Introduzione a un dibattito sul tema dell’autonomia differenziata*
di Enrico Zampetti
Il tema di oggi è di stretta attualità considerato che, negli ultimi giorni dello scorso anno, il Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie ha trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il testo del disegno di legge recante l’attuazione dell’articolo 116 co. 3 Cost. Attualmente risulta presentato al Senato un disegno di legge dell’opposizione per l’attuazione del medesimo articolo 116 co. 3 Cost. e, presumibilmente, nel prossimo futuro ne saranno presentanti degli altri.
Non possono qui essere tratteggiate, neppure per cenni, le varie tappe che hanno sinora caratterizzato il processo di autonomia differenziata (che, ad oggi, non risulta perfezionato per nessuna Regione), ma un dato può essere evidenziato: rispetto al momento iniziale si è progressivamente allargata la platea delle Regioni interessate alla differenziazione, sicchè ad oggi l’autonomia differenziata assume la rilevanza di un fenomeno più generale, non esclusivamente circoscritto alle Regioni del Nord, ma esteso anche ad altre Regioni che, quantomeno in via astratta e potenziale, vedono nel regionalismo differenziato un possibile rilancio del sistema autonomistico, anche nell’ottica di un superamento degli squilibri esistenti.
Al contempo, all’aumento delle Regioni interessate è corrisposto un progressivo aumento delle materie coinvolte dal processo di differenziazione, sino a registrare iniziative riguardanti tutte e ventitré le materie indicate dalla norma costituzionale.
In questo contesto di più ampio interesse per l’autonomia differenziata, si avverte, dunque, l’esigenza di una legge quadro che garantisca una procedura unica e uniforme. Ciò non è affatto scontato perché, se è vero che anche in passato era stata avanzata la proposta di una legge quadro (si vedano, ad esempio, le iniziative del 2007 sotto il Governo Prodi e del 2019 sotto il governo Conte II), in altre occasioni il processo per ottenere l’autonomia differenziata si è avviato in diretta attuazione dell’articolo 116 co.3 (si pensi, ad esempio, alle preintese del febbraio 2018 a seguito dei referendum indetti da Lombardia e Veneto). Peraltro, anche in dottrina si registrano differenti orientamenti: accanto a posizioni che invocano la necessità di una legge quadro per ragioni di uniformità, altre la escludono sul presupposto che l’art. 116, co. 3, ponga soltanto un problema d’interpretazione ma non di attuazione costituzionale.
Ad ogni modo, tanto l’attuazione diretta dell’articolo 116 co. 3 Cost. quanto la sua attuazione attraverso una legge quadro devono misurarsi con una serie di questioni che variamente interessano il tema dell’autonomia differenziata e sulla base delle quali vanno esaminate e valutate anche le recenti proposte. Resta inteso - ma è forse superfluo sottolinearlo - che la questione più generale e rilevante richiede di inquadrare l’autonomia differenziata nell’ambito dei principi di unità e solidarietà sanciti a livello costituzionale, nell’ambizioso obiettivo di assicurare l’uguaglianza nella differenziazione. Al di là di questo aspetto centrale sul quale si concentra da sempre il dibattito sull’autonomia differenziata, più in dettaglio possono individuarsi alcuni profili problematici che passo sinteticamente ad esporre e che verranno in parte ripresi e approfonditi dalle successive relazioni.
Oggetto dell’autonomia differenziata.
L’autonomia differenziata riguarda tanto le competenze legislative quanto le competenze amministrative. Per quanto riguarda le prime, l’elemento di criticità concerne essenzialmente la quantità di materie che possono interessare il processo autonomistico. Se infatti il processo di differenziazione può coinvolgere astrattamente tutte le materie richiamate dall’articolo 116 Cost., è stato sottolineato che, ove la devoluzione dovesse interessarle tutte contestualmente, ciò rischierebbe di alterare le competenze legislative sancite a livello costituzionale, in deroga al procedimento di revisione previsto dall’art. 138 Cost.
