Sommario: 1. Il Fondo di solidarietà comunale nel modello del federalismo fiscale municipale - 2. Le criticità del finanziamento del Fondo di solidarietà comunale a seguito della legge 30 dicembre 2021, n. 234 - 3. Il bilanciamento tra la tutela dell’autonomia finanziaria comunale e la necessità di «non regredire rispetto all’ “imprescindibile” processo di definizione e finanziamento dei LEP». Quali soluzioni legislative all’attuale perequazione ibrida?
1. Il Fondo di solidarietà comunale nel modello del federalismo fiscale municipale.
Nel definire i principi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali la legge delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione, ha classificato le spese relative alle funzioni di comuni, province e città metropolitane, distinguendo «le spese riconducibili alle funzioni fondamentali ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione» (l. 5 maggio 2009, n. 42, art. 11, co. 1, lett. a, 1), da quelle «relative alle altre funzioni» (l. 5 maggio 2009, n. 42, art. 11, co. 1, lett. a, 2).
Per le funzioni fondamentali e per i «livelli essenziali delle prestazioni da esse implicate» si prevede che il finanziamento integrale, in base al fabbisogno standard, sia «assicurato dai tributi propri, da compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, da addizionali a tali tributi, la cui manovrabilità è stabilita tenendo conto della dimensione demografica dei comuni per fasce, e dal fondo perequativo» (l. n. 42 del 2009, art. 11, co. 1, lett. b). Le spese relative alle altre funzioni, invece, sono finanziate «con il gettito dei tributi propri, con compartecipazione al gettito di tributi e con il fondo perequativo basato sulla capacità fiscale per abitante» (l. n. 42 del 2009, art. 11, co. 1, lett. c).
Secondo i principi e criteri direttivi concernenti l'entità e il riparto dei fondi perequativi per gli enti locali, il fondo a favore dei comuni dovrebbe essere rappresentato «da un fondo perequativo dello Stato alimentato dalla fiscalità generale con indicazione separata degli stanziamenti per le diverse tipologie di enti, a titolo di concorso per il finanziamento delle funzioni da loro svolte» (l. n. 42 del 2009, art. 13, co. 1, lett. a).
In attuazione della suddetta legge delega, le disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale hanno introdotto nell’ordinamento due nuove «forme di imposizione fiscale» – un’«imposta municipale propria» e un’«imposta municipale secondaria» (d. lgs. 14 marzo 2011, n. 23, art. 7). In seguito, con le disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, è stato istituito il Fondo di solidarietà comunale (FSC) – considerato di carattere perequativo[1] –finanziato da «una quota dell’imposta municipale propria, di spettanza dei comuni» (l. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, co. 380, lett. b). Come evidenziato dalla Corte dei conti, tale fondo avrebbe dovuto essere alimentato tramite «fiscalità generale, cioè con risorse del governo centrale. Successivamente (d. lgs. n. 23 del 2011), il concorso dello Stato è venuto meno, disponendo invece che il fondo fosse alimentato da quote di gettito di tributi locali»[2]. Il modello inizialmente delineato dal legislatore si configurava come un «sistema perequativo misto, di direzione verticale per la perequazione delle funzioni fondamentali, e di natura orizzontale per la perequazione delle spese relative alle altre funzioni. Tuttavia, l’evoluzione legislativa ha in parte neutralizzato e modificato l’iniziale assetto, con il risultato di rendere meno trasparente il meccanismo di assegnazione del fondo perequativo»[3]. La Corte costituzionale ha già avuto modo di soffermarsi sul FSC evidenziando la «“distorsione” del criterio perequativo»; affermando che l’attuale struttura del FSC «è divenuta interamente orizzontale, tanto da determinare, dal 2015 al 2020, un “trasferimento negativo”, nel senso che è il comparto dei comuni a trasferire risorse allo Stato»; chiarendo che sull’evoluzione della disciplina del FSC avrebbero «inciso le difficoltà e i ritardi nell’attuazione del federalismo fiscale»[4]. Secondo questa ricostruzione «il FSC presentava – almeno in origine – una natura mista (orizzontale e verticale), in quanto veniva alimentato prevalentemente dai comuni mediante la trattenuta di una parte del gettito standard derivante dall’IMU e da una quota minoritaria di risorse trasferite dalla Stato»[5].
