inquadramento della vicenda. – 2. L’ambito applicativo della direttiva 2006/123/CE. – 3. I criteri di accertamento della scarsità delle risorse naturali. – 4. La validità della direttiva 2006/123/CE. – 5. Gli effetti diretti dell’articolo 12. – 6. Il problema dell’indennizzo per i concessionari uscenti. – 7. Considerazioni conclusive.
1. L’inquadramento della vicenda.
La sentenza della Corte di giustizia, pubblicata in data 20 aprile 2023, scaturisce dal rinvio pregiudiziale effettuato dal TAR Lecce con ordinanza 11 maggio 2022, n. 743[1], nell’ambito di un procedimento incardinato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) per l’annullamento di alcuni atti comunali adottati in ossequio alla normativa nazionale[2] che aveva disposto la proroga automatica, fino al 31 dicembre 2033, delle concessioni demaniali marittime in essere (ma anche di quelle lacuali e fluviali[3]) a finalità turistico-ricreative (le “concessioni balneari”).
Per un miglior inquadramento della vicenda, è opportuno tener presente quanto segue.
Com’è noto, la reiterata previsione ex lege di proroghe automatiche e generalizzate a vantaggio degli attuali concessionari[4] ha posto seri dubbi di compatibilità con il diritto dell’Unione[5], sotto il profilo della garanzia del diritto di stabilimento nel mercato interno e della libertà di prestazione dei servizi[6].
A fronte del sospetto carattere anticomunitario di simili proroghe, già adombrato dalla Commissione con lettera di messa in mora complementare datata 5 maggio 2010 nell’ambito della procedura d’infrazione n. 2008/4908[7], le amministrazioni delegate al rilascio delle concessioni in esame hanno agito in maniera difforme. Alcune di esse, tra le quali il Comune resistente nel giudizio da cui è scaturita la sentenza in commento, hanno applicato la normativa interna, adottando conformi atti di proroga, mentre altre, in senso opposto, hanno disapplicato tale normativa, adoperandosi per la messa a gara delle concessioni. Ulteriori amministrazioni sono rimaste inerti, nell’attesa di sviluppi idonei a chiarire quale fosse il modus agendi corretto, né sono mancate amministrazioni che, in un secondo momento, abbiano annullato in autotutela le proroghe già assentite. Ne è derivata una condizione di generale incertezza circa la perdurante validità dei rapporti concessori, icasticamente descritta dall’ordinanza di rinvio. Tale incertezza si è inevitabilmente riversata sulle sedi giudiziarie.
La giurisprudenza amministrativa, in particolare a seguito della sentenza Promoimpresa[8], si è espressa per lo più nel senso della doverosa disapplicazione, da parte delle amministrazioni competenti, della normativa interna di proroga, in quanto contrastante con gli art. 12 della direttiva 2006/123/CE (nota anche come direttiva Bolkestein o direttiva Servizi), in tesi foriera di effetti diretti e, in quanto applicabile, con l’art. 49 TFUE[9]. Nondimeno, il TAR Lecce, giudice del rinvio nella causa che ci occupa, ha portato avanti un indirizzo minoritario, in base al quale, da un lato, l’art. 12 dir. servizi non avrebbe carattere self-executing, e dall’altro, le amministrazioni locali non sarebbero comunque legittimate a disapplicare la normativa nazionale asseritamente contrastante con le norme di direttive europee auto-esecutive[10], concludendo quindi per la necessità di dar seguito sul versante amministrativo alle proroghe.
Merita peraltro ricordare che, con lettera di messa in mora datata 3 dicembre 2020[11], la Commissione ha aperto nei confronti dell’Italia una nuova procedura di infrazione. La lettera evidenzia l’illegalità del quadro giuridico nazionale, e, interpretando la ridetta sentenza Promoimpresa, ne ricava la regola per cui, nelle more dei necessari interventi normativi, le autorità locali e i giudici nazionali non debbano dare applicazione alla normativa interna di proroga, stante il suo contrasto con l’art. 12 dir. servizi (norma cui, evidentemente, la Commissione riconosce carattere self-executing), ovvero, in quanto applicabile, con l’art. 49 TFUE[12].
In questo scenario, nel dichiarato intento di assicurare certezza e uniformità di applicazione del diritto da parte delle amministrazioni interessate nonché uniformità di orientamenti giurisprudenziali[13] - e verosimilmente anche per sopperire all’inerzia di Parlamento e Governo nel far cessare la violazione alla base della procedura di infrazione n. 2020/4118 - è intervenuta l’Adunanza Plenaria con le note sentenze gemelle nn. 17 e 18/2021, sulle quali si è diffusamente appuntata l’attenzione della dottrina[14]. Per quanto più interessa in questa sede, in estrema sintesi, occorre ricordare che il Supremo Consesso della giustizia amministrativa ha ritenuto di poter: 1) accertare, una volta per tutte, la sussistenza di un interesse transfrontaliero certo inerente alla gestione delle spiagge italiane (nonché delle aree lacuali e fluviali), per quindi rilevare il contrasto della normativa interna di proroga con gli artt. 49 e 56 TFUE (punti 15 - 16); 2) confermare la validità della direttiva servizi, in quanto direttiva di liberalizzazione e non di armonizzazione, correttamente adottata a maggioranza qualificata dal Consiglio sulla base degli articoli del TCE relativi al diritto di stabilimento e alla libera circolazione dei servizi piuttosto che sull’art. 94 del TCE (ora art. 115 TFUE), il quale prevede invece il ricorso all’unanimità in seno al Consiglio per l’adozione di atti normativi aventi come obiettivo l’armonizzazione delle legislazioni nazionali (punto 21); 3) predicare, indistintamente, la scarsità delle risorse naturali in questione in riferimento all’intero territorio nazionale (punto 25); 4) ravvisare il carattere self-executing dell’art. 12 dir. sevizi, con il conseguente obbligo delle amministrazioni locali di non applicare la normativa nazionale di proroga contrastante con suddetta disposizione (punti 26 - 38).