Sotto un altro aspetto, si è espressa preoccupazione per la devoluzione di materie relative ad interessi (avvertiti come) unitari e difficilmente frazionabili (il riferimento è, ad esempio, alle materie coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, porti e aeroporti civili, istruzione, sanità, commercio con l’estero, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia). Anche nel tentativo di superare questa preoccupazione, si è talvolta sostenuto che, più che la materia nella sua astrattezza, la proposta regionale debba individuare gli obiettivi o le politiche che si intendono concretamente perseguire con l’autonomia differenziata, di modo che, in fase di intesa, si possano più agevolmente individuare le modalità di realizzazione di quegli obiettivi o di quelle politiche.
Per quanto riguarda le competenze amministrative, va precisato che il conferimento alle Regioni di funzioni amministrative non è esclusivo appannaggio dell’autonomia differenziata, ma si determina anche in base all’articolo 118 della Costituzione in applicazione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Si è così sottolineato che la Regione potrebbe risultare titolare di funzioni amministrative sia in applicazione dell’articolo 118 Cost. che dell’articolo 116, co.3, Cost., con la differenza che, in quest’ultimo caso, le competenze amministrative sarebbero modificabili soltanto mediante il procedimento previsto dalla relativa norma costituzionale.
Ruolo del Parlamento.
Un’ulteriore preoccupazione riguarda il ruolo del Parlamento nel processo di autonomia differenziata. Emerge, in particolare, il seguente interrogativo: la legge contemplata dall’articolo 116 Cost., che approva l’intesa a maggioranza assoluta, può emendare l’intesa o richiederne modifiche, ovvero deve approvarla o rifiutarla in blocco? L’orientamento maggioritario sembra configurare la legge in esame come una legge di mera ratifica, al pari delle leggi che approvano le intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica. Al contempo, le varie proposte succedutesi nel tempo, tra cui anche le ultime, cercano di recuperare il ruolo del Parlamento attraverso il coinvolgimento delle competenti commissioni parlamentari, per lo più chiamandole ad esprimere pareri durante la fase di costruzione dell’intesa. Occorre verificare se e in che termini questo coinvolgimento possa ritenersi adeguato e sufficiente, ma di questo non possiamo occuparci in questa sede.
Il sistema di finanziamento.
Il sistema di finanziamento dell’autonomia differenziata dovrebbe essere coerente con quanto previsto dall’articolo 119 Cost., e in particolare con il principio di corrispondenza tra funzioni e risorse secondo il quale le funzioni attribuite agli enti territoriali sono finanziate con tributi propri, compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibile al territorio regionale, fondi perequativi. Tuttavia, è noto come il federalismo fiscale non risulti ancora compiutamente attuato e come tale inattuazione sia stata ulteriormente determinata dalla crisi economica e dal contesto pandemico. Talvolta, si è così assistito ad un accentramento delle competenze e della gestione delle risorse, che anch’esso ha contribuito ad impedire il passaggio da un sistema a finanza derivata a un sistema effettivamente incentrato sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali. In estrema sintesi, (anche) il sistema di finanziamento dell’autonomia differenziata sconta e risente della mancata piena attuazione dell’articolo 119 Cost.
In ogni caso, si devono adeguatamente sottolineare le finalità perequative che pervadono l’articolo 119 Cost. e che vengono a tradursi nella necessaria redistribuzione del gettito raccolto a livello regionale. Sotto questo profilo, alcune criticità possono riguardare il c.d. residuo fiscale, ossia la differenza tra quanto un territorio versa allo Stato sotto forma di imposte e quanto riceve sotto forma di spesa pubblica. Proprio nell’ottica della perequazione, vanno così valutate eventuali rivendicazioni delle Regioni con più alto residuo fiscale a trattenere una maggiore percentuale del gettito prodotto nei rispettivi territori, considerato che siffatte rivendicazioni potrebbero sottrarre alla finanza pubblica risorse da redistribuire in ottica perequativa. Di questo aspetto si è occupata anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 118 del 2015.
I livelli essenziali delle prestazioni (LEP).
Un ulteriore elemento di criticità riguarda i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP).
Si tratta del profilo che più ha acceso il dibattito di questi ultimi giorni. Volendo semplificare al massimo, l’interrogativo di fondo è il seguente: si può procedere con l’autonomia differenziata anche se non siano stati previamente definiti i LEP oppure è necessario prima definire i LEP e soltanto dopo attivare il processo di differenziazione?