2. Le criticità del finanziamento del Fondo di solidarietà comunale a seguito della legge 30 dicembre 2021, n. 234.
Con alcune norme del bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024 (l. 30 dicembre 2021, n. 234, art. 1, commi 172, 174, 563 e 564) il legislatore ha incrementato la dotazione del FSC. Trattasi delle disposizioni normative sottoposte al vaglio di legittimità costituzionale con ricorso promosso dalla Regione Liguria per asserito contrasto con gli artt. 5 e 119, commi 3, 4, 5, Cost. La ricorrente riteneva, in specie, che assieme all’incremento della dotazione del FSC il legislatore avesse al contempo assoggettato tali risorse aggiuntive a vincoli di destinazione, in contrasto con la disciplina costituzionale in tema di perequazione (art. 119, co. 3 e 5), violando l’autonomia finanziaria dei comuni.
La Regione riteneva che la normativa impugnata, andando a definire ulteriori finanziamenti per gli asili nido (art. 1, co. 172), dissimulasse un intervento di perequazione speciale, indicando stringenti obiettivi di servizio in violazione del divieto di «vincoli di destinazione» (art. 119, c. 3 Cost.): trattandosi di funzione attribuita ai comuni, l’ulteriore finanziamento di tal tipo non avrebbe dovuto trovare collocazione nel FSC (art. 119, c. 4 Cost.). Analogo ragionamento veniva prospettato con riferimento alla norma che aumenta il finanziamento per il trasporto di studenti disabili (art. 1, co. 174) e a quella che prevede risorse finalizzate al finanziamento e allo sviluppo dei servizi sociali comunali (art. 1, co. 563), anch’essa impugnata perché asseritamente in contrasto con il divieto di vincoli di destinazione a valere sulle quote del FSC. Infine, anche la norma che si riferisce alla rideterminazione complessiva del FSC (art. 1, co. 564) veniva impugnata, sebbene nel solo inciso inziale dove richiama le altre norme impugnate.
Fatte salve le parti delle norme che incrementano gli importi annui del FSC, la ricorrente chiedeva una «pronuncia di carattere sostitutivo» in grado di rimuovere il vincolo di destinazione e ricondurre il finanziamento al criterio generale di riparto del fondo.
L’Avvocatura generale dello Stato riteneva che «non sarebbe “‘il contenitore’ finanziario ad essere dirimente ai sensi della Costituzione” per affermare la sussumibilità delle suddette risorse nell’ambito del terzo comma o in quello del quinto comma dell’art. 119 Cost., “ma la natura e la finalità dello specifico stanziamento”»; inoltre, «l’intervento in questione darebbe attuazione al monito contenuto nella sentenza n. 220 del 2021 di questa Corte in ordine al ritardo nella definizione dei LEP, destinando coerentemente le risorse per il finanziamento degli stessi, attraverso un approccio di perequazione speciale in favore delle aree meno sviluppate»[6]. L’Avvocatura concludeva che «dalla natura perequativa del FSC non discenderebbe la sottrazione delle relative risorse alle esigenze di solidarietà o di riequilibrio ove destinate dal legislatore statale alla fruizione di diritti essenziali».
3.Il bilanciamento tra la tutela dell’autonomia finanziaria comunale e la necessità di «non regredire rispetto all’ “imprescindibile” processo di definizione e finanziamento dei LEP». Quali soluzioni legislative all’attuale perequazione ibrida?
Nella pronuncia qui commentata la Corte chiarisce che le prime tre disposizioni impugnate (art. 1, commi 172, 174, 563, l. n. 234 del 2021) «intervengono sulla disciplina del fondo di solidarietà comunale (FSC) – istituito dall’art. 1, comma 380, lettera b), della l. n. 228 del 2012 – incrementandone la dotazione, attraverso risorse statali, in modo consistente e progressivo e, nel contempo, stabiliscono specifici vincoli di destinazione sulla relativa spesa, in funzione del raggiungimento di livelli essenziali delle prestazioni o, nell’attesa della definizione di questi ultimi, di obiettivi di servizio». Con riferimento, invece, alla quarta disposizione impugnata (art. 1, co. 564), afferma che questa «ridetermina, in considerazione delle nuove risorse, l’ammontare complessivo del FSC».