In generale, la giurisprudenza successiva si è largamente conformata ai dicta della Plenaria[15].
Fa eccezione appunto il TAR Lecce, il quale, senza sconfessare il proprio precedente orientamento, ha sostanzialmente interrogato, come meglio si vedrà infra, la Corte di giustizia circa la correttezza degli approdi della Plenaria in ordine alla validità, all’interpretazione e alla conseguente applicazione del diritto dell’Unione in materia.
2. L’ambito applicativo della direttiva 2006/123/CE.
Il primo punto affrontato dalla Corte di giustizia concerne il rapporto intercorrente tra l’art. 49 TFUE e l’art. 12 dir. servizi. Un chiarimento al riguardo era reso necessario innanzitutto dal sesto quesito dell’ordinanza di rinvio, il quale richiedeva, in sintesi, se la presenza di un interesse transfrontaliero certo, ai sensi dell’art. 49 TFUE, fosse presupposto applicativo dell’art. 12, paragrafi 1 e 2, dir. servizi. Inoltre, i quesiti settimo e ottavo rendevano opportuna la precisazione, in quanto relativi alla coerenza, tanto rispetto all’art. 49 TFUE, quanto rispetto all’art. 12 dir. servizi, delle statuizioni con cui la Plenaria ha affermato, in via generale e astratta e con riferimento all’intero territorio nazionale, la sussistenza sia dell’interesse transfrontaliero certo, sia del carattere scarso delle risorse naturali in questione.
In breve, dall’ordinanza del TAR Lecce emergeva il dubbio circa la differenza degli ambiti applicativi delle due norme cennate, in rapporto ad ambo le quali si riteneva di dover parametrare la normativa nazionale di proroga.
Verosimilmente, una simile perplessità, se non ingenerata, è stata quantomeno alimentata dalla lettura delle sentenze gemelle della Plenaria, le quali si soffermano diffusamente a confutare le obiezioni dottrinali tese a mettere in discussione la sussistenza dell’interesse transfrontaliero certo (punti 15 e 16). Pertanto, sebbene le questioni relative all’interesse transfrontaliero certo in sé possano apparire di interesse secondario, stante «la preminenza dell’art. 12 della direttiva Bolkestein sull’art. 49 TFUE»[16], è pur vero che il Supremo Consesso della giustizia amministrativa non è stato chiaro sul punto, lasciando intendere la simultanea applicabilità dei due articoli.
Orbene, la Corte di giustizia ha ricordato che, secondo la propria costante giurisprudenza, le normative nazionali adottate in un settore oggetto di completa armonizzazione a livello dell’Unione vanno valutate in rapporto non alle disposizioni del diritto primario, bensì a quelle di diritto derivato che hanno realizzato tale armonizzazione. Viene citata in proposito, tra le altre, proprio la sentenza Promoimpresa, la quale evidenzia che gli articoli da 9 a 13 dir. servizi provvedono a un’armonizzazione esaustiva concernente i servizi rientranti nel loro campo di applicazione, con la conseguenza che la normativa interna di proroga deve essere parametrata unicamente all’art. 12 di tale direttiva, laddove siano integrati tutti gli elementi della relativa fattispecie.
D’altronde, occorre ricordare che proprio secondo la ricostruzione effettuata dalla sentenza Promoimpresa, e fatta propria dalla Commissione nella lettera di messa in mora del dicembre 2020[17], l’art. 49 TFUE viene in rilievo solo laddove l’art.12 dir. servizi non sia applicabile in ragione dell’accertamento negativo in ordine alla scarsità delle risorse naturali (cfr. punto 62 della sentenza). In quest’ottica, la valutazione dell’interesse transfrontaliero certo è meramente eventuale e secondaria, in quanto s’imporrebbe solo una volta escluso il carattere scarso delle risorse naturali in questione. Ne consegue logicamente che l’art. 12 dir. servizi, non si applica solo alle concessioni di occupazione del demanio marittimo che presentino un interesse transfrontaliero certo.
A ulteriore supporto di tale conclusione, la Corte ha ricordato di aver già in passato chiarito come gli articoli contenuti nel capo III della dir. servizi siano applicabili anche a situazioni puramente interne, ovvero prive di elementi transfrontalieri.La pronuncia in commento menziona, a tal proposito, la nota sentenza sul caso X e Visser[18], la quale mette in rilievo come dal tenore delle disposizioni di cui al capo III cit. non emerga alcuna condizione relativa alla sussistenza di un elemento di carattere estero (cfr. punti 99 -110).
In definitiva, la Corte ha concluso per l’irrilevanza dell’art. 49 TFUE nella controversia di cui al procedimento principale, e ha coerentemente omesso di rispondere al settimo quesito, inerente alla correttezza della soluzione fornita dalla Plenaria circa la sussistenza dell’interesse transfrontaliero certo; ha invece circoscritto l’esame dell’ottavo quesito – sulla ritenuta scarsità delle risorse naturali – alla sola coerenza con l’art. 12 dir. servizi.