Va subito precisato, anche perché il dibattito odierno può fuorviare, che la definizione dei LEP è prevista dalla Costituzione a prescindere dall’autonomia differenziata, a presidio di quegli elementi unificanti con cui il principio autonomistico deve necessariamente convivere. In quest’ottica, come sancisce la legge 42 del 2009 sul c.d federalismo fiscale, la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni incide anche sui criteri di allocazione delle risorse perché implica il passaggio dal criterio della spesa storica al criterio incentrato sui fabbisogni e i costi standard. Come noto, attualmente i LEP non risultano ancora definiti in via generale, con una duplice implicazione: non si sa con esattezza quali siano i livelli essenziali delle prestazioni, salvo dedurli per alcuni settori dalla normazione positiva; si ostacola il passaggio dal criterio della spesa storica al criterio dei fabbisogni e costi standard.
Ma veniamo più da vicino al rapporto tra LEP e autonomia differenziata: ove anche si ritenga che, da un punto di vista formale, la (previa) definizione dei LEP non condizioni l’autonomia differenziata, è indubbio che la previa definizione dei LEP, e quindi la previa determinazione dei fabbisogni e costi standard, venga avvertita come presupposto necessario del processo di autonomia differenziata, proprio per evitare che si perpetui l’applicazione del criterio della spesa storica: ossia un criterio che, basandosi su quanto si è speso negli anni precedenti, non è affatto detto che assicuri le risorse necessarie per garantire l’erogazione dei servizi secondo predeterminati standard qualitativo-quantitativi. In sostanza, come emerge dal dibattito di questi giorni, se il processo di autonomia dovesse avviarsi e completarsi senza che siano stati previamente definiti i LEP, il divario già esistente tra le Regioni rischierebbe di restare tale e si sarebbe persa un’occasione nell’ottica dell’uniforme garanzia dei diritti civili e sociali.
Ebbene, l’ultima legge di bilancio, ai commi 791 e ss., ha previsto che i LEP debbano essere definiti entro un termine ben preciso e che “l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia di cui all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, relative a materie o ambiti di materie riferibili, ai sensi del comma 793, lettera c), del presente articolo, ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale, è consentita subordinatamente alla determinazione dei relativi livelli essenziali delle prestazioni (LEP)”, subordinando così il processo di autonomia differenziata alla previa determinazione dei LEP. Resta inteso che, per garantire uniformemente i diritti civili e sociali, anche nella prospettiva dell’autonomia differenziata, non è sufficiente la preventiva definizione dei LEP, ma è altresì necessario lo stanziamento delle relative risorse e la previsione dei meccanismi attraverso cui assicurarne il concreto finanziamento. Una definizione dei LEP alla quale non si accompagni lo stanziamento delle risorse lascerebbe pressochè inalterata l’attuale situazione.
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Questi, sia pur sommariamente indicati, sono alcuni degli aspetti che richiedono una rinnovata riflessione sull’autonomia differenziata nell’attuale contesto di riferimento e che ci hanno indotto ad organizzare questo incontro di approfondimento. Mi fermo qui per lasciare spazio ai nostri relatori che, da varie angolazioni tratteranno alcuni degli aspetti che ho cercato di sintetizzare in questa breve introduzione.
Interverranno subito i professori Francesco Manganaro e Fabrizio Tigano che dovranno lascarci a beve perché impegnati nel Consiglio direttivo dell’Associazione italiana professori di diritto amministrativo. In particolare, il prof. Francesco Manganaro ci illustrerà se e in che termini il regionalismo differenziato riesca a conciliare l’autonomia con il superamento dei divari regionali, mentre il prof. Fabrizio Tigano si concentrerà anche sui rapporti tra autonomia differenziata e autonomie speciali. Seguiranno, in ragione delle tematiche trattate, gli interventi del prof. Antonio Bartolini sul principio autonomistico, del prof. Alessandro Cioffi sui LEP, della prof.ssa Chiara Cacciavillani e del prof. Pier Luigi Portaluri sulle implicazioni dell’autonomia differenziata rispettivamente per la materia sanitaria e la materia governo del territorio. Al termine ascolteremo le conclusioni della prof.ssa Maria Alessandra Sandulli.
* Lo scritto riproduce l’introduzione al Seminario Novità e possibilità dell’autonomia differenziata nelle più recenti proposte di riforma, organizzato dal Comitato di redazione della sezione Diritto e Processo Amministrativo di questa Rivista e tenutosi il 9 gennaio 2023.