Definendo «farraginoso e sempre meno trasparente il funzionamento del FSC», la Corte ha evidenziato come al suo interno abbiano nel tempo «iniziato a comparire una nuova componente perequativa, che, da un lato, ha assunto carattere vincolato anche al finanziamento di LEP contemporaneamente indicati, ma, dall’altro, ha previsto, come sanzione del mancato impiego delle risorse per tale finalità, la mera restituzione delle stesse», sicché «all’interno del FSC e in aggiunta alla tradizionale perequazione ordinaria – strutturata, fin dalla sua istituzione, secondo i canoni del terzo comma dell’art. 119 Cost. e quindi senza alcun vincolo di destinazione – è stata, dunque, progressivamente introdotta, a partire dal 2021, una componente perequativa speciale, non più diretta a colmare le differenze di capacità fiscale, ma puntualmente vincolata a raggiungere livelli essenziali e obiettivi di servizio», senza che tuttavia fosse previsto alcun meccanismo di controllo simile a quello stabilito per i livelli essenziali in sanità (c.d. LEA). A differenza del meccanismo previsto nel caso del mancato rispetto della garanzia dei livelli essenziali di assistenza in sanità (commissariamento regionale)[7], in effetti, la violazione del vincolo imposto dalle norme impugnate non troverebbe alcun meccanismo di garanzia dell’effettivo raggiungimento. Il nuovo assetto normativo – ad avviso della Corte – avrebbe generato «all’interno dell’unico FSC storicamente esistente, un’ibridazione estranea al disegno costituzionale dell’autonomia finanziaria, il quale, a tutela dell’autonomia degli enti territoriali, mantiene necessariamente le due forme di perequazione».
Da tempo la giurisprudenza costituzionale ha evidenziato che «nel nuovo sistema, per il finanziamento delle normali funzioni di Regioni ed enti locali, lo Stato può erogare solo fondi senza vincoli specifici di destinazione, in particolare tramite il fondo perequativo di cui all’art. 119, terzo comma, della Costituzione»[8].
La Corte afferma che «nell’unico fondo perequativo relativo ai comuni e storicamente esistente ai sensi dell’art. 119, terzo comma, Cost., non possono innestarsi componenti perequative riconducibili al quinto comma della medesima disposizione, che devono, invece, trovare distinta, apposita e trasparente collocazione in altri fondi a ciò dedicati, con tutte le conseguenti implicazioni, anche in termini di rispetto, quando necessario, degli ambiti di competenza regionali».
E, tuttavia, la Corte dichiara inammissibili tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate, adottando una sentenza monitoria in cui afferma che «il compito di adeguare il diritto vigente alla tutela costituzionale riconosciuta all’autonomia finanziaria comunale […] al contempo bilanciandola con la necessità di non regredire rispetto all’ “imprescindibile” (sentenza n. 220 del 2021) processo di definizione e finanziamento dei LEP (la cui esigenza è stata più volte, come detto, rimarcata dalla Corte), non può che spettare al legislatore, dato il ventaglio delle soluzioni possibili»[9]. La Corte, nel richiamare il legislatore a «intervenire tempestivamente per superare, in particolare, una soluzione perequativa ibrida che non è coerente con il disegno costituzionale dell’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 Cost.», afferma che sono molteplici le modalità con cui il legislatore può rimediare al contrasto di tali norme col divieto del vincolo di destinazione dei fondi (art. 119, co. 3 Cost.): «queste possono essere individuate dal legislatore senza compromettere quel percorso di definizione e di garanzia dei LEP sulla cui necessità, in più occasioni, la Corte ha insistito».
In effetti, per superare l’attuale modello di perequazione ibrida, il legislatore potrebbe distinguere tra un fondo perequativo per il finanziamento delle funzioni fondamentali e un fondo perequativo per il finanziamento delle altre funzioni: tale soluzione troverebbe fondamento proprio nei principi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali, dove si distingue tra un fondo perequativo per il finanziamento delle spese riconducibili alle funzioni fondamentali e di quelle relative ai «livelli essenziali delle prestazioni eventualmente da esse implicate» (l. n. 42 del 2009, art. 11, co. 1, lett. b) e un fondo perequativo per il finanziamento delle spese relative alle altre funzioni (l. n. 42 del 2009, art. 11, co. 1, lett. c).