3. I criteri di accertamento della scarsità delle risorse naturali.
Come anticipato, l’ottavo quesito pregiudiziale concerneva la possibilità di accertare in via generale e astratta la condizione di scarsità delle risorse naturali. L’Adunanza Plenaria, infatti, nel valorizzare la capacità attrattiva del patrimonio costiero nazionale nel suo complesso, nonché i dati forniti dal Sistema informativo del demanio marittimo (SID) sull’occupazione delle coste sabbiose in Italia, per quindi affermare, in via onnicomprensiva, la scarsità di tutte le spiagge italiane, ha suscitato delle perplessità a fronte della sentenza Promoimpresa (punto 43), che sembra invece rimettere la valutazione della condizione di scarsità, di volta in volta, al giudice del caso concreto[19].
La Corte di giustizia ha contestualmente validato l’approdo ermeneutico della Plenaria e posto le basi per il suo superamento.
Sul primo versante, la sentenza in commento ha riconosciuto alla precisazione di cui al punto 43 della sentenza Promoimpresa una valenza meramente limitata al caso di specie, escludendo quindi che l’art. 12 dir. servizi imponga indefettibilmente una valutazione su base comunale. Più in generale, la Corte di Lussemburgo ha statuito che gli Stati membri possono preferire, ai fini dell’accertamento della condizione di scarsità, una valutazione generale e astratta, valida per tutto il territorio nazionale.
Sul secondo versante, si può rilevare che questa non è, agli occhi della Corte, né l’unica soluzione possibile, né la più auspicabile. Invero, la pronuncia chiarisce che l’art. 12, par. 1, dir. servizi conferisce agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nella scelta dei criteri applicabili alla valutazione della scarsità delle risorse naturali. A condizione che tali criteri siano obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati, gli Stati membri (e dunque, in primis, i legislatori nazionali) possono, quindi, decidere di privilegiare un approccio “caso per caso”, che ponga l’accento sulla situazione esistente nel territorio costiero di un comune o dell’autorità amministrativa competente. In tal modo, viene legittimato un intervento normativo atto a superare la statuizione della Plenaria, che evidentemente non rappresenta la necessitata conclusione derivante dall’interpretazione dell’art. 12 dir. servizi.
La Corte ha poi prefigurato una soluzione di terzo genere, non prospettata invero dall’ordinanza di rinvio, la quale concepiva i due metodi di accertamento (in via generale e astratta/caso per caso) come alternativi e vicendevolmente escludenti. Si tratta di una soluzione mista, derivante dalla combinazione dei due menzionati approcci, e che la Corte sembra in qualche modo caldeggiare. Al riguardo, si legge nella pronuncia che «la combinazione di un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e di un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del comune in questione, risulta equilibrata e, pertanto, idonea a garantire il rispetto di obiettivi di sfruttamento economico delle coste che possono essere definiti a livello nazionale, assicurando al contempo l’appropriatezza dell’attuazione concreta di tali obiettivi nel territorio costiero di un comune».
Le affermazioni della Corte lasciano trapelare una sorta di favor nei confronti della combinazione degli approcci, in quanto funzionale al conseguimento degli obiettivi dell’Unione nel rispetto del principio di proporzionalità.
Nello stesso senso, appare significativo che la risposta finale della Corte all’ottavo quesito sia parametrata proprio sulla soluzione di terzo genere[20].
Alla luce di simili valutazioni, può essere interessante osservare che una soluzione mista è stata recentemente percorsa dal legislatore nazionale, il quale ha previsto, all’art. 10-quater del d.l. n. 198/2022, convertito con legge n. 14/2023, l’istituzione di un tavolo tecnico, cui spetta il compito di definire i criteri tecnici per la determinazione della sussistenza della scarsità della risorsa naturale disponibile, tenuto conto sia del dato complessivo nazionale che di quello aggregato a livello regionale.
4. La validità della direttiva 2006/123/CE.
A questo punto, fugati i dubbi circa l’applicabilità della sola dir. servizi alla fattispecie di cui al procedimento principale, la Corte è passata ad analizzare la prima questione pregiudiziale, inerente alla validità della cennata direttiva. Questione che, nell’ottica del TAR Lecce, precedeva logicamente le altre, in quanto la sua risoluzione in senso negativo avrebbe reso inutile la risposta agli ulteriori quesiti.
Al riguardo, il Tribunale pugliese assumeva una posizione molto netta. In linea con l’Adunanza Plenaria solo per quanto attiene alla ritenuta estraneità della dir. servizi alla materia del turismo, l’ordinanza di rinvio esprimeva per il resto un totale disaccordo con le argomentazioni delle sentenze gemelle in favore della validità della direttiva. Tale atto, invero, sarebbe qualificabile come direttiva di armonizzazione, e non già di liberalizzazione, in quanto il legislatore dell’Unione avrebbe inteso pervenire alla piena integrazione delle normative degli Stati membri in materia di prestazione di servizi solo in via mediata. In particolare, il TAR Lecce citava il passaggio della sentenza Promoimpresa che afferma che «si deve ritenere che gli articoli da 9 a 13 della direttiva provvedano ad una armonizzazione esaustiva concernente i servizi che rientrano nel loro campo di applicazione», onde trarre, a fronte dell’equiparazione delle parole della Corte a una forma di “interpretazione autentica”, un elemento dirimente a favore della propria ricostruzione. A comprova ulteriore, la stessa ordinanza di rinvio valorizzava il considerando 7 della dir. servizi, come interpretato dalla sentenza X e Visser cit., stando alla quale l’approccio scelto dal legislatore dell’Unione nella direttiva 2006/123 si basa, come enunciato al suo considerando n. 7, su un quadro giuridico generale, formato da una combinazione di misure diverse destinate a garantire un grado elevato di integrazione giuridica nell’Unione per mezzo, in particolare, di una armonizzazione vertente su precisi aspetti della regolamentazione delle attività di servizio».
Sull’assunto quindi di trovarsi di fronte a una direttiva di armonizzazione, il Tribunale pugliese individuava quale corretta base giuridica per l’adozione della dir. servizi l’odierno art. 115 TFUE (già art. 94 TCE), il quale impone(va) il voto all’unanimità del Consiglio per l’adozione di «direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno». Di contro, essendo stata la dir. servizi adottata previo voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio, essa risulterebbe affetta da un vizio formale e dunque invalida.
La Corte, richiamando la propria consolidata giurisprudenza in materia di individuazione della procedura applicabile per l’adozione degli atti giuridici dell’Unione (in passato, della Comunità), ha respinto tali censure.
Per cominciare, la pronuncia in commento ha ricordato che, nell’ipotesi in cui un atto presenti una duplice finalità o una doppia componente e una di queste sia identificabile come principale o preponderante, mentre l’altra risulti solo accessoria, l’atto deve fondarsi su una sola base giuridica, ossia quella richiesta dalla finalità o componente principale o preponderante, mentre, in via eccezionale, ove sia provato che l’atto persegue contemporaneamente più obiettivi tra loro inscindibili, senza che uno di essi assuma importanza secondaria e indiretta rispetto all’altro, tale atto dovrà fondarsi sulle diverse basi giuridiche corrispondenti. La Corte ha quindi rilevato l’impossibilità di cumulare le diverse basi giuridiche, stante l’incompatibilità di una procedura basata sul voto del Consiglio a maggioranza qualificata (ex artt. 47 e 55 TCE) con altra procedura che impone una deliberazione dello stesso organo all’unanimità (ex art. 94 TCE), senza però chiarire quid iuris laddove non sia ravvisabile la prevalenza di una componente o di un obiettivo di un atto riconducibile a più basi giuridiche, e segnatamente se si imponga in questi casi l’adozione di due atti separati[21].
A ogni modo, dal prosieguo del ragionamento sembra che la Corte non abbia concretamente ravvisato uno di questi casi eccezionali, riconducendo la direttiva servizi interamente alla finalità liberalizzatrice di cui agli artt. 47 e 55 TFUE.
In via assorbente, infatti, la pronuncia in commento evidenzia che, dal tenore letterale della direttiva (in particolare, art. 1, par. 1) e dal suo preambolo (in particolare, considerando 1, 5, 12, 64, 116), emerge l’obiettivo di assicurare la realizzazione effettiva delle libertà di stabilimento e di prestazione di servizi. È questo, dunque, lo scopo della direttiva, elemento oggettivo, suscettibile di sindacato giurisdizionale, sulla base del quale valutare quale sia la base giuridica da porre a fondamento dell’atto. Tanto premesso circa la finalità della direttiva di migliorare il funzionamento del mercato interno, la sentenza conferma che la corretta individuazione dalla base giuridica dell’atto risiedesse negli artt. 47, par. 2 e 55 TCE, che consentivano l’adozione con voto del Consiglio a maggioranza qualificata di direttive volte al coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative all’accesso alle attività non salariate e all’esercizio di queste, nonché alla libera prestazione dei servizi all’interno della Comunità. Risulta in questa prospettiva inconferente il riferimento all’art. 94 TCE, oggi 115 TFUE, in quanto norma generale inapplicabile a fronte delle più specifiche norme appena richiamate.
Preso atto di ciò, e a prescindere dall’esattezza della conclusione raggiunta dalla Corte, è appena il caso di rilevare che la sentenza in commento valorizzi unicamente lo scopo dichiarato della direttiva, sebbene l’ordinanza di rinvio insistesse anche sul contenuto delle disposizioni del relativo capo III. Peraltro, proprio la pronuncia esordisce ricordando come, per giurisprudenza costante, la scelta del fondamento giuridico di un atto debba basarsi su elementi oggettivi, suscettibili di sindacato giurisdizionale, quali non solo lo scopo, ma anche il contenuto dell’atto.
5. Gli effetti diretti dell’articolo 12.
Si giunge quindi alla tematica più controversa: gli effetti diretti dell’art. 12 dir. servizi.
Come ricordato, era su questo tema che si era formato il contrasto giurisprudenziale che contrapponeva il TAR Lecce all’Adunanza Plenaria e alla giurisprudenza amministrativa maggioritaria.