La questione si intreccia con quella della definizione dei LEP. Già nella citata sentenza n. 220 del 2021 la Corte ha valutato negativamente «il perdurante ritardo dello Stato nel definire i LEP, i quali indicano la soglia di spesa costituzionalmente necessaria per erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale, nonché “il nucleo invalicabile di garanzie minime” per rendere effettivi tali diritti», evidenziando che i LEP «rappresentano un elemento imprescindibile per lo svolgimento leale e trasparente dei rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali», trattandosi di un «valido strumento per ridurre il contenzioso sulle regolazioni finanziarie fra enti». Il dovere di definire i LEP è stato peraltro considerato «particolarmente urgente anche in vista di un’equa ed efficiente allocazione delle risorse collegate al Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) (legge 1° luglio 2021, n. 101)»[10]. E la questione della loro definizione è altresì urgente nella prospettiva della realizzazione di una maggiore autonomia delle Regioni a Statuto ordinario nella forma dell’autonomia differenziata regionale[11], tanto che di recente è stato istituito un Comitato per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, da garantire su tutto il territorio nazionale[12].
L’urgenza di un intervento del legislatore per superare una «soluzione perequativa ibrida che non è coerente con il disegno costituzionale dell’autonomia finanziaria di cui all’art. 119, Cost.», i cui principi debbono trovare rispetto in ogni forma di maggiore autonomia regionale (art. 116, c. 3, Cost.), sembra andare ben al di là delle esigenze del rispetto del PNRR e della questione dell’autonomia differenziata, poiché indispensabile ai fini della garanzia effettiva dei diritti sociali attraverso la necessaria definizione dei LEP.
In tal senso il monito della Corte per una soluzione legislativa dell’attuale perequazione ibrida invita a fare chiarezza su quali risorse debba contenere il FSC, quale sia il fondo per i LEP e quello per le altre funzioni; una chiarezza che si riflette sulla garanzia del nucleo essenziale di quei diritti sociali che la Repubblica deve garantire (artt. 2, 3, 117, c. 2, lett. m, Cost.), a prescindere dalle questioni d’autonomia e di competenze, di finanziamento e di bilancio[13].
[1] Cfr. il Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2020, Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, p. 21, «la perequazione comunale avviene attraverso il fondo di solidarietà comunale, la cui alimentazione è affidata a una quota del gettito standard dell’IMU (il 22,43 per cento). […] In questa metodologia si annidano alcuni elementi di criticità del fondo di solidarietà comunale».
[2] Cit. Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2020, Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, p. 22.
[3] Cit. Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2020, Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, p. 20.
[4] C. cost., sent., n. 220/2021.
[5] C. cost., sent., n. 220/2021.
[6] Per la letteratura in materia di LEP si rinvia qui, per tutti, a M. Luciani, I diritti costituzionali tra Stato e Regioni (a proposito dell’art. 117, comma 2, lett. m della Costituzione), in Politica del diritto, n.3/2002, pp. 345-360; R. Balduzzi, Note sul concetto di «essenziale» nella definizione dei LEP, in Rivista delle politiche sociali, n. 4/2004, pp. 165-182; C. Pinelli, Sui «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali», in Diritto pubblico, n. 3/2002, pp. 881-908; C. Tubertini, Pubblica amministrazione e garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni. Il caso della tutela nella salute, Bologna, 2008, p. 46; V. Molaschi, I rapporti di prestazione nei servizi sociali. Livelli essenziali delle prestazioni e situazioni giuridiche soggettive, Torino, 2008, p. 162 ss. Per la copiosa giurisprudenza costituzionale sui livelli essenziali cfr., ex plurimis, C. cost., sent., n. 282/2002; sul livello essenziale come nucleo irriducibile cfr. C. cost., sent., n. 309/1999; C. cost., sent., n. 509/2000.
[7] F. Gallo, Dal federalismo al regionalismo differenziato, in Riv. Corte dei conti, n. 5/2019, p. 8, dove fa riferimento all’art. 120, c. 2 Cost.
[8] C. cost., sent., n. 370/2003.