La posizione del Tribunale pugliese, infatti, era nel senso di negare carattere auto-esecutivo all’art.12 cit., in quanto tale norma non era ritenuta sufficientemente precisa e incondizionata da poter produrre, scaduto il termine per il suo recepimento ovvero in caso di non corretto recepimento, effetti diretti. In tal senso, risultava ostativo il rilievo che il suddetto articolo rendesse necessaria l’adozione di una legge attuativa recante le regole uniformi per l’effettuazione delle gare, relative anche ai requisiti di partecipazione e di aggiudicazione, e del pari la regolamentazione dei profili legati alla determinazione dell’eventuale indennizzo spettante ai concessionari uscenti. Inoltre, questo orientamento valorizzava i principi di certezza del diritto e di completezza dell’ordinamento giuridico onde negare un potere di disapplicazione – con effetto “di mera esclusione” – della normativa interna da parte dei singoli funzionari amministrativi, a fronte di una direttiva dall’incerta (e invero ritenuta insussistente) natura auto-esecutiva.
Di contro, l’indirizzo maggioritario, avvalorato anche dalla Commissione, predicava e continua a predicare la doverosa disapplicazione della normativa interna di proroga, anche e soprattutto da parte delle amministrazioni preposte in primis alla sua applicazione, in ragione naturalmente della riscontrata natura self-executing dell’articolo 12. Tale indirizzo si richiama alla sentenza Promoimpresa, la quale per la verità non era stata esplicita sul punto: in quell’occasione, infatti, la Corte non fece espressamente riferimento agli effetti diretti e alla necessità di disapplicare la normativa interna.
Con la seconda e con la quarta questione pregiudiziale il TAR pugliese mirava quindi a ottenere una risposta esplicita della Corte sull’idoneità dell’art. 12 a produrre effetti diretti, nella misura in cui da un lato l’obbligo di applicare una procedura di selezione imparziale e trasparente tra i candidati potenziali, e dall’altro lato il divieto di rinnovare automaticamente i titoli in essere risultino enunciati in modo incondizionato e sufficientemente preciso.
Orbene, la risposta della Corte non lascia adito a dubbi (pur destando qualche perplessità) e anche in questo caso conferma la posizione sostenuta dall’Adunanza Plenaria.
L’obbligo e il divieto, per la Corte, sono sanciti in maniera inequivocabile. Agevole il discorso sul divieto di procedure di rinnovo automatico ex par. 2: la Corte si è limitata a osservare che gli Stati membri non dispongono di alcun margine di discrezionalità sul punto, né possono subordinare l’operatività di tale divieto a ulteriori condizioni.
Diversamente, l’obbligo concorrenziale di cui al par. 1 tollera un certo margine di discrezionalità in capo agli Stati membri in ordine alle modalità atte a garantire l’imparzialità e la trasparenza delle procedure di selezione. Nondimeno, la Corte ha affermato in proposito che la disposizione presenta un contenuto minimo di tutela a favore dei candidati potenziali, che non può essere vulnerato, conseguendone che la discrezionalità rimessa agli Stati membri non può incidere sul carattere preciso e incondizionato dell’obbligo di svolgere una procedura di selezione imparziale e trasparente.
Vero è poi, come riconosciuto anche dalla Corte nel rispondere all’ottavo quesito (v. supra, par. 3), che l’applicazione dell’art.12 è subordinata all’accertamento del carattere scarso delle risorse naturali, e che tale articolo lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità circa le modalità di accertamento. Una simile circostanza potrebbe in astratto far venir meno il carattere “incondizionato” dalla norma in questione, epperò la Corte è stata laconica nell’affermare che tale “condizione” non può rimettere in discussione l’effetto diretto connesso ai paragrafi 1 e 2 di detto articolo.
Acclarato l’effetto diretto dell’art. 12, e divenuto pertanto superfluo rispondere al terzo quesito, subordinato all’accertamento della natura non self-executing della normativa de qua, la Corte risponde anche alla quinta questione (e seconda parte dell’ottava), in merito al dovere delle amministrazioni, e in particolare dei funzionari comunali, di disapplicare la normativa interna di proroga. Com’era prevedibile, la Corte non ha ravvisato elementi per discostarsi dalla propria giurisprudenza, che ravvisa tanto in capo al giudice quanto all’amministrazione (ivi incluse quelle comunali per il tramite dei propri funzionari o dirigenti) l’obbligo di non applicare la normativa interna contrastante con gli effetti diretti di una direttiva.
Nell’insieme, si può rilevare come l’attenzione della Corte si sia concentrata esclusivamente sulla posizione dei candidati potenziali, predicando la generalizzata necessità per l’amministrazione di disapplicare la normativa interna di proroga, senza distinguere i casi – come, tra l’altro, quello oggetto di causa –in cui una simile richiesta non provenga da tali soggetti privati (ma dall’AGCM) e sia, anzi, in danno di questi ultimi (i concessionari uscenti). Sul punto, per vero non sollevato dall’ordinanza leccese, ma pur sempre rilevabile d’ufficio, la pronuncia in questione suscita le stesse perplessità già evidenziate dalla dottrina in sede di commento alle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria in ordine all’ammissibilità degli effetti cd. “verticali inversi” ovvero in malam partem[22]. Non è peraltro escluso che in futuro la Corte, specificamente interrogata sul punto e re melius perpensa, circoscriva le proprie affermazioni.
6. Il problema dell’indennizzo per i concessionari uscenti.
Con il nono quesito pregiudiziale, il TAR Lecce intendeva ottenere una rimeditazione della posizione della Corte, nel caso quest’ultima fosse giunta a ritenere la natura self-executing della direttiva servizi e il conseguente obbligo di disapplicare la normativa interna contrastante con i suoi effetti diretti. Sul punto, il giudice remittente evidenziava come, in un contesto normativo quale quello vigente in Italia, la diretta applicazione dell’art. 12 dir. servizi porterebbe in molti casi a esiti inconciliabili con l’esigenza di tutelare il diritto di proprietà e il legittimo affidamento dei concessionari uscenti, in spregio, tra l’altro, all’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In tal senso, è appena il caso di ricordare che l’art. 49 cod. nav. afferma la regola della devoluzione in favore del concedente, al termine del rapporto concessorio, di tutte le opere non amovibili[23] realizzate dal concessionario sulla zona demaniale, senza alcun compenso o rimborso.
Peraltro, è stata la stessa Adunanza Plenaria a riconoscere, nelle sentenze gemelle, la necessità che le procedure competitive per l’assegnazione delle concessioni siano, ove ne ricorrano i presupposti, supportate dal riconoscimento di un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti, essendo tale meccanismo indispensabile per tutelare l’affidamento degli stessi (punto 49). La dottrina, a sua volta, nel ribadire la necessità dell’indennizzo in questione, ha evidenziato che esso debba essere comprensivo anche del valore dell’avviamento[24] e ha più in generale individuato, de iure condendo, le soluzioni normative percorribili nell’ambito di un’auspicata riforma del regime delle opere inamovibili realizzate dal concessionario[25].
Nessun ripensamento v’è stato nella pronuncia in commento. Infatti, il nono quesito è stato ritenuto irricevibile, in quanto dall’ordinanza di rinvio non sono emersi gli elementi di fatto e di diritto tali da rendere rilevante una risposta della Corte nel procedimento principale, nel quale, invero, non era stato dedotto e fatto valere il diritto del concessionario uscente di ottenere, alla scadenza della concessione, un qualsivoglia compenso per le opere inamovibili che esso abbia costruito sul terreno affidatogli in concessione.
Occorrerà perciò attendere che la Corte, ritualmente interrogata, fornisca gli opportuni chiarimenti circa la compatibilità euro-unitaria dell’art. 49 cod. nav., nell’ambito di un giudizio in cui venga in rilievo il carattere lesivo della regola dell’accessione gratuita ivi affermata. In proposito, si segnala che il Consiglio di Stato ha sollevato[26] una questione pregiudiziale relativa alla coerenza dell’art. 49 cod. nav. con gli artt. 49 e 56 TFUE e con i principi desumibili dalla sentenza Laezza[27], in relazione alle ipotesi in cui la concessione venga rinnovata senza soluzione di continuità, nelle quali la devoluzione non onerosa e senza indennizzo delle opere edilizie realizzate sull’area demaniale facenti parte del complesso di beni organizzati per l’esercizio dell’impresa è apparsa al Collegio come una restrizione sproporzionata rispetto allo scopo perseguito dal legislatore.
7. Considerazioni conclusive.
In definitiva, la sentenza della Corte conferma la coerenza degli approdi ermeneutici dell’Adunanza Plenaria con il diritto dell’Unione, e pertanto non altera lo “stato dell’arte” in materia, quantomeno in Italia.
Ciò non deve tuttavia indurre a disconoscere l’importanza di questa pronuncia e la rilevanza delle sue implicazioni, anche al di fuori dell’ordinamento italiano. La Corte ha invero affermato espressamente, così superando le incertezze legate all’interpretazione della sentenza Promoimpresa, la natura self-executing dell’art. 12 dir. servizi e la conseguente necessità per le amministrazioni competenti di darvi immediata e diretta applicazione, disapplicando quindi le norme interne con esso confliggenti.
Ora, tale statuizione dovrebbe indurre le amministrazioni di quegli Stati membri aventi normative anticomunitarie in materia, a trarne le dovute conseguenze per garantire l’effetto utile del diritto dell’Unione. È il caso, ad esempio, di Spagna e Portogallo, nei cui confronti la Commissione ha di recente aperto due procedure d’infrazione, censurando, nel primo caso, l’eccessiva durata delle concessioni demaniali marittime prevista dalla legge nonché l’assenza di procedure selettive trasparenti e imparziali per il rilascio dei titoli, e, nel secondo caso, la previsione di un diritto di preferenza in capo al concessionario uscente.
Va poi ricordato che nelle more della pronuncia della Corte di giustizia, è finalmente intervenuto il Parlamento italiano, con legge 5 agosto 2022, n. 118 (in particolare, artt. 2-4), abrogando le norme recanti le proroghe illegittime[28] e tendenzialmente confermando il 31 dicembre 2023 quale data ultima di efficacia delle concessioni prorogate o rinnovate. Senonché, tale termine è stato nuovamente posticipato dal d.l. n. 198/2022, convertito dalla l. n. 14/2023, al 31 dicembre 2024 (cfr. art. 12, co. 6-sexies). Lo stesso decreto-legge ha previsto, all’art. 10-quater, co. 3, che le concessioni in essere continuino in ogni caso ad avere efficacia sino alla data di rilascio dei nuovi titoli concessori, suscitando tuttavia la pronta reazione del Consiglio di Stato[29].
Tali recentissimi sviluppi contribuiscono evidentemente a produrre nuova incertezza giuridica nel settore.