[9] Sull’ «imprescindibile esigenza di salvaguardare i valori unitari e gli strumenti per la loro tutela» nell’affrontare il tema del regionalismo differenziato M.A. Sandulli, Le tante facce (non tutte auspicabili) del regionalismo differenziato: i presidi non rinunciabili della solidarietà e i gravi rischi della competizione, in Corti supreme e salute, fasc.1/2020, p. 254; F. Gallo, Dal federalismo al regionalismo differenziato, in Riv. Corte dei conti, 2019, n. 5, p. 5-9; L. Vandelli, Il regionalismo differenziato, in Rivista AIC, 4 settembre 2019, p. 580, «Sui livelli essenziali. Dobbiamo distinguere nettamente le diverse situazioni che caratterizzano i livelli essenziali. In qualche materia, i livelli essenziali sono vigenti; in altre, mancano completamente. Sui livelli essenziali esistenti, come è noto, il caso più evidente è proprio quello della sanità; mentre sui livelli essenziali mancanti - per fare un problematico esempio, in qualche modo adiacente alla sanità - ci riferiamo anzitutto ai servizi sociali».
[10] C. cost., sent., n. 220/2021.
[11] Cfr. F. Gallo, Dal federalismo al regionalismo differenziato, in Riv. Corte dei conti, n. 5/2019, p. 8, «Prima di dar corso ad intese sul regionalismo differenziato sarebbe, quantomeno, necessario, individuare con legge i livelli essenziali delle prestazioni (Lep e Lea) […] come si possono attribuire forme particolari e differenziate di autonomia se non si sa neppure cosa sono i livelli essenziali e se, in ogni caso, non sono stati determinati i relativi finanziamenti che lo Stato deve garantire?»; M.A. Sandulli, Le tante facce (non tutte auspicabili) del regionalismo differenziato: i presidi non rinunciabili della solidarietà e i gravi rischi della competizione, in Corti supreme e salute, n. 1/2020, p. 255, è nell’ottica «solidaristica e collaborativa, ad oggi scarsamente attuata, che deve muoversi il nuovo “regionalismo differenziato”, per evitare il rischio che esso, in un sistema finanziariamente impreparato, aumenti le diseguaglianze nella garanzia di diritti primari, come quelli all’istruzione e, prima ancora, alla salute, con inevitabili conflitti istituzionali e conseguente complessivo indebolimento del Paese»; A. Giannola; L. Bianchi, Valorizzare le autonomie e ridurre le diseguaglianze: un federalismo fiscale solidale per l’unità del Paese, in Rivista economica del Mezzogiorno, n. 3-4/2019, pp. 647-669. Sul tema del regionalismo differenziato si rinvia a B. Caravita di Toritto, Un doppio binario per l’approvazione del regionalismo differenziato?, in federalismi.it, n. 13/2019; E. Grosso, A. Poggi A., Il regionalismo differenziato: potenzialità e aspetti problematici, in Il Piemonte delle Autonomie, n. 2/2018, pp. 1-5; F. Pallante, Nel merito del regionalismo differenziato: quali “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” per Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna?, in federalismi.it, 20 marzo 2020, n. 6/2020; D. Mone, Autonomia differenziata come mezzo di unità statale. La lettura dell’art. 116, comma 3 Cost., conforme a Costituzione, in Rivista AIC, n. 1/2019, pp. 329-350; A. Cauduro, Di Maio, A. DI Majo, Dalle aporie del decentramento regionale alla ricerca dello Stato perduto, in Rivista economica del Mezzogiorno, fasc. 1, marzo 2021, p. 103 ss.
[12] Sulla composizione del Comitato e le relative modalità di lavoro si rinvia al sito del Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie della Presidenza del Consiglio dei Ministri:
https://www.affariregionali.it/il-ministro/comunicati/2023/marzo/ministro-roberto-calderoli-annuncia-61-esperti-comitato-lep-al-lavoro-con-cabina-regia-per-individuare-e-garantire-diritti-di-tutti/
e
https://www.affariregionali.it/il-ministro/comunicati/2023/maggio/autonomia-insediato-comitato-lep-calderoli-cede-timone-a-capitano-cassese-sfida-storica-da-affrontare-buon-lavoro-a-tutti/
[13] La garanzia del nucleo essenziale dei diritti fondamentali non può essere compressa dai vincoli di bilancio, ma semmai «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione», così C. cost., sent., n. 275/2016; poi anche C. cost., sent., n. 62/2020.