Quale termine ultimo di efficacia delle concessioni in essere prenderanno a riferimento le amministrazioni competenti? Quello indicato dalla Plenaria (31 dicembre 2023) oppure il nuovo termine previsto dalla legge? Le decisioni sul punto non potranno che essere prese alla luce della pronuncia della Corte, che, lo si ricorda ancora una volta, ha esplicitato gli effetti diretti dell’art. 12 dir. servizi e l’obbligo di disapplicazione delle normative interne con esso contrastanti.
[1] Per un commento all’ordinanza di rinvio si veda M. TIMO, Le proroghe ex lege delle concessioni “balneari” alla Corte di Giustizia: andata e ritorno di un istituto controverso (nota a T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, ordinanza 11 maggio 2022, n. 743), in Giustiziainsieme.it, 2022.
[2] Il riferimento è all’art. 1, commi 682 e 683, l. n.145/2018, nonché all’art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020, il quale ha confermato la proroga al 31 dicembre 2033, disponendo inoltre la sospensione dei procedimenti diretti alla riacquisizione delle aree demaniali e delle relative pertinenze e di quelli tesi alla nuova assegnazione delle concessioni.
[3] Cfr. art. 100 d.l. n. 104/2020, che ha esteso la proroga anche alle concessioni lacuali e fluviali.
[4] Cfr. l’art. 1, co. 18, d.l. n. 194/2009 – come modificato in sede di conversione dalla l. n. 25/2010 –, l’art. 34-duodecies del d.l. n. 179/2012 – introdotto in sede di conversione dalla l. n. 221/2012 – , l’art. 24, co. 3-septies, d.l. n. 113/2016 – introdotto in sede di conversione dalla l. n. 160/2016 -, nonché le norme citate nelle due note precedenti. Per una sintesi dell’evoluzione normativa in materia si veda M.A. SANDULLI, Introduzione al numero speciale sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn.17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, in Diritto e Società, n. 3/2021.
[5] Sul tema, in dottrina, senza pretesa di esaustività, si vedano i seguenti contributi: F. CAPELLI, Evoluzioni, splendori e decadenza delle direttive comunitarie. Impatto della direttiva CE n. 2006/123 in materia di servizi: il caso delle concessioni balneari, Editoriale Scientifica, Napoli, 2021; B. CARAVITA DI TORITTO, G. CARLOMAGNO, La proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime. Tra tutela della concorrenza ed economia sociale di mercato. Una prospettiva di riforma, in Federalismi.it, n. 20/2021; A. LUCARELLI, B. DE MARIA, M.C. GIRARDI (a cura di), Governo e gestione delle concessioni demaniali marittime, in Quaderni della Rassegna di diritto pubblico europeo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, n. 7/2021; A. GIANNACCARI, Stessa spiaggia, stesso mare. Di concessioni demaniali marittime e (assenza di) concorrenza, in Mercato Concorrenza Regole, n. 2/2021; M. MANFREDI, L’efficacia diretta della “direttiva servizi” e la sua attuazione da parte della pubblica amministrazione italiana: il caso delle concessioni balneari, in JUS, n. 1/2021; G. CARULLO, A. MONICA, Le concessioni demaniali marittime nel mercato europeo dei servizi: la rilevanza del contesto locale e le procedure di aggiudicazione, in Federalismi.it, n. 26/2020; M. TIMO, Le concessioni balneari alla ricerca di una disciplina fra normativa e giurisprudenza, Giappichelli, Torino, 2020; A. GIANNELLI, Concessioni di beni e concorrenza: contributo in tema di compatibilità tra logica pro-concorrenziale e principi di diritto interno in tema di gestione dei beni pubblici, Editoriale Scientifica, Napoli, 2017; F. SANCHINI, Le concessioni demaniali marittime a scopo turistico-ricreativo tra meccanismi normativi di proroga e tutela dei principi europei di libera competizione economica: profili evolutivi alla luce della pronuncia della Corte di giustizia resa sul caso Promoimpresa-Melis, in Rivista della regolazione dei mercati, n. 2/2016; C. BENETAZZO, Il regime giuridico delle concessioni demaniali marittime tra vincoli U.E. ed esigenze di tutela dell’affidamento, in Federalismi.it, n. 25/2016.
[6] In particolare, vengono in rilievo l’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE (dir. servizi) e l’articolo 49 TFUE: il primo impone, nell’ipotesi in cui sia limitato il numero delle “autorizzazioni” disponibili per una determinata attività a causa della scarsità delle risorse naturali, l’assegnazione dei titoli sulla base di una procedura con garanzie di imparzialità, pubblicità e trasparenza, vietandone il rinnovo automatico; l’art. 4, punto 6, della direttiva chiarisce a sua volta che per regime di autorizzazione deve intendersi «qualsiasi procedura che obbliga un prestatore o un destinatario a rivolgersi ad un’autorità competente allo scopo di ottenere una decisione formale o una decisione implicita relativa all’accesso ad un’attività di servizio a al suo esercizio». Il secondo articolo invece afferma il divieto di restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, nel quale va comunque assicurato l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini.
[7] La procedura, avviata su segnalazione dell’AGCM, verteva sulla incompatibilità con il diritto dell’Unione della previsione di cui all’art. 37, co. 2, secondo periodo, del codice della navigazione, la quale riconosceva in capo al concessionario uscente il cd. diritto di insistenza.
[8] Corte di Giustizia, Sez. Quinta, 14 luglio 2016 in cause riunite C-458/14 e C-67/15. La Corte di giustizia, in questa sentenza, ha riscontrato il contrasto della normativa italiana di proroga con l’art. 12 dir. servizi e, in subordine, laddove tale articolo non sia applicabile, con l’art. 49 TFUE. In sintesi, il contrasto è stato ravvisato nel fatto che la proroga automatica ex lege si riferisce indiscriminatamente a tutte le concessioni in essere, ivi incluse quelle relative a risorse naturali scarse e quelle che, seppur non relative a risorse scarse, presentino un interesse transfrontaliero certo.
[9] Cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. VI, 18 novembre 2019, n. 7874 e 12 febbraio 2018, n. 873.
[10] Cfr. ad es. TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 15 gennaio 2021, nn. 71, 72, 73, 74, 75.
[11] Lettera C(2020) 7826 final, con cui è stata avviata la procedura di infrazione n. 2020/4118.
[12] La Commissione precisa che viene in rilievo l’applicabilità dell’art. 49 TFUE «nei limitati casi ipotetici» in cui non sia ravvisabile il carattere scarso della risorsa e nella misura in cui è probabile che venga pregiudicato un interesse transfrontaliero certo.
[13] Si veda il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 160/2020 di deferimento all’Adunanza Plenaria, per un commento al quale si veda R. DIPACE, All’Adunanza plenaria le questioni relative alla proroga legislativa delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico ricreative, in Giustiziainsieme.it, 2021.
[14] Si vedano, ancora, l’Introduzione di M.A. SANDULLI e i contributi degli autorevoli studiosi raccolti nel fascicolo monotematico su “La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria”, in Diritto e società, n. 3/2021, con recensione di F. FRANCARIO, Se questa è nomofilachia. Il diritto amministrativo 2.0 secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in Giustiziainsieme.it, 2021; nonché, ex multis, gli scritti di F.P. BELLO, Primissime considerazioni sulla “nuova” disciplina delle concessioni balneari nella lettura dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in Giustiziainsieme.it, 2021; E. CANNIZZARO, Demanio marittimo. Effetti in malam partem di direttive europee? In margine alle sentenze 17 e 18 dell’Ad. plen. del Consiglio di Stato, in Giustiziainsieme.it, 2021; R. ROLLI, D. GRANATA, Concessioni demaniali marittime: la tutela della concorrenza quale Nemesi del legittimo affidamento, in Rivista giuridica dell’edilizia, n. 5/2021.
[15] Cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Salerno, Sez. III, 20 aprile 2023, nn. 887, 888, 889, 890, 891; Cons. Stato, sez. VII, 23 maggio 2022, n. 4072; C.G.A.R.S., 24 gennaio 2022, n. 116.
[16] M.TIMO, Le proroghe ex lege delle concessioni “balneari” alla Corte di Giustizia: andata e ritorno di un istituto controverso, cit.
[17] Al cui par. 3.3. si legge: «Come chiarito dalla sentenza Promoimpresa della CGUE, gli articoli da 9 a 13 della direttiva sui servizi comportano un'armonizzazione esaustiva per quanto riguarda i servizi che rientrano nel suo campo di applicazione; pertanto, nei casi – la maggioranza delle concessioni in questione – in cui tutti i presupposti dell’articolo 12 DS siano soddisfatti, non vi è luogo di applicare direttamente le regole del trattato sulla libertà di stabilimento26 . Tuttavia, per i limitati casi ipotetici in cui si possa ritenere che l'articolo 12 della DS non sia applicabile in quanto viene meno il requisito della scarsità delle risorse, è necessario prendere in considerazione l’articolo 49 TFUE».
[18] Corte di giustizia, Grande Sezione, 30 gennaio 2018, in cause riunite C-360/15 e C-31/16.
[19] Sul punto si veda M.A. SANDULLI, Introduzione al numero speciale sulle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze nn.17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, cit.
[20] «L’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che: esso non osta a che la scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili sia valutata combinando un approccio generale e astratto, a livello nazionale, e un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del comune in questione».
[21] Come prospettato da R. ADAM, A. TIZZANO, Manuale di diritto dell’Unione europea, Giappichelli, Torino, 2014.
[22] F. FERRARO, Diritto dell’Unione europea e concessioni demaniali: più luci o più ombre nelle sentenze gemelle dell’Adunanza Plenaria?, in La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, cit.; E. CANNIZZARO, Demanio marittimo. Effetti in malam partem di direttive europee?, cit., nonché M.A. SANDULLI, Introduzione, cit.
[23] Sul cui regime si v. M. CALABRÒ, Concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo e acquisizione al patrimonio dello Stato delle opere non amovibili: una riforma necessaria, in La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, cit.
[24] G. MORBIDELLI, Stesse spiagge, stessi concessionari?, in La proroga delle “concessioni balneari” alla luce delle sentenze 17 e 18 del 2021 dell’Adunanza Plenaria, cit.
[25] M. CALABRÒ, Concessioni demaniali marittime ad uso turistico-ricreativo e acquisizione al patrimonio dello Stato delle opere non amovibili: una riforma necessaria, cit.
[26] Cons. Stato, Sez. VII, ordinanza 15 settembre 2022, n. 8010.
[27] Corte di giustizia, Terza Sezione, 28 gennaio 2016, in causa C-375/14.
[28] Cennate in nota 2 e 3.
[29] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 1 marzo 2023, n. 2192, che ha rilevato l’illegittimità di tale proroga e il conseguente obbligo di disapplicarla.